Quando è configurabile il tentativo del delitto di mercato di voto?

Il reato di mercato di voto, a consumazione necessariamente bilaterale e a concorso necessario, richiede una trattativa tra i soggetti coinvolti nel fatto. La proposta senza accettazione integra la fattispecie di delitto tentato?

Il protagonista della vicenda in commento veniva assolto in primo grado dal reato di mercato di voto di cui all'articolo 233 l.fall. esso prospettava all'amministratore di una società il pagamento di una somma milionaria per esprimere parere favorevole al concordato preventivo presentato, che proponeva di soddisfare i creditori chirografari in misura inferiore al 10%. Il tribunale rilevava che l'imputato non aveva alcun potere decisionale sul concordato preventivo e che, anzi, aveva sollecitato un voto favorevole all'accettazione da parte dei vertici della società. La Corte d'appello riformava la decisione e riteneva l'imputato responsabile del reato contestato. Lo stesso proponeva quindi ricorso per la cassazione della sentenza di condanna lamentando l'erroneo riconoscimento del tentativo da parte della Corte territoriale, che lo avrebbe ritenuto integrato pur in assenza di trattative bilaterali. Il reato di mercato di voto ha una struttura bilaterale a concorso necessario, in cui creditore e fallito devono accordarsi e stipulare vantaggi in favore del creditore quale contropartita dell'espressione del voto favorevole di quest'ultimo alla proposta di concordato. La presenza di due soggetti in concorso è quindi espressamente richiesta dalla norma incriminatrice come elemento costitutivo della fattispecie, che non può essere realizzata da una sola persona. Quindi, come nel caso di specie è avvenuto, la sola proposta del creditore non accettata dal debitore sarebbe riconducibile solo alla fattispecie dell'istigazione, non punibile ai sensi dell'articolo 115 c.p La Suprema Corte ha ritenuto fondate le doglianze la Corte d'appello ha imputato al ricorrente atti idonei, diretti, in modo univoco, ad ottenere vantaggi compensativi a fronte dell'esercizio del voto in favore del concordato, senza però considerare il comportamento assunto dal destinatario della pretesa nell'intera vicenda, limitandosi a registrare la mancata accettazione quale elemento idoneo a ritenere integrato il tentativo di reato. I Giudici di ultima istanza condividono le prospettazioni circa la natura del delitto in questione come reato a consumazione necessariamente bilaterale e a concorso necessario, un vero e proprio reato plurisoggettivo che protegge il regolare svolgimento della procedura concorsuale. Per configurare il tentativo, «occorre che la trattativa sia pervenuta ad uno stadio tale da consentire di ravvisare l'idoneità degli atti diretti in modo non equivoco alla stipula dell'accordo e che l'accordo poi non si sia concluso per cause indipendenti dalla volontà degli autori sicché ove, invece, la proposta proveniente da una delle parti sia rimasta – come nel caso di specie – non accolta dall'altra neppure in termini di avvio di una trattativa, il tentativo non è configurabile». L'imputato si è limitato a prospettare i termini dell'accordo, sì istigando il destinatario all'adesione, ma non può in ciò quindi ravvedersi la forma tentata del delitto di cui all'articolo 233 l.fall La Corte non rileva alcun pericolo per il bene tutelato nel caso concreto ed accoglie pertanto il ricorso annullando senza rinvio la sentenza.

Presidente Sabeone – Relatore Sessa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata in data 28.01.2019, il Tribunale di Roma assolveva per insussistenza del fatto, G.A., in qualità di amministratore delegato di Acea Energia s.p.a., dal delitto tentato di mercato di voto - di cui agli articolo 56 c.p., 233 e 236, comma 2 numero 4 L. Fall. - per avere prospettato a M.M., presidente del omissis , a sua volta rifornito da Acea s.p.a., il pagamento di Euro 1.000.000,00 per esprimere parere favorevole al concordato preventivo presentato da omissis s.r.l. , società in liquidazione amministrata da M.P. figlio di M.M. che, a fronte del debito di omissis S.r.l. verso Acea Energia s.p.a. di Euro 1.800.000,00, proponeva di soddisfare i creditori chirografari nella misura del 9,4%. In particolare, il giudice di primo grado, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, non riteneva provata la penale responsabilità dell'imputato sulla base dei seguenti elementi - le due conversazioni registrate da M.P., all'insaputa di G., in occasione dei loro due incontri, erano state effettuate dalla p.o. con il proprio telefonino, mai consegnato agli inquirenti e riversate in un c.d. il cui contenuto era stato trascritto da un perito, all'uopo nominato, senza alcuna garanzia della genuinità delle conversazioni - dall'esame testimoniale era risultato che l'imputato non aveva alcun potere decisionale sul concordato preventivo e che, anzi, aveva sollecitato un voto favorevole all'accettazione da parte dei vertici di Acea - l'accordo proposto da G. a M. - di corrispondere per il tramite del omissis 100.000 Euro al mese fino a concorrenza della somma di un milione di Euro per ripianare in parte il debito di omissis - avrebbe dovuto essere sottoposto all'attenzione dei rispettivi legali delle due società sicché non poteva ravvisarsi alcun intento fraudolento da parte dell'imputato. 2. Investita dell'appello da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma e delle parti civili M.M. e M.P., la Corte di Appello di Roma, con sentenza emessa il 06.04.2021, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato G.A. responsabile del reato ascrittogli e, concesse le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena, sospesa, di mesi undici di reclusione ed Euro 300,00 di multa. Ha altresì condannato l'imputato e il responsabile civile Acea Energia s.p.a., in solido, a risarcire il danno cagionato alle parti civili. Segnatamente, la Corte, previa rinnovazione dell'audizione del teste M.M. ai sensi dell'articolo 603, comma 3-bis c.p.p., ha ritenuto provata la responsabilità penale dell'imputato alla luce della deposizione di M.M. e in considerazione del contenuto delle conversazioni intervenute tra le parti, riversate su altro c.d. dal consulente e da questi oggetto di trascrizione acquisiti, sia il cd che le trascrizioni, senza obiezioni da parte della difesa quanto alla genuinità del contenuto del supporto e senza che dalla medesima provenisse alcuna richiesta di perizia ai fini dell'individuazione delle voci . 3. Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello, propongono ricorso per cassazione l'imputato e il responsabile civile, attraverso il comune difensore di fiducia, Avv. C. P., mediante distinti atti di impugnazione. 4. Il ricorso proposto nell'interesse di G.A. prospetta tre motivi. 4.1. Il primo motivo deduce l'erronea applicazione degli articolo 56 c.p., 223 e 236, comma 2, numero 4, L. Fall. in relazione all'articolo 601, comma 1, lett. b del codice di rito, nonché la contraddittorietà della motivazione per avere, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto integrato il tentativo di mercato di voto in assenza di trattative bilaterali, poiché non configurabile, anche in riferimento all'unico precedente giurisprudenziale sul punto che avalla la tesi difensiva. In particolare, si evidenzia che la fattispecie di cui agli articolo 233 e 236, comma 2, numero 4 L. Fall., prevede, al pari delle fattispecie di corruzione, una struttura bilaterale a concorso necessario, in cui il creditore e il fallito o altri, nell'interesse del fallito devono accordarsi e stipulare vantaggi in favore del creditore quale contropartita dell'espressione del voto favorevole di quest'ultimo alla proposta di concordato. Ed invero, la compresenza di almeno due soggetti in concorso è richiesta dalla norma incriminatrice, come elemento costitutivo della fattispecie, la quale, pertanto, non può essere realizzata da una sola persona. Si rileva che tale peculiarità permea qualunque forma di manifestazione del reato, compreso il tentativo, nell'ambito del quale è requisito imprescindibile un comportamento tenuto da entrambi i soggetti, in assenza di una specifica norma di legge che attribuisca rilevanza penale a condotte unilaterali. In quest'ottica, la fattispecie tentata del delitto di mercato di voto è ammissibile unicamente nel caso sussistano atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione del delitto ad esempio, l'aver intrattenuto tra le parti una serie di trattative circa un possibile accordo , tenuti da entrambi i soggetti, concorrenti necessari del reato. Di conseguenza la sola proposta del creditore, non accettata dal debitore, è riconducibile alla fattispecie dell'istigazione, non accolta, che ai sensi dell'articolo 115 c.p. non è punibile. Ciò posto, ad avviso della difesa, nel caso in esame, le stesse modalità con le quali, secondo la ricostruzione della Corte di appello, sarebbero avvenuti gli incontri tra il G. e il M. che vi avrebbe partecipato con un registratore in tasca allo scopo di documentare le dichiarazioni dei partecipanti alle riunioni, poi denunciando l'offerta ricevuta svelano in maniera univoca come non vi sia mai stata alcuna intenzione da parte del Sig. M.M. di instaurare trattative per giungere a un accordo illecito. Sul punto si richiama un caso simile affrontato dal Tribunale di Trento risolto con sentenza numero 249 del 9.06.2017 in cui il Tribunale prima, e la Corte di appello di Trento con senza numero 216 del 29 giugno 2018 poi, affermavano proprio quanto ivi sostenuto dalla difesa. Una conferma a tale impostazione deriva dal quadro normativo e giurisprudenziale che regola il delitto del mercato di voto, in cui manca una norma simile a quella contenuta nell'articolo 322 c.p. che prevede e punisce la fattispecie di istigazione in relazione ai reati di corruzione, caso eccezionale che consente di punire anche l'istigatore che non ottenga la partecipazione del concorrente necessario. A sostegno si richiama la giurisprudenza di legittimità riguardo alla distinzione tracciata, ancorché in tema di corruzione, tra le iniziative unilaterali, difficilmente riconducibili allo schema del tentativo, e le trattative bilaterali, punibili ex. articolo 56 c.p. in quanto situazioni in cui entrambi i protagonisti del rapporto pongono in essere una trattativa, svolgendo un ruolo attivo, ma questa fallisce. Alla luce della richiamata disamina dell'articolo 322 c.p., si rimarca l'assenza di una norma analoga prevista in tema di mercato di voto assenza che comporta la non punibilità dell'iniziativa infruttuosa del creditore, alla stregua di quanto disposto dall'articolo 115 c.p Si contesta pertanto l'erronea argomentazione offerta dalla Corte sulla configurabilità del tentativo di mercato di voto laddove - a pag. 19 - rileva che questo sia integrato quando le trattative non si siano concluse per cause indipendenti dalla volontà degli autori , pur avendo riconosciuto, in fatto, che non si sia avviata alcuna trattativa tra il ricorrente e il M. e che quest'ultimo non abbia mai preso in considerazione la proposta avanzata dal primo, procedendo anzi a presentare denuncia. Inoltre, a riprova dell'irrilevanza nei termini affermati in appello del comportamento del ricorrente quale tentativo di mercato di voto, la Corte di merito non considera nemmeno che la contestazione di un tentativo di mercato di voto avrebbe richiesto l'esercizio dell'azione penale, non solo nei confronti del ricorrente, ma anche del concorrente necessario M., al quale, come affermato dalla sentenza impugnata, non è riconosciuto nessun profilo di responsabilità dato il suo rifiuto di avviare alcuna trattativa. Posto che la situazione di vantaggio sia elemento costitutivo della fattispecie di cui all'articolo 233 L. Fall. dato che il reato in questione è posto a tutela della par condicio creditorum ed è lo stesso legislatore ad adoperare, con riferimento all'oggetto della stipula, il termine vantaggi , sottolineando la necessità che la condotta prevista crei una disparità tra il creditore avvantaggiato e gli altri creditori, sotto altro profilo, si censura il silenzio della sentenza in relazione all'esistenza di un vantaggio per Acea Energia S.p.a. sotteso alla proposta del ricorrente laddove non è mai stata nemmeno ipotizzata la presenza di altro creditore che avrebbe potuto subire un pregiudizio nel concordato, per effetto del prospettato accordo. 4.2. Il secondo motivo deduce erronea applicazione dell'articolo 603, comma 3-bis c.p.p. nonché illogicità della motivazione con riferimento alla mancata riassunzione della testimonianza di D.V.G. richiesta dalla difesa all'udienza del 8.01.2021 e rigettata dalla Corte con ordinanza del 5.02.2021 poiché ritenuta non necessaria alla luce delle dichiarazioni del teste già rese in primo grado . Si rileva che la richiesta in questione era stata avanzata proprio alla luce dell'ordinanza con cui la Corte di appello, alla precedente udienza del 27.11.2020, aveva ritenuto necessaria una nuova audizione di M.M Invero, la difesa, alla luce del disposto dell'articolo 603, comma 3-bis, c.p.p. e della costante giurisprudenza di legittimità in materia, richiamata con riferimento alla pronuncia a Sezioni Unite Dagupta, ravvisava l'assoluta necessità di rinnovare l'audizione anche del teste D.V. le cui dichiarazioni hanno concorso a determinare l'assoluzione dell'imputato . A sostegno del fatto che la sentenza di assoluzione si fonda sulle dichiarazioni rese da D.V., si evidenzia che a pag. 5 della pronuncia primo grado, il Tribunale, con riferimento all'esame del teste D.V. erroneamente indicato G. affermava che il ricorrente non aveva alcun potere di decisione sul concordato preventivo cui aveva accesso la società omissis in quanto eccedente i limiti della carica ricoperta in Acea Energia di talché aveva sollecitato il voto favorevole al concordata da parte dei vertici In contrasto, la pronuncia di Appello, ha diversamente valutato quanto dichiarato da D.V. statuendo - a pag. 18 - l'irrilevanza delle sue dichiarazioni secondo cui l'imputato, nella sua qualità di amministratore delegato della società, esercitava poteri di ordinaria amministrazione con il limite economico di spesa di Euro 1.000.000,00. Per le ragioni esposte, oltre che per l'assenza di una motivazione logica circa i motivi per cui una nuova audizione di D.V. non fosse necessaria, si contesta il mal governo esercitato dalla Corte della previsione di cui all'articolo 603, comma 3-bis del codice di rito, giacché per validamente riformare la sentenza assolutoria di primo grado e affermare la penale responsabilità del ricorrente si sarebbe dovuto procedere a una nuova audizione anche del teste della difesa. 4.3. Il terzo motivo deduce contraddittorietà della motivazione in ordine alla quantificazione della pena nonché erronea applicazione degli articolo 62-bis, 65 e 133 c.p. poiché, stante l'avvenuto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la Corte, nel fare uso del proprio potere discrezionale in merito all'entità della diminuzione della pena base fino a un terzo ex. articolo 65 c.p. ha adottato due criteri differenti per la diminuzione della pena pecuniaria e della pena detentiva con riferimento alla pena della multa, ha optato per una diminuzione pari a un terzo della pena base da Euro 450,00 a Euro 300,00 , mentre nel determinare la pena della reclusione ha concesso una riduzione inferiore a un terzo da quindici a undici mesi di reclusione , pari a quattro mesi anziché cinque. Ciò è ritenuto tanto più grave in quanto la Corte non ha motivato, contrariamente a quanto richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, la ragione in base alla quale ha ritenuto di applicare una decurtazione in misura diversa per le due componenti, detentiva e pecuniaria, della pena. Si lamenta altresì che, in considerazione della cornice edittale di cui all'articolo 233 L. Fall., la Corte è partita da una pena base eccessivamente elevata per il reato di tentativo di mercato di voto ascritto applicando la riduzione per il tentativo ex. articolo 56 c.p. da un terzo a due terzi, la forbice edittale da considerare nella determinazione della pena detentiva base per l'ipotesi tentata contestata è tra la pena minima ridotta di due terzi sei mesi, ridotta di due terzi a due mesi e la pena massima ridotta di un terzo da tre anni a due anni , laddove nel caso di specie la pena base è stata determinata in mesi quindici. L'eccessività di tale pena base è tanto più evidente in considerazione sia della richiesta ben più mite formulata dal Procuratore Generale, e anche ribadita successivamente, che, all'udienza del 27.11.2020 come da verbale in atti , aveva richiesto una condanna alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 40,00 di multa, sia della richiesta di assoluzione perché il fatto non sussiste formulata all'esito del giudizio di primo grado dal p.m. di udienza come da verbale del 28.01.2019 in atti . Inoltre, a parte il laconico riferimento al tempo intercorso tra la commissione del fatto e la decisione quale elemento di valutazione per la concessione delle generiche, in violazione di quanto disposto dall'articolo 132 c.p. e dall'articolo 111 comma 6, Cost., non vi è nella pronuncia impugnata alcun riferimento ai criteri di cui all'articolo 133 c.p. che chiarisca quali ragioni abbiano spinto la Corte di appello a determinare una pena così elevata posto che nemmeno è stata considerata l'assenza di precedenti penali e giudiziari in capo al ricorrente. Posto il principio secondo cui l'obbligo di motivazione del giudice si attenua e può dunque ritenersi sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena , nel solo caso in cui sia irrogata una pena prossima al minimo edittale, si contesta alla Corte di non aver fatto buon governo del principio richiamato laddove, nonostante abbia fissato la pena base in misura tutt'altro che prossima al minimo, abbia adottato una motivazione attenuata , ricorrendo genericamente all'espressione appare conforme a giustizia . Si osserva, infine, che l'eventuale accoglimento del presente motivo, imporrebbe al declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, spirata, stante la sospensione intervenuta dal 20.03.2017 al 29.09.2017, in data 20.09.2021. 5. Il ricorso proposto nell'interesse di Acea Energia S.p.a. prospetta due motivi di identico contenuto letterale rispetto alle doglianze presentate col primo e secondo motivo del ricorso di G., ed insta quindi per l'annullamento della sentenza in punto di statuizioni civili. Considerato in diritto Il ricorso deve essere accolto, con le precisazioni di seguito indicate. 1.La doglianza in diritto, sollevata dalla difesa del ricorrente in ordine alla inconfigurabilità del tentativo rispetto alla fattispecie concreta per come delineatasi e delineata nella stessa pronuncia impugnata, è fondata. La Corte di appello imputa a G. l'esecuzione di atti idonei, diretti, in modo univoco, ad ottenere vantaggi compensativi a fronte dell'esercizio del voto in favore dell'ammissione alla procedura di concordato pre-falllimentare, senza considerare il comportamento assunto dal destinatario della pretesa nell'intera vicenda, limitandosi a registrare la sua mancata accettazione quale elemento sufficiente a far ritenere integrato il reato contestato, laddove si tratta va di saggiare nello specifico la condotta assunta dalla persona offesa versandosi in un'ipotesi criminosa - quale è appunto quella del mercato di voto di cui all'articolo 233 l.f. - a consumazione necessariamente bilaterale e a concorso necessario. La norma in argomento, che punisce la stipula di accordi tra il creditore ed il fallito o con altri nell'interesse del fallito, rectius il fallendo allorquando si tratta, come nel caso di specie, di voto relativo al concordato preventivo finalizzati a prestare il voto del creditore nella procedura di concordato o, dichiarato il fallimento, in senso al comitato dei creditori , prevede un reato plurisoggettivo c.d. reato-accordo , la cui ratio è quella di tutelare il regolare svolgimento delle operazioni fallimentari e delle determinazioni nell'ambito della procedura concorsuale, ivi comprese quelle relative alla fase pre-fallimentare del concordato preventivo stante il riferimento al concordato senza specificazione e il richiamo di cui all'articolo 236 L. Fall. , e mira a sanzionare comportamenti atti a turbare o falsare le operazioni di voto dei creditori con conseguente alterazione del regolare iter della procedura fallimentare sicché a rigore essa sembra prescindere dalla lesione della par condicio creditorum dal momento che le deliberazioni del comitato dei creditori non necessariamente hanno ripercussioni dirette su di essa laddove nel caso di specie - è opportuno precisare per completezza - risulta la presenza di un altro creditore interessato dal concordato, oltre che la posizione preminente della società riconducibile all'imputato . La fattispecie di cui all'articolo 233 L. Fall., per come è strutturata, presuppone la par condicio contractualis , limitandosi, essa, a rimandare alla stipulazione, ossia a un concetto giuridico che implica l'incontro libero e consapevole della volontà delle parti in assenza di ulteriori specificazioni quanto alle modalità della condotta, la quale si connota col raggiungimento dell'accordo insito nella stipula , rimane evidente la struttura consensuale e bilaterale del reato che si perfeziona quindi con la consacrazione del patto illecito tra i privati rimane altresì evidente che per configurare il tentativo di tale fattispecie, necessariamente bilaterale, occorre che la trattativa sia pervenuta ad uno stadio tale da consentire di ravvisare l'idoneità degli atti diretti in modo non equivoco alla stipula dell'accordo e che l'accordo poi non si sia concluso per cause indipendenti dalla volontà degli autori sicché ove, invece, la proposta proveniente da una delle parti sia rimasta - come nel caso di specie - non accolta dall'altra neppure in termini di avvio di una trattativa, il tentativo non è configurabile. Il difensore delle parti civili - senza rinnegare espressamente la ricostruzione bilaterale svolta dal ricorrente - qualifica l'offerta dell'accordo che preveda un vantaggio per il singolo creditore alla condizione dell'espressione di voto favorevole nella procedura concordataria come condotta idonea finalizzata al conseguimento dell'accordo, rispetto alla quale il mancato recepimento della proposta da parte del debitore - come accaduto nel caso di specie - renderebbe ciò nondimeno - punibile esclusivamente l'azione del creditore proponente, ragion per cui sarebbe pienamente configurabile il tentativo nell'operare tale ricostruzione si ammette, sia pure implicitamente, che nel caso di specie la proposta del creditore non fu accolta neppure in termini di trattativa da parte del debitore, rectius di chi era stato interpellato per esso la presunta persona offesa, padre del fallendo , che ne avrebbe, piuttosto, subito con ansia e angoscia gli effetti - così testualmente nella memoria nell'interesse delle parti civili - essendo in gioco l'avvenire di suo figlio, laddove si finisce per ravvisare delle trattative nel - solo - fatto che vi sia stato più di un incontro, in cui - come si afferma testualmente nella memoria - M. tentava - piuttosto - di far desistere G. dal suo proposito criminosa, cercando di convincerlo ad agire correttamente. L'offerta dell'accordo a cui si riferisce la memoria in argomento, altro non è che la proposta del creditore di stipula dell'accordo criminoso che in quanto tale si risolve nell'istigazione tipica quale atto unilaterale che è e rimane imputabile al solo proponente in mancanza di una qualche adesione del destinatario, quanto meno alla fase delle trattative che essa può innescare ove non sia immediatamente accettata sicché, nel caso in cui - come in quello di specie - il comportamento del destinatario non si ponga in termini di una condotta giuridicamente rilevante, quanto meno, come avvio di una trattativa ‘contrattuale', e si atteggi piuttosto a tentativo contrario teso a far desistere il proponente dall'illecito proposito, alcun reato, neppure nella forma tentata, è ravvisabile in capo a colui che si è limitato a prospettare i termini dell'accordo, sia pure istigando il destinatario all'adesione. In tal caso - esaurendosi la condotta del proponente nella sua stessa sfera giuridica, rimanendo circoscritti i suoi effetti al suo ambito nella misura in cui la sua esteriorizzazione si è risolta in un nulla di fatto - non può ritenersi innescato un meccanismo idoneo - neppure - a porre in pericolo il bene tutelato. La condotta dell'imputato è rimasta priva di conseguenze anche sul piano giuridico della fattispecie penale, che nel richiedere la soglia minima della bilateralità per ritenere minacciato il bene giuridico tutelato - il corretto svolgimento delle operazioni fallimentari - evidentemente lo considera scalfito solo in presenza di un atto che ecceda la sfera del proponente ed incontri quanto meno un cenno positivo da parte del destinatario, sicché ove difetti un benché minimo riscontro - che la disposizione normativa per come costruita tende a scoraggiare prevedendo, in caso contrario, la punizione del debitore - alcuna lesione può ritenersi integrata. La fattispecie delittuosa di cui all'articolo 233 L. Fall. è lato sensu riconducibile alla categoria della corruzione anche la rubrica Mercato di voto depone in tal senso e, volendo rimanere in ambito privatistico, a quella tra privati di cui all'articolo 2635 c.c. che però nella sua nuova formulazione prevede, a differenza di quella di cui all'articolo 233 L. Fall., l'ipotesi della sollecitazione di denaro o altre utilità non dovuti che è di per sé punita , sicché ove - come nel caso di specie - la condotta si è esaurita nella proposta di una delle parti integrante al più un'istigazione, essa, in mancanza di una disposizione, nell'ambito in questione, speculare a quella di cui all'articolo 322 c.p. o al novellato articolo 2635 c.c., rimane non punibile. Nel caso di specie, appare arduo parlare di trattativa, laddove M.M., presidente del omissis s.r.l., si è limitato a recepire la richiesta, reiterata in due occasioni dall'imputato, di elargire una ingente somma ancorché rateizzata ad Acea Energia s.p.a, a fronte della quale tale ultima società, detentrice del 51% dei crediti di omissis s.r.l., avrebbe espresso il proprio voto favorevole alla richiesta di concordato preventivo dalla predetta presentato al Tribunale una proposta di elargizione di somme certamente anomala, dovendo essa intervenire facendo uscire dalle casse di una diversa società la omissis s.r.l., appunto il denaro necessario per ripianare l'esposizione di omissis verso Acea Energia s.p.a., ma che nella dinamica in cui trovava sede non evolveva neppure nella forma della trattativa. Emerge per tabulas - come già evidenziato e sottolinea anche il P.G. presso questa Corte - non lo svolgersi di una trattativa che per definizione postula l'esistenza di proposte e controproposte, e comunque un comune obiettivo teso al raggiungimento di un accordo , ma solo la formulazione di una proposta da parte dell'imputato a cui la persona offesa frapponeva un contegno passivo che anzi evolveva in un tentativo di convincere controparte a desistere dal proposito criminoso proposta che, a differenza di quanto assume però lo stesso P.G., che reclama la riqualificazione del fatto come tentata estorsione - ipotesi caldeggiata, in via subordinata, già con l'atto di appello dalla difesa delle parti civili sulla base di stralci delle conversazioni intervenute tra M. e G. - non può essere neppure qualificata come pretesa estorsiva, essendo rimasto sullo sfondo l'accenno alle ripercussioni negative sui rapporti con omissis s.r.l. laddove l'esercizio del voto favorevole rispetto al concordato fu - solo - prospettato come l'altro termine dell'accordo che l'imputato aveva cercato di promuovere, con modalità che - come si evince dagli stessi passaggi evidenziati nell'interesse delle parti civili - erano improntate a rappresentare la particolarità della situazione che si era venuta a creare, che lasciava intendere che la società omissis era stata accreditata presso Acea Energia grazie all'affidamento che si nutriva nei confronti del padre dell'amministratore della predetta, M.M., che tramite il omissis intratteneva rapporto di fiducia consolidato con Acea, modalità, quindi, che, facendo leva su tale rapporto, tendevano piuttosto ad evidenziare il disappunto espresso dai vertici di Acea - in particolare dal direttore generale - rimasti delusi per la forte inadempienza di omissis , paventando ripercussioni sul rapporto intrattenuto col consorzio indi, sia pure nell'ottica di salvaguardare, di fronte ai vertici di Acea, innanzitutto se stesso - considerato come sostenitore del rapporto commerciale con omissis - G. si adoperava pur sempre nell'ottica e nella prospettiva del convincimento alla stipula dell'accordo, come soluzione creativa che poteva andar bene a tutti, senza che possa registrarsi un effettivo sconfinamento del suo comportamento in una vera e propria minaccia avendo piuttosto la stessa persona offesa tratto la conclusione che la cosa, invece, non era fattibile e che quindi l'unica possibilità era il fallimento , laddove, peraltro, quanto si chiedeva faceva pur sempre capo a un credito effettivamente esistente tutto ciò - infine - senza considerare che secondo quanto prospettava lo stesso G. si trattava comunque di accordo da rimettere poi alla valutazione dei rispettivi legali e dei vertici della società e che il termine dell'accordo relativo all'espressione del voto è risultato, nei fatti superato - di là delle effettive ragioni sottostanti - dall'essersi il creditore espresso comunque favorevolmente al concordato stante l'astensione dal voto - che secondo la disciplina all'epoca vigente era sinonimo di voto favorevole . 2. Dalle ragioni sin qui esposte - con la sola ultima precisazione che la riassunzione della deposizione del teste D.V., richiesta dal ricorrente, è stata ritenuta irrilevante e superflua dalla stessa difesa delle parti civili inerendo essa ai poteri esistenti in capo a G. che nella dinamica della pronuncia di condanna non sono stati ritenuti dirimenti - deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata perché il fatto di reato contestato non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.