L’imputato lamentava l’errata qualificazione della sua condotta come estorsione, ipotizzando piuttosto una fattispecie di truffa aggravata. La Corte di Cassazione, nel decidere la questione, pronuncia un importante principio di diritto circa la distinzione tra i due reati.
Con la sentenza della Corte d'appello veniva confermata la decisione di condanna emessa dal gup con la quale l'imputato veniva condannato per il delitto di estorsione continuata e aggravata dal fatto di aver commesso il fatto in danno di persona ultra 65enne, con recidiva qualificata. L'imputato ricorreva quindi per la cassazione della sentenza lamentando, tra gli altri motivi, una errata qualificazione giuridica dei fatti, avendo i giudici ritenuto integrata la suddetta ipotesi di estorsione in luogo di quella della truffa aggravata - valorizzando per ciò il timore ingenerato nella persona offesa -, lamentando che il criterio distintivo tra le due fattispecie non può tener conto degli effetti determinati dalla condotta e che la p.o. avesse peraltro malinteso i caratteri minatori della prospettazione del danno. La Suprema Corte si sofferma quindi sulla distinzione tra il reato di truffa e quello di estorsione, che postula la decisione su due interrogativi se il male minacciato sia reale o immaginario e se la prospettazione dello stesso produca una manipolazione della volontà riconducibile alla induzione in errore piuttosto che a una vera e propria coazione della volontà. La coazione della volontà si distingue dalla manipolazione agita attraverso l'induzione in errore, in quanto solo nel primo caso l'azione illecita si presenta irresistibile. La condotta induttiva, anche quando si manifesta con l'esposizione di pericoli inesistenti, si differenzia dalla condotta estorsiva proprio nella misura in cui la volontà risulta diretta e manipolata, ma non irresistibilmente “piegata”. L'idoneità della rappresentazione del male a “dirigere” piuttosto che a “piegare” la volontà va verificata in concreto. La Cassazione afferma il principio di diritto per il quale «l'elemento atto a differenziare la condotta estorsiva da quella di truffa aggravata “vessatoria” deve cogliersi nelle modalità della condotta, valuta ex ante, che può qualificarsi come estorsiva se connotata dalla minaccia di un male concretamente realizzabile ad opera dello stesso agente ed altresì idonea a coartare la volontà della vittima, ponendola di fronte al bivio di sottostare al ricatto o subire le conseguenze dannose del male minacciato. La valutazione della capacità di concreta ed effettiva coazione della minaccia è indagine di merito, che deve essere effettuata prendendo in esame le circostanze del caso concreto, ovvero sia la potenza oggettiva della minaccia che la sua soggettiva incidenza sulla specifica vittima. Tale verifica, se congruamente e logicamente motivata dal giudice di merito, non è ulteriormente sindacabile nel giudizio di legittimità». Ritenendo correttamente applicato questo principio da parte della Corte d'appello, che ha ritenuto che la condotta del ricorrente ha concretamente contribuito a rafforzare nella vittima i timori in precedenza già attivati, volti a far compiere alla p.o. la disposizione patrimoniale, evitata solo per l'impegno di una persona estranea che si rese conto dell'estorsione in atto, la Suprema Corte rigetta il ricorso.
Presidente Verga – Relatore Perrotti Ritenuto in fatto La Corte di appello di Torino, con la sentenza impugnata, confermava la sentenza emessa il 3 febbraio 2016 dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Torino, con la quale il ricorrente era stato condannato per il delitto di estorsione continuata, aggravata dall'aver commesso il fatto in danno di persona ultrassessantacinquenne, con la ritenuta recidiva qualificata. Fatti commessi in omissis . 1. Avverso tale sentenza ricorre l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione le argomentazioni in appresso enunciate, ai sensi dell'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari alla motivazione 1.1. vizio di motivazione, per illogicità manifesta articolo 606, comma 1, lett. e, c.p.p. , avendo la Corte di merito ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese dall'imputato, in aperta violazione del divieto di utilizzazione delle dichiarazioni autoincriminanti rese in forma non assistita, di cui agli articolo 63 e 64 c.p.p 1.2. erronea interpretazione della legge penale in tema di valore neutro dato, nella valutazione della prova, alla ricognizione fotografica negativa operata per ben due volte dalla persona offesa 1.3. travisamento della prova in ordine agli esiti della negativa ricognizione fotografica 1.4. violazione della legge penale, sostanziale e processuale e vizio di motivazione articolo 606, comma 1, lett. b, c ed e, c.p.p. , avendo la Corte illogicamente motivato il convincimento relativo alla errata qualificazione giuridica del fatto estorsione, aggravata dall'età della persona offesa, in luogo della truffa, aggravata dalla circostanza di aver ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario, articolo 640, comma 2, numero 2, c.p. riconosciuto nel giudizio di merito. Erroneamente la Corte divisava estorsione e non truffa aggravata, valorizzando l'effetto suscitato dalla condotta sulla vittima, laddove il criterio distintivo tra le due fattispecie non può tener conto degli effetti determinati dalla condotta, peraltro in soggetto facilmente suggestionabile che aveva malinteso i caratteri minatori della prospettazione del danno i medesimi vizi affliggono la sentenza impugnata, che ha erroneamente qualificato il fatto, non apprezzando la evidente prospettazione di un male immaginario ad opera di terzi, cosicché i fatti contestati in imputazione integrano il delitto di truffa aggravata, ai sensi del numero 2, comma 2, c.p. e non quello di estorsione 1.5. violazione ed erronea applicazione della legge penale in quanto, nel valutare i presupposti della contestata recidiva qualificata la Corte non ha di fatto valorizzato alcuna accresciuta colpevolezza nell'agente, nè una più intensa pericolosità sociale. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso palesano infondatezza tale da determinarne il rigetto. 1.1. L'argomento in diritto valorizzato con il primo motivo di ricorso è suggestivo, ma non coglie il senso dell'argomento usato dalla Corte di merito nella valutazione della prova. Ed invero, la Corte non ha affatto attinto alle dichiarazioni autoindizianti rese dall'imputato per guadagnare certezza della identificazione dell'agente. Ha invece valorizzato la certa intestazione della utenza dalla quale erano partite le minacce univoche e reiterate per ritenere dimostrata la corretta identificazione dell'autore delle stesse. Il che risponde certamente a canoni di logicità nella valutazione del dato documentale, in assenza di indicazioni in senso diverso o contrario provenienti da altre fonti documentali o narrative. 1.2-3. Del pari è a dirsi per la valutazione motivi secondo e terzo del dato relativo alla mancata individuazione fotografica dell'autore, avendo la Corte argomentato proprio in ragione dello stato di terrore patito dalla vittima di richieste estorsive a causa delle minacce gravi ed iterate nel tempo portate dall'agente. 1.4. Il quarto motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione della legge penale nella qualificazione giuridica del fatto è parimenti infondato. La Corte afferma in motivazione che i fatti accertati valorizzato il concreto timore ingenerato nella vittima, idoneo a coartarne la libertà di determinazione patrimoniale per effetto di un male ingiusto direttamente dipendente dalla volontà dell'agente integrano il paradigma normativo tipizzato all'articolo 629 c.p., senza con ciò eludere il tema spoliazione patrimoniale determinata dalla costrizione ovvero dalla induzione in errore della vittima circa la ricorrenza di un pericolo immaginario a cagione dei mali prospettati proposto con i motivi di gravame spesi sul punto dalla difesa. Il motivo di appello errato inquadramento giuridico dei fatti nel delitto di estorsione, piuttosto che in quello di truffa aggravata dall'aver ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario era dunque infondato, in quanto nella fattispecie l'agente principale ha direttamente operato la costrizione rappresentando un pericolo direttamente dipendente dalle potenzialità attivabili dallo stesso agente. 1.4.1. La diagnosi differenziale tra il reato di truffa e quello di estorsione postula infatti come risolti i seguenti interrogativi a se il male minacciato sia reale o immaginario b se la prospettazione di tate male produca, in concreto, una manipolazione della volontà riconducibile alla induzione in errore, piuttosto che ad una vera e propria coazione della volontà. Per quanto la prospettazione di un effetto negativo quale conseguenza di un rifiuto patrimoniale abbia - comunque e ragionevolmente - come conseguenza una reazione di evitamento del male prospettato, quel che rileva ai fini del corretto inquadramento del fatto è se tale reazione sia riconducibile ad una condotta fraudolenta, piuttosto che ad una irresistibile coartazione. Se, cioè, la volontà della vittima risulti semplicemente manipolata o, piuttosto, irresistibilmente coartata Sez. 2, numero 21974, del 18/4/2017, Rv. 270072 . La coazione della volontà si distingue dalla manipolazione agita attraverso l'induzione in errore, in quanto solo nel primo caso l'azione illecita si presenta irresistibile. L'induzione in errore è, infatti, azione diversa dalla costrizione, sebbene entrambe le condotte siano idonee a deviare il fisiologico sviluppo dei processi volitivi la condotta induttiva, anche quando si manifesta con la esposizione di pericoli inesistenti, si differenzia dalla condotta estorsiva proprio nella misura in cui la volontà risulta diretta e manipolata , ma non irresistibilmente piegata . La idoneità della rappresentazione del male a dirigere piuttosto che piegare la volontà non può essere stabilita in astratto, ma necessita di uno scrutinio che verifichi in concreto la consistenza della azione minatoria, anche rispetto alla effettiva resistenza della vittima. Tale indagine non può che analizzare la idoneità coercitiva della minaccia nel momento in cui la stessa viene posta in essere, nulla rilevando che ex post il male prospettato risulti irrealizzabile. Se si individua nella concreta efficacia coercitiva della minaccia l'attributo della condotta utile per distinguere la truffa dall'estorsione perde rilevanza anche la eventuale irrealizzabilità del male prospettato, essendo l'analisi richiesta limitata alla verifica ex ante della concreta efficacia coercitiva della azione minatoria. Individuato nel costringimento forzato della vittima l'elemento caratterizzante del reato di estorsione, l'idoneità del male minacciato ad incidere sul processo volitivo non può che essere valutato ex ante ed in modo indipendente dalla effettiva realizzabilità dell'evento dannoso prospettato Sez. 2, numero 11453, del 17/2/2016, Rv. 267124 . La valutazione della capacità di concreta ed effettiva coazione della minaccia è, ancora una volta, un'indagine di merito che deve essere effettuata prendendo in esame le circostanze del caso concreto, ovvero sia la potenza oggettiva della minaccia che la sua soggettiva incidenza sulla specifica vittima, che se congruamente e logicamente motivata dal giudice di merito, non è ulteriormente sindacabile nel giudizio di legittimità Cass. sez. 6, numero 27996, del 28/5/2014, Rv 261479 . Il pericolo immaginario non può che essere, del resto, un pericolo inesistente nella realtà fenomenica e tale pericolo indotto nella psiche della vittima non può che esser frutto di artifici o raggiri, ossia di mezzi che non realizzano veruna costrizione della volontà, ma soltanto inducono in errore sulla sussistenza di un pericolo inesistente che la vittima invece si rappresenta come realizzabile ma di certo non si può far dipendere la qualificazione giuridica del fatto dall'esame diretto non ancora fortunatamente praticabile della psiche della vittima. 1.4.2. Può dunque essere affermato il seguente principio di diritto L'elemento atto a differenziare la condotta estorsiva da quella di truffa aggravata vessatoria deve cogliersi nelle modalità della condotta, valuta ex ante, che può qualificarsi come estorsiva se connotata dalla minaccia di un male concretamente realizzabile ad opera dello stesso agente ed altresì idonea a coartare la volontà della vittima, ponendola di fronte al bivio di sottostare al ricatto o subire le conseguenze dannose del male minacciato. La valutazione della capacità di concreta ed effettiva coazione della minaccia è indagine di merito, che deve essere effettuata prendendo in esame le circostanze del caso concreto, ovvero sia la potenza oggettiva della minaccia che la sua soggettiva incidenza sulla specifica vittima. Tale verifica, se congruamente e logicamente motivata dal giudice di merito, non è ulteriormente sindacabile nel giudizio di legittimità in questi esatti termini Sez. 2, numero 52121, del 25/11/2014, Rv. 261328 Sez. 2, n, 46084 del 21/10/2015, Rv. 265362 Sez. 2, numero 24624, del 17/7/2020, Rv. 279492 Sez. 2, numero 31433, del 3/11/2020, numero m. . 1.4.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente applicato tali principi, divisando invincibile effetto coercitivo in una minaccia credibile, per come rappresentata, cui la stessa persona offesa attribuì efficacia intimidatrice, tanto da cadere in uno stato di prostrazione immediatamente percepibile ab externo. 1.4.5. Alla luce della corretta qualificazione giuridica attribuita al fatto, la Corte territoriale ha altresì correttamente apprezzato gli elementi di fatto utilizzabili dichiarazioni della persona offesa e degli impiegati di banca ed ha quindi correttamente ritenuto che la condotta tenuta dal ricorrente nell'occorso ha concretamente contribuito a rafforzare nella vittima i timori in precedenza già attivati, volti a determinare l'offeso a compiere l'atto di disposizione patrimoniale, evitato solo per l'impegno dimostrato da persona estranea che si rese conto della condotta estorsiva in atto. 1.5. La medesima sorti avvince anche l'ultimo motivo di ricorso, speso in tema di valorizzazione dei precedenti al fine di apprezzare le condizioni legittimanti il riconoscimento della recidiva. La Corte ha infatti sul punto specificamente posto in relazione i precedenti, recenti e specifici, con la condotta per cui è processo, apprezzando la recente ricaduta quale indice evidente di accresciuto grado di colpevolezza e più intensa pericolosità sociale. Così dando conto della sussitenza dei presupposti e delle condizioni della ritenuta ed applicata recidiva qualificata. 2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.