La Cassazione conferma la decisione di merito che si è discostata dalle Tabelle di Milano nella liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale richiesto dal padre di una ragazza tragicamente scomparsa in un sinistro stradale.
A seguito di un sinistro stradale nel quale morì una ragazza che viaggiava come trasportata, i parenti chiedevano al Tribunale la condanna della compagnia assicurativa del veicolo al risarcimento dei danni da perdita del rapporto parentale . Il Tribunale di Cremona dichiarava in parte cessata la materia del contendere per intervenuta transazione, mentre rigettava le domande proposte dal padre, dalla sua nuova compagna e dai parenti paterni per insussistenza di rapporti affettivi idonei a giustificare un risarcimento maggiore rispetto a quello offerto in via stragiudiziale. La decisione veniva solo parzialmente riformata in sede di appello. La questione è dunque giunta all'attenzione della Suprema Corte su ricorso del padre della giovane. Le doglianze non meritano però accoglimento. La Cassazione sottolinea come correttamente i giudici di merito abbiano richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di danno da perdita del rapporto parentale, è onere dei congiunti provare l'effettività e la consistenza della relazione parentale. In tal senso, il rapporto di convivenza non costituisce una presunzione minima di esistenza di tale relazione, ma è comunque un elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità v. Cass. 21230/2016 e 7743/2020 . Nel caso di specie, è stata ritenuta la non effettività del rapporto padre-figlia sulla base della travagliata storia familiare della ragazza che non conviveva stabilmente con entrambi i genitori. Dalle risultanze probatorie è infatti emersa la diversa consistenza del rapporto madre-figlia rispetto a quello paterno l'uomo aveva anche ammesso che il rapporto con la figlia constava in semplici contattati telefonici, egli inoltre non partecipava agli incontri organizzati dai servizi sociali e non si era mai posto il problema del mantenimento della figlia. Non può dunque essere censurata la decisione d'appello là dove ha riconosciuto alla madre un risarcimento maggiore rispetto a quello accordato al padre, con un discostamento dai parametri delle Tabelle di Milano adeguatamente motivato.
Presidente/Relatore Scrima Fatti di causa In data 31 ottobre 2013 C.L. perse la vita in conseguenza del sinistro stradale occorso all'autovettura di proprietà di C.A., sulla quale la C. viaggiava in qualità di trasportata. Alla guida dell'autovettura vi era la figlia di C.A., C.M., che non risultava in possesso di patente, ma esclusivamente di autorizzazione per esercitarsi alla guida c.d. foglio rosa . La madre e la sorella di C.L., V.C. e C.V., convennero in giudizio la Reale Mutua di Assicurazioni S.p.a., in qualità di compagnia assicuratrice del veicolo, chiedendone la condanna al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, non ritenendo satisfattive le somme di Euro 50.000 per la madre e di Euro 5.000 per la sorella, corrisposte dalla convenuta a titolo di indennizzo sul presupposto della totale mancanza di rapporti tra le attrici e la vittima. Le attrici dedussero che la prova dell'intensità del vincolo affettivo fosse desumibile dalla documentazione prodotta e che la morte della loro congiunta, stante la dinamica del sinistro, fosse dipesa esclusivamente dalla condotta gravemente colposa della conducente del veicolo. Con distinto atto di citazione, C.L., in proprio e congiuntamente a L.M., in qualità di esercente la responsabilità genitoriale sui figli C.G. e CA.Le., fratelli di C.L., nonché in qualità di erede di C.G., nonno della stessa, G.A.M., in qualità di nonna della ragazza deceduta, in proprio e quale erede di C.G. e CA.Ga., C.M. nonché C.L., zii di C.L., in qualità di eredi di C.G., convennero in giudizio la Reale Mutua di Assicurazione, chiedendone la condanna al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, ritenendo anch'essi non satisfattivo l'indennizzo corrisposto al padre della vittima di Euro 50.000 e ai due fratelli della stessa di Euro 5.000 ciascuno, nonché ingiustificato il mancato riconoscimento di un danno in capo ai nonni. Integrato il contraddittorio nei confronti del proprietario del veicolo su cui si trovava come trasportata C.L. e disposta la riunione dei giudizi, con sentenza n. 182 del 2019, pubblicata l'11 marzo 2019, il Tribunale di Cremona dichiarò cessata la materia del contendere, per intervenuta transazione, in relazione al rapporto processuale tra C.V. e la compagnia assicuratrice, e rigettò tutte le domande proposte dagli attori, non ritenendo sussistenti rapporti affettivi idonei a giustificare un risarcimento maggiore rispetto a quello riconosciuto in sede stragiudiziale, con compensazione delle spese di lite. Avverso tale decisione proposero distinti gravami, innanzi alla Corte di appello di Brescia, sia V.C., da una parte, che C.L., V., L.M., G.A.M., CA.Ga., C.M. e C.L., dall'altra, chiedendo che, previo accertamento della esclusiva responsabilità della conducente dell'auto nella causazione del sinistro, fossero accolte le loro domande risarcitorie. La Reale Mutua di Assicurazioni S.p.a., costituendosi, chiese il rigetto delle domande degli appellanti e, in caso di accoglimento, di accertare il concorso di colpa di C.L. nella causazione del sinistro e, conseguentemente, di ridurre proporzionalmente il risarcimento eventualmente riconosciuto in eccedenza rispetto a quanto già accordato. Riuniti i due procedimenti, con sentenza n. 1249 del 2020, pubblicata il 23 novembre 2020, la Corte di appello di Brescia dichiarò che la morte di C.L. fosse da ascriversi, nella misura del 30%, a sua colpa concorrente e, nella misura del 70%, a colpa di C.M. e, per quanto qui di interesse, condannò la Reale Mutua di Assicurazioni S.p.a., in solido con C.A., a pagare a titolo di risarcimento del danno da perdita di legame parentale gli importi come di seguito precisati - in favore di V.C., l'ulteriore somma di Euro 64.005, oltre interessi legali - in favore di G.A.M., Euro 16.800, oltre interessi legali - in favore degli eredi di C.G., la somma di Euro 3.000, oltre interessi legali. La Corte di merito ritenne, inoltre, non meritevole di accoglimento la domanda proposta iure proprio dal padre della giovane deceduta, C.L., confermando sul punto la decisione di primo grado, sia pure con diversa motivazione. Avverso la richiamata sentenza della Corte di appello di Brescia C.L., in proprio ed in qualità di erede di C.G., deceduto nel corso dei precedenti gradi di giudizio, ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi e illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso la Società Reale Mutua di Assicurazioni. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede. La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 c.c. , 2059 c.c. in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 , sostenendo che la Corte di appello avrebbe liquidato, in suo favore, sulla base della non effettività del legame padre figlia , il danno da perdita parentale al di sotto dei valori minimi di cui alle Tabelle di Milano, senza motivare al riguardo, così violando l' art. 1226 c.c. . Sul punto la Corte territoriale avrebbe, secondo il ricorrente, fondato la sua decisione esclusivamente sulla base di mere dichiarazioni rese da C.L. innanzi al Tribunale per i Minorenni e tale circostanza non sarebbe, a suo avviso, sufficiente a giustificare l'operata liquidazione , omettendo di valutare le ulteriori dichiarazioni rese dallo stesso e dagli operatori dei Servizi Sociali del Comune di Cremona, da cui sarebbe emersa la volontà del padre di riavvicinarsi alla figlia e la conseguente permanenza del vincolo affettivo. Il C. lamenta, inoltre, una disparità di trattamento con V.C., madre di C.L., alla quale sarebbe stato riconosciuto un risarcimento determinato sulla base dei valori tabellari, nonostante, sostiene il ricorrente, avesse avuto un trascorso di vita del tutto simile al padre, caratterizzato dall'analoga carenza del rapporto di convivenza con la figlia . 1.1. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha espressamente richiamato l'orientamento di questa Corte in tema di danno da perdita del rapporto parentale Cass. 21230/16 e 7743/20 , secondo cui è onere dei congiunti provare l'effettività e la consistenza della relazione parentale rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, e ha, altresì, richiamato il principio giurisprudenziale secondo cui il giudice può discostarsi dalla-misura minima prevista dalle Tabelle di Milano purché dia conto nella motivazione della specifica situazione che giustifica la decurtazione Cass. n. 29495/19 . Dei richiamati principi la Corte di merito ha fatto corretta applicazione e, in particolare, contrariamente a quanto dedotto dal C., ha correttamente motivato il lamentato discostamento dai valori tabellari con riferimento alla situazione specifica. Nel ritenere non provata l'effettività del rapporto parentale, con riguardo alla relazione padre figlia, la Corte territoriale ha in primis valutato la travagliata storia familiare di C.L. e, stante l'assenza di una stabile convivenza - per quanto qui rileva - con entrambi i suoi genitori, ha ancorato tale valutazione a quanto complessivamente risultante agli atti. Tale disamina è stata effettuata disgiuntamente e con ampiezza di argomentazioni in relazione ai rapporti con ognuno dei genitori, risultando così evidente la diversa consistenza di tali rapporti non può, pertanto, essere condivisa l'argomentazione del ricorrente, il quale ha rilevato come il rapporto parentale di C.L. con la madre sia stato considerato effettivo ed abbia condotto ad un risarcimento determinato sulla base dei valori tabellari, nonostante il trascorso di vita del tutto simile al padre . La Corte di appello ha concluso per la non effettività del rapporto parentale con il padre, non limitando il suo convincimento alle dichiarazioni tenute da C.L. innanzi al Tribunale per i Minorenni in data 27 settembre 2011, bensì considerando anche che, per stessa ammissione del padre, il rapporto con la figlia constava in contatti telefonici e manifestava la sua fragilità nella non partecipazione del C. agli incontri organizzati dai Servizi Sociali e nel fatto che non si fosse mai posto il problema del mantenimento della figlia. Peraltro, va evidenziato che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, nè gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell'esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga - in maniera concisa ma logicamente adeguata - gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo svolto. Stante la chiarezza e la logicità della motivazione in merito al discostamento tra il danno liquidato in favore di C.L., per la perdita della relazione parentale con la figlia C.L., e quanto astrattamente previsto dalle Tabelle di Milano, non può considerarsi violata la disciplina della liquidazione del danno in via equitativa nè risultano sussistenti gli ulteriori vizi dedotti sicché il primo motivo di ricorso è infondato. 2. Con il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione delle Tabelle del Tribunale di Milano, dei parametri dalle stesse forniti e del principio di valutazione equitativa del danno previsto dall' art. 1226 c. c. , dall' art. 2056 c. c. e dall' art. 2059 c. c. in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 , il ricorrente, nella qualità di erede del padre C.G., sostiene che la Corte di appello sarebbe incorsa in una incongrua motivazione in relazione alla mancata applicazione delle Tabelle del Tribunale di Milano nella quantificazione del danno da perdita parentale con riferimento al nonno paterno di C.L., in quanto, ai fini di tale liquidazione, nonostante abbia riconosciuto l'intensità e la presenza del legame parentale tra i nonni paterni e la nipote, avrebbe ritenuto di procedere alla determinazione del quantum mediante l'utilizzo delle iTabelle esclusivamente in favore di G.A.M., non accogliendo la richiesta di liquidazione sulla base dei medesimi valori tabellari avanzata da C.G., ma procedendo nei confronti di quest'ultimo in via equitativa. L'incongruità della motivazione, argomenta il ricorrente, consterebbe nell'essersi la Corte limitata a considerare il difetto di convivenza con la nipote, l'esiguo lasso di tempo intercorso tra la morte della stessa e quella del nonno e la presenza di altri familiari a sostegno del dolore patito dal nonno paterno in tale periodo. 2.1. Anche il secondo motivo di doglianza, con riferimento alla quantificazione del danno da perdita di rapporto parentale del nonno paterno di C.L., C.G., è incentrato su un'asserita incongruità e contraddittorietà della motivazione in merito al discostamento effettuato dai valori astrattamente predisposti dalle Tabelle di Milano e alla diversa quantificazione del danno operata in favore dei due nonni paterni, con conseguente - ad avviso del ricorrente - volazione dell' art. 1226 c.c. . Va evidenziato che la Corte territoriale, in assenza di allegazioni specifiche, ha individuato il quantum del risarcimento del danno per la nonna paterna nel minimo previsto dalle tabelle milanesi, nel caso del nonno paterno, invece, ha posto in rilievo l'esiguità del tempo di sopravvivenza dello stesso rispetto alla data di morte della nipote e, stante l'assenza di convivenza della ragazza con i nonni ed il sostegno verosimilmente ricevuto dal resto della famiglia, ha rideterminato il quantum in via equitativa in Euro 3.000. Anche in questo caso, la motivazione risulta logica e congrua nè sussistono gli ulteriori lamentati vizi, poiché la durata della sopravvivenza al parente defunto sette mesi e il sostegno ricevuto verosimilmente dagli altri componenti della famiglia sono parametri che ben possono essere considerati ai fini della liquidazione del danno da perdita parentale. In caso di perdita definitiva del rapporto, parentale, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto Cass. n. 9231 del 17/04/2013 . Anche il secondo motivo di ricorso è, quindi, infondato. 3. Conclusivamente, il ricorso va rigettato. 4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede. 5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 art. 13 , comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.