La deriva genetica della cannabis legale esclude l'illiceità della coltivazione?

Ricordando la possibilità che sementi autorizzate possano portare a una deriva genetica e dar vita a piante con valori di THC superiori al limite consentito, la Suprema Corte ha annullato la condanna del coltivatore, ritenendo necessario un più rigoroso accertamento delle condotte.

La Corte d'appello confermava la sentenza di condanna di tre uomini avente ad oggetto reati puniti dal Testo Unico stupefacenti e consistenti in diverse e reiterate condotte di coltivazione, cessione e detenzione di ingenti quantità di marijuana . Le condotte venivano poste in essere all'interno di un' azienda agricola autorizzata alla coltivazione delle piante di Cannabis sativa ai sensi della l. n. 242/2016 e le numerose piante trovate venivano contestualmente sequestrate dai carabinieri. Per la cassazione della sentenza di condanna ricorrevano i tre imputati nello specifico ricorreva anche l'uomo imputato della coltivazione delle piante illegali, che prospettava una linea difensiva volta a denunciare una deriva genetica delle sementi certificate lecitamente coltivate, che secondo le analisi condotte risultavano contenere un principio attivo di THC superiore alla soglia del 6% e in un caso addirittura elevatissimo, pari al 19%. A detta del coltivatore, la sentenza di condanna sarebbe viziata e contrasterebbe con la disciplina della suddetta legge che esclude la responsabilità penale dell'agricoltore in presenza di fenomeni di ibridazione spontanea della pianta o di una deriva genetica, fenomeni non rari. A supporto di tale tesi, precisava che la varietà, legale in Italia e che la sua azienda era stata autorizzata a coltivare, era stata vietata da poco in Germania. Muovendo dalla precedente Cass. pen., sez. Unite, 30 maggio 2019, n. 20475 sentenza Castignani , la Corte di Cassazione afferma il seguente principio la coltivazione di canapa sativa l. è consentita e può essere sfruttata ai sensi dell' art. 2, comma 2 l. n. 242/2016 , allorquando il valore di THC sia inferiore o pari allo 0,6%, mentre laddove sia superiore la coltivazione non può essere trasformata e deve essere sequestrata o distrutta. Ma il riflesso di una simile disciplina sulla coltivazione della canapa, così intendendo quella che realizza le colture di cui all' art. 1 della l. 242/2016 , è l' esclusione della penale responsabilità del coltivatore che abbia lecitamente” impiantato la coltura, che, nel corso della maturazione abbia sviluppato una percentuale di principio attivo superiore a quello individuato dal comma 5 della disposizione e che deve essere, comunque, distrutta . In presenza di indizi equivoci sull'oggetto della coltivazione si impone al giudice un rigoroso accertamento incentrato sull'attività di coltivazione, non essendosi i giudici di merito, nel caso specifico, confrontati né col suddetto quadro normativo né con le difese dell'imputato e sulla base dell'accertata condotta di cessione della sostanza stupefacente proveniente dall'azienda agricola hanno ritenuto comprovata anche la condotta di coltivazione illecita. Rendendosi necessario un riesame degli elementi probatori, la Cassazione annulla la sentenza limitatamente al capo di imputazione della coltivazione illecita e rinvia alla Corte d'appello.

Presidente Costanzo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte appello di Catanzaro ha confermato la condanna di O.A. , con la contestata recidiva, alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 23.000,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, commi 1 e 4, e art. 80, comma 2 di S.A. alla pena di anni sette di reclusione ed Euro 80.000 di multa per i medesimi titoli di reato ascrittigli ai capi b , cessione in favore dell'O. , e coltivazione e detenzione di un ingente quantitativo di marjuana ascrittogli al capo c e di S.G. alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 60.000 di multa per il reato sub c , in concorso con S.A. . La Corte di merito ha ritenuto accertato che la mattina del 2 settembre 2020 O.A. , in concorso con F.F. , aveva acquistato e ricevuto, all'interno dell'Azienda Agricola omissis sita nella località […] di omissis , da S.A. una partita di 39 chilogrammi di marjuana S.A. è stato individuato come la persona con la quale l'O. aveva convenuto l'acquisto ed è stato condannato per il corrispondente reato di cessione sub capo b e per le attività di coltivazione di 5260 piante di canapa indiana, estirpate dai Carabinieri all'atto dell'intervento, e detenzione a fini di cessione di omologa sostanza stupefacente del peso di kg. 599,34, sostanza che veniva rinvenuta parte in celle frigorifere e parte variamente occultata nei locali adibiti a magazzino dell'azienda agricola omissis , all'esito di operazioni di controllo, perquisizione e sequestro eseguite dopo il controllo di O. e F. . A carico di S.A. e O.A. sono stati valorizzati i contatti, a mezzo WatsApp, che i due si erano scambiati sia la sera del 1 settembre che la mattina del 2 settembre, interpretati dai giudici di merito come veri e propri messaggi criptici e convenzionali poiché si risolvevano in un mero scambio di saluti e uno recante un numero di emoticon ritenuto particolarmente significativo perché queste erano in numero corrispondente ai sacchi quattro contenenti la droga sequestrata al F. ed al quale il ricorrente fungeva da staffetta o da scorta. È ben evidenziato nelle sentenze di merito che la società OMISSIS era iscritta nel Registro Ufficiale dei Produttori anche per la coltivazione di piante di canapa cannabis sativa I. ai sensi della L. n. 242 del 2 dicembre 2016 , attività di coltivazione che, secondo gli inquirenti, veniva svolta, rispetto ad un fondo di consistente estensione, negli appezzamenti di terreno ubicati sul lato sinistro del fondo, coltivazioni, quelle autorizzate, che venivano visionate ma non sequestrate dagli inquirenti. E la liceità dell'attività di coltivazione di cannabis sativa, svolta con l'uso di sementi certificate del tipo cd. Carmagnola , costituisce oggetto della linea di difesa degli imputati che allegano, a discolpa, la deriva genetica subita dai semi e contestano in radice le modalità di campionatura delle piante in quanto non rispondenti alle previsioni dei regolamenti e direttive comunitari e, quindi, le risultanze delle analisi non essendosi ricercato, nelle piante e nei campioni in sequestro peraltro degradati per effetto delle modalità di conservazione, il cannabidiolo. Secondo i giudici di merito erano, invece, oggetto di coltivazione illegale gli appezzamenti di terreno ubicati a destra dell'azienda, dove si trovavano anche i locali, adibiti a magazzino, essicatoio e dormitorio, nei quali veniva rinvenuta la marijuana sequestrata, oggetto della contestazione al capo c . A carico di S.A. e S.G. , per questi limitatamente al delitto di cui al capo c perché assolto dal reato di cessione in favore di O. e F. , è stato valorizzato il dato delle modalità di coltivazione e conservazione della droga sequestrata. Secondo le risultanze delle analisi, quasi tutti i campioni analizzati ad eccezione di pochi di essi - risultavano contenere un principio attivo THC superiore alla soglia del 6% e in un caso addirittura elevatissimo al 19% . 2.1 ricorrenti chiedono l'annullamento della sentenza impugnata perché inficiata da violazione di legge, processuale e sostanziale, in relazione alla valutazione delle emergenze probatorie ed alla loro qualificazione come indizi, alla qualificazione del reato di coltivazione ed al contributo concorsuale, in particolare S.G. e S.A. , rilievi contenuti nei motivi di ricorso originari, ribaditi e precisati con i motivi nuovi, che, in vista dell'odierna udienza, sono stati prodotti per O.A. e S.G. . I motivi di ricorso saranno riassunti nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, come previsto dall' art. 173 disp. att. c.p.p. . 2.1. In particolare, O.A. denuncia 2.1.1. erronea applicazione della legge processuale, in relazione all' art. 192 c.p.p. , e cumulativi vizi della motivazione in punto di affermata responsabilità. Sostiene che la Corte di merito, lungi dall'applicare la regola del giudizio di cui all' art. 192 c.p.p. che richiede la presenza di indizi gravi, precisi e concordanti e che trova corrispondenza nella regola dell'affermazione di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio di cui all' art. 533 c.p.p. , ha valorizzato elementi privi di efficacia dimostrativa che si risolvono nella formulazione di un mero giudizio di verosimiglianza reso evidente dalla stessa terminologia della sentenza impugnata. I giudici del merito hanno valorizzato elementi congetturali la breve presenza dell'imputato nell'azienda agricola, in coincidenza con quella del F. i messaggi scambiati con S.A. inidonei a fondare il giudizio di colpevolezza 2.1.2 erronea applicazione della legge penale, con riferimento all' art. 99, comma 2, c.p. avendo i giudici di merito valorizzato, ai fini del giudizio di pericolosità sociale, un precedente, risalente ad oltre venti anni prima, e neppure esaminato con riguardo alla qualificata relazione con il fatto per cui si procede, e, pertanto, circostanze inidonee a giustificare l'aggravamento della pena 2.1.3. vizio di motivazione sul punto della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche con motivazione compendiata in una mera clausola di stile che valorizza, in assenza di confronto con gli elementi indicati dall' art. 133 c.p. lo sfruttamento della lecita attività di grossista di frutta e verdura svolta dall'imputato quale copertura del coinvolgimento nel traffico di droga. Con i motivi nuovi, il ricorrente è tornato sulla valutazione del compendio probatorio denunciando l'omessa motivazione sul punto del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dai testimoni e, in particolare, sulla ricostruzione della sequenza delle auto, a bordo delle quali si trovavano rispettivamente F. e O. , all'uscita dalle serre durante l'allontanamento e al momento del controllo in quanto vi è contrasto sulle dichiarazioni rese dai testi S. , che si trovava immediatamente a ridosso dell'uscita, L.B. , che aveva proceduto al controllo, dopo qualche chilometro e di G.U. , comandante dell'auto di servizio che li aveva fermati, collocandosi al centro della carreggiata. Con il secondo punto ha ripreso la censura della sentenza impugnata apodittica circa la concludenza indiziaria degli elementi di prova raccolti. 2.2. S.A. denuncia 2.2.1 vizio di motivazione sull'affermata responsabilità del ricorrente nel reato sub capo b . La Corte di merito ha valorizzato elementi congetturali e, in primo luogo, quello relativo alla presenza dell'imputato nell'azienda agricola ove avrebbe incontrato l'O. per la consegna dello stupefacente non essendone documentato l'ingresso nell'azienda, ma solo l'uscita alle ore 5 45 e valorizzando un dato inutilizzabile, attinto dal verbale di perquisizione e sequestro e non dal contraddittorio tra le parti, attraverso la escussione del verbalizzante. La supposizione della Corte di merito non è idonea a smentire l'assunto difensivo secondo cui il ricorrente era entrato in azienda dopo l'allontanamento dell'O. e da un cancello diverso da quello presidiato. Illogicamente la Corte ha valorizzato il contenuto dei messaggi che i due si erano scambiati ma trascurando che messaggi di contenuto analogo erano intervenuti nel passato fra i due e che il ricorrente incontrava l'O. per le lecite attività di commercio di frutta e verdura 2.2.2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di coltivazione illegale. La ricostruzione della sentenza di appello, sulla configurabilità del reato, a prescindere dalla possibilità di degrado delle piante oggetto di coltivazione lecita, contrasta con la disciplina recata dalla L. 242 del 2016 sulla liceità di coltivazione della canapa per usi industriali e esclude la responsabilità penale dell'agricoltore in presenza di fenomeni di ibridazione spontanea della pianta o di una deriva genetica delle sementi utilizzate che non sono rare o eccezionali tanto che la Germania è stata autorizzata a vietare sul proprio territorio, la tipologia di canapa sativa cd. Carmagnola impiegata nelle coltivazioni dell'azienda omissis 2.2.3. violazione di legge in relazione all' art. 192 c.p.p. e art. 80, comma 2, D.P.R. n. 309 del 1990 ai fini della ritenuta sussistenza dell'aggravante dell'ingente quantità. La Corte di merito non ha valutato i motivi di appello che denunciavano la inaffidabilità dei risultati della analisi di laboratorio inficiati da sostanziali rilievi afferenti la mancata ricerca del CBD, le modalità di imballaggio delle piante la rottura della catena di custodia e le modalità di prelievo dei campioni. Il secondo ricorso prodotto nell'interesse del ricorrente si incentra sulla denuncia del vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione 2.2.4. alle operazioni di campionatura, inficiata da nullità e inutilizzabilità della consulenza tecnica del LASS per violazione delle disposizioni recate dalla L. n. 242 del 2016, dal Regolamento e dalle direttive comunitarie 2.2.5. sulla valutazione degli elementi di prova indiziaria che coinvolgono il ricorrente nella commissione del reato sub capo b , perché la motivazione è apodittica anche sul punto delle attività successive la cancellazione dei messaggi wattApp e, comunque, fondata su elementi intrinsecamente inidonei a comprovare il coinvolgimento diretto di S.A. nelle operazioni di cessione e, dunque, meramente congetturali 2.2.6. vizio di mancanza di motivazione sui motivi di appello che, con riferimento al reato di cui al capo c riguardavano, da un lato, la natura, autorizzata e documentata come tale della coltivazione e, dall'altro, il coinvolgimento nelle attività di coltivazione di S.A. omettendo, altresì, di spiegarne la rilevanza del contributo concorsuale rispetto alla mera connivenza 2.2.7. sul punto della ritenuta configurabilità dell'aggravante dell'ingente quantità fondata sul presunto principio attivo della droga, dato parziale non essendo stati analizzati con metodiche adeguate, per le ragioni indicate nel primo motivo, i reperti, e tenuto conto che alcune piante risultavano ammalorate e, pertanto ottenendo risultati inidonei a costituire base di calcolo per le operazioni di individuazione del principio attivo complessivo. Contesta, inoltre, la idoneità a fungere da criterio di individuazione dell'ingente quantità il mero dato matematico dovendo venire in rilievo ulteriori indici che, nel quadro dei principii di tassatività e determinatezza del fatto, aiutino l'interprete nella definizione dell'aggravante 2.2.8. sul punto della determinazione della pena, non ancorata alla valutazione del dato personologico dell'imputato, e diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, con motivazione adagiata su mere clausole di stile. 2.3. S.G. denuncia 2.3.1.vizio di motivazione sull'affermata responsabilità del ricorrente nel reato sub capo c agganciato alla cessione in favore di O. e F. , benché già in primo grado l'imputato fosse stato assolto dal reato di cui al capo b . Impropriamente l'imputato, semplice operaio della OMISSIS , è stato ritenuto coinvolto nelle attività di coltivazione illegale valorizzandone l'ingerimento nelle attività di coltivazione, ma smentito dall'assoluzione, nelle attività di commercializzazione è manifestamente infondata, perché documentata dalla stesso esonero di responsabilità penale, la esclusione della possibilità di ibridazione spontanea della pianta o di una deriva genetica delle sementi utilizzate e tenuto conto che la Germania è stata autorizzata a vietare sul proprio territorio, la tipologia di canapa sativa impiegata nelle coltivazioni dell'azienda OMISSIS . Nè sorregge la condanna del ricorrente, assolto dal reato di cessione in favore dell'O. , il suo approfittamento della condizione di degrado della coltivazione, con produzione elevata di THC 2.3.2. violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza degli elementi che integrano la prova del concorso dell'imputato e la valutazione della prova indiziaria. A carico dell'imputato è stata valorizzata la circostanza che abbia consegnato agli agenti la chiave dell'ufficio nel quale erano stati rinvenuti kg. 4,39 di marijuana, locale nel quale erano conservati anche suoi effetti personali. Ma la prima circostanza sulla consegna della chiave è dubbia alla stregua della deposizione del verbalizzante escusso il teste V. e della intrinseca equivocità del dato costituito dal rinvenimento di marijuana che era imbustata secondo lo stesso procedimento seguito per quella legalmente coltivata 2.3.4. violazione di legge in relazione all' art. 192 c.p.p. ai fini della ritenuta sussistenza dell'aggravante dell'ingente quantità. La Corte di merito non ha valutato i motivi di appello che denunciavano la inaffidabilità dei risultati della analisi di laboratorio inficiati da sostanziali rilievi afferenti la mancata ricerca del CBD, le modalità di imballaggio delle piante la rottura della catena di custodia e le modalità di prelievo dei campioni. I motivi nuovi, sottoscritti dagli avvocati A.F. e S.S., ribadiscono la inidoneità, ai fini dell'affermazione di colpevolezza, degli elementi valorizzati dai giudici di merito, in presenza della intervenuta assoluzione dal reato di cessione e della incerta ricostruzione dei verbalizzanti sulla consegna delle chiavi. Con il secondo motivo si denuncia vizio di violazione di legge, in relazione all' art. 59 c.p. , sull'imputazione soggettiva dell'aggravante della ingente quantità di cui al reato sub capo c . Considerato in diritto 1.La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio in punto di affermazione di responsabilità per il reato di coltivazione illecita e detenzione dello stupefacente ascritto al capo c ai ricorrenti S.A. e S.G. . Il ricorso di S.A. deve essere rigettato nel resto, con conferma del giudizio di responsabilità in relazione al reato sub capo b . Il ricorso di O.A. è inammissibile. 2. Ragioni di chiarezza ricostruttiva impongono di iniziare l'esame dei ricorsi partendo proprio da quello di O.A. che ha proposto motivi manifestamente infondati e generici perché diretti a sollecitare alla Corte di legittimità l'esercizio di poteri di ricostruzione e valutazione dei fatti, allegando vizi strutturali e logici nella valutazione dei dati probatori, che, viceversa, alla stregua della motivazione della sentenza impugnata, al di là delle formule stilistiche, risultano gravi, precisi e concordanti. 2.1. È manifestamente infondato il motivo di ricorso che denuncia violazione di legge, in relazione all' art. 192 c.p.p. , anche in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e , stesso codice poiché l'erronea applicazione dell' art. 192 c.p.p. non è deducibile in termini di violazione di legge si tratta infatti di una disposizione non assimilabile ad una norma di diritto penale o ad altra norma giuridica di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, come indicato nell'art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p., e nemmeno ad una norma processuale stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, ai sensi del predetto art. 606, comma 1, lett. c , giacché l'inosservanza dell' art. 192 c.p.p. non è in tal modo sanzionata ex multis, Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli, Rv. 271294 Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567 Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta, Rv. 229159 . La dedotta violazione dell' art. 192 c.p.p. , comma 3, rileva pertanto solo come vizio di motivazione nei limiti indicati dall'art. 606, comma 1, lett. e , ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. È sulla scorta di tale precisazione che va, dunque, intessuta l'analisi del motivo di ricorso che concerne la qualificazione del compendio indiziario la distinzione tra congetture e indizi e così i limiti del potere di verifica rimessi in materia alla Corte di Cassazione, non senza rilevare che la distinzione tra indizio e congettura è ben nota sia in campo epistemologico che nella giurisprudenza di legittimità. Si afferma, con chiarezza, che in contrapposizione agli indizi , suscettibili di valutazione ai sensi dell' art. 192, comma 2, c.p.p. e che costituiscono elementi di fatto noti dai quali desumere, in via inferenziale, il fatto ignoto da provare sulla base di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza, il sospetto si identifica con la congettura, con un fenomeno soggettivo di ipotesi con prove da ricercare, ovvero con l'indizio debole o equivoco, tale da assecondare distinte, alternative - ed anche contrapposte - ipotesi nella spiegazione dei fatti oggetto di prova Sez. 5 n. 5209 del 11/12/2020, dep. 2021, Ottino, Rv. 280408 . Sui poteri di controllo di questa Corte, con riguardo al procedimento inferenziale di valutazione del giudice di merito, si afferma che in materia di prova indiziaria, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste, può però avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull' id quod plerumque accidit , ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilità Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 2021, Romano, Rv. 281385 . 2.2. Sulla scorta di tali coordinate il ragionamento seguito dai giudici di merito la sentenza impugnata ha, infatti, replicato quella di primo grado non appare suscettibile di rilievi nella scelta del criterio di valutazione degli elementi acquisiti perché esercitato attraverso la valorizzazione di massime di esperienza tutt'altro che dotate di minima plausibilità. È certo, infatti, che la mattina del 2 settembre 2020, alle ore 05 23 l'auto Grande Punto del F. aveva varcato il cancello di ingresso dell'azienda OMISSIS che alle ore 5 29 anche l'odierno ricorrente, alla guida della propria autovettura Panda, aveva fatto ingresso nella medesima azienda dopo uno scambio di messaggi wattApp in cui si davano il buongiorno , con S.A. con il quale la sera precedente, alle ore 21 18 55, O.A. aveva scambiato un messaggio contenente una emoticon pollice in su ricevendo, a stretto giro, una risposta con quattro emoticon. Alle ore 05 31 le due autovetture - si dice incolonnate, la Panda di O. avanti l'auto del F. dietro - erano uscite dal cancello e si erano immesse, a velocità sostenuta, sulla strada che le avrebbe condotte allo svincolo autostradale di OMISSIS e dopo qualche chilometro, erano state fermate da un'auto di istituto che si era collocata al centro della carreggiata. In esito al controllo erano stati sequestrati quattro sacchi contenenti marijuana risultata del peso di chilogrammi 39 circa e che, sottoposta ad analisi presentava THC che superava, ben oltre le 4000 volte, il valore soglia di 500 milligrammi si tratta dei reperti da 1/A a 4/L in relazione al quale era stato analizzato il contenuto delle 38 buste di cellophane che contenevano il prodotto . Il contatto certo registrato la sera del 1 settembre tra O. e S.A. il suo contenuto, correttamente il numero dei sacchi trovati a bordo dell'auto del F. è stato messo in correlazione con quello delle emoticon l'ingresso nell'azienda OMISSIS del F. e, a stretto giro, quello dell'O. la brevissima durata della sosta, risoltasi in circa otto minuti tra entrata del F. e l'uscita delle vetture l'uscita in colonna delle due auto e la percorrenza della medesima strada a velocità sostenuta, costituiscono dati certi perché processualmente accertati , gravi e precisi che senza cadute logiche sono stati interpretati dai giudici del merito come deponenti per un rapido incontro fra S.A. e O.A. finalizzato alla consegna della marijuana, che O. aveva convenuto con S.A. la sera precedente le quattro emoticon e che F. , giunto nell'azienda pochi minuti prima di O. , aveva caricato sulla propria autovettura attendendo l'arrivo di questi con il quale, secondo le descritte modalità, si era allontanato dall'azienda. Hanno verificato, i giudici del merito, anche la pregressa conoscenza di O.A. con F. sottolineando che non è spiegabile in termini di evento fortuito o occasionale, la contemporanea presenza dei due presso l'azienda OMISSIS , vista anche l'ora mattutina, l'uscita in colonna e la percorrenza di un comune tratto di strada a velocità sostenuta. I difensori di O. , con i motivi aggiunti, hanno contestato la precisione della ricostruzione dell'ultimo segmento dei fatti - quello dell'uscita, percorso delle auto e controllo - evidenziando il contrasto che emerge dalla ricostruzione dei verbalizzanti sull'ordine di marcia delle due vetture e la mancata valutazione, da parte dei giudici del merito, di siffatto contrasto e conseguente verifica di attendibilità delle dichiarazioni rese dagli agenti. Si tratta, ad avviso del Collegio, di una prospettazione manifestamente infondata poiché, vista la dislocazione degli agenti lungo il percorso, non appare neppure seriamente prospettabile un contrasto tra le loro dichiarazioni. Dalla sentenza di primo grado, più precisa al riguardo cfr. 3 risulta infatti che gli agenti erano collocati in punti diversi il maresciallo S. in prossimità del cancello di uscita percorso dai veicoli il maresciallo L.B.A. in corrispondenza di altro cancello a distanza di qualche decina di metri il maresciallo G.U. a distanza di chilometri dai due ingressi sicché è logico inferire che gli operanti hanno descritto lo schema di viaggio delle autovetture da ciascuno dei punti di osservazione senza indicare movimenti e spostamenti dell'andatura delle auto durante le operazioni cd. di inseguimento fino al momento del controllo quando, a detta del L.B. l'auto dell'O. seguiva quella del F. e, a detta del G. , era il contrario, ma entrambi i testi non hanno mancato di sottolineare come, sul punto, i loro ricordi non fossero certi mi pare, dice il L.B. se non sbaglio, precisa G.U. . Ma, val bene rilevare come l'ordine di marcia dei due veicoli non modifica l'assunto che le due auto procedevano a brevissima distanza, di qualche decina di metri, l'una dall'altra dopo essere uscite a stretto giro dal cancello dell'azienda dove la merce era stata caricata, in conformità all'accordo convenuto tra O.A. e S.A. . Consegue la genericità e manifesta infondatezza dei motivi di ricorso in punto di responsabilità quale cessionario del carico, di O.A. . 2.3.Anche il secondo motivo di ricorso proposto nell'interesse di O.A. è manifestamente infondato. La Corte di merito ha apprezzato a suo carico, ai fini del giudizio di maggiore pericolosità che costituisce il tratto fondante dell'applicazione della recidiva, la circostanza che l'imputato risulti inserito, in ragione dell'ingente acquisto effettuato e del carattere organizzato e professionale che esso sottende, in un più vasto circuito criminale con modalità che appaiono incompatibili con quelle di un soggetto che, in ragione dell'epoca risalente del precedente specifico, non sia più avvezzo al crimine. È, questa, l'affermazione che costituisce il nucleo centrale del giudizio della Corte che non risulta apparente e men che mai illogica ma saldamente ancorata ad un giudizio di valore sul fatto-ed alle conclusioni che possono trarsene in rapporto alla capacità a delinquere, giudizio che evidenzia il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e la precedente condanna, per reato dello stesso genere e del tutto logicamente valorizzando la circostanza che la pregressa condotta criminosa è indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che ha influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice Sez.3, n. 33299 del 16/11/2016, Del Chicca, Rv. 270419 . 2.4. Il motivo di impugnazione relativo al diniego di applicazione delle circostanze generiche è stato correttamente esaminato dai giudici di appello che, in mancanza di positivi elementi valorizzabili e di argomentazioni dirette esclusivamente a contrastare l'esercizio del potere discrezionale del giudice di primo grado, hanno sottolineato la gravità del fatto, le condizioni personali dell'imputato, che svolge anche un'attività lecita. La motivazione è, dunque, esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione fra le tante, Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163 . 3.11 ricorso di S.A. è fondato, relativamente alla configurabilità del reato ed alla responsabilità per il reato ascrittogli al capo c ma deve essere rigettato nel resto. Non possono che richiamarsi, in via generale, le argomentazioni svolte trattando la posizione di O.A. con riferimento al corretto inquadramento dei vizi denunciati e alla natura indiziaria degli elementi, così correttamente ritenuti dalla Corte di appello, che chiamano in causa la responsabilità del ricorrente con riferimento al reato, così come contestato al capo b e, quindi, anche con la contestata circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 80, comma 2. 3.1. Infondato il rilievo di inutilizzabilità del verbale di sequestro si tratta del primo motivo di ricorso a firma dell'avvocato A.F. , verbale che la Corte di appello ha richiamato a conferma della ricostruzione dei giudici di primo grado circa la presenza dell'imputato all'interno dell'azienda al momento dell'arrivo dell'O. . Questa Corte ha affermato che il verbale di sequestro contiene la descrizione della situazione di fatto esistente in un preciso momento e suscettibile di modificazione successiva. Tale verbale va annoverato tra gli atti non ripetibili ed inserito nel fascicolo per il dibattimento del medesimo inoltre deve essere data lettura ai sensi dell' art. 511 c.p.p. . Ne deriva che il giudice può legittimamente utilizzare come prova il contenuto del documento in tutta la sua estensione e con riferimento sia alla individuazione dello stato dei luoghi e cose, sia alle dichiarazioni rese. Per queste ultime, tuttavia trova applicazione l'art. 511, comma 2, con la possibilità di lettura solo dopo l'esame della persona, tranne che sia impossibile procedervi Sez. 6, n. 36210 del 09/04/2013, Mammoliti, Rv. 257095 . Legittimamente, pertanto, nella parte relativa alla annotazione dell'orario di uscita dell'imputato dall'azienda è stato utilizzato nella sentenza impugnata il verbale di sequestro il cui contenuto sulla presenza dell'imputato nell'azienda agricola nei momenti precedenti si salda ad elementi di sicura valenza indiziaria e apprezzati, dai giudici di merito, facendo logica e coerente applicazione di massime di esperienza. Tali elementi sono costituiti dallo scambio di messaggi con O.A. in cui i due si scambiavano il buongiorno , scambio che non può essere scisso dall'ingresso, nel volgere di pochi minuti, di O.A. nell'azienda e dallo scambio intervenuto la sera precedente, alle ore 21 18 55, quando O.A. aveva inviato al ricorrente un messaggio contenente un'emoticon pollice in su ricevendo, a stretto giro, una risposta con quattro emoticon, numero che, senza salti logici avuto riguardo al contesto descritto ed al suo epilogo, i giudici di merito hanno ricondotto ad uno scambio convenzionale relativo al numero di sacchi che l'imputato avrebbe fornito e, puntualmente costituito da quattro sacchi contenenti lo stupefacente sequestrato . 3.2. Nessuna illogicità, approssimazione o apparenza connota il ragionamento dei giudici del merito che, facendo corretta applicazione dei principi di questa Corte, hanno qualificato l'operazione di cessione sussumendola nella fattispecie di cui all' art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309 del 1990 . E rispetto a tale attività, immediatamente riconducibile al ricorrente, quale autore dell'operazione, non è neppure in astratto prospettabile una posizione di mera connivenza o una illogica valutazione del contenuto dei messaggi. La difesa sostiene, infatti, che messaggi di contenuto analogo l'imputato si era scambiato, in passato, con l'O. e che i due si incontravano per le lecite attività di commercio di frutta e verdura ma la contestualità del sequestro all'uscita dell'auto condotta dal F. dall'azienda in cui si coltivava la canapa e dove è stata trovata merce di analogo contenuto e il tenore del messaggio del 1 settembre 2020, ostano a ritenere che O. abbia contattato l'imputato per ragioni lecite, attinenti al commercio di frutta e verdura, tanto più che, come ben evidenziato nelle sentenze impugnate, il ricorrente aveva tentato di cancellare i contatti della messaggeria wattApp nelle lunghe ore intercorse tra il primo controllo effettuato in azienda alle ore 7 00 e la redazione intorno alle ore 20 00 dello stesso giorno dei verbali. Ne consegue, la infondatezza dei motivi di ricorso proposti, con riferimento al reato sub b sia nel ricorso dell'avvocato F. che in quello dell'avvocato V.C 3.3. La Corte di merito ha correttamente richiamato, ai fini della qualificazione giuridica del fatto, il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dal L. 2 dicembre 2016, n. 242, art. 4, commi 5 e 7, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, Castignani, Rv. 275956 . La descritta cessione della droga all'O. , avente le caratteristiche accertate in sede di consulenza tecnica eseguita dal Pubblico Ministero, integra la condotta contestata e l'aggravante dell'ingente quantità essendo risultati dai reperti relativi al sequestro dei quattro sacchi rinvenuti nell'auto del F. caratteristiche inequivoche della percentuale di principio attivo e della quantità di dosi ricavabili, in linea con i valori che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo fissato. Dalla pag. 8 della sentenza di primo grado si ricava, infatti, che i reperti di droga sequestrati all'O. contrassegnati da lA a 4L , riferibili allo stupefacente oggetto di cessione contestata al ricorrente al capo b , superano per oltre 4000 volte il valore soglia di 500 mg e, dunque i due chilogrammi riconducibili ad un ingente quantitativo . È ben vero che la giurisprudenza ha indicato tali valori come tendenziali nel senso che il superamento non determina automaticamente la sussistenza dell'ipotesi aggravata, dovendosi in ogni caso avere riguardo alle circostanze del caso da valutarsi con riferimento alla pericolosità della condotta ed al livello di potenziale compromissione della salute e dell'ordine pubblico e che il giudice, nell'esercizio del potere di valutazione in concreto cui è tenuto possa valorizzare, per corroborare il dato rappresentato dal superamento del limite, elementi che, nel caso in esame, neppure il ricorrente indica per contrastare il giudizio di grave pericolo per la salute pubblica connesso al traffico che muoveva, anche questo è indiscutibile, da un'attività di coltivazione certamente non modesta e organizzata a livello industriale. 3.4. Anche il negativo giudizio sulla personalità del ricorrente, agganciato a tale situazione di fatto, rende incensurabile in questa sede la scelta del trattamento sanzionatorio pari ad anni quattro di reclusione ed Euro 45.000 di multa , e il diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, con conseguente formazione del giudicato in relazione a tale titolo di reato. 3.5. La qualificazione giuridica del fatto ascritto e la sua collocazione al di fuori della fattispecie di coltivazione autorizzata rende manifestamente inconferenti, se riferiti a tale delitto, i rilievi sviluppati nel primo motivo di ricorso dell'avvocato C. oltre che quelli svolti al punto c del medesimo ricorso che, per vero, sembrano riferibili, piuttosto, alle operazioni di campionatura e analisi delle piante oggetto di coltivazione e, dunque, non direttamente riferibili al materiale contenuto nei quattro sacchi sequestrati a bordo del F. . Cionondimeno, ritiene il Collegio che, anche con riferimento alla contestazione relativa al delitto di coltivazione, le considerazioni svolte sono manifestamente infondate procedendosi, a carico del ricorrente, al momento del sequestro, analisi e campionatura del materiale costituito da piante, per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, riferibile all'attività di coltivazione illegale che, secondo i giudici di primo grado, era in atto al momento del controllo sui fondi siti nella zona destra della proprietà in suo all'azienda agricola OMISSIS e che è risultato avere un contenuto di THC superiore al limite che deve caratterizzare la coltivazione, per uso industriale, della canapa sativa I. Costituisce un principio affermato da questa Corte e dal quale non vi è ragione di dissentire, che in caso di rinvenimento di una piantagione destinata alla produzione di sostanze stupefacenti, la polizia giudiziaria ben può limitare il sequestro ad alcune piante scelte a campione, procedendo contestualmente alla distruzione delle altre, e nella selezione delle piante da sottoporre al vincolo non deve adottare le modalità previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 87 atteso che tale disposizione disciplina la campionatura dello stupefacente già oggetto di cautela reale e non l'estrazione preliminare alla sua apposizione Sez. 6, n. 15152 del 20/03/2014, Murgeri,Rv. 258749 . Ma, e tale rilievo appare risolutivo, si è, altresì, osservato che la violazione o l'errata applicazione di protocolli di indagine in materia di repertazione e analisi degli elementi di prova, che contengono regole condivise di carattere tecnico-scientifico, non costituisce motivo di nullità o inutilizzabilità della prova acquisita, potendo, al più, incidere sull'attendibilità degli esiti della stessa, e che tale valutazione di fatto è insindacabile nel giudizio di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità della motivazione Sez. 5, n. 8893 del 11/01/2021, Laurenti, Rv. 280623 . 4.Con riferimento al delitto di coltivazione illecita vanno, tuttavia, svolte ulteriori considerazioni rilevanti ai fini della configurabilità del reato e della sua attribuibilità agli odierni ricorrenti, S.A. e S.G. per tali aspetti, dunque, sono fondati i motivi di ricorso proposti da S.A. e S.G. . La sentenza Castignani, innanzi citata, ha precisamente esaminato il portato della L. n. 242 del 2016 e ha ribadito che le coltivazioni incentivate dalla legge si collocano nell'alveo delle colture consentite ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990 art. 26, che, pur richiamando l'art. 14, disposizione che, al comma 2 lett. b impone l'introduzione di ogni varietà di cannabis nelle formazione tabelle, introduce un'eccezione al divieto laddove finalizzato alle produzioni consentite fibre ed usi industriali, diversi dagli usi farmaceutici . Se ne conclude che Il sintagma contenuto nel L. n. 242 del 2016, art. 1, comma 2, ove è stabilito che le coltivazioni di cui si tratta non rientrano nell'ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza , delinea l'ambito dell'intervento normativo, che riguarda un settore dell'attività agroalimentare ontologicamente estraneo dall'ambito dei divieti stabiliti dal D.P.R. n. 309 del 1990 in tema di coltivazioni. Sul piano sistematico è dunque evidente che la L. 242 non ha effettuato alcuna modifica al dettato del T. U. Stup. neppure nell'ambito delle disposizioni che inseriscono la cannabis e i prodotti da essa ottenuti nel delineato sistema tabellare, poiché il legislatore del 2016 ha disciplinato lo specifico settore dell'attività della coltivazione industriale di canapa, funzionale esclusivamente alla produzione di fibre o altri usi consentiti dalla normativa dell'Unione Europea, attività che non è attinta dal generale divieto di coltivazione, sancito nel T.U. stup., pure a seguito delle recenti modifiche introdotte all'art. 26, comma 2, T.U. stup., dal ricordato D.L. n. 36 del 2014 . Ne consegue che la coltivazione assume connotazione lecita -stante il permanente divieto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 26 - solo se finalizzata alla realizzazione dei prodotti tassativamente indicati nel L. n. 242 del 2016 art. 2, comma 2, nonché per l'autoproduzione aziendale di energia da biomassa, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione e sono escluse dal novero dei prodotti di per sé commerciabili le infiorescenze di canapa, le foglie o gli olii e le resine derivate, in quanto non ricompresi fra i prodotti di cui all'art. 2 comma 2, la cui cessione costituisce attività illecita ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990 . L' art. 4, commi 5 e 7 della L. n. 242 del 2016 , introduce, infine, clausole di esclusione della responsabilità penale del coltivatore diretto, che formano il corollario della disciplina che regola la coltura lecita e che rinviene il suo presupposto nella normativa sovranazionale di cui al Regolamento CE n. 73/2009 inerente alle norme comuni sui regimi di sostegno diretto agli agricoltori nell'ambito della politica agricola comune e che modifica i regolamenti CE n. 1290/2005 , CE n. 247/2006 , CE n. 378/2007 , abrogando il regolamento CE n. 1782/2003 . Il Regolamento prevede uno specifico rapporto fra gli ettari destinati all'attività agricola e quelli destinati alla coltivazione della canapa, precisando all'art. 39 che le superfici utilizzate per la produzione di canapa sono ammissibili solo se le varietà coltivate hanno un tenore di tetraidrocannabinolo non superiore allo 0,2 %. Gli Stati membri predispongono un sistema per verificare il tenore di tetraidrocannabinolo su almeno il 30% delle superfici coltivate a canapa. Se, tuttavia, uno Stato membro introduce un sistema di. autorizzazione preventiva di tale coltura, la percentuale minima è del 20%, subordinando il sostegno all'uso di sementi certificate di alcune varietà, determinate secondo la procedura di cui all'art. 141 del Regolamento medesimo. La normativa Europea introduce, dunque, uno strumento di verifica della coltivazione, avente lo scopo, peraltro dichiarato nel preambolo, di evitare che siano erogati aiuti a favore delle coltivazioni illecite. È su questa base, cioè sulla determinazione del quantitativo di principio attivo che consente l'erogazione del sostegno 0,2% , che il legislatore nazionale ha previsto le modalità di verifica di cui all' art. 4 della L. n. 242 del 2016 , avuto riguardo alla previsione della perdita del beneficio economico pubblico, per il caso di superamento della soglia stabilita dall' art. 39 del Regolamento 73/2009 . Il superamento di detta soglia, nondimeno, non implica nella legislazione nazionale il divieto di ricavare dalla coltivazione i prodotti di cui all'art. 2, comma 2 L. 242/2009, posto che il legislatore italiano ha introdotto l'ulteriore limite del 0,6% di THC entro il quale, pur in assenza di sostegno alla produzione, è concesso derivare dalla coltivazione i prodotti consentiti. Quando, invece, detta ultima soglia viene superata sono previsti del L. n. 242 del 2016 art. 4 comma 7 il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa, quantunque impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite legge, sequestro e distruzione che possono essere altresì disposti dall'autorità giudiziaria solo qualora, a seguito di un accertamento effettuato secondo il metodo di cui al comma 3, risulti che il contenuto di THC nella coltivazione è superiore allo 0,6 per cento. Va, dunque, dato seguito all'affermazione di principio, evincibile dalla analisi della normativa e dalla ricostruzione della sentenza Castignani nel senso che la coltivazione di canapa sativa L. è consentita e può essere sfruttata ai sensi dell' art. 2, comma 2 della L. n. 242 del 2016 , allorquando il valore di THC sia inferiore o pari allo 0,6% di THC, mentre laddove sia superiore la coltivazione non può essere trasformata e deve essere sequestrata o distrutta. Ma il riflesso di una simile disciplina sulla coltivazione della canapa, così intendendo quella che realizza le colture di cui all' art. 1 della L. n. 242 del 2016 , è l'esclusione della penale responsabilità del coltivatore che abbia lecitamente impiantato la coltura, che, nel corso della maturazione abbia sviluppato una percentuale di principio attivo superiore a quello individuato dal comma 5 della disposizione e che deve essere, comunque, distrutta. L'attività di coltivazione della canapa finalizzata alla produzione industriale costituisce, dunque, attività lecita, derivante dall'uso di specifiche categorie di semi che, tuttavia, sul piano naturalistico non escludono la possibilità di ibridazioni o altri fenomeni di degradazione e che è ontologicamente esclusa da quella del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73 . La fattispecie delittuosa, sul piano della tipicità, descrive una condotta diversa dalla prima e, in presenza di indizi equivoci, sull'oggetto della coltivazione, si impone al giudice un rigoroso accertamento incentrato proprio sull'attività di coltivazione - e non solo sul suo risultato - tenuto conto che la logica conseguenza, dell'attività di coltivazione autorizzata, è quello della non punibilità del coltivatore, in presenza di risultati diversi da quelli che derivavano dall'impiego delle sementi certificate. La individuazione e ricostruzione dell'attività illecita tipica oggetto di incriminazione con l'art. 73 D.P.R. citato non può prescindere da tali presupposti, realizzando, altrimenti, la violazione del principio di legalità. I giudici di merito, con riguardo al reato sub capo c ascritto ad S.A. e S.G. , non si sono confrontati nè con il descritto quadro di riferimento normativo nè con i rilievi difensivi ed hanno generalizzato i risultati della condotta di reato di cui al capo b all'attività di coltivazione di tutte le piante rivenute e a tutti i prodotti caduti in sequestro. In altre parole, i giudici del merito, esclusivamente sulla base dell'accertata condotta di cessione di sostanza stupefacente proveniente dall'azienda agricola, hanno ritenuto comprovata quella di coltivazione illecita in relazione alla coltivazione delle 5.260 piante poi eradicate dai Carabinieri e alla detenzione di oltre 599 chilogrammi di sostanza rinvenuta nei depositi. Il Tribunale ha valorizzato la struttura e la conformazione dell'azienda omissis , poiché la coltivazione illecita è stata ricondotta ai fondi siti sulla destra degli appezzamenti in uso all'azienda e le modalità di trattamento e conservazione della sostanza la presenza di fusti messi ad essiccare la sistemazione nelle celle frigorifere la conservazione in sacchetti identici a quelli sequestrati al F. mentre la Corte di appello cfr. pag. 9 è pervenuta alla conclusione che, anche a volere accedere alla tesi difensiva, restava comunque l'utilizzo improprio della canapa coltivata, a prescindere dalla sua specie, che non rientra affatto tra quella lecita perché sfruttava proprio la concentrazione di THC e la sua natura psicotropa. Si tratta, quanto ai primi, di aspetti che non sono decisivi sia perché, alla stregua della documentazione prodotta, la coltivazione autorizzata era in corso anche su particelle ubicate nella zona destra sia perché le conclusioni raggiunte che non si confrontano con il descritto quadro di riferimento normativo e con la espressa esclusione della punibilità del coltivatore in presenza di evoluzioni del ciclo vegetativo della pianta suscettibili di integrare un contenuto maggiore di THC, limitandosi a prevederne la distruzione, tanto più che tra i reperti analizzati si veda l'analisi riportata a pag. 8 della sentenza di primo grado ve ne sono alcuni che non raggiungono la soglia del 0,6% di THC. 5. Sulla scorta del decritto quadro di riferimento normativo, la Corte di appello di Catanzaro dovrà riesaminare gli elementi di prova raccolti al fine di verificare la sussistenza del reato di coltivazione illecita e la sua attribuibilità agli odierni ricorrenti, verificandone, per ciascuno, il diretto contributo causale alla condotta di reato, se ritenuto sussistente. In particolare, dovranno essere esaminate, quanto a S.G. anche le deduzioni difensive sul punto del contributo, materiale o psicologico, al delitto di coltivazione tenuto conto, altresì, che il ricorrente è stato assolto dal reato di cui al capo b . In linea con tale ricostruzione andrà di conseguenza valutata la sussistenza dell'aggravante di cui all' art. 80, comma 2 D.P.R. n. 309 del 1990 in relazione al reato sub capo c il trattamento sanzionatorio inflitto a S.G. e la misura di aumento per la continuazione della pena inflitta ad S.A. . 6. L'inammissibilità del ricorso di O.A. ne comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma, indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo c con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Dichiara irrevocabile l'accertamento di responsabilità di S.A. in ordine al reato di cui al capo b , Rigetta nel resto il ricorso di S.A. . Dichiara inammissibile il ricorso di O. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.