Violenze fisiche e verbali sui piccoli alunni: maestra condannata per maltrattamenti

Respinta la linea difensiva, mirata a ridimensionare i fatti verificatisi in classe e a presentarli come frutto di un mero abuso dei mezzi di correzione. I giudici sono chiari la violenza fisica, le ingiurie e le minacce non possono mai annoverarsi tra i mezzi di correzione consentiti e, in teoria, suscettibili di un uso inappropriato.

Violenze fisiche e violenze verbali cioè ingiurie e minacce ai danni dei piccoli alunni di una scuola materna non possono mai essere catalogate come frutto di un eccessivo e sproporzionato ricorso, da parte dell'insegnante, ai cosiddetti mezzi di correzione. Legittimo, perciò, parlare di veri e propri maltrattamenti. In classe. A finire sotto processo è una donna, maestra in una scuola materna in Piemonte. A suo carico l'accusa è gravissima le viene contestato di essersi resa protagonista in classe di violenze fisiche e verbali ai danni di alcuni piccoli alunni. E per i giudici di merito l'accusa non è solo gravissima ma è anche fondata consequenziale la condanna della donna a oltre due anni di carcere per il reato di maltrattamenti. Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta la maestra prova a ridimensionare la vicenda, sostenendo non vi sia prova della abitualità delle condotte e del necessario dolo unitario , nel senso di consapevole obiettivo di prevaricazione e mortificazione del soggetto passivo , cioè dei piccoli alunni. Sempre sulla stessa falsariga, poi, il legale sostiene sia più corretto parlare di abuso dei mezzi di correzione . Per dare forza a questa tesi il legale pone sul tavolo alcuni elementi tra i fatti oggetto d'addebito vi sono anche sporadici episodi di rimproveri dinanzi ai compagni i motivi della condotta reattiva dell'insegnante e la proporzione rispetto a quella dell'alunno, rilevanti sotto il profilo della necessità e della congruenza dell'intervento correttivo mancata dimostrazione del ricorso sistematico alla violenza fisica e della correlata condizione di avvilimento dei minori, condizione effettiva e non pregiudizialmente ritenuta in astratto mancata specificazione di quali bambini siano stati diretti destinatari di determinati comportamenti e quali vi abbiano soltanto assistito, eventualmente anche in modo solo occasionale . Per completare la linea difensiva, infine, il legale sottolinea che molti genitori , sia con le loro testimonianze che con una missiva, hanno mostrato apprezzamento per la maestra ed hanno escluso qualsiasi ricaduta negativa sulla condizione psicologica dei loro figli, tra i quali anche alcuni di quelli indicati come vittime delle condotte oggetto del procedimento penale. Ultima carta difensiva, poi, è il richiamo alle precarie condizioni di salute della maestra, con particolare riferimento alla capacità della donna, provata da lutti, amarezze familiari e stress lavorativo, di rappresentarsi la natura vessatoria dei suoi comportamenti, nonché della volontà di persistere in quei comportamenti . Violenza. Per i giudici di Cassazione, però, le obiezioni difensive sono prive di fondamento, soprattutto alla luce di un quadro probatorio che poggia, tra l'altro, sulla lettera e sulle testimonianze dei genitori, oltre che sulle manifestazioni psicologiche reattive di almeno alcuni bambini . Impossibile , secondo i giudici, ipotizzare un mero abuso dei mezzi di correzione o di disciplina che consiste nell'uso non appropriato di metodi, strumenti e, comunque, comportamenti correttivi od educativi, in via ordinaria consentiti dalla disciplina generale e di settore nonché dalla scienza pedagogica, quali, a mero titolo esemplificativo, l'esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l'obbligo di condotte riparatorie, forme di rimprovero non riservate . Su questo fronte i giudici chiariscono che l'uso di determinati metodi poco ortodossi deve ritenersi appropriato, quando ricorrano la necessità dell'intervento correttivo , in conseguenza dell'inosservanza, da parte dell'alunno, dei doveri di comportamento su di lui gravanti, e la proporzione tra tale violazione e l'intervento correttivo adottato, sotto il profilo del bene-interesse del destinatario su cui esso incide e della compressione che ne determina . Di conseguenza, qualsiasi forma di violenza , invece, sia essa fisica che psicologica, non costituisce mezzo di correzione o di disciplina, neanche se posta in essere a scopo educativo. E qualora di essa si faccia uso sistematico, quale ordinario trattamento del minore affidato, la condotta non rientra nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, bensì in quella di maltrattamenti . Tirando le somme, l'abuso di mezzi di correzione o di disciplina, qualora sistematico e tale da determinare all'interno della classe un regime di abituale prevaricazione in danno degli alunni e di una loro afflizione , integra il più grave delitto di maltrattamenti . E nella vicenda presa in esame per escludere l'abuso dei mezzi di correzione è sufficiente rilevare che in vari e reiterati episodi la maestra ha tenuto verso i suoi alunni condotte caratterizzate da violenza fisica, ingiurie e minacce, che come non possono mai annoverarsi tra i mezzi di correzione consentiti e, in ipotesi, suscettibili di un uso inappropriato , concludono i giudici. Per quanto concerne la pena, è privo di efficacia il richiamo difensivo alle presunte precarie condizioni psichiche della donna. Ciò non consente di mettere in discussione il dolo che ha caratterizzato i comportamenti da lei tenuti a scuola, soprattutto tenendo presenti la sua pluriennale esperienza , le reazioni evidenti dei bambini e la sollecitazione agli alunni di non riferire in famiglia di quanto accaduto in classe.

Presidente Di Stefano Relatore Rosati Ritenuto in fatto 1. M.M.T., attraverso il proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Torino del 17 febbraio 2021, che ne ha confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti in danno degli alunni a lei affidati quale insegnante di scuola materna, con le conseguenti statuizioni risarcitorie verso le parti civili B.M., Q.A. e Comune di Torino, in persona dei rispettivi rappresentanti legali. 2. Il ricorso rassegna tre doglianze. 2.1. La prima riguarda l'omessa motivazione della sentenza in relazione a sette episodi oggetto di contestazione, con conseguenti ricadute sulla dimostrazione del presupposto dell'abitualità delle condotte e del necessario dolo unitario, nel senso di consapevole obiettivo di prevaricazione e mortificazione del soggetto passivo. 2.2. Il secondo motivo sviluppa il tema, accennato anche nel primo, della riqualificazione giuridica dei fatti, semmai, come abuso dei mezzi di correzione, ai sensi dell' art. 571 c.p. . A tal fine, il difensore rileva che - tra i fatti oggetto d'addebito vi sono anche sporadici episodi di rimproveri dinanzi ai compagni, che la giurisprudenza di questa Corte annovera tra le condotte integranti detta fattispecie - la sentenza omette aprioristicamente di considerare i motivi della condotta reattiva dell'insegnante e la proporzione rispetto a quella dell'alunno, invece rilevanti sotto il profilo della necessità e della congruenza dell'intervento correttivo - manca la dimostrazione del ricorso sistematico alla violenza fisica e della correlata condizione di avvilimento del minore, effettiva e non pregiudizialmente ritenuta in astratto - nell'affermare che il contegno dell'imputata fosse idoneo a provocare sofferenza e mortificazione nei bambini, la sentenza non distingue tra le singole condotte e le ipotizzate persone offese, omettendo di specificare quali bambini siano stati diretti destinatari di quei comportamenti e quali vi abbiano soltanto assistito, eventualmente anche in modo solo occasionale - molti genitori, sia con le loro testimonianze che con una missiva, hanno mostrato apprezzamento per l'imputata ed hanno escluso qualsiasi ricaduta negativa sulla condizione psicologica dei loro figli, tra i quali anche alcuni di quelli indicati come vittime delle condotte oggetto di contestazione. 2.3. Con il terzo motivo si lamentano violazione di legge e mancata acquisizione di prove decisive, in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'assunzione di testimonianze sulle condizioni di salute dell'imputata. La Corte d'appello ne ha ritenuto l'assoluta superfluità, evidenziando che mai era stata posta in discussione l'imputabilità e che, di tali condizioni, il Tribunale aveva già tenuto conto per il riconoscimento di attenuanti generiche prevalenti. Replica la ricorrente che, in tal modo, è stata impedita l'acquisizione di elementi rilevanti ai fini della determinazione della gravità del reato, sotto il profilo della capacità a delinquere, e quindi della commisurazione della pena-base, non contenuta nel minimo edittale nonché ai fini dell'accertamento del dolo, sotto il profilo della capacità dell'imputata, provata da lutti, amarezze familiari e stress lavorativo, di rappresentarsi la natura vessatoria dei suoi comportamenti, nonché della volontà di persistere in essi. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso non può essere ammesso, poiché aspecifico. La difesa non spiega, infatti, come invece sarebbe stata tenuta a fare, per quale specifica ragione la mancata disamina di alcuni degli episodi oggetto di contestazione ridondi sull'abitualità delle condotte o sul dolo unitario dei maltrattamenti e tale spiegazione sarebbe stata tanto più necessaria, ove si consideri che i fatti non singolarmente esaminati rappresentano una parte residuale di quelli contestati che la sentenza di primo grado, richiamata in generale, comunque li ha trattati tutti in dettaglio e che, infine, quella d'appello ne riporta comunque diversi, precisando che la relativa indicazione aveva carattere puramente esemplificativo. 2. Il secondo motivo non è fondato. 2.1. Quanto alla ricostruzione dei fatti, la sentenza impugnata passa in rassegna tutti gli elementi di prova e le questioni dedotte la lettera e le testimonianze dei genitori le manifestazioni piscologiche reattive, almeno di alcuni dei bambini , ed il ricorso, anziché replicare criticamente alle argomentazioni della Corte d'appello, si limita a dolersi dell'insufficiente indicazione delle relative circostanze rispetto a tutte le ipotizzate vittime. 2.2. In punto di qualificazione giuridica, invece, questa Corte Sez. 6, n. 11777 del 21/01/2020, P., Rv. 278744 ha già avuto modo di precisare che l'abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, previsto e punito dall' art. 571 c.p. , consiste nell'uso non appropriato di metodi, strumenti e, comunque, comportamenti correttivi od educativi, in via ordinaria consentiti dalla disciplina generale e di settore nonché dalla scienza pedagogica, quali, a mero titolo esemplificativo, l'esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l'obbligo di condotte riparatorie, forme di rimprovero non riservate. Il relativo uso deve ritenersi appropriato, quando ricorrano entrambi i seguenti presupposti a la necessità dell'intervento correttivo, in conseguenza dell'inosservanza, da parte dell'alunno, dei doveri di comportamento su di lui gravanti b la proporzione tra tale violazione e l'intervento correttivo adottato, sotto il profilo del bene-interesse del destinatario su cui esso incide e della compressione che ne determina. Qualsiasi forma di violenza, invece, sia essa fisica che psicologica, non costituisce mezzo di correzione o di disciplina, neanche se posta in essere a scopo educativo e, qualora di essa si faccia uso sistematico, quale ordinario trattamento del minore affidato, la condotta non rientra nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, bensì, in presenza degli altri presupposti di legge, in quella di maltrattamenti, ai sensi dell' art. 572 c.p. . L'abuso di mezzi di correzione o di disciplina, dunque, qualora sistematico e tale da determinare all'interno della classe un regime di abituale prevaricazione in danno degli alunni e di afflizione degli stessi, integra il più grave delitto di maltrattamenti, di cui all' art. 572 c.p. . 2.3. In applicazione di tali principi al caso di specie, per escluderne la riqualificazione invocata dalla difesa ricorrente, è dunque sufficiente rilevare che, in vari e reiterati episodi, l'imputata ha tenuto verso i suoi alunni e/o alla presenza di essi, condotte caratterizzate da violenza fisica, ingiurie e minacce, che - come s'è detto - non possono mai annoverarsi tra i mezzi di correzione consentiti e, in ipotesi, suscettibili di un uso inappropriato. 3. Il terzo motivo, in punto di omessa rinnovazione istruttoria, è, nel complesso, manifestamente infondato. Deve anzitutto evidenziarsi, in linea generale, che, essendo rimessa al giudicante la valutazione della completezza della prova, la relativa decisione del giudice d'appello può essere censurata non in sé, ma solamente nei limiti in cui il deficit probatorio conseguente alla mancata integrazione istruttoria si riverberi sulla complessiva tenuta logica della motivazione. Ciò premesso, e volendo prescindere dalla genericità della relativa allegazione, va rilevato che l'assunto difensivo della ricaduta delle ipotizzate condizioni psichiche dell'imputata sul dolo è specificamente smentito in sentenza pagg. 18 s. , senza che il ricorso replichi alcunché ai relativi argomenti pluriennale esperienza di costei, reazioni evidenti dei bambini, sollecitazione a questi ultimi a non riferirne in famiglia, timore che ciò accadesse, da lei manifestato ad una sua collaboratrice . Quanto, poi, ai riflessi sulla pena, è sufficiente osservare che le condizioni psichiche sono state espressamente tenute in considerazione dai giudici di merito, ai fini sia del riconoscimento delle attenuanti generiche che della pena-base, quest'ultima, peraltro, prossima al minimo due anni e tre mesi di reclusione, a fronte di una forbice edittale da due a sei anni vds. pag. 41, sent. Tribunale, richiamata da quella impugnata , mentre una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito si presenta necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale tra le tantissime Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288 Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243 Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142 . 4. Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna al ristoro delle spese di giudizio verso l'Erario e le parti civili costituite artt. 592 e 616, c.p.p. , queste ultime equamente liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, la ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Torino, B.M. e Q.A., che liquida per ciascuno in Euro 3.510, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 5 2 in quanto imposto dalla legge.