Previdenza forense: la riforma presentata oggi a Roma

Indispensabile, però, prima avere l’approvazione del Ministero della Giustizia, del Ministero del Lavoro e del Ministero dell’Economia. Valter Militi presidente di Cassa forense fiducioso «Sistema più equo». Previsto il passaggio graduale dal sistema retributivo al sistema contributivo.

Solidità questa la parola d’ordine a caratterizzare la riforma previdenziale per gli avvocati, presentata stamane a Roma – nella cornice del Cinema Barberini, a poche centinaia di metri dalla Scalinata di Trinità dei Monti – e destinata, secondo quanto ipotizzato dai vertici di Cassa forense, ad entrare in vigore dal 1° gennaio del 2024, una volta ricevuto il placet dal Ministero della Giustizia, dal Ministero del Lavoro e dal Ministero dell’Economia. Solidità deve significare, secondo quanto chiarito da Valter Militi, presidente di Cassa forense, prospettiva e stabilità per l’ente previdenziale degli avvocati e garanzia del diritto alla pensione per gli avvocati, soprattutto per i professionisti legali più giovani che muovono i primi passi della loro carriera. E in questa ottica si colloca, secondo i vertici dell’ente previdenziale e secondo i tecnici che hanno seguito passo passo il progetto di riforma, il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo. Regime contributivo. Ad aprire il confronto ha provveduto Valter Militi , che, in qualità di presidente di Cassa forense, ha messo metaforicamente sul tavolo i problemi connessi alla constatata riduzione del numero di professionisti legali «nel 2021 abbiamo registrato un rapporto di sette avvocati attivi per ogni avvocato pensionato» ha precisato Militi. Ma questa proporzione è destinata a mutare ancora, soprattutto tenendo conto del fatto che «il numero di iscritti è in calo», ha ricordato ancora Militi – il quale ha aggiunto, col sorriso sulle labbra, che la statistica racconta che «gli avvocati vivono due anni in più rispetto agli altri cittadini» – , e questa tendenza, potenzialmente pericolosa a fronte di un sistema previdenziale basato sul regime retributivo, ha spinto Cassa forense a porsi domande e a trovare soluzioni, o, meglio, la soluzione, ossia «il passaggio al regime contributivo». Passaggio che dovrebbe essere ufficiale – sempre che arrivi il via libera dal Ministero della Giustizia, dal Ministero del lavoro e dal Ministero dell’Economia – a partire dal 1° gennaio 2024 e che comunque non sarà drastico, cioè non riguarderà tutti gli avvocati iscritti a Cassa forense. I prossimi dodici mesi, quindi, serviranno a ufficializzare la riforma coi lasciapassare dai due Ministeri e, allo stesso tempo, a presentarla agli avvocati. E in questa ottica l’incontro di stamane nella Capitale è catalogabile come solo il primo passo di un lungo percorso «Obiettivo è semplificare e rendere il sistema previdenziale più comprensibile per gli avvocati, che debbono vedere salvaguardato il loro diritto alla pensione», ha sottolineato Militi, precisando poi che il discorso deve riguardare «sia gli avvocati in carriera e quelli che hanno già maturato il diritto al trattamento previdenziale, sia quelli giovani che adesso stanno cominciando il percorso professionale come avvocato». Per Militi vi è, in conclusione, una certezza con la riforma «gli avvocati avranno un sistema più equo e più flessibile». Vecchi e nuovi iscritti. E proprio sui dettagli tecnici della corposa riforma – ben 112 articoli ancora top secret in attesa dell’approvazione da parte dei due Ministeri – si sono soffermati diversi relatori del convegno tenutosi a Roma, ossia l’attuario Paolo De Angelis , Alberto Brambilla presidente del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali , Luigi Bonomi consigliere di Cassa forense , Michele Proietti direttore di Cassa forense , Giulio Pignatiello vicepresidente di Cassa forense . Molteplici i dettagli tecnici posti in evidenza dalle parole dei relatori. Punto fermo, però, nel nuovo sistema pensionistico degli avvocati è, come detto, il passaggio graduale ma irreversibile dal calcolo retributivo delle pensioni a quello contributivo . Come si concretizzerà questo passaggio? È presto detto ai futuri iscritti si applicherà, a partire dal 1° gennaio del 2024, il sistema di calcolo contributivo delle prestazioni in modo integrale per gli avvocati con anzianità di iscrizione inferiore a diciotto anni al 31 dicembre del 2023 – circa 126mila – si applicherà un sistema di calcolo misto, equivalente al contributivo pro-rata retributivo per gli anni antecedenti l entrata in vigore della riforma e contributivo per gli anni successivi per gli avvocati già iscritti, con un anzianità di almeno diciotto anni al 31 dicembre del 2023 – circa 97mila –, continuerà invece ad applicarsi l’attuale sistema retributivo, con la modifica del coefficiente di rendimento per il calcolo della pensione da 1,40 per cento a 1,30 per cento, solo per gli anni successivi all’entrata in vigore della riforma. Per quanto concerne poi l’aliquota per il calcolo del contributo soggettivo, essa verrà gradualmente innalzata di due punti 16% dal 2024 e 17% dal 2026 mentre il contributo soggettivo minimo verrà ridotto da circa 3.000 euro attuali a 2.200 euro. Obiettivo è, almeno sulla carta, venire incontro alla fascia più debole dell’Avvocatura che, fino ad un reddito di 17.324 euro, potrà contare su una effettiva riduzione della contribuzione dovuta. Ruolo del difensore. Pareri positivi sulla riforma sono stati poi espressi da Maria Masi , presidente del Consiglio nazionale forense, e da Mario Scialla , coordinatore dell’Organismo congressuale forense. In particolare, la numero uno del Consiglio nazionale forense ha sottolineato, alla luce delle prospettive tracciate dalla riforma pensionistica per gli avvocati, l’importanza di «equità e stabilità», e ha rivendicato il valore dell’autonomia previdenziale, ribadendo a chiare lettere che «la previdenza deve essere gestita da Cassa forense», evitando, cioè, interventi esterni per mano pubblica. A chiudere il confronto ha provveduto il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio , il quale non si è soffermato sulla riforma previdenziale ma ha manifestato una chiara apertura al dialogo col mondo dell’avvocatura. Inequivocabili, difatti, le parole rivolte da Nordio non solo a Valter Militi e a Maria Masi ma anche ai numerosi legali presenti in sala per seguire il dibattito «Mi sento mezzo avvocato anche io, pur essendo ora Ministro della Giustizia. Sono figlio di avvocati e fratello di un avvocato. Conosco la professione e ne riconosco l’importanza, anzi l’essenzialità. L’avvocato è una presenza fondamentale del processo, come anche il magistrato e il pubblico ministero. Anche per questo non capisco i magistrati che si oppongono alla separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici e sostengono che così si mette a rischio la cultura della giurisdizione, che, a mio parere, non può non comprendere anche gli avvocati». E in questa ottica Nordio ha ribadito il valore del «ruolo del difensore – anche quello d’ufficio, che va adeguatamente retribuito – che svolge una funzione fondamentale» per la giustizia. Proprio per questo, «con l’avvocatura ci sarà collaborazione e rispetto», ha concluso Nordio. E queste ultime parole possono anche essere lette come un buon viatico per il confronto tra Cassa forense, Ministero della Giustizia, Ministero del Lavoro e Ministero dell’Economia per l’approvazione definitiva della riforma pensionistica.