L’Italia protegge lo straniero che appartiene a un movimento religioso considerato illegale in patria

I Giudici sottolineano che la libertà religiosa di una persona non può essere limitata ai culti consentiti o tollerati, dal momento che la legittima ingerenza dello Stato al riguardo deve essere non solo prevista dalla legge ma anche diretta a perseguire fini legittimi. L’ipotesi di legittimità viene meno a fronte di trattamenti inumani e degradanti ai danni dei fedeli di un gruppo religioso.

Protezione possibile in Italia per lo straniero che in patria ha aderito a un movimento religioso che è considerato illegale dallo Stato, come certificato dalle sanzioni penali, dagli arresti e dalle torture nei confronti di alcuni esponenti di quel movimento. Riflettori puntati sulla storia di un uomo, originario della Repubblica Popolare Cinese, che ha chiesto protezione in Italia dichiarando di essere cristiano evangelico, appartenente alla Chiesa di Dio Onnipotente dal 2013 e precisando che dopo quell’anno il governo cinese ha arrestato molti fedeli inclusi tre suoi confratelli sottoponendoli a torture e perciò ha deciso di abbandonare il Paese . Per i giudici di merito, però, la richiesta di protezione dello straniero va respinta. Ciò perché, innanzitutto, dalla vicenda non risulta il rischio effettivo per l’uomo di essere sottoposto, nel Paese di origine, a tortura ovvero a trattamenti inumani o degradanti . Per completare il quadro, poi, i giudici d’Appello sottolineano che la Chiesa di Dio Onnipotente appartiene alle categorie dei culti vietati o maligni, gruppi illegali classificati e denominati dalla dottrina cinese come black market , che operano segretamente , e aggiungono che questa caratteristica giustifica il regime giuridico persecutorio perché l’ordinamento statale deve poter conoscere le caratteristiche fondamentali delle associazioni, anche di tipo religioso , così da rendere trasparenti e riconoscibili metodi e scopi . Per smontare la tesi proposta dallo straniero, infine, i giudici d’Appello evidenziano che in Cina vi sono culti ammessi e culti tollerati e ciò significa che è pertanto garantita alle associazioni religiose non segrete la libertà di culto . In ultima battuta, infine, i giudici ritengono non provata l’esistenza di violazioni di diritti umani nei confronti dello straniero, né al momento di espatrio né , in prospettiva, in caso di rimpatrio . A smentire in modo netto le valutazioni compiute in Appello provvedono ora i Giudici della Cassazione, accogliendo le obiezioni proposte dallo straniero e ritenendo possibile il riconoscimento in suo favore della protezione in Italia . Lo straniero ritiene palese il pericolo del danno grave consistente in caso di ritorno in patria proprio nella valutazione di radicale illiceità sanzionabile penalmente del culto religioso da lui professato . Allo stesso tempo, egli contesta la visione secondo cui non vi è un potenziale pericolo per la sua persona in caso di rimpatrio poiché la libertà religiosa può esprimersi attraverso l’adesione ad un culto ammesso o tollerato dallo Stato. L’ultima obiezione proposta dallo straniero è sacrosanta, secondo i Giudici di Cassazione, i quali sanciscono in modo chiaro che la libertà religiosa non può essere limitata ai culti consentiti o tollerati, dal momento che la legittima ingerenza dello Stato al riguardo deve essere non solo prevista dalla legge ma anche diretta a perseguire fini legittimi . Ma l’osservanza di questi stretti criteri di legittimità dell’ingerenza statale non può essere desunta dalla sola previsione legale di un divieto normativo e dalla qualificazione come segreta di una professione religiosa, senza esplorare le ragioni giustificative del regime adottato alla luce dell’intero ordinamento giuridico del Paese di origine e del fondamento democratico o antidemocratico della struttura statuale , precisano i Magistrati. Tornando al caso preso in esame, i Giudici sottolineano che la professione religiosa dello straniero è penalmente perseguita, ed anche in modo brutale, mediante l’ esposizione a torture o a trattamenti detentivi inumani o degradanti , mentre nessun elemento diverso dalla segretezza della associazione religiosa è stato posto in luce in Appello per sostenere la legittimità di un sistema repressivo . Tirando le somme, il riconoscimento della protezione richiesta dallo straniero non può essere escluso solo perché la repressione statuale viene giustificata in quanto diretta a vietare le associazioni a carattere segreto , chiariscono i Magistrati della Cassazione. Evidente, quindi, l’errore compiuto dai giudici d’Appello, i quali non hanno valutato in concreto la natura e le ragioni dell’ingerenza dello Stato cinese, peraltro consistenti nella repressione penale, nell’effettivo esercizio della libertà religiosa che , sottolineano i Magistrati della Cassazione, non può limitarsi alle professioni consentite e tollerate . Anche perché la segretezza dell’associazione religiosa ed il conseguente divieto di professare tale religione costituiscono di per sé limiti illegittimi al diritto di libertà religiosa . Per chiudere il cerchio, infine, i Giudici della Cassazione aggiungono che la mancata attivazione del sistema repressivo nei confronti dello straniero approdato in Italia è irrilevante, poiché egli è da ritenere a rischio per la sua appartenenza al credo religioso prescelto che, come detto, è considerato illegale dallo Stato. E in questa ottica va anche vagliato il rischio concreto per lo straniero di essere sottoposto, in caso di rimpatrio, a tortura od altra forma di pena o di trattamento inumano o degradante a causa della propria fede religiosa.

Presidente-Relatore Acierno Fatti di causa e ragioni della decisione 1. La Corte di Appello di Roma, confermando l'ordinanza emessa il 13.09.2018 dal Tribunale di Roma, ha rigettato, per quel che ancora interessa, le domande presentate da P.K., originario della Repubblica Popolare Cinese, dirette al riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 14 e ss. nonché in via gradata della protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6. A sostegno della decisione, la Corte di Appello di Roma ha ritenuto relativamente alla domanda di protezione sussidiaria, che, dalla vicenda esposta, non risultasse il rischio effettivo di essere sottoposto nel Paese di origine a tortura ovvero trattamenti inumani o degradanti. Nel caso in esame il richiedente, in sede di audizione, aveva dichiarato di essere cristiano evangelico, appartenente alla Chiesa di Dio Onnipotente dal 2013, e che dopo quell'anno il governo cinese aveva arrestato molti fedeli sottoponendoli a torture - tra cui tre suoi confratelli -, motivo per il quale aveva deciso di abbandonare il Paese. La Corte di Appello di Roma, riportandosi al report C.O.I. del 19.03.2019 ha evidenziato che la Chiesa di Dio Onnipotente appartiene alle categorie dei culti vietati o maligni, gruppi illegali classificati e denominati dalla dottrina cinese black market , che operano segretamente. Secondo la Corte territoriale questa caratteristica giustifica il regime giuridico persecutorio perché l'ordinamento deve poter conoscere le caratteristiche fondamentali delle associazioni anche di tipo religioso, così da rendere trasparenti e riconoscibili metodi e scopi. In Cina vi sono culti ammessi e culti tollerati, essendo pertanto garantita alle associazioni religiose non segrete la libertà di culto. Relativamente alla domanda di protezione umanitaria, da un lato la Corte di Appello ha evidenziato la non sussistenza di violazioni di diritti umani del richiedente né al momento di espatrio né in caso di rimpatrio, dall'altro ha sottolineato la non configurabilità di situazioni di soggettiva di vulnerabilità, nonché la mancata integrazione sociale, lavorativa e culturale nel territorio italiano. 2. Contro la sentenza della Corte di Appello di Roma, il cittadino straniero ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi di ricorso. 3. Il Ministero dell'Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione orale della causa. 4. Nei tre motivi di ricorso il cittadino straniero ha lamentato nel primo, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 , 5 , 8 , 9 CEDU , del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, nella parte in cui il Giudice d'Appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria senza alcuna valutazione circa la sussistenza dell'esistenza del danno grave in particolare il ricorrente riconduce ad una percezione meramente soggettiva la limitazione della scelta di professare liberamente la propria religione senza essere esposto ai rischi di cui all'art. 14, lett. b ma al contrario il pericolo del danno grave consiste proprio nella valutazione di radicale illiceità sanzionabile penalmente del culto religioso professato nel secondo, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e art. 3, comma 3, lett. a e b , degli artt. 3 e 7 CEDU, nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, avendo il Giudice d'Appello rigettato il riconoscimento della protezione sussidiaria sulla base di un giudizio prognostico futuro ed incerto e non sullo stato effettivo ed attuale del Paese di origine, ritendendo dunque che non vi fosse un pericolo generalizzato avendo sostenuto che la libertà religiosa potesse esprimersi attraverso l'adesione ad un culto ammesso o tollerato nel terzo, la violazione in combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 251 del 2007 , art. 3, comma 3, lett. c e comma 4 nonché l'illogicità, contraddittorietà ed apparenza della motivazione per avere la Corte rigettato la richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. 5. I primi due motivi di ricorso sono fondati. La libertà religiosa non può essere limitata ai culti consentiti o tollerati dal momento che la legittima ingerenza dello Stato al riguardo deve essere non solo prevista dalla legge ma anche diretta a perseguire fini legittimi oltre a dover rispettare il parametro della proporzionalità ex art. 9 CEDU e art. 19 Cost. . L'osservanza di questi stretti criteri di legittimità dell'ingerenza non può essere desunta dalla sola previsione legale di un divieto normativo e dalla qualificazione come segreta di una professione legislativa, senza esplorare le ragioni giustificative del regime giuridico adottato alla luce dell'intero ordinamento giuridico del Paese di origine e del fondamento democratico o antidemocratico della struttura statuale. Nella specie non è contestato che la professione religiosa de ricorrente sia penalmente perseguita ed anche in modo brutale mediante l'esposizione a torture o trattamenti detentivi inumani o degradanti. Nello stesso tempo nessun elemento diverso dalla segretezza della associazione religiosa è stato posto in luce nel provvedimento impugnato per sostenere la legittimità di un tale sistema repressiva. Ne consegue che il riconoscimento della protezione sussidiaria richiesta non può essere escluso solo perché la repressione statuale, viene giustificata in quanto diretta a vietare le associazioni a carattere segreto Cass.35102 del 2021 Cass.23805/2022 Cass.35526/2022 . La sentenza del Giudice d'Appello non ha fatto buon governo dei principi sopra esposti, non avendo valutato in concreto la natura e le ragioni dell'ingerenza dello Stato cinese, peraltro consistenti nella repressione penale, nell'effettivo esercizio della libertà religiosa che non può limitarsi alle professioni consentite e tollerate. La segretezza dell'associazione religiosa ed il divieto di professare la religione prescelta, costituiscono di per sé limiti illegittimi al diritto di libertà religiosa come chiaramente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di protezione internazionale, la nozione di libertà religiosa comprende la libertà del cittadino di praticare fedi religiose non ammesse dallo Stato, senza subire intimidazioni e costrizioni che, in quanto tali, possono configurarsi come atti di persecuzione, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e art. 8, comma 1, lett. b , anche se posti in essere dalle autorità statali o con provvedimenti di tipo legislativo, amministrativo, giudiziario o di polizia Cass. Civ. Ord. 23805/2022 . La mancata attivazione del sistema repressivo nei confronti del ricorrente non esclude la riconducibilità della vicenda narrata nella fattispecie normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b dovendo ritenersi per la sua appartenenza, non messa in dubbio dal giudice del merito, al credo religioso prescelto esposto al rischio previsto dalla norma. Ne consegue che, il Giudice di merito ha erroneamente trascurato non solo i fatti pertinenti ovvero riguardanti il Paese di origine, ma per di più non ha vagliato il rischio concreto del richiedente di essere sottoposto, in caso di rimpatrio - in contrasto con il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b - a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni della propria persona. 6. Il terzo motivo di ricorso è assorbito. 7. In conclusione dall'accoglimento dei primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, consegue la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, affinché si adegui ai principi di diritto sopra indicati e si pronunci altresì sulle spese processuali relative alla fase di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione perché provveda, anche, sulle spese processuali del presente giudizio.