Condannata per le parole e i gesti volgari all’indirizzo della nuova compagna dell’ex marito

Inequivocabili le condotte tenute in tre distinte occasioni dalla donna sotto processo. Riconoscibile il requisito della petulanza, palese nel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente della donna sotto processo, che ha interferito sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà della persona offesa.

Condannata per molestie la donna che rivolge parole e gesti volgari alla nuova compagna dell’ex marito. A inchiodare la donna sotto processo, Tizia, sono i dettagli dei comportamenti da lei tenuti in tre distinte occasioni nei confronti di Caia, colpevole , in sostanza, di essere la nuova compagna dell’ex marito di Tizia. Il quadro probatorio è inequivocabile per petulanza , sottolineano i giudici di merito, Tizia ha recato molestia a Caia offendendola ripetutamente nel ristorante di cui proprio Caia è la titolare, nonché avvicinandola in due occasioni ed appellandola puttana . Sacrosanta, secondo i giudici di merito, la condanna di Tizia alla pena dell’ammenda di 200 euro per il reato di molestie. Inutile il ricorso proposto in Cassazione da Tizia. I Giudici di terzo grado ne confermano, difatti, la condanna, poiché è acclarato che ella ha perpetrato atti di molestie perpetrati nei riguardi di una estranea, ancorché originati da motivi sentimentali o di gelosia , ossia la relazione tra Caia e l’ex marito di Tizia. A rendere palese la gravità dei comportamenti tenuti da Tizia, poi, ci sono anche due dettagli la protrazione della condotta per un apprezzabile lasso di tempo e il concreto contesto , trattandosi di episodi avvenuti nel locale di proprietà di Caia, locale in cui l’ex marito di Tizia lavorava all’epoca come pizzaiolo . Irrilevante anche il fatto che le scenate di Tizia siano avvenute anche all’esterno della pizzeria , poiché si tratta delle pertinenze del locale, in luogo aperto al pubblico , senza dimenticare, poi, l’offesa gratuita e di dileggio rivolta a Caia. Riconoscibile, poi, anche il requisito della petulanza , palese nel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente di Tizia che finisce per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà di altre persone , cioè di Caia. Non in discussione, infine, osservano i Giudici, l’ elemento psichico del reato , poiché Tizia ha agito nella piena consapevolezza della idoneità della sua condotta a molestare la compagna dell’ex marito, raggiunta da epiteti ingiuriosi e gesti volgari nel suo ambiente di lavoro al cospetto di avventori, o, comunque, in luoghi aperti al pubblico .

Presidente Mogini Relatore Liuni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17/7/2020 il giudice monocratico del Tribunale di Vasto ha condannato A.S. alla pena dell'ammenda di Euro 200,00 per il reato ex art. 660 c.p. perché, per petulanza, recava molestia a C.L., offendendola ripetutamente nel ristorante [ ] di cui la persona offesa è titolare, nonché avvicinandosi in due occasioni alla C. ed appellandola puttana fatti commessi in [ ], nei giorni omissis . 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del difensore, avv. I. T., adducendo i seguenti motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo si denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativa alla qualificazione della condotta in termini di molestia, ripercorrendo per stralcio i tratti salienti delle deposizioni rese in dibattimento dai testi D.L., G. e S.D., al fine di asseverare che l'episodio del 2 giugno sia consistito in una lite tra ex-coniugi, quindi priva del carattere della petulanza, e peraltro avvenuta all'esterno del ristorante [ ], dinanzi all'abitazione dell'A., così escludendo il luogo pubblico o aperto al pubblico. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ulteriore vizio di motivazione per i due residui episodi, collocati nei giorni 7 e 9 giugno, mentre la querela risulta essere stata sporta il giorno 8 giugno 2018, con il risultato che per uno dei due episodi vi è vizio di procedibilità per difetto di querela. 2.3. Nel terzo motivo si ribadisce l'assenza del requisito della petulanza, già escluso per il primo episodio e residuato soltanto per uno degli ulteriori, visto che l'altro si situa extra-querela, così non potendosi configurare la petulanza, che prevede la sussistenza di almeno due episodi. Inoltre, si rileva che resta nel vago l'esibizione del dito medio da parte dell'imputata, non essendosi specificato dove e in quali circostanze sarebbe avvenuta, né ricorrendo il turbamento dell'ordine pubblico, elemento che distingue le molestie dal delitto di ingiuria, ormai depenalizzato. 2.4. Nell'ultimo motivo si censura per vizio argomentativo la valutazione della testimonianza della persona offesa, che - a detta della ricorrente - è stata smentita dagli altri testimoni assunti nel dibattimento. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, in quanto si basa su motivi in gran parte di natura fattuale e rivalutativa, ovvero manifestamente infondati, e lamenta vizi argomentativi insussistenti. Al contrario, il percorso motivazionale seguito dal giudice monocratico di [ ] risulta giuridicamente corretto e logicamente conseguente. 1.1. La prima doglianza consiste nel rilievo per cui l'impugnata sentenza non avrebbe tenuto conto che si trattava di una lite fra ex-coniugi, dunque priva dell'elemento della petulanza, rilevante ai fini della configurazione del contestato reato. Le osservazioni difensive sono del tutto infondate, oltre che dirette verso un obiettivo erroneo, in quanto nella vicenda in esame la persona offesa non è il marito dell'imputata, bensì la signora C.L., sicché non si trattava di una mera lite fra ex-coniugi, ma di atti di molestie perpetrati nei riguardi di una estranea, ancorché originati da motivi sentimentali o di gelosia. Il giudice di merito, nel suo discrezionale apprezzamento degli elementi fattuali della vicenda, ha sottolineato la protrazione della condotta antigiuridica per un apprezzabile lasso di tempo, leggendola anche nel concreto contesto, trattandosi di episodi avvenuti nell'ambiente di lavoro, la pizzeria [ ] della C., in cui D.L., ex-marito dell'imputata, era pizzaiolo. Le notazioni per cui le scenate erano avvenute anche all'esterno di tale esercizio commerciale sono da un canto affermazioni unilaterali della difesa, dall'altro prive di ogni rilievo, essendosi comunque situate nelle pertinenze della pizzeria, in luogo aperto al pubblico, ed avendo costituito causa di offesa gratuita e di dileggio della persona offesa, tali da integrare la condotta materiale della contestata contravvenzione è stato altresì riconosciuto il requisito della petulanza, che l'impugnata sentenza ha correttamente ravvisato nel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà di altre persone , riconoscendo tali caratteri alle incursioni dell'A. contro la C La petulanza è una delle caratteristiche costitutive della contravvenzione ex art. 660 c.p. , per tale intendendosi un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nell'altrui sfera di libertà Sez. 1, n. 6064 del 6/12/2017, dep. 2018, Girone, Rv. 272397 , che deve ricorrere nella struttura stessa del reato in tal senso la petulanza attiene al perimetro della condotta penalmente rilevante, ed è antecedente alla verifica dell'elemento soggettivo, che consiste nella volontà della condotta e nella direzione della volontà verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell'altrui sfera di libertà Sez. 1, n. 11755 del 01/10/1991, Poli, Rv. 188987 . Anticipando l'esame del terzo motivo di ricorso, in quanto collegato alla tematica della petulanza, è destituita di fondamento l'osservazione per cui nella specie non ricorrerebbe tale caratteristica, che postula l'esistenza di almeno due episodi molesti infatti, nella specie sono stati contestati tre episodi, così da ritenersi il rilievo manifestamente infondato in termini fattuali. Ma detto rilievo è soprattutto privo di base giuridica, in quanto il reato di molestia o disturbo alle persone può essere realizzato anche con una sola azione, non essendo per sua natura necessariamente abituale Sez. 1, n. 11514 del 16/03/2010, Pg in proc. Zamò, Rv. 246792 Sez. 1, n. 3758 del 07/11/2013, dep. 2014, Moresco, Rv. 258260 Sez. 1, n. 19631 del 12/06/2018, dep. 2019, Papagni, Rv. 276309 . È stato altresì illustrato l'elemento psichico del reato, rimarcandosi che l'imputata ha agito nella piena consapevolezza della idoneità della sua condotta a molestare la persona offesa, raggiunta da epiteti ingiuriosi e gesti volgari nel suo ambiente di lavoro al cospetto di avventori, o comunque in luoghi aperti al pubblico, così emergendo il dolo specifico dell'A., dovendosi ritenere che in relazione al modo di sentire e di vivere comune tali iniziative non fossero affatto gradite alla destinataria, come ha puntualmente osservato il giudice. In tali apprezzamenti di merito, supportati da motivazione congrua e logica, nonché aderente alle risultanze probatorie, non è ravvisabile alcuno dei denunciati vizi di legittimità. Di contro, il ricorso si impernia su annotazioni in fatto che postulano una revisione del giudizio valutativo espresso dal giudice e quindi esorbitano dall'ambito riservato a questa Corte di legittimità. 1.2. Il secondo motivo, che deduce il difetto di querela per l'episodio del 9 giugno, in quanto la querela era stata sporta il giorno 8 giugno 2018, è manifestamente infondato. Infatti, la contravvenzione di cui all' art. 660 c.p. è procedibile d'ufficio Sez. 1, n. 25045 del 09/05/2002, Placidi, Rv. 222705 Sez. 1, n. 43704 del 30/10/2007, Camposano, Rv. 238134 Sez. 1, n. 31265 del 27/06/2014, Terzi, Rv. 261234 , così da non rilevare la data di denuncia, che si assume precedente al verificarsi dell'ultimo episodio. Peraltro, l'episodio che il ricorso senz'altro ascrive al 9 giugno è stato invece nell'impugnata sentenza collocato in un giorno che la persona offesa ha sostenuto di non ricordare, indicando due possibili date, tra loro alternative. 1.3. Nell'ultimo motivo si deduce vizio argomentativo quanto alla valutazione della testimonianza della persona offesa, che - a detta della ricorrente - è stata smentita dagli altri testimoni assunti nel dibattimento. Tale doglianza è inammissibile in questa sede di legittimità, postulando un apprezzamento del contenuto delle deposizioni testimoniali in senso difforme da quello analiticamente e logicamente seguito nell'impugnata sentenza. Va segnalato che il giudice di merito ha correttamente seguito i principi dettati dall'esegesi di legittimità in tema di valutazione della testimonianza della persona offesa, costituita parte civile, conducendo una approfondita verifica della deposizione di C.L., alla stregua dei criteri di coerenza ed attendibilità intrinseca ed estrinseca delle informazioni rese, ed anche valutando l'esistenza di riscontri obiettivi a tali dichiarazioni, benché non strettamente necessari per l'utilizzabilità di detta deposizione. Invero, è noto che Le regole dettate dall' art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214 . È stato altresì precisato che, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi, i quali possono consistere in qualsiasi elemento idoneo ad escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312 . 2. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della congrua somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi profili di esenzione da responsabilità nella determinazione della causa di inammissibilità, a tenore della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2000 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.