Maltrattamenti aggravati dal decesso della vittima vs omicidio preterintenzionale

E’ possibile configurare la fattispecie di maltrattamenti aggravati dalla morte della vittima quando, in correlazione alla struttura abituale del delitto, il decesso sia il risultato di un deterioramento delle condizioni della vittima, che conduce, progressivamente e senza soluzione di continuità, all’evento finale.

Il ricorrente era stato condannato alla reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia a danno della convivente, condotte che avevano portato al decesso della donna. La Corte d'Assise d'Appello aveva respinto la richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare e il Tribunale ha confermato la decisione. La difesa ha dunque proposto ricorso in Cassazione dolendosi per l'erronea applicazione della legge penale e per apparenza della motivazione in relazione alle modalità di calcolo dei termini di custodia cautelare. I giudici di merito avrebbero infatti fondato il loro convincimento sull'erronea lettura dell'ordinanza cautelare nella quale il GIP aveva escluso la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 572, comma 3 c.p. dubitando del nesso eziologico tra la condotta dell'imputato e il decesso, apparentemente per cause naturali, della convivente. Il ricorso risulta inammissibile. Le conclusioni del Tribunale sono ineccepibili e applicano correttamente i principi di computo dei termini di fase, considerando la pena massima di anni 24 di reclusione prevista per il reato di cui all'articolo 572, commi 1 e 3, c.p., contestato nell'ordinanza impositiva. Costituisce infatti un dato pacifico che «ai fini del computo del termine massimo di custodia cautelare nella fase del giudizio, non può che tenersi conto dell'imputazione formulata nell'originario provvedimento coercitivo Sez. U, numero 24 del 05/07/2000, Monforte, Rv. 216706 , tanto anche a prescindere dall'imputazione come risultante dalle nuove contestazioni effettuate nel dibattimento». L'aggravante di cui al comma 3 dell'articolo 572 non era infatti stata esclusa dal GIP, come risulta sia dalla motivazione del provvedimento che dal dispositivo. Quanto ai rapporti tra il reato di omicidio preterintenzionale, la cui sussistenza era stata esclusa dal GIP, e quello di maltrattamenti, il Collegio ricorda che « proprio la necessità che, sulla scorta della lettera dell'articolo 572 c.p., il nesso causale sussista tra la complessiva condotta di maltrattamenti e non solo da uno degli atti che la compongano e l'evento morte segna la differenza tra la fattispecie di cui all'articolo 586 c.p. e quella aggravata di cui all'articolo 572, comma 3 c.p. giustificando anche la diversa pena comminata. In parole semplici, la configurabilità del reato aggravato di cui all'articolo 572 c.p. deve correlarsi alla struttura di tale reato, come delitto abituale, sicché la morte, per essere evento aggravatore, deve prodursi a seguito di un deterioramento delle condizioni della vittima, che conduce, progressivamente e senza soluzioni di continuità, all'evento finale ed è su questo piano che deve essere condotta la ricostruzione del giudice con riferimento alla rilevanza causale di tutti e ciascuno degli episodi costituenti la serie minima per integrare i maltrattamenti, ricostruita, dunque sulla base di una relazione causale con le azioni commissive di maltrattamenti poste in essere in maniera abituale, piuttosto che sull'efficacia causale dell'ultimo della serie». Avendo correttamente applicato tali principi nella vicenda in esame, considerando l'esclusione del nesso causale tra le condotte dell'uomo e il decesso della donna, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.  

Presidente Fidelbo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1.N.R. , detenuto agli arresti domiciliari a seguito di provvedimento del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del 16 gennaio 2019, impugna l'ordinanza con la quale il Tribunale di Napoli, adito in appello, ha confermato la decisione con la quale la Corte di Assise di appello di Napoli aveva respinto la richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare. Il ricorrente è stato condannato alla pena di dodici di reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia articolo 572 commi 1 e 3 c.p. in danno della compagna convivente C.R. , condotta seguita da exitus della vittima il OMISSIS , in conseguenza di condotte violente e di spinte che ne avevano determinato la caduta. 2.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della decisione, il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli articolo 273,278,297,306 e 309 c.p.p. e articolo 111 Cost., e la motivazione apparente dell'ordinanza impugnata in relazione alle modalità del computo dei termini di custodia cautelare, perché scaduti in relazione al reato contestatogli con l'ordinanza emessa il 16 gennaio 2019. Rileva che, poiché il giudice per le indagini preliminari aveva adottato la misura solo per il reato di cui all'articolo 572, comma 1 c.p., escludendo la sussistenza dell'aggravante di cui al comma 3 dell'articolo 572 c.p., i termini di fase a seguito di decreto di giudizio immediato del 14 marzo 2019, erano scaduti fin dal 15 settembre 2019, nelle more della pronuncia della sentenza di primo grado del 23 luglio 2020. Osserva che il Tribunale e i giudici di appello hanno fondato il loro convincimento sulla erronea lettura dell'ordinanza cautelare nella quale il giudice per le indagini preliminari aveva escluso la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 572, comma 3 c.p. dubitando del nesso eziologico tra la condotta dell'imputato e il decesso, apparentemente per cause naturali, della convivente. Deduce che non sussistevano, nè sussistono, i gravi indizi di colpevolezza sull'aggravante in parola che erroneamente il giudice per le indagini preliminari in sede di emissione del decreto di giudizio immediato pur escludendo l'evidenza della prova in riferimento al reato di cui all'articolo 584 c.p., contraddittoriamente affermava la evidenza della prova del nesso causale tra lesioni cagionate in occasione dell'episodio del 13 gennaio rispetto all'aggravante di cui all'articolo 572, comma 3 c.p Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate. Il Tribunale del riesame ha escluso che per alcuna fase processuale sia intervenuta la denunciata decorrenza del termine di custodia cautelare, come correttamente rilevato dalla Corte di merito che con sentenza del 26 gennaio 2022 aveva confermato la condanna inflitta al ricorrente in primo grado per il reato di cui all'articolo 572, commi 1 e 3 c.p., e aveva ritenuto non fondata la richiesta di liberazione per decorrenza dei termini cautelari. Il Tribunale ha ritenuto che dal dispositivo dell'ordinanza genetica si rilevava che il giudice per le indagini preliminari aveva emesso la misura restrittiva facendo riferimento all'articolo 572 c.p. e non aveva escluso la circostanza aggravante, aspetto, questo, neppure dedotto in sede di riesame dell'ordinanza che era stata confermata. La sentenza di condanna in primo grado era stata, pertanto, emessa nei termini e così la sentenza di appello. Le conclusioni del Tribunale sono ineccepibili ed incentrate sul corretto computo dei termini di fase sulla pena sulla base della pena massima di anni 24 di reclusione prevista per il reato di cui all'articolo 572, commi 1 e 3, c.p. essendo stata contestata nell'ordinanza impositiva l'aggravante in esame che rileva, trattandosi di aggravante ad effetto speciale, ai fini del computo dei termini di fase. Costituisce dato pacifico, sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte che, ai fini del computo del termine massimo di custodia cautelare nella fase del giudizio, non può che tenersi conto dell'imputazione formulata nell'originario provvedimento coercitivo Sez. U, numero 24 del 05/07/2000, Monforte, Rv. 216706 , tanto anche a prescindere dall'imputazione come risultante dalle nuove contestazioni effettuate nel dibattimento. Così impostato il presupposto della verifica del computo dei termini di custodia, il Tribunale ha esaminato l'ordinanza cautelare pervenendo alla conclusione che, sebbene il giudice per le indagini preliminari avesse escluso i gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di omicidio preterintenzionale non essendo stato accertato il nesso tra le lesioni cagionate in occasione della spinta e l'exitus , non aveva, invece, escluso l'aggravante di cui al comma 3 dell'articolo 572 c.p., aggravante che lo stesso giudice aveva implicitamente ritenuto sussistente sia perché non ne aveva operato, con il dispositivo dell'ordinanza applicativa della misura, l'esclusione sia perché la motivazione, ai fini della configurabilità del reato, era stata incentrata non solo sulla gravità indiziaria del reato di maltrattamenti, globalmente considerato, ma anche sulla idoneità a configurare la condotta abusante dell'ultimo episodio di violenza. Al di là del rilievo, pure non trascurabile, del tenore del dispositivo dell'ordinanza cautelare del 16 gennaio 2019, che richiama la contestazione del reato di cui all'articolo 572 c.p., in cui è espressamente contestata l'aggravante di cui al comma 3 dell'articolo 572 c.p., ritiene il Collegio che risulta decisiva, per escludere la fondatezza dei rilievi della difesa, la ricostruzione in fatto e la motivazione dell'ordinanza impositiva che sviluppa argomentazioni riconducibili alla sussistenza del delitto di maltrattamenti e della circostanza aggravante di cui all'articolo 572, comma 3, c.p L'ordinanza genetica descrive, infatti, le reiterate condotte di violenza fisica oltre che morale che l'imputato aveva posto in essere in danno della convivente e che ne avevano determinato la sottoposizione a procedimento penale richiamando, a riscontro delle dichiarazioni della vittima poi ritrattate con ripresa della convivenza , i plurimi referti e le dichiarazioni dei vicini di casa. Una delle persone escusse nell'immediatezza aveva confermato, e l'ordinanza genetica si sofferma proprio su tale aspetto, anche la circostanza della spinta e caduta della donna in occasione dell'aggressione del omissis con perdita di coscienza della persona offesa che, non era chiaro se immediatamente o nel volgere di qualche ora, aveva condotta all'exitus. Secondo la ricostruzione dell'ordinanza genetica cfr. pag. 8 tale ultima condotta era affatto isolata e i referti attestavano la presenza di lesioni ricorrenti trauma cranico ed altri traumatismi, frequentemente riconducibili al capo della vittima secondo abituali modalità di condotta che si erano riprodotte in occasione dell'aggressione del OMISSIS , quando la vittima percossa e aggredita era rovinata a terra in conseguenza di una spinta ed aveva perso coscienza, senza mai riaversi fino alla morte. 2. I1 difensore del ricorrente ha denunciato la contraddittorietà delle conclusioni dell'ordinanza impugnata con la decisione del giudice per le indagini preliminari di ritenere insussistenti i gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di omicidio preterintenzionale e con il contenuto del decreto di giudizio immediato che, parimenti, aveva escluso l'evidenza della prova per tale reato dubitando del nesso eziologico tra la condotta dell'imputato e il decesso, apparentemente per cause naturali, della convivente. Si tratta di una conclusione che non può essere condivisa alla stregua dei rapporti tra omicidio preterintenzionale e maltrattamenti aggravati e, quindi, degli elementi strutturali dei due reati, accomunati dai principi del versari in re illicita in cui, però, nel reato preterintenzionale, l'evento morte per fermare l'attenzione su tale ipotesi è frutto di un solo episodio, quindi risultato di una condotta puntiforme e isolata rispetto alla quale va ricostruito il nesso causale, mentre, invece, nel reato di cui all'articolo 572 comma 3 c.p. la punibilità dell'agente si innesta su e deriva da una complessiva trama illecita. Complesso e controverso, peraltro, è il rapporto del legame tra la morte o le lesioni e il fatto di maltrattamenti, al di là della natura circostanziale riconosciuta alle fattispecie aggravate. Pacifico che non sia affatto necessario che i maltrattamenti costituiscano causa esclusiva della morte, si discute se la fattispecie aggravata descritta dall'articolo 572 c.p. esiga che il nesso causale sussista tra la complessiva condotta di maltrattamenti e non solo da uno degli atti che la compongono e l'evento morte ma considerazioni analoghe valgono con riferimento alle lesioni gravi o gravissime parimenti previste dal comma 3 dell'articolo 572 cit. . Si è sostenuto, infatti, che l'evento può esser l'epilogo di una somma di continue violenze senza che in nessuna in particolare sia riconoscibile la loro causa diretta, come possono essere invece il prodotto immediato di un singolo atto di violenza essenziale è che anche in questo secondo caso l'episodio dal quale sono derivate le lesioni o la morte faccia parte dell'unitario complesso di maltrattamenti e che perciò l'evento ulteriore possa esserne considerato una conseguenza. Su queste precisazioni si innestano i principi di questa corte in materia nesso di causalità e di imputazione soggettiva dell'evento aggravatore, profilo esaminato con riferimento ad una ipotesi particolarmente significativa, ma emblematica per tracciare la differenza tra il reato preterintenzionale di cui all'articolo 586 c.p., quale quella del suicidio della vittima, una condotta, questa che esula completamente da quella a base della figura del reato preterintenzionale di cui all'articolo 586, c.p Sul primo aspetto si è affermato che l'espressione derivare , contenuta nell'articolo 572, comma 2, c.p., va interpretata in relazione ai principi posti dall'articolo 41 c.p., ed impone quindi un rinvio alle regole con le quali viene regolamentata l'imputazione oggettiva degli eventi causati dall'autore di un reato Sez. 6, numero 29631 del 16/04/2010, D, Rv. 248199 e che l'imputazione soggettiva dell'evento aggravatore, non voluto, della morte della vittima per suicidio postula un coefficiente di prevedibilità in concreto di tale evento come conseguenza della condotta criminosa di base, in modo che possa escludersi in ossequio al principio di colpevolezza e di personalità della responsabilità penale che la condotta suicidiaria sia stata oggetto di una libera capacità di autodeterminarsi della vittima, imprevedibile e non conoscibile da parte del soggetto agente Sez. 6, numero 8097 del 23/11/2021, dep 2022, Rv. 282908 . Ritiene il Collegio che proprio la necessità che, sulla scorta della lettera dell'articolo 572 c.p., il nesso causale sussista tra la complessiva condotta di maltrattamenti e non solo da uno degli atti che la compongano e l'evento morte segna la differenza tra la fattispecie di cui all'articolo 586 c.p. e quella aggravata di cui all'articolo 572, comma 3 c.p. giustificando anche la diversa pena comminata. In parole semplici, la configurabilità del reato aggravato di cui all'articolo 572 c.p. deve correlarsi alla struttura di tale reato, come delitto abituale, sicché la morte, per essere evento aggravatore, deve prodursi a seguito di un deterioramento delle condizioni della vittima, che conduce, progressivamente e senza soluzioni di continuità, all'evento finale ed è su questo piano che deve essere condotta la ricostruzione del giudice con riferimento alla rilevanza causale di tutti e ciascuno degli episodi costituenti la serie minima per integrare i maltrattamenti, ricostruita, dunque sulla base di una relazione causale con le azioni commissive di maltrattamenti poste in essere in maniera abituale, piuttosto che sull'efficacia causale dell'ultimo della serie. Viceversa, in presenza della contestazione del reato di cui all'articolo 586 c.p., è proprio e solo l'idoneità causale di tale atto che viene in rilievo ai fini della sussistenza del nesso di cui all'articolo 41 c.p Le argomentazioni svolte dall'ordinanza impugnata e da quella genetica sono sufficienti a ritenere che il giudice per le indagini preliminari abbia aderito a tale ipotesi ricostruttiva configurando la sussistenza del nesso eziologico tra le condotte di maltrattamenti e il decesso di C.R. pur avendo escluso il nesso eziologico tra le percosse e la spinta inflitte alla persona offesa in occasione dell'aggressione del omissis . La perdita di coscienza della persona offesa, immediatamente dopo la spinta dell'imputato che ne aveva determinato una rovinosa caduta, è stata del tutto ragionevolmente considerata come causa del decesso potenziando l'efficienza causale dei maltrattamenti inflitti alla C. e concorrendo a produrre l'evento morte come conseguenza prevedibile della condotta di base posta in essere dall'autore del reato e al culmine di condotte di abuso e violenze perpetrate sulla compagna. 3.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.