A seguito di un provvedimento che risarcisce il privato per le c.d. “lungaggini processuali”, stabilito dalla legge numero 89 del 24 marzo 2001 c.d. legge Pinto , il danneggiato può soddisfarsi unicamente mediante pignoramento contabile, mentre ogni altra forma di esecuzione non è consentita.
La vicenda. Un soggetto impugnava con ricorso un'ordinanza con la quale il Tribunale dell'esecuzione del luogo aveva dichiarato improcedibile la sua azione di pignoramento presso terzi nei confronti della Pubblica Amministrazione. Il suo titolo esecutivo, nel caso specifico, era relativo ad un credito c.d. ex “legge Pinto” ossia un danno cagionatogli dallo Stato a causa della eccessiva lungaggine di un processo civile che lo aveva coinvolto. Forte di tale titolo, il cittadino aveva deciso di agire con pignoramento prezzo terzi. A parere del Giudice, tuttavia, tale iniziativa sarebbe stata illegittima in quanto in contrasto con il disposto dell'articolo 6, comma 6, d.l. numero 35 dell'8 aprile 2013, convertito con modificazioni dalla l. numero 64 del 6 giugno 2013. Tale norma prevede, al primo periodo, l'introduzione della seguente regola «al fine di assicurare un'ordinata programmazione dei pagamenti dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge, non sono ammessi, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, atti di sequestro o di pignoramento presso la Tesoreria centrale e presso le Tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva di somme liquidate a norma della presente legge». Con il proprio ricorso il pignorante contestava la limitazione del proprio diritto di eseguire solo nella forma del pignoramento contabile, dato che l'eventuale esito positivo dell'azione esecutiva sarebbe unicamente dipeso dalla circostanza che la stessa P.a. avesse messo a disposizione delle somme per i creditori per la soddisfazione dei crediti sorti ex legge Pinto. Questioni di costituzionalità e violazione di norme italiane e internazionali. Andando più nel dettaglio sul ricorso, l'atto prevedeva due differenti ordini di censure. Le prime, dal punto di vista della violazione di legge, infatti, a detta del ricorrente la previsione del vincolo di pignorabilità dei crediti della Pubblica Amministrazione a seguito di sentenza di risarcimento ex legge Pinto viola le disposizioni sostanziali e procedurali nella parte in cui non consentiva la proposizione del pignoramento ai sensi dell'articolo 543 c.p.c., ossia non consentiva di agire nelle forme del pignoramento presso terzi. Secondo un altro ordine di contestazioni, poi, le previsioni censurate integravano altresì una violazione del diritto costituzionale. Il ricorrente, quindi, sollevava una serie di vizi di incostituzionalità che prevedevano la censura delle norme azionate dalla Pubblica Amministrazione per contrasto degli articoli 24,97 e 11 Costituzione, 6 e 13 della CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Le condotte della Pubblica Amministrazione, quindi, avrebbero costituito una violazione dei diritti alla difesa, dell'imparzialità dell'azione della P.a. stessa e la violazione dei trattati internazionali. La Cassazione rigetta il ricorso e conferma la validità del limite posto dallo Stato italiano. Con la sentenza in commento gli Ermellini rigettavano integralmente il ricorso sopra prospettato. Il ragionamento della Suprema Corte era il seguente. Il pignoramento azionato dal ricorrente nell'anno 2015 era un pignoramento presso terzi che vedeva sé stesso come terzo creditore pignorato. Tale azione era soggetta all'applicazione del citato articolo 5-quinquies l. numero 89/2001, introdotto come detto nell'anno 2013. La norma in oggetto introduceva una vera e propria fattispecie di nullità peraltro rilevabile d'ufficio , precisando l'unica modalità di eseguibilità del titolo esecutivo ex legge Pinto e stabilendo l'invalidità di tutti gli altri. L'esito di tale disposizione era quello di costituire una limitazione dell'azione del creditore procedente, senza però comprimerne i diritti. L'azione mediante pignoramento diretto di somme e non tramite pignoramento presso terzi, infatti, si applica a tutte le esecuzioni del caso di specie e non alla sola posizione del ricorrente, con l'esito di non creare alcuna disparità o violazione nei confronti dello stesso. Sulla stregua di tale ragionamento, quindi, venivano cassate sia le contestazioni sulla disciplina procedurale, sia le eventuali violazioni delle norme di rango costituzionale. L'introduzione della nuova fattispecie, quindi, non aveva creato una nuova causa di impignorabilità, ma aveva solo disciplinato una modalità attuativa del riparto dei crediti derivanti dai risarcimenti ex legge Pinto, creando un nuovo processo per procedere al risarcimento vincolando opportunamente somme ed evitando il pignoramento di fondi destinati al soddisfacimento di interessi generali e fondamentali. All'esito del processo, quindi, la Cassazione rigettava integralmente il ricorso e condannava il creditore a sostenere le spese di lite.
Presidente De Stefano – Relatore Valle Fatti di causa T.L. impugnò con ricorso del 3/1/2017 l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione del Tribunale di Roma aveva pronunciato l'estinzione della procedura di pignoramento presso terzi in forza di credito da L. numero 89 del 24 marzo 2001 cd. Legge Pinto la questione controversa verteva sull'intervento del creditore nell'espropriazione presso terzi in contrasto con la novella legislativa del 2013 e segnatamente con il disposto del D.L. numero 35 del 8 aprile 2013articolo 6, comma 6, , convertito con modificazioni dalla L. 6/06/2013, numero 64, modificativo del regime delle esecuzioni mobiliari nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Il ricorrente contestava l'ingiusta limitazione del diritto di agire esecutivamente al solo pignoramento contabile in quanto l'esito positivo dello stesso dipendeva unicamente dalla circostanza che l'Amministrazione debitrice avesse previsto in bilancio dei fondi pignorabili a disposizione dei creditori per la soddisfazione di crediti sorti in forza della cd. Legge Pinto. Il Tribunale di Roma, nella contumacia del Ministero della Giustizia, con la sentenza numero 23681 del 10/12/2019 rigettò l'opposizione. Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso, col sostegno di quattro motivi, T.L. . Il Ministero della Giustizia, già contumace nel grado di merito e al quale il ricorso risulta notificato presso l'Avvocatura dello Stato, è rimasto intimato anche in questa fase. La Sezione VI - 3 di questa Corte, con ordinanza interlocutoria numero 920 del 13/01/2022, ritenuta sussistente una questione di particolare rilevanza, ha disposto la rimessione del ricorso alla pubblica udienza della Terza Sezione Civile. Per l'udienza pubblica del 9/11/2022, non avendo il ricorrente chiesto la discussione orale, il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni scritte, di rimessione al primo giudice, in quanto il contraddittorio non risultava essere stato integrato nei confronti del terzo pignorato. Il ricorrente ha provveduto al deposito di memoria nel termine di legge. Ragioni della decisione Le conclusioni del Procuratore Generale, di rimessione della causa al primo giudice ai fini dell'integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo pignorato, da identificarsi nella banca d'Italia, quale titolare del servizio di Tesoreria, non possono trovare utile seguito, atteso che nella procedura cui attiene l'opposizione per cui oggi è causa T.L. ha proceduto a pignoramento di un credito presso sé stesso, quale terzo pignorato, essendo lo Stato italiano suo debitore, come consentito secondo risalente, ma mai poi smentita, pronuncia di questa Corte Cass. numero 4207 del 19/12/1975 Rv. 378561 - 01 , che pure risulta avere il conforto di autorevole dottrina non esplicitamente qui menzionata in ottemperanza al disposto dell'articolo 118, comma 2, disp. att. c.p.c. invero, dagli atti suscettibili di diretto esame da parte di questa Corte risulta appartenere ad una pregressa fase della non breve vicenda processuale, volta al tentativo di recupero del suo credito, la procedura di espropriazione presso terzi nei confronti della Banca d'Italia. A ciò consegue che il contraddittorio deve ritenersi correttamente instaurato, salvo quanto in seguito si andrà ad affermare in ordine alla stessa possibilità dell'espropriazione presso terzi per crediti derivanti dalla L. numero 89 del 2001. Per quanto ancora rileva nella sede di legittimità, è opportuno premettere che a fondamento della propria decisione il Tribunale di Roma ha affermato che non vi è alcun contrasto tra le previsioni dell'articolo 5 quinquies – che, secondo la sentenza, stabilisce una specifica modalità di accesso all'azione forzata per l'esazione di crediti derivanti dalla L. numero 89 del 2001 - e l'articolo 5 sexies, comma 11, della L. numero 89 del 2001, che legittima i creditori per equo indennizzo ad eseguire in via esclusiva il pignoramento contabile previsto dal comma 2, mentre vieta di pignorare i crediti dell'Amministrazione ai sensi dell'articolo 543 c.p.c. o di pignorare altri beni mobili o immobili che facciano parte del patrimonio disponibile dell'Amministrazione dello Stato. I motivi di ricorso censurano come segue la sentenza del Tribunale di Roma. Il primo motivo reca censura, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, di violazione dell'articolo 12 preleggi cd. preleggi , nonché di travisamento ed erronea applicazione dell'articolo 5 quinquies della L. numero 89 del 2001. Il secondo motivo deduce violazione, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 degli articolo 112 e 99 c.p.c. e dell'articolo 2907 c.c. e della L. numero 89 del 2001 articolo 5 sexies. Il terzo mezzo deduce ancora, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 violazione, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 dell'articolo 12 preleggi e della L. numero 89 del 2001 articolo 5 quinquies. Infine, il quarto, e ultimo, motivo afferma ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, violazione della L. numero 89 del 2001 articolo 5 quinquies, dell'articolo 2740 c.c., dell'articolo 1, comma 294 bis della L. numero 266 del 23/12/2005, come modificato dall'articolo 1, comma 24, della L. 24/12/2012, numero 228 e degli articolo 12 e 14 delle preleggi Il ricorrente, inoltre, prospetta quattro eccezioni di incostituzionalità così riassumibili con la prima si sostiene la violazione degli articolo 24,97 e 11 della Costituzione, 6 e 13 della CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea in relazione all'articolo 117 della Costituzione per avere, il Tribunale di Roma, limitato ingiustamente il diritto di ottenere l'esecuzione coattiva delle sentenze per raggiungere una tutela giurisdizionale effettiva con la seconda e la terza eccezione si prospetta, nella L. numero 89 del 2001, nel testo applicabile in concreto, una ingiusta limitazione del diritto dei creditori, rispetto a creditori con titoli diversi, contravvenendosi in tal guisa alle previsioni dell'articolo 111 Costituzione e dell'articolo 6 della CEDU nonché dell'articolo 47 della Carta di Nizza e concretizzando, l'applicazione della detta normativa, infine, una violazione anche dei principi di cui all'articolo 97 della Costituzione con la quarta eccezione di illegittimità costituzionale si contesta la violazione dell'articolo 117 della Costituzione, in relazione all'articolo 1 del protocollo numero 1 della CEDU con riferimento al diritto a non vedersi limitato il proprio diritto di credito. Con i primi tre motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro intima connessione, il ricorrente contesta, con plurime e articolate censure, confortate nella sua prospettazione da pronunce di questa Corte, l'affermazione del Tribunale di Roma di limitare, in applicazione dell'articolo 5 quinquies, comma 2, della L. numero 89 del 2001, per come modificato dal D.L. numero 35 del 8/04/2013, l'azione dei creditori, per la riscossione di somme liquidate a titolo di equo indennizzo in forza della L. numero 89 del 2001, soltanto al pignoramento contabile e con esclusione dei crediti dell'Amministrazione Pubblica, in tal modo in contrasto con altra norma della medesima legge, ossia l'articolo 5 sexies, comma 11, che contempla in modo espresso il diritto dei creditori per equo indennizzo di pignorare i crediti della Pubblica Amministrazione e di ottenerne poi l'assegnazione. Ciò posto, il Collegio ritiene i motivi di ricorso infondati prospettate questioni di legittimità costituzionale inidonee a dar corso all'incidente di costituzionalità, per le ragioni di seguito esposte. È incontroverso che il pignoramento presso terzi dal quale origina la presente controversia è stato effettuato da T.L. , presso sé stesso, con atto del 14/11/2015 ed è, quindi, soggetto all'applicazione dell'articolo 5 quinquies della L. numero 89 del 2001, nella formulazione risultante successivamente all'entrata in vigore del D.L. 8 aprile 2013, numero 35, articolo 6, comma 6, convertito in L. 6 giugno 2013, numero 64 e, dunque, dal 9 aprile 2013 , che ha, appunto, inserito nella L. numero 89 del 2001 articolo 5 quinquies. Il successivo articolo 5 sexies è stato introdotto, nel testo della L. numero 89 del 2001, della L. numero 208 del 28 dicembre 2015 articolo 1, comma 777, lettera I . A ciò di per sé consegue che, come esattamente affermato dal Tribunale di Roma, l'effettuazione del pignoramento nelle forme presso terzi era del tutto preclusa al creditore T.L. , trattandosi di disposizione quella dell'articolo 5 quinquies che introduce una fattispecie di nullità, rilevabile, come espressamente sancito, d'ufficio. Le sentenze di questa Corte richiamate dalla difesa del T. Cass. numero 22854 del 28/10/2014 Rv. 633285 - 01 Cass. numero 06078 del 26/03/2015 Rv. 634889 - 01 e Cass. numero 07121 del 09/04/2015 Rv. 635109 - 01, con massima in tutto conforme alla prima delle tre concernono, invero, come agevolmente desumibile dalle loro stesse date di pubblicazione, fattispecie concrete nelle quali l'atto di pignoramento era stato notificato in date ampiamente anteriori all'entrata in vigore del detto D.L. numero 35 del 2013, convertito in L. 6 giugno 2013, numero 64, ossia prima del 9/04/2013. Le dette pronunce, non recano, pertanto, alcun concreto sostegno alla tesi propugnata dal T. , dell'ammissibilità, ancora dopo il 9/04/2013, del pignoramento presso terzi per per l'esazione di crediti derivanti dalla L. numero 89 del 2011, non rilevando direttamente, siccome enunciate a fini puramente nomofilattici, ampie argomentazioni riguardanti l'introduzione del sopra richiamato articolo 5 quinquies nel corpo del testo originario della L. numero 89 del 2001. Per le stesse ragioni non è meritevole di favorevole seguito la tesi, pure ampiamente esposta dal T. , dell'argomento asseritamente desumibile dall'articolo 5 sexies, comma 11, introdotto della L. numero 208 del 28 dicembre 2015, articolo 1, comma 777, lettera I in quanto esso comunque presuppone che l'assegnazione delle somme avvenga a seguito di un pignoramento eseguito esclusivamente con le forme dirette e non presso terzi. Giova, peraltro, precisare che l'articolo 5 sexies, comma 11, si riferisce a tutte le esecuzioni, e non solo a quelle ancora da iniziare, a differenza di quanto invece avviene per il disposto dell'articolo 5 quinquies, comma 2, riferibile alle procedure esecutive e ai sequestri ancora da iniziare, ovvero successivi all'entrata in vigore del D.L. numero 35 del 2013. I primi tre motivi del ricorso devono, pertanto, essere rigettati, non cogliendo nel segno le, pur articolate e diffuse, censure della difesa del ricorrente. Col quarto motivo il ricorrente deduce l'errata interpretazione del Tribunale di Roma in merito alla qualificazione del terzo destinatario del pignoramento per come definito dall'articolo 5 quinquies della L. numero 89 del 2001, sostenendo che le Tesorerie dello Stato non identificano la totalità dei debitori dell'Amministrazione Pubblica assoggettabili a pignoramento. Tale motivo è del pari infondato, atteso che poiché, come sopra rilevato e come condivisibilmente affermato dal giudice del merito è imposto il pignoramento mobiliare, è esclusa la legittimità di un pignoramento di crediti o presso terzi, nemmeno presso sé stessi. Del tutto inconferente è il richiamo, nel corpo del motivo, al disposto dell'articolo 294 bis della L. numero 296 del 23/12/2005, come modificato successivamente dal L. numero 228 del 24 dicembre 2012, articolo 1, comma 24 posto che si tratta di normativa allo stato non più utilmente richiamabile in punto di impignorabilità, stante la sopravvenienza normativa costituita dal D.L. numero 35 del 2013, convertito in L. 6 giugno 2013, numero 64, che non ha introdotto una nuova causa di impignorabilità - il che non sarebbe consentito a legislazione vigente, nemmeno a favore della Pubblica Amministrazione - ma si è limitato a disciplinare una modalità attuativa dei crediti rivenienti dalla L. numero 89 del 2001. Non ritiene questo Collegio che le questioni di legittimità prospettate dalla difesa del T. , nella pure ampia parte finale del proprio ricorso, siano suscettibili di essere rimesse al vaglio della Corte costituzionale. La Consulta, già con la sentenza numero 350 del 9/10/1998 ha ritenuto che non è fondata, con riferimento agli articolo 3,24,25,28 e 113 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 3, D.L. 25 maggio 1994, numero 313 Disciplina dei pignoramenti sulle contabilità speciali delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza , conv., con modificazioni, nella L. 22 luglio 1994, numero 460 - il quale non ammette atti di sequestro o di pignoramento sui fondi delle contabilità speciali delle prefetture presso le sezioni di tesoreria dello Stato - in quanto la disciplina stabilita per i pignoramenti sulle contabilità speciali non configura una procedura tale da determinare l'impignorabilità dei fondi assegnati alle prefetture, ma tende invece ad adeguare la procedura di esecuzione forzata alle particolari modalità di gestione contabile dei fondi stessi ed alla impignorabilità di quella parte di essi che risulti già destinata a servizi qualificati dalla legge come essenziali. . La Corte Costituzionale ha, quindi, con riferimento al del D.L. numero 313 del 25 maggio 1994 articolo 1 convertito, con modificazioni, nella L. 22 luglio 1994, numero 460 , ma con affermazioni adeguatamente ed agevolmente riferibili anche alla successiva disciplina di cui al D.L. numero 35 del 2013, affermato che la normativa limitativa di particolari modalità esecutive non confliggeva con le norme costituzionali invocate dal giudice rimettente, segnatamente gli articolo 3,24,25,28 e 113 della Costituzione, in quanto tendente ad adeguare la procedura di esecuzione forzata alle particolari modalità di gestione contabile dei fondi stessi ed alla impignorabilità di quella parte di essi che risulti già destinata a servizi qualificati dalla legge come essenziali . Nel caso di specie le prospettate questioni di legittimità costituzionale non paiono utili a scardinare il soprarichiamato assunto interpretativo della Corte costituzionale. Con riferimento, inoltre, alla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale deve evidenziarsi, ad opinione del Collegio, che la soglia di rilevanza, nella specie, trattandosi di norme di carattere processuale e comunque procedimentale, è più elevata che per le norme sostanziali e che la maggior parte delle censure mosse dal ricorrente attiene principalmente all'attuazione dell'esecuzione forzata, sotto il profilo dell'ineffettività della tutela giurisdizionale che, tuttavia, giusta quanto sopra evidenziato, non può ritenersi menomata a livello di incidenza costituzionale, neppure potendo predicarsi l'ineffettività del rimedio come in astratto previsto dal legislatore in via esclusiva, a tal fine non potendo rilevare la singolare inanità della vicenda della singola, sia pure articolata, posizione processuale del creditore odierno ricorrente. E la conseguente manifesta infondatezza delle questioni consente di escludere anche qualsiasi violazione delle normative sovranazionali da parte della disciplina prevista per il recupero di tali crediti. Ulteriore notazione, conclusiva in punto di rilevanza della questione, è quella relativa alla possibilità di esperire, nel caso di omesso adempimento della Pubblica Amministrazione, la procedura diretta dinanzi alla stessa Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Il ricorso è rigettato. Nulla per le spese, non avendo il Ministero della Giustizia espletato attività difensiva. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dall'articolo 1, comma 17 della L. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.