Condannata per peculato l’economa del Comune che, nonostante l’avvicendamento, ha continuato a gestire l’ufficio e a sottrarre il denaro disponibile

Impossibile catalogare la vicenda come truffa aggravata dal raggiro compiuto ai danni di revisore e tesoriere. I Giudici sottolineano che la donna ha agito sulla base di una tacita prassi, che aveva legittimato il mancato avvicendamento e le aveva consentito di mantenere la disponibilità giuridica delle somme oggetto di appropriazione.

Condannata per peculato l’ex economa del Comune che, nonostante la sua formale sostituzione, ha continuato a gestire l’ufficio e ad avere a disposizione le somme di denaro da lei poi sottratte in danno dell’ente locale suo datore di lavoro. Ricostruita nei dettagli la vicenda, i giudici di merito ritengono, sia in primo che in secondo grado, sacrosanta la condanna della donna finita sotto processo per essersi appropriata in più occasioni, dal 2013 al 2017, in qualità di dipendente di un Comune e con funzioni di responsabile del servizio finanziario, di somme di danaro attraverso l’emissione di mandati di pagamento a proprio favore privi di una legittima giustificazione contabile o l’inserimento nei propri cedolini dello stipendio di indennità non dovute . Ad accompagnare la condanna penale i giudici sanciscono anche l’obbligo per la donna di provvedere al risarcimento del danno arrecato al Comune costituitosi parte civile. In Cassazione, però, il legale che rappresenta la lavoratrice sostiene sia illogico parlare di peculato . Ciò perché difettava la qualifica soggettiva in capo alla lavoratrice, in quanto ella, con delibera regolarmente pubblica del 30 dicembre 2015 della giunta comunale, era stata sostituita nelle funzioni di economa da un altro dipendente . In questa ottica è irrilevante il mancato passaggio di consegne in presenza della nomina effettuata , sostiene il legale, prima di aggiungere che l’appropriazione di denaro non è avvenuta, pertanto, per conto dell’amministrazione comunale ma per proprio esclusivo interesse , in mancanza di alcuna legittimazione ex lege . Di conseguenza, non potendosi considerare le somme nella disponibilità della donna, il loro possesso è stato ottenuto in modo fraudolento e perciò il fatto è inquadrabile come truffa aggravata , chiosa il legale, sottolineando infine che dalle indagini è emerso che la donna ha ingannato con artifizi e raggiri il revisore e il tesoriere del Comune ottenendo il pagamento a suo favore delle somme di denaro oggetto del processo penale. I Giudici di Cassazione ribattono alle obiezioni difensive ribadendo che si è in presenza del reato di peculato quando il pubblico funzionario si sia trovato, pur in base a consuetudini irrituali diffuse nell’ufficio in cui lavora, nelle condizioni di riscuotere e detenere denaro o valori di pertinenza dell’amministrazione beni così entrati nella sua disponibilità proprio in ragione del servizio prestato non in maniera occasionale o casuale, e neppure in forma propriamente illegale, ma nell’espletamento di un rapporto giuridico funzionale gestito con modalità tali da consentirgli stabilmente di inserirsi di fatto nel maneggio dei beni medesimi . Esaminando più da vicino il caso oggetto del processo, poi, i Giudici sottolineano che la donna, nonostante il disposto avvicendamento delle funzioni e a fronte dell’assenza di un formale passaggio di consegne , aveva continuato per lungo tempo a mantenere pacificamente la piena gestione dell’ufficio e quindi la disponibilità giuridica del danaro pubblico , tanto da non dover ricorrere ad alcun artificio o raggiro per porre in esecuzione i mandati di pagamento recanti la sua firma . In tal modo è stato dimostrato come la donna avesse agito sulla base di una tacita prassi , che aveva legittimato il mancato avvicendamento, prassi che le aveva consentito di mantenere la disponibilità giuridica delle somme oggetto di appropriazione , sottolineano i Giudici. Impossibile, perciò, ipotizzare il reato di truffa, non avendo, in ogni caso, la donna ottenuto la disponibilità materiale o giuridica del denaro per effetto degli artifici o raggiri posti in essere ai danni dei soggetti cui competeva l’adozione degli atti esecutivi tesoriere o di controllo revisore contabile .

Presidente Villosi Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Roma riformava parzialmente - quanto alle circostanze attenuanti generiche che riconosceva con la diminuzione della pena - la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rieti del 18 novembre 2020, che aveva dichiarato, all'esito di giudizio abbreviato, l'imputata P.D. responsabile del reato di cui agli artt. 81 e 314 c.p. e che l'aveva condannata alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile. All'imputata era stato contestato di essersi appropriata in più occasioni dal 2013 al 2017, in qualità di dipendente del Comune di Magliano Sabino, con funzioni di responsabile del servizio finanziario, di somme di danaro, attraverso l'emissione di mandati di pagamento a suo favore privi di una legittima giustificazione contabile o l'inserimento nei propri cedolini dello stipendio di indennità non dovute. 2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all' art. 173 disp. att. c.p.p. 2.1. Violazione di legge e vizi plurimi di motivazione, nonché travisamento della prova. Si contesta la interpretazione fornita dai giudici di merito dell' art. 314 c.p. Difettava nella specie la qualifica soggettiva in capo alla imputata, in quanto con Delib. 30 dicembre 2015 della giunta comunale regolarmente pubblicata la stessa era stata sostituita nelle funzioni di Economo da altro dipendente. Era irrilevante il mancato passaggio di consegne in presenza della nomina effettuata. Pertanto, l'appropriazione non è avvenuta per conto dell'amministrazione comunale ma per proprio esclusivo interesse, in mancanza di alcuna legittimazione ex lege. Non potendosi quindi considerare le somme nella disponibilità della imputata, il possesso delle stesse è stato ottenuto in modo fraudolento il fatto sarebbe quindi inquadrabile nel diverso reato di truffa aggravata . Va tenuto presente, inoltre, quanto era emerso dalle indagini, ovvero che la imputata aveva ingannato con artifizi e raggiri il revisore e il tesoriere del Comune ottenendo il pagamento a suo favore delle somme. 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi della D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e le altre parti hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate. 2. La ricorrente ripropone in questa sede questioni che risultano affrontate con ragionamento congruo e corretto giuridicamente sin dal primo grado. Si è infatti già più volte affermato da ultimo, tra le tante, Sez. 6, n. 19424 del 03/05/2022, Rv. 283161 che si è in presenza del peculato quando il pubblico funzionario si sia trovato, pur in base a consuetudini irrituali diffuse nell'ufficio nel quale lavora, nelle condizioni di riscuotere e detenere denaro o valori di pertinenza dell'amministrazione beni così entrati nella sua disponibilità proprio in ragione del servizio prestato non in maniera occasionale o casuale, e neppure in forma propriamente illegale, ma nell'espletamento di un rapporto giuridico funzionale gestito con modalità tali da consentirgli stabilmente di inserirsi di fatto nel maneggio dei beni medesimi. In questo arresto, la Corte ha altresì chiarito come a differenti conclusioni non sia giunta la giurisprudenza di legittimità neppure con la precedente sentenza Sez. 6, n. 23792 del 10/03/2022, Rv. 283274, apparentemente di segno contrario, in quanto l'annullamento della condanna era stato disposto proprio per l'accertamento delle prassi seguite nell'ufficio e quindi del legame funzionale tra l'attività dell'imputato e la disponibilità delle somme. Venendo al caso in esame, è stato accertato dai Giudici di merito che la ricorrente, nonostante il disposto avvicendamento delle funzioni e senza che vi fosse stato un formale passaggio di consegne, aveva continuato per lungo tempo a mantenere pacificamente la piena gestione dell'ufficio e quindi la disponibilità giuridica del danaro pubblico, tanto da non dover ricorrere ad alcun artificio o raggiro per porre in esecuzione i mandati di pagamento recanti la sua firma. In tal modo è stato dimostrato come la imputata avesse agito sulla base di una tacita prassi che aveva legittimato il mancato avvicendamento che le aveva consentito di mantenere la disponibilità giuridica delle somme oggetto di appropriazione. 3. Una volta stabilito tale aspetto, non può ravvisarsi la truffa, non avendo in ogni caso l'imputata ottenuto la disponibilità materiale o giuridica del denaro per effetto degli artifici o raggiri posti in essere ai danni dei soggetti cui competeva l'adozione degli atti esecutivi tesoriere o di controllo revisore contabile tra le tante, Sez. 6, n. 38535 del 04/05/2018, Rv. 274100 Sez. 6, n. 18485 del 15/01/2020, Rv. 279302 . 4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. La ricorrente deve, pertanto, essere condannata, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. , al pagamento delle spese del procedimento. Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , deve, altresì, disporsi che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila Euro, in favore della Cassa delle ammende. Consegue, ancora, la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado a favore della parte civile costituita, liquidate come indicato nel dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, la ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile, Comune di Magliano Sabina, che liquida nella misura di Euro 3.000, oltre accessori di legge.