Ricusazione: l’invito del giudice a lamentarsi in sede di appello anticipa l’esito sfavorevole della sentenza?

La lista testi della difesa veniva revocata dal Giudice del dibattimento e lo stesso invitava l’avvocato a rappresentare ogni sua doglianza in sede di appello. Tale affermazione costituisce indebita anticipazione dell’esito sfavorevole del processo?

La Corte d'appello dichiarava inammissibile per manifesta infondatezza l'istanza di ricusazione basata sul presupposto che il Giudice per il dibattimento del Tribunale avanti al quale era in corso un processo, avesse revocato la lista testi dell'imputato dimostrando in questo modo, a parere della difesa, un pregiudizio colpevolista. Alla revoca dei testi di difesa, tutti regolarmente citati, il Giudice, a fronte delle obiezioni difensive, osservava che di tanto ci si sarebbe potuti lamentare in sede di appello , in tal modo, si lamenta, anticipando la sentenza di condanna. L'imputato ricorreva per la cassazione dell'ordinanza che dichiarava l'inammissibilità dell'istanza di ricusazione. La Suprema Corte non ritiene però che la revoca della lista testi possa costituire una manifestazione di convincimento sulla colpevolezza dell'imputato, avendo tale provvedimento una natura ordinatoria e neutra, essendo poi fondato su una valutazione legittimamente assunta ai sensi dell' art. 468 c.p.p. . Nemmeno l'invito a ricorrere in appello costituirebbe un'anticipazione sul convincimento del Giudice, che di fatto con la suddetta affermazione si era limitato a invitare la difesa a rappresentare le proprie doglianze con le modalità rituali. Nemmeno il fatto che tale rimedio potrà essere esperito contestualmente all'impugnazione della sentenza può far presumere un'anticipazione dell'esito sfavorevole del processo in corso. La Corte di Cassazione, a definizione del presente caso, afferma che non costituisce motivo di ricusazione ai sensi dell'art. 37 lett. b. - cod. proc. pen. l'invito, rivolto dal giudice al difensore, all'esito di una discussione su un provvedimento di revoca dei testimoni già ammessi, a proporre appello, in quanto dalla circostanza che tale rimedio sia comune e contestuale alla sentenza che definisce il giudizio non deriva l'indebita anticipazione di un esito sfavorevole della sentenza stessa . Il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Presidente Guardiano – Relatore Belmonte Ritenuto in fatto 1. Con la ordinanza impugnata, emessa in data14 giugno 2022, la Corte di appello di Potenza ha dichiarato inammissibile - per manifesta infondatezza - l'istanza di ricusazione formulata in data 31 maggio 2022, dal difensore di I.A. , nei confronti del Giudice del Tribunale di […], Dott.ssa B.R. - dinanzi alla quale è in corso il processo n. 907/17 RGNR - 677/19 R.G., che vede l'I. imputato di diversi fatti di falso - sul presupposto del pregiudizio colpevolista dimostrato dal Giudice del dibattimento per avere escluso la lista testimoniale a discarico. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, con il ministero del difensore di fiducia, avvocato V.B., la quale denuncia violazione di norme processuali art. 409 c.p.p. per omesso esame dell'istanza di ricusazione. Sostiene la Difesa ricorrente che l'istanza era fondata sulla circostanza che, dopo avere annunciato la revoca dei testi di lista dell'imputato, indicati in numero di circa 90, tutti ritualmente citati, poi effettivamente revocandoli, il Giudice Dott.ssa B., a fronte delle obiezioni difensive, ebbe a osservare che di tanto ci si sarebbe potuti lamentare in sede di appello , così di fatto anticipando la sentenza di condanna a carico dell'imputato. Ci si duole, dunque, che la Corte di appello abbia dichiarato l'inammissibilità dell'istanza sul solo rilievo della ritualità della decisione giudiziale di revoca dei testi, in quanto fisiologicamente propria del giudizio dibattimentale, senza, tuttavia, prendere in esame la vera ragione esposta della ricusazione, ovvero l'anticipazione del giudizio di colpevolezza. Si duole, infine, la Difesa ricorrente della violazione del contraddittorio integrata dalla pronuncia de plano, senza fissazione della camera di consiglio, in violazione dell' art. 127 c.p.p. . Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. 1.In primo luogo, deve osservarsi che la revoca dei testi - quale che sia la parte che li ha indicati - non può costituire una manifestazione di convincimento sulla colpevolezza o non colpevolezza dell'imputato, sì da concretare un'anticipazione del giudizio, posto che si tratta di un provvedimento ordinatorio processualmente neutro, e comunque fondato su una valutazione legittimamente assunta ai sensi dell' art. 468 c.p.p. , risultando la prova testimoniale ictu oculi sovrabbondante di fronte all'oggetto del processo . 2.Quanto, poi, all'invito pronunciato nei confronti della Difesa - che si doleva della riduzione della lista testimoniale e, dunque, della revoca del precedente provvedimento ammissivo - a ricorrere in appello, neppure in questo caso si tratta di un atto che svela il convincimento sulla colpevolezza prima della conclusione del dibattimento, giacché - a fronte delle rimostranze della parte - il Giudice, lungi dall'anticipare un giudizio riguardo all'esito processuale, si è limitato a ricondurre la discussione sui corretti binari ordinamentali, invitando la parte a rappresentare le proprie doglianze nelle sedi e con modalità rituali Sez. 1, Ordinanza n. 4313 del 18/10/2000 dep. 2001 Rv. 218396 . L'ordinanza in questione - quella con la quale sono stati revocati i testi della Difesa del ricorrente - è, infatti, impugnabile, ma, ovviamente, trattandosi di ordinanza emessa in dibattimento, l'impugnazione è differita e può essere proposta solo unitamente a quella contro la sentenza, a norma dell' art. 586 c.p.p. . Ora, in relazione alle circostanze di fatto emerse, il Tribunale, adottando il provvedimento ordinatorio de quo, ha agito nell'esercizio legittimo dei poteri riconosciutigli dall' art. 468 c.p.p. , mentre si presenta logicamente conseguenziale il contestuale invito alla parte a concludere la discussione sul punto e a far ricorso, volendo, al rimedio previsto dalla legge all'espressione pronunciata dal Giudice non può attribuirsi altro significato se non quello - evidente e ovvio - che eventuali doglianze sul provvedimento ordinatorio appena adottato, contestato dalla Difesa, potevano essere proposte in sede di impugnazione, dovendo escludersi ogni ulteriore valenza. Una simile espressione, dunque, non si palesa come anticipatoria di un giudizio di colpevolezza nè il fatto che tale rimedio sia comune e contestuale alla sentenza può essere artatamente utilizzato a sostegno della prospettata, indebita anticipazione di un esito sfavorevole della sentenza stessa, essendo invece inequivoco il riferimento alla sola ordinanza al momento in discussione. Oggetto dell'osservazione in contestazione era, infatti, come si evince dal provvedimento impugnato, una questione procedurale relativa all'ammissione di testi indicati dalla difesa e non anche il giudizio finale sulla responsabilità dell'imputato, cosicché la possibile, successiva impugnazione resta comunque una mera eventualità, ben potendo il giudice pervenire, all'esito dell'istruzione dibattimentale, ad una decisione assolutoria e ciò indipendentemente dalla reiezione dell'istanza difensiva Sez. 3, n. 2201 del 14/12/2011 dep. 2012 Rv. 251896 . 2.1. Deve, dunque, affermarsi che non costituisce motivo di ricusazione ai sensi dell' art. 37 c.p.p. , lett. b - l'invito, rivolto dal giudice al difensore, all'esito di una discussione su un provvedimento di revoca dei testimoni già ammessi, a proporre appello, in quanto dalla circostanza che tale rimedio sia comune e contestuale alla sentenza che definisce il giudizio non deriva l'indebita anticipazione di un esito sfavorevole della sentenza stessa. 3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000 , al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo fissare in Euro 3000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende.