L’indagine diligente su un caso da Codice Rosso evita all’Italia una condanna per tortura della vittima

È una delle rare sentenze in cui l’Italia, nelle varie cause su violenze domestiche ed abusi sessuali su minori è stata assolta” dalla CEDU, avendo svolto un’indagine diligente ed efficace, valutando approfonditamente le dichiarazioni della ricorrente e di altri familiari, ritenendole inaffidabili, nel rispetto degli oneri imposti dall’art. 3 Cedu.

Inoltre, l'obbligo procedurale ex articolo 3 non impone la retroattività delle nuove leggi in materia, semmai il rigetto delle azioni in sede civile e penale è ascrivile all'inerzia della ricorrente. È quanto affermato dalla CEDU nel caso D.K. c. Italia ric.14260/17 del primo dicembre. La ricorrente lamenta che lei e sua sorella sono state abusate sessualmente per anni dallo zio nel suo caso sia quando erano a casa dello zio, cui erano affidate quando la madre era al lavoro che nello studio del legale ove aveva trovato un impiego sin da quando aveva 16 anni. Le violenze sono durate da quando aveva 11 anni sino ai 21 quando si è trasferita, ma ha denunciato il tutto solo quando aveva 26 anni nel 1999 con diversi anni di ritardo rispetto al termine trimestrale ex lege essendo una denuncia tardiva furono rigettate le azioni in sede penale e civile. Si precisa che le dichiarazioni della sorella e della madre sono state ritenute inattendibili dalla CDA di Genova perché, anche considerate nel loro insieme, non tutte le prove raccolte consentono di costituire elementi di prova, a causa delle loro debolezze intrinseche che non possono essere superate esaminandole tutte, nonché a causa del loro carattere univoco, derivante dal fatto che si ritorna sempre alle dichiarazioni dei ricorrenti e alla loro affidabilità non corroborata da elementi oggettivi, ma dalla semplice opinione dello psicologo responsabile. È solo su tali dichiarazioni e su tale parere che le dichiarazioni e le opinioni dei testimoni, che figurano nel fascicolo, sono state successivamente fondate, cosicché, anche considerate nel loro insieme, le constatazioni preliminari non sono sufficienti a dimostrare i fatti su cui si fonda il ricorso . Quadro normativo. All'epoca dei fatti 1974-1984 vigevano gli articolo 519, 521 e 542 c.p. , ed ai sensi dell' articolo 124 c.p. il termine di prescrizione per la querela era trimestrale. Solo in seguito è stato aumentato con le l. n. 66/1996 ha introdotto gli articolo 609- bis-octies , 38/2006 e 172/2012 con cui è stata recepita la Convenzione di Lanzarote contro ogni forma di abuso e sfruttamento sessuale nei confronti di minori in cui s'invitano gli Stati a predisporre un termine di prescrizione congruo per consentire la denuncia degli stessi una volta che il minore fosse diventato maggiorenne. L'articolo 609- ter prevede come aggravante il fatto che il reato sia compiuto da un ascendente od altro parente ed in generale è punito chi abusa del minore affidatogli. In questi casi i termini di prescrizione raddoppiavano sino ad arrivare ad un anno con l'introduzione del Codice Rosso ex l. n. 69/2019 che prevede la perseguibilità d'ufficio del reato , in verità già contemplata anche dalle altre citate norme. Nella fattispecie, in base ai principi del tempus regit actum e della irretroattività della legge , la ricorrente non ha potuto beneficiare di queste riforme, anche se in ogni caso, per sua inerzia , la denuncia era palesemente tardiva come sopra esplicato. L'irretroattività della l. n. 66/1996 è stata ribadita dalla Cass. pen. n. 2733/1987. Si noti che a livello di diritto comparato nel periodo di riferimento 1974-1984 la maggior parte degli Stati membri prevedevano la procedibilità d'ufficio in questi casi e consentivano alla vittima, una volta divenuta maggiorenne, di denunciare l'abuso dai 18 ai 35 anni circa. L'Italia ha tutelato la ricorrente. L'articolo 3 CEDU impone agli Stati un chiaro onere procedurale condurre un'inchiesta diligente ed efficace per acclarare i fatti, individuare i responsabili e punirli. Nel nostro caso è stato rispettato dato che è stata condotta un'inchiesta penale dopo 15 anni dalle presunte violenze seppure la denuncia era tardiva le autorità italiane hanno adottato tutte le misure del caso, raccolto ed analizzato le prove prima di procedere all'archiviazione. In ogni caso, anche con le leggi ante riforme, la vittima non era esonerata dall'onere di denuncia. La CEDU , poi, nel rimarcare che la durata dei procedimenti penale e civile 4 anni e 27 mesi non era affatto eccessiva, ha ribadito che questo onere procedurale è un'obbligazione di mezzo e non di risultato per essere assolto non è necessario che l'aggressore sia condannato, ma solo che venga svolta un'indagine diligente ed efficace. Infine, la CEDU rimarca che il nostro ordinamento prevede l'autonomia del processo penale da quello civile , sì che quest'ultima azione risarcitoria poteva essere introdotta ben prima dell'archiviazione di quella penale.

CEDU, sentenza del 1° dicembre 2022, D.K. c. Italia ric.14260/17