Lascia alcuni cuccioli di cane dinanzi ad un canile: è legittimo parlare di abbandono di animali

Impossibile, secondo i Giudici, mettere in discussione la gravità della condotta tenuta da un uomo e divenuta oggetto di un procedimento penale. Irrilevante il fatto che i cuccioli di cane siano stati lasciati praticamente all’ingresso di un canile.

Vale una condanna per il reato di abbandono di animali anche la condotta consistita nel lasciare alcuni cuccioli di cane dinanzi ad un canile. Scenario della vicenda è la provincia pugliese. A finire sotto processo è un uomo, beccato a lasciare alcuni cagnolini a pochi passi da un canile. Per i giudici del Tribunale la lettura dell’episodio è semplice, e consequenziale è la condanna dell’uomo a pagare un’ammenda di 650 euro, poiché ritenuto responsabile del reato di abbandono di animali per avere lasciato sei cuccioli di cane, di razza meticci, davanti ad un canile . Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta l’uomo sotto processo contesta la valutazione compiuta in Tribunale e sostiene che, invece, la condotta di lasciare dei cani davanti ad un canile, ovverosia presso un luogo istituzionalmente deputato a prendersi cura di tal genere di animali non è compatibile col reato di abbandono di animali , reato che va ricondotto alla trascuratezza e al disinteresse verso l’animale, lasciato sprovvisto delle cure e della custodia necessarie alla sua sopravvivenza . Chiara la linea proposta dalla difesa la consegna dei piccoli quadrupedi al canile è del tutto antitetica al disinteresse e alla trascuratezza verso gli animali, anzi essa rivela al contrario un sentimento di pietas e una volontà di tutela verso dei cuccioli randagi trovati lungo la pubblica via e in pericolo di morte . Proprio ragionando in questa ottica, infine, il legale richiede, come ultima carta da giocare, il riconoscimento della non punibilità del suo cliente, la cui condotta, sostiene, non è stata caratterizzata da futili motivi o da crudeltà . Dalla Cassazione ribattono però in modo netto alla chiave di lettura proposta dal legale dell’uomo sotto processo anche la condotta consistita nell’aver lasciato alcuni cuccioli davanti ad un canile è catalogabile come abbandono di animali . Ciò perché, la condotta dell’abbandono, indipendentemente dal luogo in cui avviene, si sostanzia – avuto riguardo al bene giuridico tutelato dalla norma e costituito dalla salvaguardia del sentimento di comune pietà e di educazione civile nei confronti degli animali, e nel rispetto delle leggi biologiche, fisiche e psichiche di cui ognuno di essi è nella sua specificità portatore –nel distacco volontario dell’animale domestico che, essendo, nel caso del cane, per la sua stessa natura capace di affezione all’uomo e, al contempo, bisognevole di accudimento, specie se in tenera età, viene improvvisamente a trovarsi in condizioni che ne mettono a repentaglio la sua stessa possibilità di sopravvivenza . E questa condizione si verifica anche quando l’abbandono degli animali avvenga davanti ad un canile il cui addetto ne abbia rifiutato l’accettazione, posto che tale rifiuto – a meno di non integrare un illecito in difetto delle condizioni legittimanti la mancata presa in consegna – non assicura in alcun modo colui che si disfa dell’animale che la struttura se ne possa prendere cura in sua vece . Di conseguenza, è palese, secondo i Giudici, nella condotta presa in esame la libera e cosciente volontarietà dell’abbandono , rivelatore dell’indifferenza nei confronti dei cuccioli di cane . Resta però ancora una via di fuga per l’uomo sotto processo, cioè il possibile riconoscimento della non punibilità . Su questo punto arriva una chiara apertura dai Giudici della Cassazione, i quali ritengono perciò necessario un nuovo processo in Tribunale per valutare l’effettiva gravità della condotta consistita nel lasciare i cuccioli di cane dinanzi ad un canile.

Presidente Ramacci – Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 11.11.2021 il Tribunale di Foggia ha condannato T.F.G. alla pena di Euro 650,00 di ammenda ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 727 c.p., per aver abbandonato sei cuccioli di cane, di razza meticci, davanti ad un canile. 2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, atto di appello innanzi alla Corte di appello di Bari, debitamente riconvertito, in ragione dell’inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda ex art. 593 c.p.p., comma 3, in ricorso per cassazione. Con esso ha articolato tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p. 2.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 727 c.p., la configurabilità dell’elemento materiale del reato rilevando in primo luogo come la condotta di lasciare dei cani davanti ad un canile, ovverosia presso un luogo istituzionalmente deputato a prendersi cura di tal genere di animali, fosse del tutto inidonea a configurare l’abbandono integrante la fattispecie criminosa contestata, da ricondursi alla trascuratezza o al disinteresse verso l’animale perché lasciato sprovvisto delle cure e della custodia necessarie alla sua sopravvivenza, ed in seconda battuta, come nessuna prova fosse emersa in ordine alla proprietà dei cani in capo all’imputato, che li aveva soltanto trovati sul ciglio della strada a qualche chilometro dal centro abitato. Evidenzia come del tutto incerte si fossero rivelate le dichiarazioni rese al riguardo dal teste M. , che in sede di denuncia aveva riferito che l’imputato, arrivato al canile, gli aveva detto di aver trovato i cuccioli per strada, come peraltro sostenuto dallo stesso T. nella denuncia per calunnia, a sua volta sporta nei confronti del M. , per poi mutare la versione dei fatti nella deposizione resa a dibattimento dove aveva affermato che l’imputato gli aveva detto il primo giorno che i cuccioli ce li aveva in campagna e, invece il giorno successivo quando poi li aveva lasciati davanti al canile, che li aveva trovati. Lamenta in ogni caso come la suddetta deposizione, all’evidenza contraddittoria e confusa, non potesse essere ritenuta di particolare rilevanza probatoria, come sostenuto nella sentenza impugnata, apparendo al contrario travisata o comunque sopravvalutata, tanto più che mai era stato dichiarato da chicchessia che il T. non potesse più occuparsi dei cuccioli. Sottolinea infine come a seguito di querela sporta dall’imputato nei confronti di tale Te. che aveva pubblicato su Facebook un video che lo ritraeva nell’atto di lasciare gli animali davanti al canile, il relativo procedimento fosse stato archiviato su richiesta del PM, essendosi ritenuto che la consegna di un cane presso le strutture comunali di ricovero non integri il reato di cui all’art. 727 c.p., neppure sotto la forma dell’abbandono. 2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 727 c.p., la sussistenza dell’elemento soggettivo, rilevando come, quand’anche si volesse aderire alla tesi, rimasta indimostrata, che il T. fosse proprietario dei cuccioli, la consegna degli stessi al canile fosse del tutto antitetica al disinteresse o alla trascuratezza in cui si declina il concetto di abbandono, rivelando al contrario un sentimento di pietas e una volontà di tutela verso dei cuccioli randagi trovati lungo la pubblica via in pericolo di morte. 2.3. Con il terzo motivo lamenta il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, in presenza di tutti i presupposti richiesti dall’art. 131 bis c.p. trattandosi di reato la cui pena edittale è inferiore alla soglia prevista, di condotta scevra da connotazioni di abitualità e non ricorrendo le aggravanti dei futili motivi o della crudeltà. Evidenzia come nessuna risposta fosse stata resa dal tribunale malgrado la esplicita richiesta avanzata dalla difesa all’udienza di precisazione delle conclusioni. Considerato in diritto I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente attenendo entrambi alla configurabilità del reato in contestazione, non possono ritenersi ammissibili alla luce della manifesta infondatezza delle dispiegate doglianze e al contempo della loro genericità nei termini qui di seguito illustrati. Risulta in primo luogo in stridente contrasto con la corrente interpretazione giurisprudenziale la allegazione secondo la quale la condotta ascritta all’imputato, consistita nell’aver lasciato dei cuccioli davanti ad un canile, non integri l’abbandono previsto dall’art. 727 c.p., comma 1. Ed invero, indipendentemente dal luogo in cui avviene, la condotta dell’abbandono, avuto riguardo al bene giuridico tutelato dalla norma costituito dalla salvaguardia del sentimento di comune pietà e di educazione civile nei confronti degli animali nel rispetto delle leggi biologiche, fisiche e psichiche di cui ognuno di essi nella sua specificità è portatore, si sostanzia nel distacco volontario dell’animale domestico che, essendo, nel caso del cane, per la sua stessa natura capace di affezione all’uomo e al contempo bisognevole di accudimento specie se in tenera età, viene improvvisamente a trovarsi in condizioni che ne mettono a repentaglio la sua stessa possibilità di sopravvivenza. Condizione questa che si verifica anche quando l’abbandono degli animali avvenga davanti ad un canile il cui addetto ne abbia rifiutato l’accettazione, posto che tale rifiuto, a meno di non integrare un illecito in difetto delle condizioni legittimanti la mancata presa in consegna, non assicura in alcun modo a colui che disfa dell’animale che la struttura se ne possa prendere cura in sua vece. Deve perciò ritenersi al contempo integrato l’elemento soggettivo, costituito dalla libera e cosciente volontarietà della condotta di abbandono, rivelatore dell’indifferenza nei confronti degli animali da parte del soggetto con il quale convivono. Quanto all’appartenenza dei cuccioli all’imputato ovvero alla loro condizione di randagi, la difesa assume il travisamento della prova con riferimento alla deposizione del teste M. , censurandone le plurime contraddizioni tra quanto esposto nella denuncia e quanto riferito in dibattimento, nonché all’interno della stessa testimonianza dove si intercalerebbero frasi contrastanti in ordine alle risposte fornitegli dal prevenuto nei due giorni in cui si era presentato al canile. Orbene, il requisito della specificità dei motivi, al quale è condizionata l’ammissibilità del ricorso in sede di legittimità, comporta non solo l’onere di dedurre le censure che l’imputato intende muovere su punti circoscritti della decisione, ma altresì, allorquando sia dedotto il vizio di manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione rispetto ad atti specificamente indicati, quello di curarne l’integrale trascrizione o allegazione al fascicolo trasmesso alla Corte di di cassazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, anche provvedendo a produrli in copia nel giudizio ex multis Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015 - dep. 26/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053, Sez. 2, n. 26725 dell’1/03/2013 - dep. 19/06/2013, Natale, Rv. 256723 . Tale onere non può ritenersi soddisfatto con l’estrapolazione dal complessivo contenuto degli atti processuali di singole frasi, che, prive del contesto di riferimento, si risolvono nell’indebita frantumazione dei contenuti probatori che devono essere riguardati e valutati nella loro unitarietà, senza che l’impugnazione convertita ai sensi dell’art. 568 c.p.p., comma 5, sia passibile di alcuna deroga rispetto alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato l’atto convertito deve aver infatti, i requisiti di sostanza e di forma propri dell’impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta, non consentendo il favor impugnationis eccezioni di sorta alle norme che formalmente e sostanzialmente disciplinano i diversi mezzi di gravame Sez. 4, Sentenza n. 5291 del 22/12/2003 - dep. 10/02/2004, Stanzani, Rv. 227092 Sez. 1, n. 2846 del 08/04/1999 - dep. 09/07/1999, Annibaldi R, Rv. 213835 . Il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece a identificare l’atto processuale cui fa riferimento b individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza c dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda d indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010 - dep. 22/12/2010, Damiano, Rv. 249035 . Il medesimo rilievo vale altresì per il provvedimento di archiviazione che la difesa assume essere stato adottato in relazione al procedimento aperto per effetto della querela sporta dall’imputato nei confronti di un soggetto che lo aveva ripreso nell’atto di lasciare i cuccioli davanti al canile diffondendo il relativo filmato sulla rete. 2. Il ricorso deve ritenersi, invece, meritevole di accoglimento con riferimento al terzo motivo. Risulta invero dal verbale di udienza che la difesa al momento della precisazione delle conclusioni abbia formulato espressa richiesta di applicazione dell’art. 131 c.p., senza che tuttavia il Tribunale, che pure ha optato per la pena pecuniaria applicandola in corrispondenza del minimo edittale, abbia fornito alcuna risposta sul punto. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata limitatamente a tale punto, con rinvio al Tribunale di Foggia in diversa persona fisica che dovrà valutare nell’esercizio della sua discrezionalità, se sussistano o meno i presupposti per il riconoscimento dell’art. 131 bis c.p., risultando nel resto il ricorso inammissibile. Deriva dal disposto annullamento la preclusione alla rilevabilità nel giudizio di rinvio della eventuale causa estintiva del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla presente pronuncia, laddove invece, fermo restando l’accertamento della responsabilità penale, la statuizione di condanna rimane sospesa al verificarsi di una condizione costituita dall’applicabilità o meno della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto. Sul punto, va ricordato che questa Corte ha stabilito che, da un lato, non si può ritenere la punibilità elemento costitutivo del reato, come tale in grado di condizionarne il perfezionamento e, dall’altro, l’osservanza del principio della formazione progressiva del giudicato, che si forma, in conseguenza del giudizio della Corte di cassazione di parziale annullamento dei capi della sentenza e dei punti della decisione impugnati, su quelle statuizioni suscettibili di autonoma considerazione, quale quella relativa all’accertamento della responsabilità in merito al reato ascritto, che diventano non più suscettibili di ulteriore riesame Sez. 3, Sentenza n. 50215 del 08/10/2015, Sarli, Rv. 265434 Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016 - dep. 18/07/2016, Mazzoccoli, Rv. 267590 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla applicabilità dell’art. 131 bis c.p., con rinvio al Tribunale di Foggia. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.