L’ammissione allo stato passivo del credito per TFR, con provvedimento definitivo, non preclude all’INPS quale gestore del Fondo di garanzia, di contestare i presupposti di operatività dell’intervento del Fondo, incentrati sull’insolvenza di chi è datore di lavoro al momento in cui cessa definitivamente il rapporto di lavoro e il credito per TFR diviene definitivamente esigibile in base alla disciplina applicabile ratione temporis.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, con sentenza n. 37789 pubblicata il 27 dicembre 2022. Il caso azione di alcuni lavoratori proposta nei confronti dell'Inps per ottenere il pagamento del TFR da parte del Fondo di Garanzia. Alcuni lavoratori agivano in giudizio nei confronti dell'INPS, al fine di ottenere il pagamento del TFR, a seguito di ammissione del loro credito allo stato passivo del fallimento dell'azienda già datrice di lavoro. Il Tribunale rigettava la domanda ma la Corte d'Appello, decidendo l'appello proposto dai lavoratori, ne riconosceva il diritto, condannando l'INPS al pagamento del TFR a carico del Fondo. L'INPS ricorreva in Cassazione. La controversia portata all'attenzione della Corte deriva da una successione cronologica di rapporti di lavoro coinvolgenti i lavoratori originariamente ricorrenti. L'originaria datrice di lavoro affittava il ramo d'azienda comprendente i predetti lavoratori, in data 21 ottobre 2011. Con sentenza del 12 luglio 2012 l'azienda concedente veniva dichiarata fallita. In seguito, la affittuaria del ramo d'azienda acquistava quest'ultimo in sede di asta giudiziale. Infine, in data 19 luglio 2013, veniva concluso un accordo, ai sensi dell' art. 47 l. 29/12/1990 n. 428 , che escludeva la responsabilità dell'azienda cessionaria per i debiti pregressi, maturati alla data del 31 ottobre 2011. I lavoratori ottenevano l'ammissione del proprio credito da TFR verso l'azienda originaria, cedente il ramo d'azienda, al passivo del fallimento di questa, chiedendo successivamente il pagamento del TFR al Fondo di garanzia, negato dall'INPS. L'ente previdenziale motiva il diniego su due aspetti che l'accordo del 19/7/2013 non può essere opposto all'INPS, in quanto soggetto rimasto estraneo a tale negozio che l'obbligo del Fondo di sostituirsi al datore di lavoro insolvente sorge soltanto al momento della cessazione del rapporto di lavoro, in cui diviene esigibile il credito da TFR. Nello specifico il rapporto di lavoro è proseguito senza soluzione di continuità prima della dichiarazione di fallimento della società cedente, rendendo inapplicabile l' art. 2 della legge n. 297 del 1982 . Le condizioni richieste dalla norma per l'accesso al Fondo. Gli Ermellini richiamano prima di tutto il consolidato principio di diritto secondo cui il trattamento di fine rapporto, che il Fondo di garanzia è tenuto a versare in sostituzione del datore di lavoro in caso di insolvenza di quest'ultimo, pur costituendo oggetto di una obbligazione di contenuto corrispondente a quella gravante sul datore di lavoro, per come definitivamente accertata con l'ammissione allo stato passivo esecutivo della procedura concorsuale, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro, non trattandosi di un'unica obbligazione con pluralità di debitori, ma di distinte obbligazioni di diversa natura. Questo principio non impedisce tuttavia che l'INPS possa opporre eccezioni derivanti da ragioni interne al rapporto di lavoro, che mirino a contestare l'esistenza del credito a motivo della sussistenza di situazioni giuridiche soggettive del lavoratore e del datore di lavoro. La Suprema Corte aveva già affermato che sussiste la necessità di non sottrarre il riconoscimento dell'obbligo di intervento del Fondo di garanzia alla verifica giudiziale. In primo luogo, perchè in tal modo si realizzerebbe una palese violazione dell' art. 24 Cost. , inibendo ai soggetti interessati, nel caso di specie il Fondo gestito dall'INPS, il diritto alla tutela giudiziaria per preservare il corretto funzionamento del meccanismo assicurativo pubblico di garanzia in forza della semplice ammissione al passivo fallimentare della domanda del lavoratore. Diversamente opinando, si finirebbe per far assumere una efficacia superiore a quella connessa agli effetti del decreto di approvazione dello stato passivo, il quale, necessariamente non può riguardare gli obblighi del Fondo derivanti dalla L. n. 297 del 1982, art. 2 e dal D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2, ma ha ad oggetto, esclusivamente, i diritti di credito del lavoratore ed esclude la possibilità di riproporre, all'interno della detta procedura, ogni questione concernente l'esistenza del credito, la sua entità, l'efficacia del titolo da cui deriva, l'esistenza di cause di prelazione. Occorre allora valutare se nel concreto sussistono i presupposti per l'intervento del Fondo di garanzia. La Corte di legittimità non li ritiene sussistere nel caso deciso, poiché prima di tutto l' art. 2 l. n. 297/1982 prevede testualmente che, affinchè si determini l'intervento del Fondo di garanzia, l'insolvenza riguardi il soggetto titolare in atto del rapporto di lavoro, il datore di lavoro cioè che è tale al momento in cui avviene la risoluzione del rapporto di lavoro. La fattispecie in esame, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata e dal contenuto incontestato degli atti delle parti, si caratterizza in quanto, l'intervento del Fondo di garanzia viene richiesto successivamente allo sviluppo di una vicenda circolatoria che ha interessato l'azienda. Dunque, ciò che va accertata è la compatibilità dell'intervento del Fondo di garanzia anche laddove sia inesistente la relazione causale e temporale tra inadempimento datoriale ed insolvenza dichiarata con procedura concorsuale che costituisce l'ambito applicativo fisiologico dell'intervento del Fondo di garanzia legato allo scopo sociale della normativa Europea. Aderendo alle ragioni addotte dai lavoratori, l'intervento del medesimo Fondo finirebbe per riconnettersi a situazioni in cui il credito del lavoratore non sarebbe più relativo al periodo determinato che connota lo scopo sociale dell'obbligo di copertura assicurativa, ma verrebbe agganciato, senza limiti temporali e prescindendo dalla attuale individuazione dei soggetti del rapporto di lavoro, ad uno degli ex datori di lavoro, interessati dalle vicende circolatorie pregresse, che è stato dichiarato fallito in epoca in cui il rapporto di lavoro non era più in essere nei confronti dei lavoratori richiedenti, perchè proseguito con altro soggetto. E' dunque necessaria la risoluzione del rapporto di lavoro, quale presupposto imprescindibile per l'applicabilità della tutela a carico del Fondo di garanzia. Né infine possono vanificare tali principi di diritto le successive norme introdotte dal decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14 , non applicabili alle procedure aperte prima della sua entrata in vigore. In conclusione, va affermato che il TFR diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro, situazione nel caso concreto non verificatasi. Il fatto che il credito maturato per TFR sia stato ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro cedente non può vincolare l'INPS, che è estraneo alla procedura e che perciò deve poter contestare il credito per TFR e l'operatività del Fondo di garanzia. Errata dunque l'interpretazione resa dalla corte di merito nella sentenza impugnata. Il ricorso è stato così accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio ad altra corte d'appello, per la decisione secondo il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte.
Presidente Berrino Relatore Cerulo Fatti di causa 1.- Il presente giudizio trae origine da una vicenda che si può così delineare, alla luce della sentenza impugnata e delle convergenti allegazioni delle parti. Il 21 ottobre 2011 la Omissis s.r.l. in liquidazione, originariamente denominata O.I. s.p.a., ha affittato il ramo d'azienda posto in Omissis , a S. s.r.l., società che si è poi trasformata in P. I. s.r.l Con sentenza del 12 luglio 2012, la Omissis s.r.l. è stata dichiarata fallita. Dopo la dichiarazione di fallimento, P. I. s.r.l. ha acquistato il menzionato ramo d'azienda a un'asta giudiziale. Il 19 luglio 2013, è stato concluso un accordo L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47 , che ha escluso la responsabilità della cessionaria P. I. s.r.l. per i debiti maturati fino al 31 ottobre 2011 a titolo di ferie, permessi e trattamento di fine rapporto TFR . 2.- I signori B.G., + Altri Omessi hanno ottenuto l'ammissione al passivo del fallimento della Omissis s.r.l. in liquidazione per i crediti relativi al TFR maturato all'atto della cessione dell'azienda, con riguardo al lavoro prestato alle dipendenze della società fallita. I lavoratori hanno poi chiesto l'intervento del Fondo di garanzia istituito presso l'INPS, che ha respinto l'istanza, evidenziando che i rapporti di lavoro erano continuati con la società cessionaria prima del fallimento della società cedente. Dopo il diniego dell'INPS, i lavoratori si sono rivolti dapprima al Tribunale di Milano, che si è dichiarato incompetente a favore del Tribunale di Monza, e quindi a quest'ultimo Tribunale, al fine di ottenere il TFR negato dal Fondo. A sostegno della pretesa, i ricorrenti hanno dedotto a l'accordo del 19 luglio 2013, che deroga all' art. 2112 c.c. e fa gravare sul solo fallimento della società cedente la responsabilità per i debiti relativi al TFR b la vincolatività dello stato passivo nei confronti dell'INPS, che non l'ha impugnato ritualmente. Il Tribunale ha rigettato la domanda, in quanto a la L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2 non è applicabile quando il rapporto di lavoro sia proseguito senza soluzione di continuità con la società cessionaria, prima del fallimento della cedente b l'accordo del 19 luglio 2013 non può dispiegare i suoi effetti per il passato e non è opponibile né all'INPS né al Fondo di garanzia, in quanto estranei a tale accordo. 3.- La Corte d'appello di Milano, con sentenza pubblicata il 29 giugno 2017 con il numero 1220, ha accolto il gravame proposto dai lavoratori e ha condannato l'INPS a rifondere le spese del grado. La Corte di merito ha osservato che, in forza dell'accordo del 19 luglio 2013, il fallimento della società Omissis s.r.l. in liquidazione è tenuto a soddisfare i crediti maturati sino al 31 ottobre 2011, già ammessi al passivo fallimentare con accertamento definitivo, vincolante anche per l'INPS Cass., sez. lav., 4 dicembre 2015, n. 24730 . Gli appellanti, pertanto, hanno il diritto di esigere dall'INPS Gestione Fondo di Garanzia il pagamento dei seguenti importi a titolo di TFR Euro 7.064,82, a favore di B.G. Euro 14.336,61 a C.R. Euro 8.168,19, a favore di Ca.Lu. Euro 11.388,50, a favore di Ce.Gr. Euro 34.208,09 per I.G. Euro 4.944,27, per M.A. e, infine, Euro 46.621,33 per Z.V.S 4.- L'INPS impugna per cassazione la sentenza d'appello, con ricorso notificato il 20 dicembre 2017 e affidato due motivi, illustrati da memoria. 5.- B.G., C.R., Ca.Lu., Ce.Gr., I.G., M.A. e Z.V.S. resistono con controricorso, illustrato da memoria. 6.- La causa, fissata alla pubblica udienza del 27 settembre 2022 art. 375 c.p.c. , comma 2 , è stata trattata in camera di consiglio, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, in quanto nessuno degl'interessati ha formulato istanza di discussione orale D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla legge di conversione L. 18 dicembre 2020, n. 176 , e prorogato fino al 31 dicembre 2022 dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 25 febbraio 2022, n. 15 . 7.- Il Pubblico Ministero, nel chiedere il rigetto del ricorso, ha evidenziato che l'accertamento del credito per TFR, contenuto in uno stato passivo oramai definitivo, vincola anche l'INPS, sotto il profilo sia dell'an debeatur che del quantum debeatur del credito ammesso sentenza n. 24730 del 2015, cit., e Cass., sez. lav., 13 novembre 2014, n. 24231 . Ragioni della decisione 1.- L'INPS articola due motivi di ricorso. 1.1.- Con il primo mezzo art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 , l'Istituto deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 428 del 1990, art. 47 e dell' art. 1372 c.c. . La sentenza impugnata avrebbe errato nel reputare efficace nei confronti dell'INPS l'accordo intervenuto il 19 luglio 2013, dopo l'affitto d'azienda del 21 ottobre 2011, prodromico al definitivo trasferimento all'asta giudiziale. L'INPS non avrebbe partecipato all'accordo citato, che dunque non potrebbe essergli opposto, in quanto res inter alios acta art. 1372 c.c. . Ne' tale accordo potrebbe retroattivamente modificare, escludendo la solidarietà, le condizioni di un trasferimento d'azienda che si sarebbe già perfezionato in forza del contratto d'affitto del 21 ottobre 2011. L'intervento solidaristico dell'INPS, che presenta pur sempre carattere sussidiario, non potrebbe essere invocato per addossare alla collettività - con un sostegno assimilabile a un aiuto di Stato - un rischio d'impresa che dovrebbe far carico, invece, alla società cessionaria. 1.2.- Con la seconda censura art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 , il ricorrente denuncia violazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, commi 1, 2, 4, 5, 7 e 8, in riferimento all' art. 1203 c.c. , nn. 3 e 5, art. 1298 c.c. , comma 1, e art. 2112 c.c. . Il ricorrente imputa al giudice d'appello di avere erroneamente riconosciuto il diritto dei lavoratori di percepire anche la quota di TFR maturata per lo svolgimento di attività lavorativa in favore della società cedente, poi fallita. Ad avviso del ricorrente, l'ammissione allo stato passivo del credito del lavoratore, vincolante anche per l'INPS, non ne implica l'automatico subentro nel debito del datore di lavoro insolvente. Il debito dell'INPS, difatti, ha ad oggetto una prestazione previdenziale, distinta e autonoma rispetto alla prestazione retributiva del datore di lavoro. L'accertamento vincolante dell'esistenza e dell'entità del credito nell'ambito della procedura concorsuale rappresenterebbe una condizione necessaria, ma non sufficiente, per l'intervento del Fondo di garanzia. Il ricorrente soggiunge che l'obbligo dell'INPS di sostituirsi al datore di lavoro insolvente sorgerebbe soltanto al momento della cessazione del rapporto di lavoro e solo a partire da tale momento sarebbe esigibile il credito per TFR. 2.- I motivi, seppure sotto diversi profili, investono il tema della possibilità dell'INPS di contestare i presupposti di intervento del Fondo di garanzia, anche quando sia definitivo lo stato passivo che ha accertato il credito dei lavoratori per TFR. Le censure, pertanto, possono essere esaminate congiuntamente e si rivelano fondate, nei termini di seguito esposti. 3.- Con riguardo alle vicende connesse con la circolazione dell'azienda, questa Corte, con la sentenza del 19 luglio 2018, n. 19277, ha puntualizzato l'orientamento richiamato nelle conclusioni motivate del Pubblico Ministero e nelle difese dei controricorrenti e ha enucleato i seguenti principi, che sono stati confermati a più riprese Cass., sez. lav., 21 gennaio 2022, n. 1861, e 23 febbraio 2021 , n. 4897 Cass., sez. VI-L, 28 novembre 2019, n. 31128 e devono essere anche in questa sede ribaditi. 4.- Il diritto del lavoratore di ottenere la corresponsione del TFR dallo speciale Fondo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2 si configura come il diritto di credito a una prestazione previdenziale, distinto e autonomo rispetto al credito retributivo vantato nei confronti del datore di lavoro e rimasto insoddisfatto di recente, anche Cass., sez. lav., 2 febbraio 2022, n. 3165 . Il diritto in esame si perfeziona, pertanto, al verificarsi dei presupposti di legge, che si correlano all'insolvenza del datore di lavoro, all'accertamento dell'esistenza e della misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all'esito di procedura esecutiva. La definitività dello stato passivo, che consacra il credito del lavoratore, impedisce all'INPS di opporre eccezioni derivanti da ragioni interne al rapporto di lavoro che mirino a contestare esistenza ed entità dei crediti in ragione del concreto atteggiarsi delle situazioni giuridiche soggettive del lavoratore e del datore di lavoro sentenza n. 19277 del 2018, punto 18 . Nondimeno, tale definitività non preclude all'INPS di contestare i presupposti d'intervento del Fondo e gli elementi costitutivi della propria obbligazione previdenziale, autonoma rispetto a quella del datore di lavoro, oramai accertata in maniera incontrovertibile. Questa Corte ha chiarito che le risultanze dello stato passivo non sono opponibili all'INPS in ordine agli elementi soggettivi e oggettivi al cui ricorrere scatti l'obbligo di tutela assicurativa interni alla stessa autonoma fattispecie previdenziale Cass., sez. VI-L, 6 dicembre 2021, n. 38696, punto 2 . L'obbligo d'intervento del Fondo di garanzia dev'essere assoggettato alla verifica giudiziale, anche al fine di salvaguardare la compatibilità del sistema congegnato dal legislatore con l' art. 24 Cost. sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 36 . Erra, pertanto, la sentenza impugnata nell'annettere un'efficacia dirimente e assoluta alla vincolatività dello stato passivo e colgono nel segno le censure mosse con il secondo mezzo, che qualifica l'ammissione al passivo come condizione necessaria, ma non sufficiente per il subentro del Fondo. 5.- I presupposti dell'intervento del Fondo, che il giudice è chiamato a riscontrare senza essere vincolato dalle risultanze dello stato passivo, sono definiti dalla L. n. 297 del 1982, art. 2 che a sua volta richiama l' art. 2120 c.c. . E' necessario che a sia venuto ad esistenza l'obbligo di pagamento del TFR fissato dall' art. 2120 c.c. in capo al datore di lavoro b egli, in tale momento, si trovi in stato di insolvenza sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 22 . Quanto a tale ultimo requisito, il Fondo di garanzia interviene allorché l'insolvenza riguardi il soggetto titolare in atto del rapporti di lavoro, il datore di lavoro cioè che è tale al momento in cui avviene la risoluzione del rapporto di lavoro sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 24 . Il Fondo di garanzia, proprio in virtù della funzione esclusivamente assicurativa e previdenziale che svolge, protegge i lavoratori dal rischio dell'insolvenza di colui che è il datore di lavoro, quando il credito per TFR diviene esigibile sentenza n. 4897 del 2021, cit., punto 12 nello stesso senso, sentenza n. 1861 del 2022, cit., punto 5.2. . Non sussistono i presupposti d'intervento del Fondo quando, in seguito alla circolazione dell'azienda, manchi la relazione causale e temporale tra inadempimento datoriale ed insolvenza dichiarata con procedura concorsuale che costituisce l'ambito applicativo fisiologico dell'intervento del Fondo di garanzia legato allo scopo sociale della normativa Europea sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 31 . Con riguardo a tali fattispecie, si deve ribadire che il credito del lavoratore non è più relativo al periodo determinato che connota lo scopo sociale dell'obbligo di copertura assicurativa, ma viene agganciato, senza limiti temporali e prescindendo dalla attuale individuazione dei soggetti del rapporto di lavoro, ad uno degli ex datori di lavoro, interessati dalle vicende circolatorie pregresse, che viene dichiarato fallito in epoca in cui il rapporto di lavoro non è più in essere nei confronti del lavoratore istante perché proseguito con altro soggetto sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 32 . L'estensione - anche alle vicende in esame - della protezione accordata dalla L. n. 297 del 1982, art. 2 non sarebbe coerente né con il dato testuale né con la funzione di tutela del bisogno socialmente rilevante indicato dalla direttiva 987/80 e successive modificazioni il già citato punto 32 della sentenza n. 19277 del 2018 . A voler assecondare una lettura estensiva, si distoglierebbe il Fondo, finanziato dai contributi dei datori di lavoro e dallo Stato, dalla sua funzione primaria, in contrasto con la L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 8, che vieta d'impiegare le disponibilità del Fondo al di fuori della finalità istituzionale del fondo stesso . Sono dunque fondati, a tale riguardo, i rilievi formulati con il primo mezzo, che pone in risalto i presupposti rigorosi dell'intervento del Fondo di garanzia, ancorato all'insolvenza di chi sia datore di lavoro al momento della cessazione del rapporto di lavoro, e la peculiarità della fattispecie in esame, contraddistinta dalla prosecuzione del rapporto di lavoro con la società cessionaria - senza alcuna soluzione di continuità - prima del fallimento della società cedente. 6.- Si deve poi rilevare che, in virtù dell' art. 2120 c.c. , il diritto al trattamento di fine rapporto matura progressivamente in ragione dell'accantonamento annuale, ma il relativo credito è esigibile solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro Cass., sez. I, 27 febbraio 2020, n. 5376 . Prima di tale momento, non comincia a decorrere neppure la prescrizione Cass., sez. lav., 6 febbraio 2018, n. 2827 . E' dunque necessaria la risoluzione del rapporto di lavoro ed e' la stessa fattispecie di cui della L. n. 297 del 1982, art. 2, che include la risoluzione del rapporto, espressamente, fra i presupposti di applicazione della tutela sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 22 e, amplius, punto 23 . 7.- Non si possono desumere elementi di segno contrario dalle circolari dell'INPS, menzionate nel controricorso pagina 11 e tuttavia sprovviste di valore interpretativo cogente Cass., sez. lav., 10 dicembre 2021, n. 39398 , punto 8 , o dalle decisioni di diverso tenore assunte dall'INPS di Varese e di Monza per altri lavoratori passati alle dipendenze di P. I. s.r.l. pagina 12 del controricorso e pagina 5 della memoria illustrativa . 8.- Non rileva, in senso contrario, neppure l'accordo del 19 luglio 2013, concluso ai sensi della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5. Tale normativa, nella formulazione applicabile ratione temporis, così disponeva, con riguardo al trasferimento d'azienda in cui fossero complessivamente occupati più di quindici lavoratori Qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all'amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l'acquirente non trova applicazione l' art. 2112 c.c. , salvo che dall'accordo risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest'ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell'alienante . L'accordo, valorizzato dalla sentenza impugnata e dai controricorrenti, è res inter alios acta, come argomenta il ricorrente a sostegno del primo mezzo. Sprovvisto di effetto vincolante verso l'INPS, che gestisce il Fondo di garanzia, l'accordo non potrebbe comunque alterare la disciplina eminentemente pubblicistica che presiede all'intervento del Fondo. Riveste poi rilievo decisivo il fatto che l'accordo in questione, nel far gravare sul fallimento della società cedente i debiti concernenti il TFR maturato fino al 31 ottobre 2011, non determini l'immediata esigibilità del credito a titolo di TFR. Esigibilità che rappresenta il presupposto indefettibile per il subentro del Fondo di garanzia, secondo i principi generali enunciati dall' art. 2120 c.c. , e che consegue soltanto alla cessazione definitiva del rapporto di lavoro. Tale presupposto, nel caso di specie, non si ravvisa. 9.- A favore di una diversa conclusione non militano le innovazioni recate dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155 e poste in risalto nella memoria illustrativa dei controricorrenti. 9.1.- Questa Corte ha affermato che il codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in linea generale, non è applicabile alle procedure aperte prima della sua entrata in vigore. Le norme del D.Lgs. n. 14 del 2019 possono rappresentare, tuttavia, un utile criterio interpretativo degl'istituti della legge fallimentare solo quando, nello specifico segmento considerato, si riscontri un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro Cass., S.U., 25 marzo 2021, n. 8504 . 9.2.- Nel caso di specie, dev'essere esclusa tale continuità, indispensabile per evincere elementi interpretativi anche in chiave retrospettiva. Nel testo novellato dal D.Lgs. n. 14 del 2019, art. 368, comma 4, lett. c , la L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5, primo periodo, oggi stabilisce che, qualora il trasferimento d'azienda riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata , i rapporti di lavoro continuino con il cessionario. Il legislatore prevede che, in tali ipotesi, nel corso delle consultazioni sindacali, si possano comunque stipulare, con finalità di salvaguardia dell'occupazione, contratti collettivi ai sensi del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 51 in deroga all' art. 2112 c.c. , commi 1, 3 e 4 resta altresì salva la possibilità di accordi individuali, anche in caso di esodo incentivato dal rapporto di lavoro, da sottoscriversi nelle sedi di cui all' art. 2113 c.c. , u.c. art. 47, comma 5, secondo periodo, come novellato dal D.Lgs. n. 14 del 2019 . Il D.Lgs. n. 14 del 2019, art. 368, comma 4, lett. d , ha poi inserito nella L. n. 428 del 1990, art. 47 un comma 5-bis, che si raccorda al comma 5 e così recita Nelle ipotesi previste dal comma 5, non si applica l' art. 2112 c.c. , comma 2, e il trattamento di fine rapporto è immediatamente esigibile nei confronti del cedente dell'azienda. Il Fondo di garanzia, in presenza delle condizioni previste dalla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2 interviene anche a favore dei lavoratori che passano senza soluzione di continuità alle dipendenze dell'acquirente nei casi predetti, la data del trasferimento tiene luogo di quella della cessazione del rapporto di lavoro, anche ai fini dell'individuazione dei crediti di lavoro diversi dal trattamento di fine rapporto, da corrispondere ai sensi del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 2, comma 1. I predetti crediti per trattamento di fine rapporto e di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 2, comma 1, sono corrisposti dal Fondo di Garanzia nella loro integrale misura, quale che sia la percentuale di soddisfazione stabilita, nel rispetto dell'art. 84, comma 5, del codice della crisi e dell'insolvenza, in sede di concordato preventivo . 9.3.- E' stata necessaria una previsione espressa, in evidente e consapevole discontinuità con le conclusioni cui questa Corte era già giunta, per sancire, a determinate condizioni, l'immediata esigibilità del credito del TFR nei confronti del cedente dell'azienda e per equiparare il trasferimento dei lavoratori all'acquirente dell'azienda a una cessazione del rapporto di lavoro, anche quando il rapporto di lavoro prosegua senza cesure. Dall'innovativa disciplina del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, assoggettata a puntuali presupposti, non si possono dunque trarre elementi chiarificatori della normativa pregressa, ratione temporis applicabile. 10.- Sono fondate, in ultima analisi, le doglianze che fanno leva sull'insussistenza dei presupposti per l'intervento del Fondo anche sotto il profilo della inesigibilità del credito per TFR prima della cessazione del rapporto di lavoro. 11.- In conclusione, il ricorso dev'essere accolto. La sentenza della Corte d'appello di Milano è cassata e la causa è rinviata alla medesima Corte d'appello che, in diversa composizione, si atterrà al seguente principio di diritto L'ammissione allo stato passivo del credito per TFR, con provvedimento definitivo, non preclude all'INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, di contestare i presupposti di operatività dell'intervento del Fondo, incentrati sull'insolvenza di chi è datore di lavoro al momento in cui cessa definitivamente il rapporto di lavoro e il credito per TFR diviene conseguentemente esigibile, in base alla disciplina applicabile ratione temporis. Le previsioni dettate dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 368, comma 4, lett. c e d , nel novellare la L. n. 428 del 1990, art. 47 in quanto radicalmente innovative, non offrono elementi di interpretazione della disciplina previgente in ordine alla esigibilità del credito per TFR nel caso di rapporto di lavoro che continua con il cessionario e di successivo fallimento del cedente . Il giudice designato per la fase di rinvio liquiderà anche le spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione.