La Suprema Corte torna sull’associazione a delinquere di stampo mafioso

I Giudici di legittimità affrontano una questione di stringente attualità, relativa alla propagazione di sodalizi criminali oltre i territori di originaria costituzione, impegnandosi a rintracciare indicatori tendenzialmente oggettivi, capaci di attribuire tassatività ad una fattispecie dalla multiforme concretizzazione, già all’origine connotata da queste criticità. Lo fanno pronunciandosi, al contempo, sulla compatibilità tra metodo mafioso e cooperazione artificiosa della vittima nel delitto di truffa.

Il caso. Il grado di legittimità origina dall'impugnazione dell'ordinanza con la quale il Tribunale della Libertà in Roma confermava il provvedimento cautelare che aveva posto in custodia carceraria, tra gli altri, una persona che avrebbe supportato l'infiltrazione nella Capitale della ‘ndrangheta , associazione mafiosa unitaria ma di matrice globale, mediante la condivisione del disegno criminoso tradottosi in molteplici reati fine, ivi compresi truffe, riciclaggio e di violazione delle legge sulle armi in concorso oltre a separate ipotesi delittuose in materia di stupefacenti non comprese nel programma del sodalizio . La difesa del ricorrente la impugna per Cassazione, deducendo sei articolati motivi, incentrati su erronea applicazione della norma penale, anche per l'incerto periodo di commissione dei fatti, e vizio motivazionale, in relazione al sillogismo con il quale, pur facendo leva su alcune presunzioni operanti in sede cautelare, si è correlata l'attività realizzata dai coindagati – per lo più afferente alla c.d. criminalità economica – all'associazione originaria alla invocata incompatibilità tra metodo mafioso ed una serie di azioni, sussunte nell'alveo del reato di truffa, consistite in successive ricariche di carte cc.dd. PostePay intestate a terzi concorrenti, disposte con la provvista che avrebbero dovuto incassare esercizi commerciali posti sotto sequestro, affinché i risultati di gestioni potessero incidere sulla futura destinazione delle aziende. La sentenza . La Sezione II – su parere difforme del Procuratore generale, che aveva chiesto che il ricorso fosse dichiarato inammissibile – rigetta l'impugnazione, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. L'Estensore opta per una ricostruzione compiuta dell'archetipo normativo delle associazioni mafiose , così come delineato dalla giurisprudenza di legittimità, che pur non consentendogli di contenere l' iter motivo risulta essenziale per comprendere la capacità camaleontica di simili gruppi delinquenziali, le cui differenti movenze in luoghi nei quali non si siano ancora radicati non ostano ad esprimere la ormai transazionale forza intimidatrice del vincolo, coniugata con la duttilità necessaria a scegliere, di volta in volta, l'approccio più efficace. È proprio questo l'interrogativo principale può ricondursi ad unità con l'associazione mafiosa di riferimento un gruppo di soggetti operanti in altri territori, con modalità dissimili da quelle usate nei luoghi in cui il fenomeno è, per così dire, endogeno? La configurabilità della consorteria mafiosa in nuovi contesti. Il nucleo della trama motivazionale s'impernia, per l'appunto, sull'effettiva possibilità di declinare – e dimostrare – gli elementi tipici dell'articolo 416- bis c.p., quando gli associati provino ad estendere il perimetro di operatività del sodalizio , spesso con piani diversi da quelli seguiti nella sede in cui l'organizzazione è nata diversità, che ostacola tanto un giudizio di correlabilità tra i diversi episodi nella prospettiva di intimidazione derivante dal vincolo, quanto, ciò che più conta, l'accertamento del fatto tipico. In quest'ottica, il Supremo Collegio espone i parametri essenziali, che si concretano se l'associazione, pur autonoma dal punto di vista organizzativo, denoti il «collegamento della nuova struttura territoriale con tale sodalizio attui una penetrante azione destinata ad “occupare” aree di mercato e produttive inquinando il relativo tessuto economico-sociale e sia mossa dalle stesse logiche della casa madre il modulo organizzativo distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, ecc. , in ragione del livello programmatico aggiunto, presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando ciò presagire il pericolo per l'ordine pubblico si spenda – eventualmente anche nei confronti di altre organizzazioni criminali parimenti presenti sul territorio – l'avvalimento della fama criminale conseguita, nel corso di decenni, nei territori di storico e originario insediamento sia dotata di mezzi pienamente idonei a sprigionare nel nuovo contesto, all'occorrenza, una forza intimidatrice propria dotata di effettività e obiettivamente riscontrabile». Ed infatti, sono proprio le doti di duttilità di organizzazioni criminali di questa portata a permetter loro di insinuarsi in comunità che, fino a poco tempo prima, potevano ritenersi immuni, restando centrate sull'obiettivo di portare sul campo un effettivo timore del sodalizio “madre”, generando profitto e sopraffazione senza destare l'attenzione degli attori di controllo sociale, oltre che, naturalmente, dell'Autorità Inquirente. La problematica compatibilità tra truffa e metodo mafioso. Ulteriore aspetto di interesse è quello relativo all'unico profilo del ricorso – unitamente alla protestata incerta individuazione del tempus commissi delicti da parte del Pubblico Ministero – che, secondo il Collegio, coglie nel segno, pur non conducendo, stante la fase in cui verte il procedimento a quo , all'accoglimento. Secondo la Cassazione, più in dettaglio, la contestazione del metodo mafioso non è compatibile con la truffa , quando questa si fondi «su una condotta artificiosa non minacciosa e nemmeno irresistibilmente “piegata”». In altre parole, se il soggetto passivo cooperi con l'agente non perché coartato dal condizionamento del vincolo associativo, ma influenzato dagli artifizi posti in essere, pur se vittima non è intimorito dalla minaccia, esplicita o implicita, ma indotto in errore. Conclusioni. La condivisibile decisione in commento interviene nel solco di consolidati orientamenti, tentando di bilanciare l'esigenza di garantire l'attualità del precetto, intercettando le variegate realtà in cui si manifestano oggi le mafie , mantenendo tassativo – e non ridondante – il catalogo dei comportamenti penalmente rilevanti esigenza tanto più forte in rapporto a pene elevate e prolungati periodi di custodia cautelare .

Presidente Rago - Relatore Ariolli Ritenuto in fatto 1. A.V. ricorre per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Roma del 3/06/2022 che ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere al ricorrente applicata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, in ordine ai delitti di cui all'articolo 416 bis, commi 2 e 4 partecipazione, con ruolo qualificato, alla c.d. locale romana della ‘ndrangheta , articolo 110 - 512 bis , 648 ter. 1 c.p. , articolo 640 c.p. , commi 1 e 2, numero 2, L. numero 895 del 1967, articolo 2 e 7, tutti aggravati ex articolo 416 bis.1 c.p. capi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 18, 19 , nonché di violazione della legge stupefacenti in concorso capo 54 . In particolare, il Pubblico ministero contesta all'indagato di avere preso parte, con un ruolo di direzione - nell'ambito dell'associazione di tipo mafioso unitaria denominata ‘ndrangheta, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria e delle altre province calabresi, sul territorio di diverse altre regioni italiane Omissis e sul territorio estero Omissis , costituita da molte decine di locali e con organo collegiale di vertice denominato La Provincia - all'articolazione dell'organizzazione operante nel comune di Roma c.d. locale di Omissis , dall'ottobre 2015 con condotta tutt'ora in atto , nonché, in concorso con altri, alla commissione di molteplici delitti fine, tra cui molteplici episodi di intestazione fittizia di attività commerciali capi da 4 a 14, con esclusione del 13 relativo ad un'ipotesi di autoriciclaggio e di violazione, in concorso, della legge armi capi 18 e 19 . Residua, infine, un'autonoma contestazione di violazione della legge stupefacenti capo 54 , non legata alla finalità di agevolare la locale romana. 2. La difesa del ricorrente, con diversi motivi, deduce 2.1. Erronea applicazione dell'articolo 416 bis c.p., nonché vizio di motivazione in ordine alla provvista indiziaria afferente agli elementi essenziali del delitto associativo in verifica. Richiamati i pregressi esiti giudiziari favorevoli al ricorrente con riguardo alle contestazioni di tipo associativo relative alla partecipazione alla ‘ndrangheta e alla realizzazione in territorio romano di delitti di intestazione fittizia volti ad agevolare la cosca di riferimento , elevate sia in sede di merito che di prevenzione, la difesa si sofferma sulla natura della fattispecie contestata, richiamando gli arresti giurisprudenziali più significativi in materia e, in particolare, sui requisiti di tipicità caratterizzanti il delitto di associazione di tipo mafioso, con particolare riguardo a quello oggettivo costituito dal metodo di cui i partecipi debbono avvalersi, termine che richiama la necessità che la capacità intimidatrice sia formata, esternata ed obiettivamente percepita. Con particolare riguardo alla locale si sottolinea, per come risultante dagli atti di indagine, l'assenza del controllo del territorio, tema che l'ordinanza impugnata aveva risolto in modo illogico ritenendolo non necessario in ragione della particolare estensione territoriale e sociale della città di Roma, fatto da cui invece se ne sarebbe dovuto semmai ricavare logicamente che la Capitale mal si presta ad essere controllata, seppur in senso non necessariamente militare, da un'associazione criminale. Inoltre, allorché si era cercato di far riferimento ad una articolazione territoriale di insistenza la zona dell' Omissis si era poi contraddittoriamente affermato che la locale avesse esteso i suoi interessi ad ampio raggio anche in altre zone della città. Venendo al metodo mafioso, richiamato l'orientamento di questa Corte secondo cui in tema di locale il mancato controllo del territorio non fa venir meno di per sé la capacità intimidatoria mafiosa, sottolinea come, nel caso di difetto di egemonizzazione, sia però necessario dimostrare in concreto la capacità intimidatoria mafiosa, con i necessari riflessi sulla natura diffusa di tale atteggiamento, da evincersi dalle condotte di terzi estranei che subiscano l'azione illecita, così dando conto di come il sodalizio abbia realizzato, nel contesto di riferimento, una capacità intimidatrice effettiva ed obiettivamente riscontrabile, da legarsi necessariamente ad una supremazia di tipo territoriale. Da qui l'impossibilità di carattere ontologico di riconoscere tali stimmate ad un'associazione che, per scelta elettiva non controversa, abbia del tutto omesso di cercare il controllo del territorio inteso in senso non militare. Si trattava di un tema, quello della verifica dell'assoggettamento e dell'omertà, del tutto omesso dall'ordinanza impugnata. Peraltro, si evidenzia come il principio di diritto richiamato dai giudici della cautela a proposito della locale - a mente del quale tale derivato consesso può qualificarsi di tipo mafioso in difetto della commissione dei reati fine e della esteriorizzazione della forza di intimidazione - sia stato reso da questa S.C. in sede cautelare, ma poi superato dalla fase di merito ove il giudizio assolutorio aveva rinvenuto conferma nell'arresto reso da Sez. 1, numero 51489 del 2019 che - in modo diacronico - ha affermato che la capacità di condizionamento mafioso del contesto sociale ed economico che il gruppo è in grado di sprigionare debba essere percepita dal territorio. Principio, peraltro, ribadito anche nella nota del Presidente aggiunto della S.C. che, proprio con riferimento a quel giudizio di merito, aveva restituito gli atti - rimessi dal Collegio alle S.U. sulla scorta di un ritenuto contrasto interpretativo in materia - rilevando come quando vengono in rilievo articolazioni periferiche di organizzazioni mafiose tradizionali la capacità di intimidazione può manifestarsi anche senza il ricorso a forme eclatanti, ma in ogni caso deve essere effettiva ed obiettivamente riscontrabile. Con la conseguenza che vanno relegati fuori dalla tipicità di fattispecie i casi in cui i componenti del gruppo abbiano soltanto la potenzialità di avvalimento di quella forza, ma non la sperimentino in concreto. Una conclusione, del resto, asseverata dalle stesse S.U. nella recente decisione Modaffari - che facendo leva sulla locuzione si avvalgono - ha escluso una ricostruzione della fattispecie in termini di reato associativo c.d. puro, ossia legato alla mera verifica della costituzione di un gruppo organizzato dotato di un programma criminoso da attuarsi con la forza intimidatrice del vincolo associativo e con lo sfruttamento delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano pur quando alcun effetto di intimidazione sia in concreto prodotto. In sostanza, non si può prescindere dal concreto esercizio della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e, quindi, dall'esperimento in concreto ed autonomo del metodo mafioso o dalla riconoscibilità esterna per effetto del collegamento organico e funzionale con la casa madre come proiezione della stessa associazione che è ormai diffusamente conosciuta e riconosciuta per la sua forza criminale c.d. fama criminale , strutturatasi nel tempo, di cui per traslazione si è portatori. In conclusione, anche in tema di locale, è oggettivamente indispensabile che la nuova struttura, costituita fuori dal territorio storicamente di elezione, sprigioni, nel nuovo contesto sociale, una forza intimidatrice effettiva ed obiettivamente riscontrabile di talché la locale deve essere riconoscibile dall'esterno attraverso il comportamento di terzi consociati nei quali deve ingenerarsi l'assoggettamento e l'omertà. In difetto di egemonizzazione del territorio deve essere fornita consistente prova indiziaria atta dimostrare in concreto la capacità intimidatoria mafiosa. Di tali principi l'ordinanza impugnata non aveva fatto corretta applicazione. Anche le acquisizioni commerciali operate dal ricorrente - che rappresenterebbero gli unici momenti in cui l'attività del presunto sodalizio si sarebbe proiettata verso l'esterno - non avevano mai condotto a ritenere che le trattative e le compravendite fossero state compiute nell'ambito di un rapporto sbilanciato tra cedente e cessionario, in cui il primo potesse essere stato assoggettato al secondo in ragione della sua presunta forza intimidatrice o fama criminale, pur manifestabile, in ipotesi, anche senza il ricorso a forme eclatanti o violente. 2.2. Con particolare riguardo, poi, alla posizione attribuita al ricorrente di partecipe della locale con ruolo direttivo, si evidenzia - l'assenza dell'individuazione del collegamento organico e funzionale con la casa madre operante nei territori elettivi di origine, quale antecedente fattuale necessario per farne derivare l'appartenenza alla locale. Si era richiamata l'esistenza della cosca A., sulla scorta di precedenti giudiziari, senza alcun riferimento alla sua attuale operatività, ponendone in collegamento il ricorrente, nonostante i precedenti giurisdizionali assolutori sulla scorta di una pleonastica origine anagrafica, quale elemento volto anche a supportare la sua fama criminale - si era attribuito al ricorrente e al promotore C.A. doti di ‘ndrangheta di alto livello, nonché un ruolo significativo nel dirimere e risolvere le questioni di maggiore importanza dell'articolazione romana, omettendo di citarne gli elementi dimostrativi né all'uopo poteva ritenersi legittimo il richiamo al contenuto delle intercettazioni e delle argomentazioni illustrate nelle ordinanze de libertate emesse a carico di altri coindagati ricorrenti, in quanto non ostensibili all'indagato - le intercettazioni citate erano successive all'aprile 2018, ossia al momento in cui gli indagati, attraverso il rinvenimento di una microspia, avevano avuto contezza di essere intercettati, di talché il riferimento alla naturalezza e genuinità del contenuto dei colloqui era pleonastico - quanto al rilievo della mangiata del 15/10/2017, a cui l'indagato non aveva partecipato, si era valorizzato - sulla scorta del principio secondo cui a detti consessi non potessero partecipare che mafiosi - il fatto di essere stato invitato, disattendendo però l'ulteriore rilievo che il ricorrente avesse deciso di non prendervi parte, comportamento che poteva anche ascriversi ad una manifesta volontà di dissociarsi. In conclusione, la storia giudiziaria di A. sempre prosciolto e l'assenza alla mangiata dimostravano l'assenza del suo collegamento con l'omonima cosca di ‘ndrangheta e la partecipazione alla locale romana. Si evidenzia, poi, che l'assenza nella contestazione dell'appartenenza del ricorrente anche alla casa madre - essendo questa limitata soltanto alla locale precluda al nuovo consesso di avvalersi della forza di intimidazione da questa intrinsecamente o geneticamente derivante, occorrendo, pertanto, dimostrare che la stessa locale sia dotata ex se di tale elemento. Ne' le attività commerciali intraprese dal ricorrente potevano ritenersi espressive dell'operatività della locale di ‘ndrangheta ovvero sintomatiche di avvalimento della c.d. fama criminale che si attribuisce al cognome, in quanto semmai volte ad eludere, mediante l'intestazione fittizia a terzi, l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali in un'ottica di continuità con quanto dallo stesso ricorrente compiuto nel passato per come giudizialmente accertato. Di conseguenza, non si poteva far leva sui reati fine articolo 512 bis c.p. per dimostrare il possesso della capacità criminale ovvero quali indici e/o modalità di esternazione del vincolo. E ciò tanto più in assenza di elementi dimostrativi che quelle acquisizioni commerciali siano avvenute attraverso il metodo mafioso. Inoltre, l'affermazione che la ‘ndrangheta nel contesto romano abbia abdicato ad un controllo fisico del territorio in favore di un'aggressione dello spazio economico-finanziario e, dunque, si discosti dai tratti salienti ed individualizzanti dalla mafia storica di riferimento, preclude che a detta compagine possa allora farsi riferimento per trarre gli elementi di tipicità di cui è carente la locale stessa la locale non ne replica i precipui tratti distintivi . A proposito degli elementi dai quali i giudici della cautela hanno ricavato l'esercizio della forza di intimidazione, se ne sottolinea, con particolare riguardo di quelli relativi al ricorrente, l'assenza di capacità dimostrativa - il riferimento captativo alla carovana per fare la guerra inteso quale disponibilità di un cospicuo numero di sodali era privo per un verso dell'accertamento della provenienza mafiosa e, per altro, unicamente riferibile al settore di concorrenza imprenditoriale a cui tale espressione era diretta A. versus gruppo V. - la disponibilità delle armi non era, come invece affermato dal Tribunale del riesame, ostentata verso terzi. Analogamente era a dirsi con riferimento alle dichiarazioni del coindagato P., prive di efficacia intimidatoria e semmai espressive di millanteria, ovvero alle stesse affermazioni del ricorrente che erano state tratte dalle intercettazioni va educato anche questo di difficile intellegibilità quanto alla portata e significato. Altrettanto prive di efficacia intimidatoria erano quelle ricavate dalle vicende A. e F.- M. da un lato, ed A. ed i referenti familiari di alcune cosche di Omissis dall'altro, nonché dalle conversazioni tra altri soggetti specificamente menzionati, dalla vicenda del credito vantato dalla Omissis s.r.l. nei confronti di soggetti contigui al clan F. di Omissis . 2.3. Erronea applicazione dell'articolo 416 bis c.p., commi 4 e 5, e vizio di motivazione in ordine alla provvista indiziaria, stante la mancanza di elementi, anche di carattere argomentativo, in ordine all'attribuzione alla c.d. costola A. di avere perseguito il suo scopo, ossia l'acquisizione di attività commerciali, attraverso l'uso delle armi rinvenute nella disponibilità esclusiva del coindagato P Capo 3 dell'imputazione provvisoria . 2.4. Violazione ed erronea applicazione dell' articolo 640 c.p. , comma 2, in relazione alla insussistenza del danno patrimoniale cagionato allo Stato e derivante dalle condotte decettive commesse ai danni dell'amministrazione giudiziaria del compendio aziendale Omissis restituito agli aventi diritto in forza dell'annullamento del decreto di confisca di prevenzione - adottato dal Tribunale di Reggio Calabria - ad opera della Corte di appello di Reggio Calabria con dispositivo del 13/11/2018 . Quanto alle condotte artificiose che, mediante il sistema di ricariche postepay sarebbero state poste in essere nell'ambito della gestione dell'azienda Omissis non si era chiarito, ai fini dell'individuazione del danno in frode allo Stato 1 se e in che misura l'amministratore giudiziario avesse dovuto fare ricorso, per mancanza di fondi propri delle società sequestrate, ad anticipazioni poste a carico dello Stato al fine di far fronte alle spese di giustizia o di gestione comunque ingeneratesi, che in conseguenza della revoca della confisca sono comunque poste dalla legge a carico dello Stato 2 se e in quale misura possa dirsi che la deminutio patrimonii sia costituita dal tantundem dell'ingiusto profitto, tenuto conto dell'esito del sequestro determinato dal provvedimento di annullamento emesso dalla Corte d'appello di Reggio Calabria e di quanto, per l'effetto, deve ritenersi alla luce del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 37, comma 3, articolo 41, comma 3, e articolo 42, comma 3. La censura investe la mancata dimostrazione del danno la cd. deminutio patrimoni conseguente alle condotte decettive ipotizzate, ravvisato in quello subito dall'amministrazione giudiziaria sotto il profilo delle spese anticipate dallo Stato spese di giustizia conseguente al deficit di gestione, in assenza dell'indicazione di anticipazioni poste a carico dell'Erario sui relativi capitoli del Ministero della Giustizia , con la conseguenza che il danno, rapportato all'importo oggetto di contestazione quale ingiusto profitto, finiva per essere rappresentato dal lucro cessante. Anche laddove si ravvisi il danno nella distrazione del patrimonio aziendale con riguardo alle somme oggetto di indebiti prelevamenti effettuati con le condotte decettive descritte nell'imputazione, la deminutio non si sarebbe verificata ai danni dello Stato, che visto l'esito rescindente del procedimento di prevenzione non ha mai avuto disponibilità di quelle somme. 2.5. Violazione ed erronea applicazione dell' articolo 640 c.p. , comma 2, in relazione alla insussistenza del danno patrimoniale cagionato allo Stato e derivante dalle condotte decettive commesse ai danni dell'amministrazione giudiziaria del compendio aziendale Omissis . Anche in tal caso si lamenta l'assoluta carenza di precise indicazioni in ordine alla sussistenza della diminutio patrimoni per le casse dello Stato, determinatasi in danno della gestione dei beni sequestrati riferita all'esercizio commerciale, ospitante attività di ricevitoria e di bar per la società Omissis . Non si era chiarito se l'amministrazione giudiziaria avesse dovuto ricorrere, a causa delle ipotizzate appropriazioni derivanti dalle condotte truffaldine, a fondi pubblici per fronteggiare spese di giustizia o di gestione di qualsiasi natura, né si erano spesi argomenti utili per ricondurre la consistenza del danno patrimoniale all'ingiusto profitto conseguito dagli indagati. 2.6. Violazione ed erronea applicazione dell' articolo 640 c.p. , non essendovi stata alcuna cooperazione artificiosa della vittima, mancando l'identità tra il soggetto passivo del raggiro ed il soggetto passivo del presunto danno, richiedendo la fattispecie che la deminutio debba incidere sul patrimonio del medesimo soggetto indotto in errore. Nel caso di specie, l'amministrazione giudiziaria, indicata come soggetto passivo, non aveva cooperato artificiosamente e non aveva posto in essere gli atti di disposizione patrimoniale, assumendosi, infatti, secondo l'editto accusatorio, che gli indagati, di concerto tra loro, hanno operato accrediti sulle carte postepay e prelevato il denaro contante, così appropriandosene. Si trattava, dunque, di un'aggressione unilaterale priva del necessario completamento ad opera del soggetto passivo. 7-8. Violazione ed erronea applicazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. rispetto alla contestata aggravante nelle sue declinazioni del metodo e dell'agevolazione. Mancava l'indicazione di elementi dimostrativi della necessaria interferenza del metodo con le condotte decettive contestate operandosi una sorta di traslazione tra gli elementi indiziari a corredo dell'ipotesi associativa , posto che si dava atto che gli stessi amministratori giudiziari non si fossero neppure resi conto delle condotte perpetrate dagli indagati, nonché ad ancorare il dolo del ricorrente a tale precipua finalità agevolatrice. Inoltre, posto che l'ordito truffaldino rinviene la sua genesi in un arco temporale dal 6 novembre 2012 al 31 dicembre 2018 antecedente alla costituzione della locale collocabile nella seconda metà del 2016 , non si erano spiegate le ragioni che avrebbero determinato un mutamento delle finalità sottese all'illecito meccanismo così ideato e proseguito. Considerato in diritto Ritiene il Collegio che il ricorso non sia fondato. 1. La difesa, con riferimento al delitto di cui all'articolo 416 bis c.p., ha censurato, tanto sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, la ritenuta riconducibilità della cd. locale di Omissis al paradigma del sodalizio di stampo mafioso. In particolare, il rilievo attiene all'assenza, in capo alla locale di Omissis , dell'elemento di fattispecie costituito dalla forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, richiedendo la disposizione censurata che l'associazione abbia conseguito, nell'ambiente territoriale nel quale essa opera, un'effettiva capacità di intimidazione, sino a estendere intorno a sé un alone di paura diffusa, oggettivamente percepibile, a prescindere dai singoli comportamenti o atti di violenza o minaccia realizzati da questo o quell'associato. Al riguardo, è noto che la fattispecie associativa delineata dall'articolo 416 bis c.p., è stata introdotta nel sistema dei reati associativi per colmare quello che appariva essere un deficit di criminalizzazione di realtà associative più complesse delle ordinarie associazioni criminali, in quanto storicamente dedite alla sopraffazione di un determinato territorio per il conseguimento di obiettivi di potere e di utilità economica. Il legislatore, peraltro, non si è limitato a registrare realtà talvolta secolari già presenti, come la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la Sacra corona unita , ecc., da tempo dotate di un nomen localisticamente connotativo particolare importante perché evocativo del sincretismo che normativamente caratterizza il binomio associazione mafiosa e territorio , con correlativi insediamenti, articolazioni periferiche, prestigio, e fama criminale da spendere come arma di pressione nei confronti dei consociati, ma ha anche aperto un indefinito ambito operativo, per così dire parallelo , destinato a perseguire tutte le altre aggregazioni anche straniere che, malgrado prive di un nomen e di una storia criminale, utilizzino metodi e perseguano scopi corrispondenti alle associazioni di tipo mafioso già note da ultimo, con riguardo alle cd. mafie di nuova costituzione v. Sez. 2, numero 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, F., Rv. 278745 - 02 . Tuttavia, con riferimento alle finalità perseguite, gli elementi tipizzanti le varie compagini criminali sono fra loro eterogenei, in quanto gli scopi avuti di mira dalle associazioni di stampo mafioso possono essere i più vari. Essi, infatti, spaziano dalla tradizionale realizzazione di un programma criminale - tipica di tutte le associazioni per delinquere - allo svolgimento di attività in sé lecite, come l'acquisizione, in modo diretto o indiretto, della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici alla realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti all'impedimento o all'ostacolo del libero esercizio del diritto di voto o per procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Un mosaico dunque, di finalità, tanto ampio che mal si concilia con l'individuazione di un elemento specializzante che possa definire il concetto di tipo mafioso . Deve ritenersi, invece, che il nucleo della fattispecie incriminatrice si collochi nell'articolo 416 bis c.p., comma 3, laddove il legislatore definisce, assieme, metodo e finalità dell'associazione mafiosa - in sostanza, quelle finalità che si qualificano solo se c'e' uno specifico metodo che le alimenta - delineando in tal modo un reato associativo non soltanto strutturalmente peculiare, ma, soprattutto, a gamma applicativa assai estesa, perché destinato a reprimere qualsiasi manifestazione associativa che presenti quelle caratteristiche di metodo e fini. Per questo le associazioni che non hanno una connotazione criminale qualificata sotto il profilo storico , dovranno essere analizzate nel loro concreto atteggiarsi, in quanto per esse non basta la parola il nomen di mafia, camorra, ‘ndrangheta, ecc. ed è evidente, che, in questa opera di ricostruzione, occorrerà porre particolare attenzione alle peculiarità di ciascuna specifica realtà delinquenziale, in quanto la norma mette in luce un problema di assimilazione normativa alle mafie storiche che rende necessaria un'attività interpretativa particolarmente attenta a porre in risalto simmetrie fenomeniche tra realtà fattuali, sociali ed umane, diverse fra loro cfr. Sez. 2, sentenza numero 10255 del 2019, cit. . Diverso, invece, è il caso delle c.d. locali di ‘ndrangheta, ove assume particolare rilievo il collegamento della struttura territoriale con la casa madre. Infatti, proprio in forza dell'adozione di un modulo organizzativo che ne riproduce i tratti distintivi, caratterizzandone l'intrinseca essenza e perciò lasciando presagire il pericolo per l'ordine pubblico, si è affermato che il reato di cui all'articolo 416 bis c.p., è configurabile anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice. Con particolare riguardo ad un'articolazione in una cittadina svizzera di un clan della ‘ndrangheta radicato in Calabria, questa Corte i legittimità ha osservato che i moderni mezzi di comunicazione propri della globalità hanno reso noto il metodo mafioso proprio della ‘ndrangheta anche in contesti geografici un tempo ritenuti refrattari o insensibili al condizionamento mafioso, per cui non è necessaria la prova della capacità intimidatrice o della condizione di assoggettamento o di omertà, in quanto l'impatto oppressivo sull'ambiente circostante è assicurato dalla fama conseguita nel tempo dalla consorteria cfr., Sez. 5, numero 28722 del 24/5/2018, Demasi, Rv. 273093 - 01 Sez. 2, numero 24850 del 28/03/2017, Cataldo e altri, Rv. 270290 - 01 Sez. 2, numero 31920 del 04/06/2021, PG c/Alampi, Rv. 281811 - 01 . Ciò premesso, non vi è dubbio che le peculiarità della vicenda oggetto del presente procedimento comportano la necessità di alcune puntualizzazioni che si riflettono tanto sul concetto di metodologia mafiosa che di struttura associativa delocalizzata . L'ordinanza oggetto di ricorso ha puntualmente messo in luce come la metodologia mafiosa che fa capo ad associazioni a diffusione variegata sul territorio nazionale si saldi a doppio filo con la natura delle attività che costituiscono il fine del sodalizio stesso. Altro è infatti misurare il concetto di forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva ove il fine cui questa metodologia e questo stato di fatto sono orientati sia rappresentato dalla commissione di specifici fatti criminali altro è analizzare gli stessi connotati tipizzanti ove invece il fine perseguito sia quello di operare una ulteriore locupletazione dell'associazione attraverso l'assunzione o il controllo di attività economiche in sé in tutto lecite. In tale prospettiva, risulta evidente come la manifestazione esteriore del sodalizio abbia connotati e caratteri di appariscenza differenziati, in quanto la illiceità che permea ontologicamente il fine, ove questo sia delittuoso, non altrettanto si caratterizza nella ipotesi in cui la locale intenda perseguire finalità di investimento, locupletazione e accrescimento delle potenzialità economiche dell'intero gruppo. In altri termini, l'ormai diffuso concetto di locale che caratterizza le estrinsecazioni per così dire extra-moenia delle varie organizzazioni ‘ndranghetiste assume i connotati non di una semplice delocalizzazione del gruppo madre, ma di una realtà che, pur permanendo stretti vincoli rispetto alla associazione di origine, ha pur sempre un connotato di autonomia strutturale, funzionale e operativa che finisce per autoalimentarsi, ma al tempo stesso per manifestare all'esterno la capacità diffusiva di un'organizzazione così peculiarmente articolata. Problematica questa non ignota alla giurisprudenza di questa Suprema Corte che, in più occasioni, si è soffermata sulla c.d. articolazione cellulare delle organizzazioni di stampo terroristico eversivo, ove la riconducibilità della cellula figlia al tipo delineato dall'articolo 270 bis c.p., si deve principalmente alla sua natura strumentale rispetto alla realizzazione degli obiettivi criminali perseguiti dall'organizzazione madre , sia pure attraverso un rapporto di tipo smaterializzato Sez. 2, numero 7808 del 04/12/2019, dep. 2020, EI Khalfi, Rv. 278680 - 02 . Da ciò può già desumersi un primo corollario. Come chiaramente emerge dallo stesso tenore delle intercettazioni telefoniche e dai singoli fatti sintomatici puntualmente indicati nell'ordinanza cautelare e nel provvedimento oggetto di ricorso, la locale romana è stata costituita con l'evidente beneplacito della casa madre , la cui fama ed il cui prestigio non possono essere messi in discussione sulla scorta dei diversi giudicati al riguardo intervenuti e in forza dell'esito degli altri procedimenti richiamati, con l'ovvia conseguenza che il modo di essere delle penetrazioni in variegati settori economici fosse per un verso finalizzato alla occupazione dei diversi settori presi di mira, mentre sotto altro profilo è proprio quel prestigio e quelle modalità di occupazione a rendere emblematico l'impiego di una metodologia tipica di quella consorteria e non certo ignota a quanti con essa avevano a che fare. Emblematico a questo riguardo il rapporto non conflittuale che la locale intendeva stabilire con altre organizzazioni criminali insistenti sul territorio romano proprio per consentire un'attività la meno appariscente possibile di penetrazione e di controllo di settori sempre più vasti della economia cittadina, in aderenza, per come riferito dai collaboratori di giustizia, anche con la scelta deliberata dalle stesse storiche organizzazioni criminali di stampo mafioso, al fine di evitare una conflittualità che poteva nuocere agli affari. In questo quadro di riferimento è evidente come non si richiedessero espliciti atteggiamenti di eclatante intimidazione, di coercizione o comunque di violenza in quanto l'obiettivo non era e non è quello della sopraffazione fisica o morale di quanti venivano in contatto con i vari personaggi della locale, ma all'inverso, quello di consentire l'appropriazione di settori economici che escludessero di fatto un fisiologico libero mercato a tutto vantaggio di una gestione seppur settoriale di tipo monopolistico . Il modello di insediamento dell'associazione storica di riferimento si adatta, pertanto, alla nuova realtà sociale ed economica di riferimento, venendo, pertanto, ad arricchirsi di un ulteriore contenuto, allo stesso modo invasivo e pervasivo. Di conseguenza, viene in rilievo il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui la reale connotazione delle forme di delocalizzazione delle mafie storiche e della ‘ndrangheta in particolare - in ragione delle peculiarità strutturali, organizzative ed operative - connotata da forme di vere e propria colonizzazione dei territori nei quali essa decide di estendere la propria forza egemonica, risiede nell'intrinseca, e non implicita, forza di intimidazione derivante dal collegamento con le componenti centrali dell'associazione mafiosa, dalla riproduzione sui territori delle tipiche strutture organizzative della ‘ndrangheta, dall'avvalimento della fama criminale conseguita, nel corso di decenni, nei territori di storico ed originario insediamento Sez. F, numero 56596 del 03/09/2018, P.G. c/Balsebre, Rv. 274753 - 01 Sez. 2, numero 31920 del 04/06/2021, PG c/Alampi, Rv. 281811 - 01 cfr. pure Sez. 2, numero 27808 del 14/03/2019, Furnari la esteriorizzazione della forza di intimidazione come manifestazione percepibile del metodo mafioso delle associazioni riconducibili al paradigma normativo previsto dall'articolo 416 bis c.p., è necessaria solo ove il gruppo criminale debba accreditarsi nel contesto sociale nel quale intende operare e non quando sì ricolleghi chiaramente ad una organizzazione storica, della quale eredita il capitale criminale nonché Sez. 2, numero 12362 del 02/03/2021, Mazzagatti, Rv. 280997 01 Sez. 5, numero 28722 del 24/05/2018, Demasi, Rv. 273093 - 01 Sez. 2, numero 24850 del 28/03/2017, Cataldo, Rv. 270290 Sez. 5, numero 7575 del 25/11/2021, dep. 2022, Cutano, non mass. . Di tali condizioni l'ordinanza impugnata risulta avere dato motivatamente atto si è evidenziato come la locale romana tragga la sua origine dalla casa madre, secondo un progetto che si deve al promotore C.A., appositamente autorizzato dalla Provincia in virtù dei suoi stretti legami e dell'appartenenza con la casa madre, giudizialmente accertata che la locale mantiene i contatti con la casa madre, cui faceva riferimento per il mantenimento degli equilibri generali, per il controllo delle nomine, per l'ottenimento del nulla osta ai fini del conferimento delle cariche e per la risoluzione di eventuali controversie sono descritte le modalità operative tipiche dei consessi di ‘ndrangheta, quali il possesso ed il conferimento di doti, le mangiate quali apposite riunioni per discutere di questioni di cosca, la distribuzione gerarchica dei ruoli, l'esistenza di una specifica struttura organizzativa e logistica il possesso di armi l'inquinamento diffuso, anche mediante la commissione di reati-tipo, del tessuto economico in variegati settori commerciali. Inoltre, a corredo di una lettura comunque ancorata ai requisiti di tipicità della fattispecie, il Tribunale del riesame ha comunque evocato indici particolarmente significativi di esteriorizzazione del metodo, richiamando molteplici episodi di paura - alcuni dei quali persino sfociati in contestazioni di delitti fine caratterizzati dall'uso di minaccia e violenza in relazione ai quali è stata emessa la misura cautelare - che il Tribunale risulta avere letto in senso unitario in aderenza alla contestazione, in quanto coesi dal comune denominatore della forza di persuasione della ‘ndrangheta e della finalità di agevolazione del consesso romano. A ciò si è aggiunto l'ulteriore dato, di spiccato rilievo, costituito dal rapporto con altre consorterie mafiose che insistono sul territorio romano e di carattere variegato, ove le interlocuzioni tra i vari personaggi avvengono notoriamente su un piano paritario di reciproco riconoscimento. Un dato, questo, di chiara percezione esterna di come la locale romana fosse accreditata nel contesto in cui intendeva operare quale articolazione dotata, stante il collegamento con la casa madre, di un capitale criminale concretamente ed all'occorrenza pienamente spendibile a tale proposito non priva di rilievo è la disponibilità armi sulla rilevanza, quale indice dimostrativo di operatività e riconoscibilità della cosca delocalizzata, dellnapprezzata rilevanza nei rapporti con altri gruppi o soggetti criminali , Sez. 6, numero 6933 del 04/07/2018, dep. 2019, Audia, Rv. 275037 - 01 . Lungi, dunque, dall'operare una lettura sociologica della fattispecie, il Tribunale del riesame non si è arrestato alla constatazione dell'esistenza di un gruppo a vocazione ‘ndranghetista, ma ha ricercato indici di intrinseca forza mafiosa non soltanto potenziali, ma concretamente spendibili e all'occorrenza spesi, valorizzando dati di fatto, ricavati anche dal compendio intercettivo, del tutto coerenti con tali premesse di fatto, così superandosi, in tal modo, anche le obiezioni di una ricostruzione della fattispecie in termini di reato associativo c.d. puro, privo di quegli aspetti di necessaria dinamicità secondo l'insegnamento delle Sezioni unite Modaffari sentenza numero 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889-01 . E di ciò ha dato conto con motivazione congrua e scevra da vizi logici. Di conseguenza, il riferimento all'assenza di un controllo effettivo del territorio romano non scalfisce, in punto di corretta applicazione della disposizione di cui all'articolo 416 bis c.p., l'ordinanza impugnata, in quanto l'ampiezza della città e la sua complessità sociale mal si prestano ad una colonizzazione del tipo di quella che le organizzazioni mafiose di provenienza esercitano nei territori di origine, cedendo, invece, il passo ad una forma di tipo differente, consistente nella colonizzazione del tessuto economico. Un dato, questo, che non pare affatto distonico rispetto al modello proprio ed autoctono dell'organizzazione criminale di riferimento, in quanto la ‘ndrangheta - per come anche asseverato da noti procedimenti giudiziari e recenti decisioni di questa Suprema Corte Sez. 2, numero 39774 del 7/05/2022, Aiello, non mass. , nonché sottolineato dalle Relazioni della Commissione parlamentare antimafia - si è mossa negli ultimi anni accaparrandosi progressivamente intere porzioni imprenditoriali nelle forniture, nel settore della ristorazione, nell'ambito del gioco ha immesso capitali enormi che hanno alterato profondamente l'economia legale, ma che al tempo stesso garantiscono a queste strutture mafiose posizioni dominanti attraverso cui affidare il sostegno ai propri sodali e il riflusso del denaro pronto ad essere reinvestito. La circostanza che l'obiettivo di predominio economico-imprenditoriale venga perseguito dalla ‘ndrangheta, nella città di Roma, attraverso modalità differenti che risultano adattate al contesto sociale e territoriale di riferimento non elide l'identità di locale del sodalizio, in quanto, per come precisato dal giudice del merito, tale articolazione - che della casa madre replica i tratti salienti distintivi è con essa collegata ed opera nell'ambito di un condiviso disegno di conquista del tessuto economico e sociale della città. Connotazioni di carattere strutturale e finalistico, dunque, che ne mettono in risalto la differenza con l'alternativa fattispecie comune e che risultano, sul piano del disvalore, conferenti con la oggettività giuridica, a carattere molteplice, che caratterizza la fattispecie di stampo mafioso. Infine, le osservazioni difensive che fanno leva sulla autonomia precettiva delle figure di reato che alternativamente si renderebbero tipiche, quali il riciclaggio, il reimpiego e/o la intestazione fittizia di beni seppure aggravati ai sensi dell' articolo 416-bis. 1 c.p. , si rivelano non decisive, in quanto è proprio dalla richiamata ipotizzabilità di queste figure di reato che, ove evocate - come nella specie - a vero e proprio sistema operativo funzionale alla esistenza stessa della locale romana, possono essere coerentemente dedotti fattori indicativi di una metodologia e di una operatività squisitamente riconducibili al metodo mafioso che la difesa contesta. In conclusione, la censura difensiva deve essere disattesa alla stregua del seguente principio di diritto il reato di cui all'articolo 416 bis c.p., è configurabile - con riferimento ad una nuova articolazione periferica c.d. locale di un sodalizio mafioso operante in un'area di competenza caratterizzata da particolare vastità spaziale e sociale - anche in difetto della replica del peculiare modello di insediamento dell'associazione mafiosa di riferimento, qualora pur mantenendo un'autonomia organizzativa, emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con tale sodalizio attui una penetrante azione destinata ad occupare aree di mercato e produttive inquinando il relativo tessuto economico-sociale e sia mossa dalle stesse logiche della casa madre il modulo organizzativo distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, ecc. , in ragione del livello programmatico raggiunto, presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando ciò presagire il pericolo per l'ordine pubblico si spenda eventualmente anche nei confronti di altre organizzazioni criminali parimenti presenti sul territorio - l'avvalimento della fama criminale conseguita, nel corso di decenni, nei territori di storico e originario insediamento sia dotata di mezzi pienamente idonei a sprigionare nel nuovo contesto, all'occorrenza, una forza intimidatrice propria dotata di effettività e obiettivamente riscontrabile. 2. Infondate sono anche le censure sollevate in ordine alla gravità indiziaria della condotta di partecipazione del ricorrente alla locale romana. Al riguardo, deve evidenziarsi che la contestazione elevata dal Pubblico ministero e recepita dal Giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza applicativa della misura custodiale, localizza l'attività dell'associazione de qua in Roma dall'ottobre 2015 con condotta tutt'ora in atto ed il Tribunale del riesame fa riferimento a detto territorio come base dell'organizzazione, nonché luogo ove si sono svolte le attività di programmazione e ideazione e dove è concentrata la direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio di riferimento. Pur ricordando il carattere unitario della ‘ndrangheta, così come venuto a delinearsi anche nell'evoluzione giurisprudenziale di questa Suprema Corte Sez. 1, numero 55359 del 17/06/2016, P.G. in proc. Pesce, Rv. 269040 - 01 , i giudici di merito evidenziano come C.A., dopo avere ricevuto l'autorizzazione dalla Provincia, avesse ideato e pianificato la locale a Roma, che dirigeva poi con A.V. che ivi vi era già radicato , luogo in cui il sodalizio materialmente operava anche con riferimento alle azioni delittuose che commetteva reati-fine ed in cui poi avvenivano le riunioni ed i conferimenti di dote, mantenendo contatti con le articolazioni radicate in Calabria tra cui, in particolare, quelle di Omissis e Omissis . Nella ricostruzione operata dall'ordinanza impugnata la locale romana, totalmente legittima in quanto costituita previa autorizzazione della Provincia, aveva una sua piena autonomia operando nella Capitale dove venivano commessi i reati fine che ne erano la stessa ragione di sussistenza e dove veniva programmata e ideata l'associazione anche con riferimento al programma delittuoso principalmente volto all'inquinamento del tessuto economico-imprenditoriale. Si sono poi richiamati, in punto di fatto, anche episodi, dettagliatamente ricostruiti, che dimostrano come il sodalizio si fosse costantemente manifestato nell'ambito locale romano anche con riferimento alla forza di intimidazione che gli derivava dall'essere una locale di ‘ndrangheta. E in tale contesto si è messa in risalto la figura del ricorrente, quale soggetto dotato di un ruolo qualificato sullo stesso piano del C.A. che è indicato esserne il promotore che capeggia una costola del sodalizio formata da adepti al medesimo direttamente riferibili e con cui il C.A. è tenuto ad interloquire su questioni primarie dell'associazione, tra cui il conferimento di doti . Dall'esito delle intercettazioni se ne è ricavato come il ricorrente costituisca un punto di riferimento non solo per i sodali, ma anche per altri soggetti appartenenti ad altre organizzazioni criminali di stampo mafioso che sono presenti sul territorio romano e che ivi intendono investire, di cui si serve per riscuotere crediti delle attività commerciali fittiziamente intestate in particolare si citano quelli della Omissis s.r.l. o per ottenere vantaggi illeciti nel settore ittico o in quello del ritiro delle pelli e degli olii esausti. Si sono poi indicati anche i rapporti con personaggi di vertice delle cosche F.- M. e F., i componenti delle cosche di Omissis , nonché, unitamente al C., con la locale di ‘ndrangheta di Omissis e Omissis . E nell'ambito associativo sono state collocate le iniziative economiche intraprese dal ricorrente, nonché le ipotesi di truffa aggravata e quelle legate alla violazione della legge armi in concorso con il sodale P Di conseguenza, nessuna diretta interferenza probatoria assumono, rispetto alle vicende contestate nel presente procedimento con le precisazioni che saranno di seguito svolte a proposito della contestazione dei delitti di truffa aggravata , i precedenti giudicati assolutori pronunciati nei confronti del ricorrente, in quanto sia il reato associativo che i molteplici delitti fine contestati risultano temporalmente successivi ed espressivi di una strategia differente. Il Tribunale del riesame, infatti, ha specificamente collocato l'attività di delinquente economico del ricorrente definizione contenuta nei provvedimenti cautelari su cui si fondavano i proscioglimenti, nell'ambito dell'iniziativa associativa promossa dal C.A Pertanto, quella condizione prettamente imprenditoriale seppur caratterizzata da finalità di interposizione fittizia che aveva portato, tanto i giudici del Tribunale di Palmi che la Corte di appello di Roma, a leggere le iniziative economiche assunte dall'indagato illo tempore nel territorio romano come svincolate dalla finalità di agevolare le cosche calabresi di riferimento, risultano, allo stato, prive della necessaria attualità e continenza, proprio perché superate da una lettura che le riconduce, in forza degli elementi tipici di disvalore enunciati, a modalità di inquinamento mafioso del tessuto economico. E ciò in aderenza a quel disegno perseguito dal C. che - per come precisato anche nel capo di imputazione provvisorio - collima con le strategie della ‘ndrangheta di realizzare un'aggressività latente , ma costante nei settori vitali del commercio, in quanto del tutto consona al tipo di territorio e contesto sociale ed economico di riferimento, quale quello costituito dalla città di Roma. Con la conseguenza che, così precisato l'ambito della contestazione, va escluso, ai fini dell'affermata partecipazione alla locale romana, qualsiasi rilievo di tipo suggestivo al dato anagrafico costituito dalla cosca A., posto che la stessa ordinanza impugnata, pur facendovi storicamente riferimento allorché evidenzia gli elementi di collegamento con la casa madre attribuendo tanto al C. che al ricorrente elevatissime doti di ‘ndrangheta - circostanza che pare rica V. dal fatto che entrambi possono a loro volta conferirne in loco e dalla capacità di intervento di entrambi su questioni di ‘ndrangheta di Omissis il riferimento è alla vicenda della cd. fermata di C.D., padre di A., reo di trascuranza verso il capo della locale calabrese - si premura di precisare come tale ruolo debba collegarsi con il dato temporale della venuta di C. a Roma e dell'organizzazione, da parte di costui, della locale romana, previa autorizzazione di là sotto , ossia della cosca madre calabrese. Con riguardo, poi, alla valenza indiziaria degli elementi declinati a sostegno della condotta di partecipazione del ricorrente con ruolo qualificato nella locale romana, le censure difensive mirano, attraverso una lettura parcellizzata degli elementi a carico passati puntualmente in rassegna dal Tribunale del riesame, a svilirne la necessaria pregnanza contenutistica. Sul punto va ribadito che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie. L'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari e', quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo all'interno del provvedimento impugnato il controllo di legittimità non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice. Tanto precisato, a sostegno della condotta di partecipazione risultano declinati in punto di fatto dal giudice del merito, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, molteplici elementi. Si sono, anzitutto, valorizzate le intercettazioni del C.A. che lo additano come uno dei protagonisti della locale romana, avente un ruolo paritario al promotore. Si è poi fatto riferimento ai comportamenti tipici di tali consessi le cd. mangiate , agli accorgimenti per vedersi e alle cautele adottate per sfuggire alle indagini in corso. Si sono evocati i rapporti significativi con gli esponenti di altre cosche insistenti sul territorio romano clan di Omissis , dei M., dei F. M. e dei F. , nonché i chiari riferimenti di carattere esterno ed interno alla figura del ricorrente, descritto come dotato di un'aurea di potere egemonico derivante dai legami con la ‘ndrangheta si sono messe in risalto le interlocuzioni con il P., anche in materia di armi, sul loro utilizzo e sulla concorsuale disponibilità in capo al ricorrente si è richiamato il contenuto delle intercettazioni che coinvolgono il ricorrente e le espressioni utilizzate, logicamente evocative del contesto associativo di riferimento si sono messi in risalto gli episodi di imposizione commerciale relativi allo smaltimento degli olii esausti e alla fornitura di caffe', al recupero crediti della Omissis s.r.l., alla vicenda della lite con R.S., quale rappresentante del clan dei S. e, da ultimo, non priva di significato ai fini del collegamento finalistico che accomuna il ricorrente ed il C., l'ordinanza impugnata ha richiamato l'iniziativa comune nel costituire la società De.pa immobiliare al fine di acquisire un immobile ove erano esercitate attività commerciali loro riferibili. Un complesso di elementi, dunque, la cui lettura unitaria consente, sul piano della gravità indiziaria, di superare il ruolo di mero delinquente economico in precedenza attribuito all'indagato, ravvisandone - in aderenza al nuovo periodo temporale oggetto di contestazione - un salto di qualità verso logiche e condotte volgenti verso il reato a concorso necessario e non più eventuale. Di conseguenza, la riconducibilità delle molteplici intestazioni fittizie, contestate al ricorrente e ai suoi concorrenti, a delitti fine del sodalizio non sconta alcuna illogicità, in quanto si nutre di un compendio probatorio e argomentativo dotato di novum che rende quelle iniziative confacenti all'ipotesi accusatoria, che pone a capo il ricorrente della costola economica della locale romana. La circostanza, poi, che le acquisizioni commerciali non siano avvenute mediante l'esercizio del metodo mafioso non ne elide la dichiarata natura di delitti fine del sodalizio in quanto, per come precisato dall'ordinanza impugnata - che riporta al riguardo un passaggio di un'intercettazione del ricorrente -, il meccanismo simulatorio di acquisto e di cessione delle quote doveva apparire all'esterno del tutto regolare, al fine di occultare, rectius rendere sottotraccia , l'attuazione del disegno illecito di espansione nel mercato economico della Capitale. Ne', allo stato, proprio in relazione all'ambito cognitivo della fase cautelare, risultano decisive le censure mosse al compendio indiziario, in quanto, in difetto di specifici e rilevanti travisamenti, finiscono per porsi quale alternativa di merito ovvero per prefigurare una alternativa lettura delle fonti probatorie, per lo più attinenti al contenuto dei dialoghi intercettati, non consentita in questa sede ed estranea all'ambito cognitivo della Corte di legittimità. Del resto, e ciò vale soprattutto con riguardo alle intercettazioni che il giudice della cautela ha posto a fondamento della gravità indiziaria, la denuncia del vizio di motivazione che di errata applicazione delle norme che regolano la prova, non consente alla S.C. un controllo sul significato concreto di ciascun indizio controllo che invaderebbe, inevitabilmente, la competenza, ancora esclusiva, del giudice di merito , ma gli conferisce solo il compito di verificare l'adeguatezza e la coerenza logica delle argomentazioni, con le quali sia stata dimostrata la valenza probatoria dei vari indizi, in se stessi e nel loro reciproco collegamento Sez. 6, numero 1898 del 17/11/1992, dep. 1993, Altamura, Rv. 193781 - 01 . E nessuna delle letture dei vari elementi di prova propugnata dal Tribunale del riesame sconta profili di manifesta illogicità ovvero si pone in chiara antitesi con il significato delle parole di volta in volta evocate. Quanto, poi, alla mancata partecipazione del ricorrente alla mangiata del 15/10/2017, dato a cui l'ordinanza impugnata attribuisce particolare significato trattandosi di un elemento distintivo dei consessi mafiosi a stampo ‘ndranghetista, il Tribunale del riesame ha evidenziato gli elementi che, per un verso, portano ad escludere che ci si trovi al cospetto di un mero momento conviviale e, per altro, che la mancata partecipazione del ricorrente assuma valenza distonica rispetto all'ipotesi associativa formulata. Si è precisato come di tale occasione i partecipanti non avessero mai fatto riferimento nelle conversazioni telefoniche, a differenza, invece, di quelle captate in ambientale. Pertanto, non manifestamente illogico è avere tratto da tale obiettiva discrasia la conclusione che se l'evento fosse stato finalizzato ad una mera riunione conviviale se ne sarebbe dovuto fare menzione apertamente anche nel corso delle conversazioni telefoniche e, dunque, la circostanza che ne venisse occultata l'occasione può leggersi anche come occultamento di un consesso avente anche finalità illecite, considerato che molti dei partecipanti sono additati di far parte della locale investigata. Peraltro, a conferma della natura illecita della riunione, l'ordinanza impugnata richiama il contenuto delle conversazioni di C.A., indicato come uno dei capi della locale, sottolineando come tale evento fosse la conseguenza di una sua determinazione volta ad affrontare questioni di cosca . Infine, si indicano, non privi di significato, anche gli accorgimenti che hanno caratterizzato la preparazione dell'incontro e il recapito degli inviti. Quanto, poi, alla pubblicità del luogo ove la mangiata è stata organizzata, l'ordinanza impugnata ha invece rimarcato, sulla scorta del contenuto dell'informativa di polizia giudiziaria, come in realtà si trattasse di un posto sicuro, in quanto ricadente in una zona ove vi erano le proprietà di altre famiglie legate alla ‘ndrangheta e vicine anche ai soggetti coinvolti nella presente indagine e che, in parte, partecipavano alla mangiata circostanza che spiega anche il riferimento a persone diverse dai componenti della locale che partecipavano alla mangiata . Inoltre, si è anche sottolineato come nel corso dell'indagine - sulla scorta di emergenze investigative tratte anche dal contenuto delle intercettazioni - sia emersa l'estrema accortezza dei soggetti coinvolti a dare adito a condotte evocative di tipologie comportamentali proprie dei consessi mafiosi, al fine di evitare di attirare l'attenzione delle forze dell'ordine, con la conseguenza che nessun rilievo distonico assume l'avere utilizzato il porticato del rustico di un coindagato quale sedes per l'incontro della locale, ritenendo che meglio si prestava a camuffare le ragioni dell'evento. Infine, proprio con riguardo alla mancata partecipazione di altri componenti della locale, in primis del ricorrente, all'evento, l'ordinanza impugnata, per un verso, ha chiarito, richiamando anche il contenuto delle intercettazioni, come ciò fosse dovuto al timore dello svolgimento di indagini in corso, anche in ragione dei pregressi procedimenti giudiziari che lo avevano visto coinvolto e, per altro, come tale assenza non si presentasse affatto distonica ai fini della sussistenza della locale e della sua ritenuta unitarietà, in ragione delle intese intervenute con il C.A Si tratta di una conclusione a cui il giudice del merito perviene valorizzando anche l'esito dell'attività di indagine ed il contenuto di una captazione del C.A. pag. 29 da cui è stato ricavato che gli incontri personali tra i due avvenivano solo se necessario e che gli accorgimenti riguardavano proprio i contatti tra i due capi della locale, essendosi precisato come la sporadicità degli incontri era voluta, stabilendosi le modalità dell'appuntamento attraverso una serie di filtri, costituiti da uomini di fiducia di entrambi. 3. Infondate sono anche le censure di violazione di legge e di vizio di motivazione in ordine alla contestazione di essere l'associazione armata. Il fatto che l'acquisizione della attività economiche costituenti lo scopo principale del sodalizio e, in particolare, della costola diretta dal ricorrente, non risulti avvenuto mediante l'uso delle armi non determina il venir meno della relativa contestazione che attiene al delitto associativo e che il giudice del merito ha ricavato dalla diretta disponibilità di armi in capo al ricorrente e agli altri sodali, per come si evince anche dalla molteplicità dei delitti fine contestati, ciascuno aggravato proprio dalla finalità di agevolare l'attività della locale romana. Sul punto il Tribunale del riesame, lungi dal limitarsi a fare riferimento alla notoria dotazione di armi in capo al sodalizio storico di riferimento, ha evidenziato elementi di prova che danno conto dell'esistenza di numerose armi in capo a coloro che sono additati di far parte della locale e di come fossero anche strumentali, all'occorrenza, alle esigenze del sodalizio. Si è quindi fatto corretta applicazione del principio secondo cui, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dell'articolo 416 bis c.p., comma 4, non è richiesta l'esatta individuazione delle armi, ma è sufficiente l'accertamento, in fatto, della disponibilità di un armamento, desumibile anche dal contenuto delle intercettazioni Sez. 6, numero 55748 del 14/09/2017, Macrì, Rv. 271743 - 01 Sez. 1, numero 14255 del 14/06/2016, dep. 2017, Ardizzone, Rv. 269839 - 01 . Valenza di merito assumono, peraltro, le censure volte a ricondurre a finalità e ad un contesto differente le armi che sono attribuite al ricorrente, dovendosi al contempo evidenziare che l'ordinanza impugnata, in aderenza all'imputazione formulata, individua anche altri armi nella disponibilità della locale romana, unitariamente intesa. 4. In parte fondate ma non decisive ai fini della disposta cautela, risultano le doglianze svolte in punto di sussistenza dei delitti di truffa. 4.1. Quanto alla sussistenza del reato, una volta che si è asseverata l'esistenza del meccanismo truffaldino, attuato mediante operazioni di ricarica postepay intestate a terzi concorrenti, effettuate con la provvista destinata ai proventi degli esercizi commerciali sequestrati, evidente è il danno subito, destinato a ripercuotersi sui risultati di gestione delle rispettive amministrazioni giudiziarie e, dunque ad incidere sulla futura destinazione del bene aziendale, sia che si traduca nell'affitto, nella vendita che nella procedura di liquidazione. Non decisivo e', poi, il rilievo della mancata cooperazione artificiosa del soggetto passivo, considerato che, nel caso in esame, l'induzione in errore degli amministratori giudiziari è conseguenza del silenzio maliziosamente serbato da chi aveva la legittimazione ad effettuare la ricarica attraverso i terminali Sisal installati presso i rispettivi esercizi commerciali. 4.2. Fondati, invece, sono i rilievi attinenti all'assenza del metodo mafioso e all'esatta individuazione dell'epoca del commesso reato, contestato dal Pubblico ministero dal 6/11/2012 al 31/12/2018. Quanto al metodo, affermarne l'esistenza collide non solo con la mancata indicazione degli elementi fattuali di relativo sostegno, ma anche con la stessa imputazione di truffa formulata che si fonda su una condotta artificiosa non minacciosa e nemmeno irresistibilmente piegata . Riguardo all'arco temporale, una volta che la stessa ordinanza impugnata ha collocato l'avvio della locale romana in un'epoca successiva ai fatti coperti dai giudicati favorevoli al ricorrente, contraddittorio è attribuire a condotte commesse in epoca precedente - allorché il ricorrente viene ricondotto, expressis verbis, alla categoria del delinquente economico - la valenza causale e la direzione finalistica volta ad agevolare la locale romana. Considerato, però, che parte delle condotte truffaldine contestate si sono articolate anche nella vigenza della contestazione di esistenza dell'articolazione territoriale operante in Roma, riconducendosi in tale ambito le iniziative economiche successivamente intraprese dal ricorrente, nessuna manifesta illogicità sconta l'ordinanza impugnata per avere affermato un cambiamento di rotta del disegno criminoso, arricchitosi di un quid novi che lo rende compatibile con l'accusa associativa mossa e all'interno della quale sono ricondotti i diversi delitti fine contestati, tra cui anche quello di truffa aggravata. L'esistenza, pertanto, della aggravante di cui all' articolo 416 bis.1 c.p. ., nella declinazione dell'agevolazione rende persistente la presunzione di cui all' articolo 275 c.p.p. , comma 3, e non elide il regime cautelare applicato. 5. In conclusione, il ricorso va rigettato. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non conseguendo dall'adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà dell'indagato, deve provvedersi ai sensi dell' articolo 94 disp. att. c.p.p. , comma 1 ter. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall 'articolo 94 disp. att. c.p.p ., comma 1 ter.