Il CNF si è pronunciato sul ricorso di un aspirante legale contro la decisione con la quale il COA di Roma ne aveva rigettato l'istanza di iscrizione all’albo.
Il caso. La vicenda da cui origina la questione sottoposta all'esame del CNF può essere così sintetizzata un aspirante avvocato, all'epoca laureando in Giurisprudenza, frequentava lo studio di un avvocato, amico di famiglia, specializzato in infortunistica e sinistri stradali che, contestualmente all'introduzione dei c.d. patti di quota lite, gli proponeva «di partecipare ai suoi affari, anticipando capitali e prospettando futuri guadagni». Tuttavia, le vittime degli incidenti stradali, dopo aver appreso della discrepanza tra le somme loro versate per effetto degli accordi sottoscritti e le somme erogate dalle compagnie di assicurazione, sentitesi danneggiate e truffate, avviavano un procedimento penale per il reato di cui all'articolo 4 d.lsg. numero 74/2000 e 640 c.p. Di conseguenza, al ricorrente, che nel frattempo aveva conseguito la laurea in Giurisprudenza, era stata negata per due volte l'iscrizione al registro dei praticanti avvocati e, dunque, la possibilità di espletare la pratica forense e sostenere la prova di abilitazione per l'accesso alla professione. Di qui, il ricorso del giovane al CNF, il quale precisa che i reati a lui contestati sarebbero stati commessi in concorso con l'avvocato che, a differenza sua, avrebbe continuato a svolgere regolarmente la professione. La decisione del CNF. Nell'accogliere il ricorso, il Consiglio Nazionale Forense afferma che «non vi sono elementi tali da valutare, con disvalore, la condotta complessiva del richiedente negli anni successivi all'episodio di cui al procedimento penale tuttora pendente» infatti, è principio generale che l'ordinamento professionale forense «non prevede una autonoma inibizione dell'iscrizione nei confronti di coloro che abbiano un procedimento penale in corso. Tanto più quando si tratti di episodi risalenti nel tempo». Inoltre, il Collegio sottolinea che «la condanna penale non comporta un'automatica inibizione dell'iscrizione, specie se relativa ad una condotta occasionale e risalente nel tempo, che non appaia ragionevolmente suscettibile di incidere attualmente sulla affidabilità del soggetto che aspira a svolgere il delicato ruolo attribuito dall'ordinamento al professionista forense, e ciò, anche in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata articolo 27, comma 2, Cost. dell'ordinamento professionale articolo 17 l. numero 247/2012, già articolo 17 R.d.l. numero 1578/33 , poiché risulterebbe vessatorio privare il soggetto richiedente della possibilità di dimostrare, nel corso della pratica forense, che egli è in possesso delle qualità necessarie per esercitare onorevolmente la professione» ex multis, CNF sent. numero 75/2013 . Dunque, se la condanna penale non comporta un'automatica inibizione dell'iscrizione all'Albo dei Praticanti, a maggior ragione non è di ostacolo a tale iscrizione la pendenza di un procedimento penale. Conclusioni. «La risalenza dei fatti ad oltre 11 anni fa, la rinuncia alla prescrizione nel corso del giudizio, il principio costituzionale di “presunzione di non colpevolezza” e la assenza di elementi che possono indicare una condotta che impedisca attualmente l'iscrizione all'Albo dei praticanti, in assenza di altri elementi che portano a non escludere che il ricorrente possa con onore, decoro e serietà esercitare la pratica forense» inducono il CNF a ritenere meritevole di accoglimento il ricorso.
CNF, sentenza numero 157 del 30 settembre 2022