Legittima la sanzione del 30% per il superamento dei limiti di compensazione dei crediti IVA. La violazione della soglia equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste.
Inoltre, con l'innalzamento del tetto delle compensazioni è applicabile il favor rei rappresentato dallo ius superveniens. Di conseguenza, se la compensazione concretamente effettuata rientra nei nuovi limiti di legge, non sono applicabili le sanzioni. Lo ha stabilito la Cassazione con l'ordinanza 35385 del primo dicembre 2022 con cui ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate. I precedenti giurisprudenziali. Con l'innalzamento del tetto delle compensazioni è applicabile il favor rei rappresentato dallo ius superveniens. Di conseguenza, se la compensazione concretamente effettuata rientra nei nuovi limiti di legge, non sono applicabili le sanzioni. Lo ha stabilito per la priva volta la Cassazione, con sentenza 14795 del 10 maggio 2022, con cui ha accolto la doglianza di una società. Tale ultima pronuncia segue e, per certi versi, smentisce, quella resa a Sezioni Unite in tema di agevolazioni prima casa e requisiti per l'abitazione di lusso. Con sentenza numero 13145/2022 le Sezioni Unite hanno infatti stabilito che il contribuente che ha reso una dichiarazione mendace per incassare le agevolazioni fiscali sulla prima casa paga le sanzioni anche se la legge del 2014 ha cambiato i parametri per avere il beneficio rifacendosi solo al criterio catastale e non ai metri quadrati. Con una lunga quanto complessa motivazione le Sezioni Unite hanno concluso che in tema di agevolazioni per l'acquisto della prima casa, la modifica dei parametri ai quali ancorare i presupposti per il riconoscimento del beneficio, disposta, quanto all'IVA, dall'articolo 33 del d.lgs. 21 novembre 2014, numero 175, non ha inciso retroattivamente e l'infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l'oggetto, è rimasta immutata ne consegue che non si è verificata alcuna abolitio criminis cfr. in senso conforme 8148/2021 e 18421/2017 . Caso concreto. L'Agenzia delle entrate aveva notificato ad una srl l'atto di recupero degli importi corrispondenti al credito IVA, utilizzati per compensazione orizzontale in misura superiore al limite massimo prescritto dall'articolo l'articolo 34 l. numero 388/2000, ratione temporis vigente. La CTR, accogliendo l'appello della contribuente, ha ritenuto che i limiti nazionali alla compensazione orizzontale fossero incompatibili con la normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di Giustizia. La Cassazione ha accolto il ricorso dell'Agenzia, ribaltando il verdetto della CTR ma riconoscendo l'applicabilità del favor rei, in sede di rinvio. In tema di IVA, esiste per ogni periodo d'imposta un limite invalicabile pari a 516.546,90 e successivamente aumentato a 700 mila euro alla compensazione di crediti Iva e debiti relativi ad altre imposte, al fine di non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale cfr. Cass. 8101/2017 e Corte di Giustizia 16 marzo 2017, causa C-211/16 . Il contribuente, una volta raggiunto il limite massimo di credito compensabile, può riportare al periodo successivo il credito residuo per imputare nuovamente il credito a compensazione, avvalendosi anche delle liquidazioni infrannuali che hanno cadenza trimestrale. Se il credito residuo supera comunque il limite massimo, l'interessato può riportarlo all'annualità successiva insieme a quello ulteriore nel frattempo maturato può inoltre chiedere il rimborso del maggior credito. Il superamento del limite massimo dei crediti d'imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall'articolo13 d.lgs. numero 471/1997, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti. Ai fini della sanzione, poi, già a partire dal 2010 si deve tenere conto dell'innalzamento del tetto massimo previsto per la compensazione. La misura, infatti, nei processi ancora in corso ed in ossequio al principio del favor rei, deve tener conto dell'innalzamento del limite d'importo compensabile dei crediti IVA da euro 516.546,90 a euro 700.000,00 , disposto dalla normativa successiva, così da determinare la riduzione della condotta sanzionabile all'omesso versamento di importi eccedenti il più elevato tetto cfr. Cass. 14795/2022 .
Presidente Manzon – Relatore Federici Rilevato che Dalla sentenza impugnata si evince che l'Agenzia delle entrate notificò alla AISA Centro Italia s.r.l. l'atto di recupero degli importi corrispondenti al credito Iva, utilizzati per compensazione orizzontale in misura superiore al limite massimo prescritto della L.numero 23 dicembre 2000, numero 388, articolo 34 ratione temporis vigente. Nello specifico, nell'anno d'imposta 2011, poiché la società aveva utilizzato in compensazione un credito Iva di Euro 542.456,90 relativo al 2009/2010, a fronte di un limite massimo all'epoca fissato dalla legge in Euro 516.456,90, l'Amministrazione finanziaria recuperò la differenza Euro 25.703,41 ed applicò sanzioni e interessi. La contribuente impugnò l'atto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Perugia, che con sentenza numero 241/07/2014 ne rigettò le ragioni. L'appello proposto dalla soccombente dinanzi alla Commissione tributaria regionale dell'Umbria fu invece accolto con la sentenza numero 433/01/2015, ora al vaglio della Corte. Il Giudice regionale ritenne che i limiti alle modalità di esercizio della compensazione tra crediti iva e debiti relativi ad altre imposte cd. compensazione orizzontale , previsti dall'articolo 34 della L. numero 388 del 2000, fossero incompatibili con la VI Direttiva CE sull'Iva 2006/112/CE , anche secondo i parametri interpretativi della giurisprudenza Euro-unitaria. Affermò che, incontestata l'esistenza del credito Iva e del diritto al rimborso, il differimento della compensazione, fondato sulla sospensione della disponibilità del diritto , costituiva un inammissibile vulnus al principio di neutralità. Ritenne pertanto ricorrenti i presupposti per la disapplicazione della disciplina nazionale per contrasto con quella comunitaria, accogliendo le ragioni della società. L'Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza, e ne ha chiesto la cassazione, affidandosi ad un motivo, cui ha resistito la contribuente con controricorso. Nell'adunanza camerale del 19 maggio 2022 la causa è stata trattata e decisa. Considerato che Con l'unico motivo la applicazione del L. numero 388 del 2000, articolo 34, del D.Lgs. numero 9 luglio 1997, numero 241, articolo 17, del L. 27 luglio 2000, numero 212, articolo 8, del D.Lgs. numero 31 dicembre 1997, numero 471, articolo 13, nonché della Direttiva numero 77/388/CEE, e dell'articolo 183, § 1, della Direttiva 2006/112/CE, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, quanto all'erronea interpretazione della disciplina richiamata, per la quale il giudice regionale ha ritenuto incompatibile con la disciplina comunitaria e con l'interpretazione della giurisprudenza Euro-unitaria il limite massimo annuale di compensazione tra crediti Iva e debiti relativi ad altre imposte. Il motivo è fondato. La materia è regolata dall'articolo 34 della L. numero 388 del 2000, la quale, nella formulazione vigente ratione temporis, prescriveva che A decorrere dal 1 gennaio 2001 il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, numero 241, articolo 17 ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo per ciascun anno solare . Con D.L. numero 78 dell'1 luglio 2009 fu previsto che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze il suddetto limite, previa valutazione delle esigenze di bilancio, potesse essere elevato fino ad Euro 700.000,00, ma a decorrere dall'1 gennaio 2010. Interventi successivi hanno elevato l'importo compensabile sino ad Euro 2.000.000,00 D.L. 8 aprile 2013, numero 35, articolo 9 D.L. 19 maggio 2020, numero 34, articolo 147, comma 1 L. 30 dicembre 2021, numero 234, articolo 1, comma 72 . L'articolo 17 del D.Lgs. numero 241 del 1997 prevedeva, nella formulazione relativa all'anno d'imposta di cui si controverte, che I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva . L'articolo 13 del D.Lgs. numero 471 del 197, nella formulazione vigente ratione temporis, prescriveva che Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell'imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l'ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. . Nei successivi interventi modificativi della norma, e nella attuale formulazione, alle sanzioni da comminare nel medesimo ammontare del 30 % del credito in eccedenza utilizzato è specificamente dedicato il comma 4. Perimetrata la disciplina, in materia questa Corte ha affermato che della L. numero 388 del 2000, articolo 34 nel sancire, a decorrere dall'1 gennaio 2001, un limite massimo dei crediti d'imposta e dei contributi compensabili ai sensi del D.Lgs. numero 241 del 1997,articolo 17 fissato in L. 1.000.000.000 Euro 516.546,90 per ciascun anno solare, ha inteso introdurre un meccanismo volto ad assicurare che la compensazione orizzontale tra crediti e debiti relativi ad imposte diverse non oltrepassi, per ogni periodo d'imposta, quel limite. Ciò al fine di non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale, che non può essere superato anche in sede di liquidazioni periodiche IVA, come confermato anche dalla Corte di Giustizia, nella sentenza del 16 marzo 2017, Bimotor spa, in C-211/2016 cfr. Cass., 29 marzo 2017, numero 8101 26 settembre 2018, numero 22962 . L'interpretazione della disciplina nazionale trova dunque copertura ed è ad un tempo compatibile con i parametri interpretativi della giurisprudenza Euro-unitaria, secondo cui L'articolo 183, comma 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita la compensazione di taluni debiti tributari con crediti d'imposta sul valore aggiunto a un importo massimo determinato, per ogni periodo d'imposta, a condizione che l'ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d'imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole Corte di Giustizia, 16 marzo 2017, Bimotor Spa, in C-211/16, cit. . Il contribuente dunque, raggiunto il limite massimo di credito compensabile, può riportare al periodo successivo il credito residuo per imputare nuovamente il credito a compensazione, in tale ambito avvalendosi anche delle liquidazioni infrannuali che hanno cadenza trimestrale. Se il credito residuo supera comunque il limite massimo, può riportarlo all'annualità successiva insieme a quello ulteriore nel frattempo maturato, ex D.P.R. numero 14 ottobre 1999, numero 542. articolo 8, commi 2 e 3. Può inoltre chiedere il rimborso del maggior credito, ricorrendo le condizioni di cui al D.P.R. numero 633 del 1972 articolo 30 e 38 bis. Si è peraltro evidenziato che, sebbene il limite riguardi anche i rimborsi in quanto annotati sul conto fiscale, non esistono limiti per i rimborsi disposti dagli uffici, come precisato dalla Agenzia delle entrate -Risoluzione 5 dicembre 2003, numero 218/E, e successivo Comunicato stampa del 20 luglio 2004- cfr. Cass., 21 luglio 2017, numero 18080 . Si tratta in conclusione di una disciplina che, nei termini rappresentati, non incide sul principio di neutralità dell'imposta armonizzata. Questo collegio intende dare continuità al principio di diritto dispensato nei precedenti di questa Corte, atteso che le esigenze di equilibrio delle previsioni di gettito fiscale, unitamente al meccanismo compensativo, solo frazionato ma assicurato nella sua interezza dalla restituzione dell'eccedenza con le modalità previste dalla disciplina, escludono il timore di un recupero che non rispetti la ragionevolezza dei tempi, che è la condizione pretesa dalla Corte di Giustizia. Nè può mettersi in dubbio che la violazione ai limiti di detraibilità prescritti dall'articolo 34 della L. numero 388 del 2000 esuli dalle fattispecie sanzionate dall'articolo 13 del D.Lgs. numero 471 del 1997, trovando condivisione l'affermazione secondo cui il superamento del limite massimo dei crediti d'imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dal D.Lgs. numero 471 del 1997articolo 13, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti Cass., numero 18080 del 2017, cit. 4 aprile 2018, numero 8247 7 dicembre 2018, numero 31706 17 aprile 2019, numero 10708 22 ottobre 2019, numero 26926 . Tuttavia a tal fine, e ai soli fini sanzionatori, occorrerà tener conto che l'innalzamento del limite della compensabilità dei crediti, come disposto nella legislazione successiva a quella applicabile al caso di specie, già a partire dall'anno 2010 sino ad Euro 700.000,00, e poi, successivamente, sino ad Euro 2.000.000,00, non potrà che incidere sulle sanzioni, in ragione del principio del favor rei, dovendosi confermare l'ulteriore principio, secondo cui l'innalzamento del limite per la compensazione dei crediti IVA determina una riduzione della condotta rilevante ai fini dell'applicazione della sanzione ex del D.Lgs. numero 471 del 1997,articolo 13 che risulta pertanto circoscritta all'omesso versamento di importi eccedenti il più elevato tetto, con conseguente applicazione, ai processi ancora in corso, del regime sanzionatorio più favorevole per il contribuente, in ossequio al principio del favor rei, di cui al D.Lgs. numero 472 del 1997 articolo 3 Cass., 30 giugno 2021, numero 18367 . La decisione del giudice regionale ha disatteso i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, così che il ricorso trova accoglimento. La sentenza va dunque cassata e il giudizio deve essere rinviato alla Corte di giustizia di II grado dell'Umbria, che in diversa composizione, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, dovrà decidere la causa nell'osservanza del seguente principio di diritto in tema di IVA, l'articolo 34 della L. 23 dicembre 2000, numero 388, sancendo un limite massimo dei crediti d'imposta e dei contributi compensabili, ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, numero 241, articolo 17 per i soggetti intestatari di conto fiscale, ha inteso introdurre per ogni periodo d'imposta un limite invalicabile alla compensazione di crediti iva e debiti relativi ad altre imposte, al fine di non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale la violazione del limite previsto per legge equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, sanzionato dal D.Lgs. numero 31 dicembre 1997, numero 471, articolo 13 la cui misura tuttavia, nei processi ancora in corso ed in ossequio al principio del favor rei, di cui al D.Lgs. numero 31 dicembre 1997, numero 472,articolo 3 deve tener conto dell'innalzamento del limite d'importo compensabile dei crediti iva, disposto dalla normativa successiva, così da determinare la riduzione della condotta sanzionabile all'omesso versamento di importi eccedenti il più elevato tetto . P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia il giudizio alla Corte di giustizia di II grado dell'Umbria, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.