La ex moglie ha rinunciato a fare la commercialista: dubbi sulla quantificazione dell’assegno divorzile

Indiscutibile il diritto della donna ad ottenere dall’ex marito un adeguato assegno divorzile. Decisivo, in questa ottica, il riferimento al fatto che ella abbia sacrificato la propria carriera, d’intesa con l’allora coniuge, per dedicarsi alla famiglia. Questo elemento, abbinato alla posizione di debolezza economica della donna, non basta però a giustificare il corposo aumento della cifra stabilita in sede di separazione.

Legittimo l' assegno divorzile all'ex moglie che, a matrimonio in corso, ha rinunciato alla avviata professione di commercialista per dedicarsi alla famiglia e ha consentito all'allora marito di portare avanti una fiorente attività imprenditoriale. Questo incontestabile dato di fatto non è però sufficiente per legittimare l'aumento monstre della cifra, passata dai 4mila euro stabiliti nel giudizio di separazione ai 6mila e 500 euro indicati nel giudizio di divorzio. Concordi i giudici di merito, i quali, prendendo in esame il divorzio tra Diodoro e Monica, sanciscono che la donna ha diritto a percepire dall'ex marito ogni mese un assegno divorzile di 6mila e 500 euro. A far ribellare Diodoro non è il riconoscimento dell'assegno divorzile all'ex moglie, bensì la cifra che a lui pare esagerata , anche tenendo conto dei 4mila euro stabiliti in sede di separazione alla luce della posizione economica sua e di Monica. Ecco spiegato il ricorso in Cassazione proposto dal legale che rappresenta Diodoro, ricorso mirato ad evidenziare il presunto errore compiuto dai giudici d'Appello, i quali hanno fissato in 6mila e 500 euro la somma mensile da versare in favore di Monica solo tenendo conto della disparità delle relative condizioni economiche dei due ex coniugi, essendo l'uomo un imprenditore mentre la donna non gode di alcun reddito , e così aumentando, senza fatti sopravvenuti, l'importo di 4mila euro statuito in sede di separazione , annota il legale. Per completare il ragionamento, infine, l'avvocato che rappresenta Diodoro sottolinea anche come i giudici d'Appello non abbiano invece tenute presenti alcune circostanze rilevanti, quali il pensionamento e la contrazione del reddito del suo cliente. Per i giudici di Cassazione le obiezioni proposte dall'avvocato di Diodoro hanno un solido fondamento. In premessa, comunque, i magistrati ribadiscono che il tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio non può più costituire il parametro a cui fare riferimento per la determinazione dell'assegno divorzile, dovendo piuttosto il giudice avere riguardo alla indipendenza economica intesa come disponibilità di mezzi adeguati tali da consentire una vita dignitosa ed autosufficiente . E, ragionando sempre in questa ottica, essi ricordano anche che l'assegno divorzile ha pure una funzione compensativa o perequativa nel caso in cui risulti che il coniuge meno abbiente abbia sacrificato , come nella vicenda presa in esame, le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi completamente alla famiglia nell'ambito di una scelta condivisa dei due ex coniugi che così hanno inteso impostare la vita in comune ed attribuirsi, di comune accordo, differenti ruoli ed attività nella gestione della vita familiare . Tornando al divorzio tra Monica e Diodoro, però, dalla Cassazione si soffermano sul fatto che i giudici d'Appello, nello stabilire l'entità dell'assegno divorzile in favore di Monica in 6mila e 500 euro non hanno dato conto adeguatamente della determinazione dell'importo stabilito, aumentando in misura rilevante l'importo dell'assegno riconosciuto in sede di separazione 4mila euro senza indicare alcun fatto sopravvenuto . Certo, riconoscono i giudici di Cassazione, la donna, nel 1990, dopo la nascita del terzo figlio, ha lasciato la propria attività lavorativa di commercialista, ed attualmente non ha redditi propri, essendosi dedicata alla cura dei figli mentre l'uomo risulta essere socio e amministratore delegato di una società, che vanta utili non distribuiti pari a circa 3mlioni e mezzo di euro, e gode di un reddito elevato, oltre ad essere proprietario di immobili . Allo stesso tempo, la donna ha contribuito alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune sulla base dell'impostazione concordata tra lei e il marito in relazione alla vita coniugale e familiare , sottolineano ancora i giudici. Tirando le somme, proprio tenendo contro delle differenti condizioni economiche dei due ex coniugi , è legittimo il diritto di Monica a ricevere l'assegno divorzile, stante la sua precaria situazione economica, frutto, appunto, delle scelte prese di comune accordo col marito in regime di matrimonio . Tuttavia, va comunque fatta chiarezza, con un nuovo processo d'Appello, sul quantum dell'assegno divorzile , soprattutto tenendo presente, osservano dalla Cassazione, che in sede di separazione l'assegno ammontava a 4mila euro e che i giudici di secondo grado non hanno spiegato adeguatamente il motivo del consistente aumento di circa 2mila e 500 euro mensili e non hanno preso in considerazione il decremento reddituale subito da Diodoro mentre hanno ritenuto di parametrare la liquidazione dell'assegno alla necessità di stabilire la reale entità della sperequazione reddituale e patrimoniale esistente tra i coniugi .

Presidente Bisogni – Relatore Meloni Fatti di causa Il Tribunale di Parma, pronunciando nel giudizio di divorzio tra i coniugi G.C. e P.M.C. stabilì un assegno divorzile di 6.500,00 Euro mensili posto a carico del G. a favore della ex-coniuge ed eliminò l'assegno di mantenimento per i figli della coppia ormai indipendenti fissato nella misura di 1.000,00 Euro mensili per ciascun figlio. G.C. impugnò la sentenza di primo grado e la Corte di Appello di Bologna con sentenza in data 15/9/2020 respinse l'appello principale e quello incidentale avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Parma, confermando in Euro 6.500,00 la somma che il G. doveva versare mensilmente in favore dell'ex coniuge. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione G.C. affidato a sette motivi e memoria. P.M.C. resiste con controricorso e memoria. Ragioni della decisione Con il primo e secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 898 del 1970, art. 5 comma 6 in riferimento all' art. 360 comma 1 numero 3 c.p.c. in quanto il giudice territoriale, senza tenere conto dei principi affermati da questa Corte in tema di natura perequativa-compensativa dell'assegno divorzile, ha fissato in Euro 6.500,00 la somma mensile da versare in favore dell'ex coniuge del ricorrente, tenendo conto della disparità delle relative condizioni economiche delle parti in quanto mentre il ricorrente è imprenditore, la moglie non gode di alcun reddito. Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza in riferimento all' art. 360 comma 1 numero 4 c.p.c. in quanto il giudice territoriale non ha spiegato la ratio decidendi dell'importo così come determinato in Euro 6.500,00. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 898 del 1970 art. 5 comma 6 in riferimento all' art. 360 comma 1 numero 3 c.p.c. in quanto il giudice territoriale, senza tenere conto dei principi affermati da questa Corte in tema di natura assistenziale e perequativa-compensativa dell'assegno divorzile, ha fissato in Euro 6.500,00 la somma mensile da versare come assegno divorzile, aumentando senza fatti sopravvenuti, l'importo di Euro 4.000,00 statuito in sede di separazione. Con il quinto e sesto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia in riferimento all' art. 360 comma 1 numero 5 c.p.c. omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in quanto il giudice territoriale nel fissare in Euro 6.500,00 la somma mensile da versare, non ha tenuto conto di una serie di circostanze quali il pensionamento del G., la contrazione del suo reddito ed altre. Il ricorso è fondato e deve essere accolto. Occorre premettere che la nota sentenza a Sezioni Unite numero 18287 del 11/07/2018 ha attribuito una funzione assistenziale, compensativa e perequativa ai fini dell'attribuzione e della quantificazione dell'assegno divorzile stabilendo che Il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della l. numero 898 del 1970, art. 5, comma 6, , richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Pertanto ai fini dell'attribuzione e della quantificazione dell'assegno divorzile deve tenersi conto delle risorse economiche di cui dispone l'ex coniuge più debole e se tali risorse siano sufficienti ad assicurare una esistenza libera e dignitosa ed un'adeguata autosufficienza economica, nonostante la sproporzione delle rispettive posizioni economiche delle parti . Dalla massima sopra riportata risulta evidente che il tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio non può più costituire il parametro al quale fare riferimento per la determinazione dell'assegno divorzile, dovendo piuttosto il giudice avere riguardo alla indipendenza economica intesa come disponibilità di mezzi adeguati tali da consentire una vita dignitosa ed autosufficiente secondo una valutazione di fatto riservata al giudice di merito Cass.Sez.1/6 numero 3015 del 2018 . Nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte risulta altresì che l'assegno divorzile ha anche una funzione compensativa o perequativa nel caso in cui risulti che il coniuge meno abbiente abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi completamente alla famiglia nell'ambito di una scelta condivisa dei due ex coniugi che così hanno inteso impostare la vita in comune ed attribuirsi, di comune accordo, differenti ruoli ed attività nella gestione della vita familiare. Nella fattispecie la sentenza impugnata, nello stabilire l'entità dell'assegno divorzile in Euro 6.500,00 ha disatteso quanto sopra riportato e non ha dato conto adeguatamente della determinazione dell'importo stabilito aumentando in misura rilevante l'importo dell'assegno riconosciuto in sede di separazione 4.000,00 Euro senza indicare alcun fatto sopravvenuto. La Corte ha quindi dato atto che la P. nel 1990 dopo la nascita del terzo figlio aveva lasciato la propria attività lavorativa di commercialista ed attualmente non ha redditi propri, essendosi dedicata alla cura dei figli mentre il G. risulta essere socio e a.d. della G. srl con utili non distribuiti di 3.577.605,00 che commercializza salumi e gode di un reddito elevato oltre essere proprietario di immobili. Per un verso dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che la P. ha contribuito alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune sulla base dell'impostazione concordata tra i coniugi in relazione alla vita coniugale e familiare. La sentenza impugnata ha altresì preso in esame le condizioni economiche delle parti e ritenuto il diritto della ex moglie a ricevere un assegno divorzile, stante la sua precaria situazione economica frutto appunto delle scelte prese di comune accordo in regime di matrimonio. Tuttavia in ordine alla decisione sul quantum dell'assegno, che in sede di separazione ammontava a 4.000,00 Euro, la Corte d'Appello non ha spiegato adeguatamente il motivo del consistente aumento di circa 2.000,00 Euro mensili e non ha preso in considerazione il decremento reddittuale subito dal G. ritenendo di parametrare la liquidazione dell'assegno alla necessità di stabilire la reale entità della sperequazione reddittuale e patrimoniale esistente tra i coniugi piuttosto che ai citati criteri assistenziali e compensativi. Il ricorso deve quindi essere accolto con rinvio anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.