Donna ossessiva nei confronti dell’ex marito e della nuova partner di quest’ultimo: condannata per stalking

Inequivocabili i comportamenti della donna finita sotto processo. Evidenti anche le ripercussioni subite dalle due persone offese. Irrilevante il fatto che queste ultime siano comunque rimaste insieme e abbiano portato avanti il loro progetto di vita.

Sacrosanto catalogare come stalking il comportamento ossessivo della donna che perseguita l’ex marito e la sua nuova compagna poiché non riesce ad accettare la loro relazione. Impossibile ridimensionare la condotta tenuta dalla donna, anche se essa non ha provocato la rottura del legame tra l’ex marito e la nuova partner. Ricostruita la delicata vicenda, i giudici di merito sono concordi la donna sotto processo va condannata per stalking , a fronte dei comportamenti da lei avuti e nei confronti dell’ex marito e della nuova compagna di quest’ultimo. Linea comune, tra primo secondo grado, anche sulla pena «dieci mesi di reclusione» in relazione ai delitti di atti persecutori e lesioni aggravate e obbligo di «risarcimento dei danni subiti dalle parti civili», ossia l’uomo e la sua nuova partner. Inequivocabile, secondo i giudici, il comportamento tenuto dalla donna sotto processo, la quale «ha ripetutamente minacciato e molestato l’ex marito e la compagna di quest’ultimo, inveendo contro di loro in più occasioni, anche in prossimità di casa, e arrivando, in due diversi giorni, ad aggredire l’ex marito e la sua nuova compagna , strattonandoli e provocando loro lesioni giudicate guaribili in pochi giorni». Col ricorso in Cassazione il legale che rappresenta la donna sotto processo prova a fornire una differente chiave di lettura per l’intera vicenda. A suo dire, difatti, non vi sono prove concrete sul fatto che la sua cliente abbia «provocato un grave stato d’ansia e paura nelle persone offese» né che abbia «causato un mutamento delle loro abitudini di vita». Su quest’ultimo punto, poi, la difesa sostiene che «le due modifiche del domicilio dell’uomo siano state indotte non già dai comportamenti persecutori dell’ex moglie ma da proprie scelte individuali autonome». Per i Giudici di terzo grado, però, le obiezioni difensive sono prive di fondamento, anche perché tra primo e secondo grado è emerso «l’ humus di cui si è nutrita la condotta persecutoria accertata in capo alla donna, vale a dire il clima di forte conflittualità sorto tra lei e le persone offese e dovuto alla mancata accettazione da parte sua della relazione dell’ex marito con la nuova compagna ed al contrasto tra lei e l’ex coniuge per la gestione della vita e dei reciproci rapporti con le loro figlie minori». E per quanto concerne le ripercussioni subite dalle due vittime dello stalking messo in atto dalla donna, i Giudici sottolineano «lo stato di grave ansia e paura in cui si sono venute a trovare le persone offese», alla luce del «ripetersi ossessivo delle molestie», del « coinvolgimento delle figlie minori », del «numero» e del «tenore dei contatti telefonici molesti e dei messaggi inviati tramite WhatsApp inviati alle vittime», e, infine, delle «incursioni in casa delle vittime, incursioni improvvise e destabilizzanti , compiute dalla donna sfruttando sovente il diritto genitoriale di vedere le figlie minori», e senza dimenticare, infine, «le aggressioni vere e proprie, e ripetute in più occasioni, ai danni delle persone offese». A fronte di tale quadro probatorio non può rilevare, chiariscono i Giudici, «la circostanza che le due vittime non abbiano smesso di frequentarsi quale conseguenza del comportamento della stalker, non essendo richiesto che il mutamento di vita giunga a conseguenze estreme, ma dovendo esso ritenersi configurabile, per la sussistenza dell’evento del reato di atti persecutori , anche in presenza di una sensibile e qualitativamente apprezzabile costrizione delle abitudini quotidiane di vita delle vittime, anche solo transitorie, sebbene non meramente occasionali».

Presidente Catena – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Roma che ha confermato la decisione di primo grado con cui B.V. è stata condannata alla pena di dieci mesi di reclusione, in relazione ai delitti di atti persecutori capo a e lesioni aggravate ex articolo 576, comma 1, numero 5.1. capi b e c , commessi ai danni del suo ex coniuge e della sua nuova compagna, unificati i reati nel vincolo della continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata vi è stata condanna anche al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili, da liquidarsi separatamente, e al pagamento di una provvisionale di 3000 Euro per ciascuna di esse. L'imputata è accusata di aver ripetutamente minacciato e molestato le vittime, inveendo contro di loro in più occasioni, anche in prossimità di casa, arrivando, in due diversi giorni, ad aggredire l'ex marito e la nuova compagna di questi, strattonandoli e provocando loro lesioni giudicate guaribili in pochi giorni. 2. Avverso la sentenza d'appello citata ha proposto ricorso l'imputata, tramite il difensore, deducendo due distinte eccezioni. 2.1. Con un primo motivo, si è dedotta mancanza e manifesta illogicità della motivazione, avuto riguardo alla configurabilità degli eventi del reato di cui all' articolo 612-bis c.p. ed in particolare all'aver provocato un grave stato d'ansia e paura nelle persone offese, nonché all'aver causato un mutamento delle loro abitudini di vita. Sotto quest'ultimo aspetto, la difesa sottolinea come le due modifiche del domicilio dell'ex-marito della ricorrente siano state indotte non già dai comportamenti persecutori di costei, ma da scelte individuali autonome dell'uomo. 2.2. Con una seconda ragione di ricorso, la difesa denuncia due distinti profili di illegittimità della decisione impugnata - violazione dell' articolo 499 c.p.p. , commi 3 e 4 il Tribunale ha posto alle persone offese domande suggestive sullo stato d'ansia e di paura provato - violazione di legge in relazione all'evento del reato previsto dall' articolo 612-bis c.p. dell'aver provocato alle persone offese un grave stato d'ansia e paura la sentenza d'appello non ha motivato sulla gravità di tale condizione, caratteristica necessaria ai fini dell'integrazione dell'evento suddetto. 2.3. Infine, un terzo motivo di ricorso denuncia la carenza di motivazione e il vizio di violazione di legge quanto al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena. Non si sono tenuti in conto espressamente i parametri normativi previsti dall' articolo 133 c.p. , ma soltanto la prognosi circa la mancata astensione, futura e probabile, della ricorrente dall'astenersi da nuove condotte di reato di simile portata rispetto a quelle in giudizio. Si è depotenziato, in particolare, il rilievo positivo dell'assenza di precedenti penali in capo all'imputata. 3. Il PG L.B. ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. 3.1. Il difensore della ricorrente ha depositato conclusioni scritte con le quali chiede che venga accolto il ricorso proposto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. I motivi proposti sono tutti reiterativi di doglianze già adeguatamente disattese nella sentenza d'appello, che ha ampiamente spiegato quale sia l'humus di cui si è nutrita la condotta persecutoria accertata in capo alla ricorrente, vale a dire il clima di forte conflittualità sorto tra le persone offese e l'imputata sottolineato con molta onestà dalle prime dovuto alla mancata accettazione da parte di costei della relazione dell'ex marito con la nuova compagna ed al collegato contrasto tra gli ex coniugi per la gestione della vita e dei reciproci rapporti con le figlie minori. 2. Il primo motivo di censura è manifestamente infondato, oltre che reiterativo. La sentenza impugnata ha valutato le condotte della ricorrente alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice secondo cui la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante Sez. 5, numero 24135 del 9/5/2012, G., Rv. 253764 e, più in generale, può essere desunta da elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata cfr., ex multis, Sez. 5, numero 17795 del 2/3/2017, S., Rv. 269621 Sez. 6, numero 50746 del 14/10/2014, P.C., Rv. 261535 Sez. 5, numero 14391 del 28/2/2012, S., Rv. 252314 . Sotto diversa, collegata prospettiva, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto - tra i quali lo stato d'ansia provocatole dall'imputato o il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto, che sono certamente enucleabili dal contesto della vicenda in esame - potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente Sez. 5, numero 47195 del 6/10/2015, S., Rv. 265530 Sez. 5, numero 57704 del 14/9/2017, P., Rv. 272086 . Nel caso di specie, molteplici elementi concreti concorrono a delineare - a giudizio della Corte d'Appello - la configurabilità degli eventi alternativi del reato ed ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall' articolo 612-bis c.p. cfr. Sez. 5, numero 43085 del 24/9/2015, A., Rv. 265231 , in particolare dello stato di grave ansia e paura in cui si sono venute a trovare le vittime del reato a causa del comportamento dell'imputata il ripetersi ossessivo delle molestie, il coinvolgimento nelle stesse delle figlie minori, il numero ed il tenore dei contatti telefonici molesti e dei messaggi tramite whatsapp inviati alle vittime, le incursioni in casa delle vittime improvvise e destabilizzanti compiute sfruttando sovente il diritto genitoriale di far visita o vedere le figlie minori infine, le aggressioni vere e proprie ai danni delle persone offese, ripetute in più occasioni e debitamente messe in risalto dalle sentenze di merito sul punto, si rimanda alla sintesi della pronuncia d'appello, in apertura . Da tali considerazioni discende anche la manifesta infondatezza e l'aspecificità di quella parte del secondo motivo di ricorso dedicata a contestare la qualità grave dello stato d'ansia provocato alle vittime, chiaramente desumibile nel suo oppressivo peso, dai caratteri della condotta realizzata dalla ricorrente. Quanto all'evento costituito dal mutamento delle abitudini di vita - a prescindere dall'irrilevanza del motivo di ricorso, tenuto conto che, ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente la prova di almeno uno dei plurimi eventi alternativi contemplati dalla disposizione incriminatrice - vi è prova non smentita di esso dal confronto delle motivazioni dei due provvedimenti di merito, concordi nel riferire che all'imputata è stata lasciata la casa di abitazione coniugale proprio per tentare di arginare le sue condotte persecutorie nei confronti dell'ex marito e della nuova compagna, con conseguente mutamento di domicilio da parte dell'ex-coniuge. Ne' rileva la circostanza che le due vittime non abbiano smesso di frequentarsi quale conseguenza del comportamento dell'imputata, non essendo richiesto che il mutamento di vita giunga a conseguenze estreme quali quelle indicate dalla difesa, ma dovendo esso ritenersi configurabile, per la sussistenza dell'evento del reato di atti persecutori, anche in presenza di una sensibile e qualitativamente apprezzabile costrizione delle abitudini quotidiane di vita delle vittime, anche solo transitorie sebbene non meramente occasionali, cfr. Sez. 5, numero 17552 del 10/3/2021, B., Rv. 281078 Sez. 5, numero 1541 del 17/11/2020, dep. 2021, L., Rv. 280491 . 3. Il secondo motivo di ricorso, nella parte non ancora esaminata dal Collegio e dedicata a contestare la suggestività delle domande poste dal tribunale alle persone offese testimoni, è manifestamente infondato. Basti ricordare che, in tema di esame testimoniale, il divieto di porre domande suggestive non opera con riguardo al giudice, il quale, agendo in una posizione di terzietà, può rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili a fornire un contributo per l'accertamento della verità cfr., per tutte e da ultimo, Sez. 6, numero 8307 del 13/1/2021, G., Rv. 280710-01 . 4. Si svela manifestamente infondato e, in parte, generico anche il terzo ed ultimo motivo di ricorso, dedicato a contestare il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena richiesto dalla ricorrente, negato nonostante la sua incensuratezza. Ebbene, la difesa omette di confrontarsi con le ragioni, invero essenziali, della decisione della Corte d'Appello sul punto si è optato per valorizzare, in chiave negativa, la pervicacia criminale espressa dalle condotte abituali che hanno composto il reato, per come ricostruite nel corso dei giudizi di merito, sintomatica di una particolare e spiccata intensità del dolo nonché la circostanza che la ricorrente ha continuato ad attuare i suoi comportamenti persecutori anche dopo che le è stata applicata una misura cautelare per questi fatti, a riprova della incapacità finanche di provvedimenti coercitivi a contenere la prospettiva persecutoria. Da qui, la prognosi indiscutibilmente infausta circa la possibilità di applicare la sospensione condizionale della pena. 5. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell' articolo 616 c.p.p. , la condanna della ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità cfr. sul punto Corte Cost. numero 186 del 2000 , al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000. 5.1. Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 , in quanto imposto dalla legge.