Assegno divorzile: ne ha diritto l’ex moglie licenziata per comportamenti illeciti a lavoro?

L’ex moglie perdeva il posto di lavoro a seguito di licenziamento disciplinare per la produzione di certificati medici falsi al fine fruire di giorni di malattia non dovuti. Tale condotta dolosa è sufficiente per escludere il suo diritto all’assegno divorzile?

La ex moglie del ricorrente nella causa recentemente giunta ai banchi della Corte di Cassazione, veniva licenziata in tronco dal quotidiano nel quale lavorata per via di vari comportamenti illeciti , integranti gli estremi di reato e per i quali era stata pronunciata sentenza penale di condanna. Nello specifico, la stessa aveva usufruito di giorni di malattia non dovuta utilizzando certificati medici falsi , nonché aveva utilizzato il tesserino dell'ex marito giornalista per assistere gratuitamente a partite di volley. Si precisa che la ex era altresì titolare di un'invalidità civile al 60% e non aveva alcun reddito. La Corte d'appello, in ambito di modifica delle condizioni di divorzio, poneva a carico del marito un assegno divorzile in favore della ex moglie, incrementandolo peraltro rispetto a quello riconosciuto in primo grado dal Tribunale. L'ex marito ricorreva quindi per la cassazione della sentenza di seconde cure denunciando come la condotta volontaria e delittuosa della ex fosse ostativa all'insorgenza del diritto all'assegno divorzile . Inoltre, a suo dire, la situazione sopravvenuta che giustifica la modifica dell'assetto reddituale non deve dipendere da una condotta colposa, né a maggior ragione dolosa come quella del caso di specie. La Suprema Corte ha ritenuto tuttavia infondate le doglianze prospettate e richiamando le Cass. civ., sez. Unite, n. 18287/2018 ricorda che l'assegno divorzile ha natura compensativa e perequativa, ma anche una funzione assistenziale , che richiede pertanto la disamina dell'inadeguatezza dei mezzi propri. Nel caso di specie la Corte di appello ha accertato la sussistenza di una situazione di fatto che giustificava il riconoscimento dell'assegno dopo il licenziamento disciplinare per la condotta delittuosa, era divenuta disoccupata e non più in grado di reperire un lavoro , sia per via dell'età che della sua salute , con conseguente insufficienza dei mezzi a sua disposizione. La censura volta a rivendicare che l' abbandono volontario del lavoro integri un'ipotesi ostativa per l'assegno, proposta richiamando la Cass. civ. n. 26594/2019 non è stata altresì condivisa dalla Corte di legittimità in quella sede, il mancato riconoscimento dell'assegno derivava da una libera scelta dell'ex coniuge di abbandonare il posto di lavoro, non dipendeva dall'assenza di capacità lavorativa, come nel caso in esame, dove sussiste una situazione di oggettiva impossibilità a reperire un nuovo impiego. In quella sede, il diniego dell'assegno non integrava una sorta di sanzione per il coniuge che volontariamente si è posto nella condizione di non aver reddito, ma era comunque legata ad un'analisi concreta della capacità lavorativa. L'odierno ricorrente tenta invece di sanzionare di fatto la ex moglie per le sue condotte lavorative delittuose, non tenendo conto che al di là di queste sussiste comunque un'oggettiva grave difficoltà a trovare un nuovo impiego e quindi la necessità di un assegno mensile che abbia funzione assistenziale. In ragione di ciò, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell'ex marito.

Presidente Acierno Relatore Fidanzia Fatti di causa Con decreto depositato il 15.1.2020 la Corte d'Appello di Firenze ha rigettato il reclamo principale proposto da A.A. avverso il decreto del 9.5.2019 con cui il Tribunale di Firenze, adito in sede di modifica delle condizioni di divorzio, ha posto a carico dell' A. l'assegno divorzile non previsto nella sentenza di divorzio del 2007 dell'importo di Euro 300,00 in favore della ex moglie P.P., in accoglimento del reclamo incidentale proposto da quest'ultima, ha aumentato lo stesso assegno all'importo di Euro 450,00 mensili. Va premesso che la P. aveva richiesto l'assegno divorzile a carico dell'ex coniuge in quanto disoccupata, essendo stata licenziata in tronco dal quotidiano ove lavorava come impiegata per vari comportamenti illeciti, integranti gli estremi di reato, per i quali era stata pronunciata sentenza di condanna penale. In particolare, la odierna controricorrente aveva usufruito di 56 giorni di malattia non dovuta per certificati medici falsi ed aver utilizzato il tesserino dell'ex marito - giornalista - per assistere gratis a partite di volley. La Corte d'Appello ha condiviso l'impostazione del giudice di primo grado secondo cui, essendo la P. invalida civile al 60% avendo certificazione di portatore di handicap ex art. 104/92 , e non disponendo di alcun reddito, né, in ragione dell'età 57 anni , poteva ritenersi che la stessa potesse reperire un lavoro, nonostante fosse iscritta alle liste di disoccupazione, si era dunque verificata quella modifica della situazione di fatto che legittimava la richiesta della P Ne' poteva, peraltro poteva equipararsi, come invece invocato dal sig. A., la perdita del lavoro causata dai comportamenti costituenti reato alla volontaria cessazione del rapporto di lavoro, atteso che la ex moglie aveva voluto la condotta delittuosa, ma non le sue conseguenze, ovvero il licenziamento disciplinare. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione A.A. affidandolo a due motivi. P.P. ha resistito in giudizio con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato la memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c. . Ragioni della decisione 1. Con il primo ed il secondo motivo - che possono essere illustrati unitariamente data la loro stretta connessione - sono stati rispettivamente dedotti la violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9, ed il c.d. vizio di sussunzione . Deduce il ricorrente che la condotta delittuosa e volontaria dolosa della P., idonea a farle subire un licenziamento disciplinare, come conseguenza immediata e diretta del reato compiuto in danno del datore di lavoro, deve essere definita come ipotesi ostativa all'insorgenza del diritto a percepire l'assegno divorzile, dovendo tale situazione essere equiparata all'abbandono volontario dal lavoro, situazione in cui questa Corte vi è il richiamo a Cass. n. 26594/2019 ha ritenuto l'insussistenza del diritto all'assegno di divorzio. Il ricorrente assume, inoltre, che la situazione nuova e sopravvenuta idonea a modificare l'originario assetto reddituale e patrimoniale degli ex coniugi non deve dipendere da una condotta colposa e, maggior ragione, come nel caso di specie, dolosa dell'ex coniuge richiedente ove lo stesso si sia macchiato di una condotta antigiuridica, e addirittura penale, perderà il diritto ad usufruire della solidarietà dell'ex coniuge. In conclusione, il richiedente non solo deve dimostrare la sussistenza di una situazione nuova, ma che questa si è verificata non per sua colpa, indipendentemente dalla sua volontà, pena l'irrilevanza dei fatti nuovi. 2. Entrambi i motivi sono infondati. Va osservato che questa Corte, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, nell'affermare che l'assegno di divorzio ha in pari misura anche natura compensativa e perequativa, ne ha comunque ribadito la funzione assistenziale, richiedendosi, a tal fine, l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi e l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Ove tali condizioni non sussistessero al momento della pronuncia della sentenza di divorzio, nel caso in cui, successivamente, uno degli ex coniugi - sul rilievo di essere rimasto disoccupato ed incapace di provvedere al proprio sostentamento - deduca, in sede di modifica delle condizioni di divorzio, essersi verificata una situazione nuova, idonea a modificare l'originario assetto reddituale e patrimoniale e a giustificare il riconoscimento dell'assegno divorzile, il giudice è chiamato ad accertarne la loro eventuale sopravvenienza. Nel caso di specie, la Corte d'Appello di Firenze ha accertato che, rispetto al momento in cui è stata pronunciata la sentenza di divorzio, era intervenuta una modifica della situazione di fatto che giustificava il riconoscimento dell'assegno divorzile la P., a seguito del licenziamento disciplinare conseguente alla sua condotta delittuosa, era divenuta disoccupata, né la stessa era in grado di reperire un lavoro sia in ragione dell'età anni 57 , sia delle condizioni di salute invalida civile al 60% con certificazione di portatore di handicap ex L. n. 104 del 1992 , sussistendo, pertanto, una situazione caratterizzata dalla inadeguatezza dei mezzi e dalla impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Il ricorrente non ha minimamente contestato vedi pag. 19 del ricorso l'accertamento della nuova situazione di fatto compiuto dalla Corte d'Appello, ovvero che la P., a seguito della condanna penale, era ancora disoccupata ed aveva subito un decadimento psichico che le aveva ridotto la capacità di svolgere attività lavorative analoga a quella perduta, ma sostiene che il giudice di secondo grado sarebbe incorso in un errore di diritto, avendo riconosciuto il diritto della ex moglie all'assegno divorzile nonostante che la situazione di difficoltà e bisogno in cui la stessa si trovava fosse riconducibile ad una condotta volontaria addirittura dolosa . Il ricorrente evidenzia, in proposito, come questa Corte di legittimità abbia già statuito e tal fine richiama Cass. n. 26594/2019 che l'abbandono volontario dal lavoro integri una ipotesi ostativa all'insorgenza del diritto a percepire l'assegno divorzile, e ritiene che a quella situazione sia pienamente equiparabile la fattispecie in esame, caratterizzata, addirittura, dal compimento da parte del coniuge debole di una condotta delittuosa. Questo Collegio non condivide l'impostazione del ricorrente, che è il frutto di una erronea interpretazione delle pronunce di questa Corte e, in particolare, di Cass. n. 26594/2019 . E' pur vero che nella sentenza sopra citata questa Corte ha condiviso l'impostazione della Corte d'Appello di non riconoscere al coniuge richiedente l'assegno divorzile perché l'impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati, in quel caso, non dipendeva da incapacità lavorativa, ma dalla libera scelta del coniuge di abbandonare l'occupazione lavorativa si trattava di una ex moglie che, rassegnate le proprie dimissioni dal proprio lavoro in Piemonte, aveva chiesto all'ex marito l'assegno divorzile, dopo che, trasferitasi in Calabria presso i propri genitori, sosteneva di non aver trovato un'altra occupazione . Tuttavia, il ricorrente ha frainteso le affermazioni di questa Corte di legittimità è stata condivisa la decisione della Corte d'Appello di non riconoscere l'assegno di divorzio perché la ex moglie, che aveva abbandonato volontariamente il lavoro, aveva ancora capacità lavorativa e non si trovava quindi in una situazione di impossibilità di procurarsi i mezzi per ragioni oggettive . Non a caso, l'ordinanza n. 26954/2019, nel riportare la motivazione della Corte d'Appello, aveva evidenziato che il giudice di merito aveva accertato che la ex moglie, era ancora in giovane età e aveva dimostrato piena capacità di lavorativa . Ne consegue che il mancato riconoscimento del diritto all'assegno non è stato considerato da questa Corte come una sorta di sanzione per il coniuge debole che si è posto volontariamente in una situazione di difficoltà economica, ma sempre legata all'insussistenza dell'oggettiva impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati che, dunque, non è configurabile per il coniuge che ha piena capacità lavorativa . Nel caso di specie, invece, è proprio una sanzione quella che invoca il ricorrente ai danni della ex moglie pur non contestandosi che quest'ultima si trovi nell'impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive, il solo fatto che la situazione di difficoltà economica in cui la stessa attualmente versa sia dipesa da una sua condotta volontaria addirittura dolosa comporterebbe, a suo dire, la perdita del diritto di usufruire della solidarietà dell'ex coniuge principio cui è ispirato il riconoscimento dell'assegno divorzile . Tale impostazione è estranea alla disciplina dettata sia dall' art. 5, che dalla L. n. 898 del 1970 , art. 9 . In particolare, già in passato, questa Corte vedi Cass. n. 17041/2007 vedi anche Cass. n. 5378/2006 , nell'interpretare la L. n. 898 del 1970, art. 9, ha affermato - in una fattispecie in cui il richiedente aveva dedotto, in sede di revisione delle condizioni di divorzio, quale giustificato motivo di concessione di un assegno non previsto in sentenza, la sopravvenuta diminuzione dei redditi a seguito del suo collocamento in pensione - che la volontarietà di tale evenienza non può essere ritenuta dal giudice di merito ragione sufficiente per escludere l'esistenza dei giustificati motivi idonei alla revisione medesima. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.700, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 5 2.