Coltellate al compagno della sorella: la forte conflittualità tra quest’ultima e il partner può far riconoscere la provocazione

Messo in discussione il trattamento sanzionatorio deciso in Appello. Nessun dubbio sul reato di tentato omicidio. Necessario però valutare quanto la conflittualità tra la vittima dell’aggressione e la compagna abbia pesato nell’azione violenta del fratello della donna.

Possibile riconoscere la provocazione se l’aggressione, culminata in un vero e proprio tentato omicidio, realizzata da un uomo nei confronti del compagno della sorella, è collegata direttamente alla forte conflittualità esistente tra la donna e il partner, conflittualità certificata da una lite avvenuta proprio poco prima dell’aggressione. I fatti risalgono all’estate del 2018, quando un uomo – Tizio – aggredisce e ferisce gravemente con due coltellate Caio, cioè il compagno di sua sorella, Sempronia. Per i giudici di merito non vi è spazio per i dubbi Tizio va condannato a quattro anni di reclusione per il delitto di tentato omicidio commesso ai danni del convivente di sua sorella, trafiggendolo con plurimi colpi inferti mediante l’utilizzo di un grosso coltello da cucina. Inequivocabili i dettagli dell’episodio. Una sera di giugno del 2018, Sempronia, dopo l’ennesima lite avuta col convivente, cioè con Caio, ottiene l’intervento dell’assistente sociale e quello dei carabinieri e poi si reca con i figli piccoli in una casa famiglia. A presidiare la casa della donna e del compagno provvede anche il fratello di lei. Quest’ultimo, però, all’arrivo di Caio, perde la testa, litiga con lui e lo colpisce con due coltellate che gli procurano «due ferita da punta e taglio a livello toracico». Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta l’uomo ottiene almeno la possibilità di vedere riconosciuta la provocazione alla base dell’aggressione oggetto del processo. In questa ottica, poi, il legale pone in evidenza il centrale litigio tra la donna e il compagno e, soprattutto, i maltrattamenti da lei subiti per mano dell’uomo. Proprio questa situazione di conflittualità all’interno della coppia è valutabile, secondo i Giudici, come provocazione per l’aggressione messa in atto da Tizio ai danni del compagno della sorella. In secondo grado però l’ipotesi della provocazione è stata esclusa. Ciò perché «al momento dell’aggressione posta in essere da Tizio «era trascorsa circa un’ora sia dal litigio tra Sempronia e il convivente Caio sia dall’allontanamento dall’abitazione della donna». Però, osservano dalla Cassazione, in appello si è affermato che «il litigio tra i due conviventi non fu evento occasionale, e che il fratello della donna avevano ragioni di contrasto con Caio a causa delle situazione di forte conflittualità esistente tra lui e la compagna». Quest’ultimo dettaglio non è trascurabile, secondo i Giudici di Cassazione. Necessario perciò un nuovo processo d’appello per valutare «la situazione di conflittualità risalente» tra Caio e Sempronia e per chiarire se «il decorso di un’ora dal fattore scatenante la reazione aggressiva» posta in essere da Tizio «possa significare l’assenza della relazione di immediatezza tra lo stato di ira e il fatto ingiusto». In questa ottica, «una persistente situazione di tensione conflittuale può giustificare il riconoscimento dell’attenuante della provocazione le volte in cui la reazione iraconda esploda a distanza di tempo, in occasione di un episodio scatenante, quale conseguenza di un accumulo di rancore determinato dalla reiterazione di comportamenti ingiusti», concludono dalla Cassazione.

Presidente Tardio – Relatore Santalucia Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Tivoli ha condannato alla pena di anni quattro di reclusione, con la diminuente del vizio al parziale di mente e con riconoscimento delle attenuanti generiche, C.C. , per il delitto di tentato omicidio, commesso in concorso con il padre C.C. , deceduto dopo la sentenza di primo grado, ai danni di P.A. , convivente della di lui sorella C.S. , colpendolo con plurimi colpi inferti mediante l'utilizzo di un grosso coltello da cucina, fatto commesso in omissis nella notte tra il omissis . La sera del omissis , dopo una lite avuta con il convivente, P.A., C.S. chiese l'intervento dell'assistente sociale, che poi chiamò il pronto intervento dei Carabinieri, e si recò con i figli minori presso una casa-famiglia prima avvisò il padre C.C. per impedire che il convivente rientrasse nella abitazione di omissis in omissis . C.C., unitamente al figlio C.C., si recò presso l'abitazione della figlia, attese il ritorno di P.A. e, appena questi giunse, gli intimò di andare via. Scoppiò quindi una lite, all'esito della quale C.C. colpì P.A. con due coltellate, che gli procurarono due ferite da punta e taglio a livello toracico. Nel corso del processo di primo grado fu disposta perizia psichiatrica su C.C. si è così accertato che l'imputato è affetto da un ritardo mentale di grado medio, che causa difficoltà di gestione delle situazioni di stress. 2. La Corte di appello ha rilevato che, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, i colpi di coltello inferti dall'imputato furono due, che procurarono ferite da taglio alla parete toracica, dovendosi escludere la legittima difesa. Nel momento in cui fu aggredito, P.A. aveva l'aggressore alle sue spalle e sulla persona di C.C., padre dell'imputato, non sono stati riscontrati segni di violenza fisica. Da quanto affermato dallo stesso C.C., P.A. lo aveva per due volte spintonato e poi erano entrambi caduti a terra, prima dell'intervento armato dell'imputato. A causa delle ferite P.A. fu ricoverato in codice rosso, con prognosi riservata, e sottoposto ad un intervento chirurgico. Se pure non vi fu pericolo di vita, deve ritenersi che il colpo al torace, se fosse stato più profondo, avrebbe certo leso il polmone sinistro con grande probabilità di causare la morte della vittima. L'evento morte, nel caso di specie, non si verificò per circostanze indipendenti dalla volontà dell'imputato, riconducibili verosimilmente alla concitazione del momento, che non consenti di affondare i colpi con maggiore violenza, e all'immediato intervento chirurgico. Il dolo di omicidio, del resto, è desumibile dal comportamento antecedente dell'imputato e dalle ragioni di contrasto nei confronti della vittima a causa della forte conflittualità con la sorella C.S., dall'arma utilizzata per colpire - un coltello dalla lama di venti cm. -, dalle parti del corpo attinte, prossime ad organi vitali, dalla reiterazione dei colpi, sferrati con violenza, di cui uno penetrò per circa 4,5 cm. nella gabbia toracica, dalle conseguenze lesive che costrinsero la vittima a sottoporsi ad intervento chirurgico, dal comportamento tenuto dall'imputato dopo l'aggressione quando si allontanò lasciando la vittima visibilmente sanguinante. 3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di C.C., che ha articolato più motivi. 3.1. Con il primo motivo ha dedotto difetto di motivazione. L'azione aggressiva fu interrotta dall'imputato per sua volontà e la sentenza impugnata non ha indicato elementi esterni che, in qualche modo, abbiano disturbato l'azione criminosa. Non risulta che l'imputato abbia mai minacciato di morte la vittima, perché le parole della sorella C.S. non sono a lui riferibili. È stata esclusa l'aggravante della premeditazione e la scelta del coltello è stata del tutto casuale i colpi, poi, non sono stati inferti con particolare forza. Da tutti questi elementi si trae che l'imputato non aveva intenzione di uccidere la vittima. 3.2. Con il secondo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione. La Corte di appello ha omesso di esaminare la richiesta difensiva di riconoscimento della legittima difesa nella forma putativa e sotto il profilo dell'eccesso colposo. L'imputato è affetto da ritardo mentale di grado medio con incapacità di gestire le situazioni di stress. La sera del fatto subì un coinvolgimento emotivo importante, vedendo il padre malato in evidente difficoltà respiratoria mentre discuteva e litigava con P.A. È dunque da ritenere che si figurò una situazione di pericolo di vita per il padre, e che agì per difenderlo dopo che questi, spintonato dalla persona offesa, che come affermato in sentenza era ubriaca, era rovinato per terra. 3.3. Con il terzo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in merito alla mancata derubricazione in reato di lesioni personali per desistenza volontaria. La condotta, come detto, fu arrestata per volontà dello stesso ricorrente, che avrebbe potuto affondare il coltello solo che lo avesse voluto. 3.4. Con il quarto motivo ha dedotto difetto di motivazione in merito alla omessa derubricazione nel reato di lesioni colpose. Come si trae dalla consulenza medica della difesa, è ben possibile ricostruire l'azione nel senso che il ricorrente intese solamente punzecchiare la vittima ma senza volontà di ferirla. Le ferite furono piuttosto il frutto dello spostamento della persona offesa che, durante i movimenti, si procurò appunto la ferita mentre il coltello era fermo. 3.5. Con il quinto motivo ha dedotto difetto di motivazione in merito al giudizio di attendibilità della persona offesa. La Corte di appello non ha dato riscontro ai rilievi difensivi in ordine alle varie incongruenze del narrato della persona offesa in merito al contesto in cui avvenne l'aggressione. 3.6. Con il sesto motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di determinazione della pena per omesso riconoscimento della provocazione. Pur avendo preso atto dell'avvenuto litigio tra i conviventi P.A. e C.S. e dell'allontanamento di quest'ultima con i propri figli ha ignorato il rapporto conflittuale tra i due, che durava da molto tempo per i continui maltrattamenti subiti dalla donna, sorella dell'imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso merita accoglimento unicamente in riguardo al motivo relativo all'attenuante della provocazione per il resto va rigettato. 2. La Corte di appello ha escluso la sussistenza della provocazione per il solo fatto che al momento dell'aggressione posta in essere dall'imputato era trascorsa circa un'ora sia dal litigio tra C.S. e il convivente P.A., che ne era stato causa, che dall'allontanamento dall'abitazione della stessa C.S. Ha però affermato che il litigio tra i due conviventi non fu evento occasionale, e che gli imputati avevano ragioni di contrasto con P. a causa delle situazione di forte conflittualità esistente con la convivente . Alla luce di questo aspetto della complessiva vicenda, la motivazione sul diniego dell'attenuante rivela la sua insufficienza, per l'omessa valutazione di un profilo implicato dall'esistenza di una situazione di conflittualità risalente. Occorre infatti verificare se, alla luce di queste concrete caratteristiche del fatto, il decorso di un'ora dal fattore scatenante la reazione aggressiva possa significare l'assenza della relazione di immediatezza tra lo stato di ira e il fatto ingiusto. Non è infatti implicata dalla norma di previsione dell'attenuante una relazione di sostanziale coincidenza temporale, valendo anzi il principio di diritto per il quale ai fini della configurabilità dell'attenuante della provocazione occorrono a lo stato d'ira , costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il fatto ingiusto altrui - Sez. 1, numero 47840 del 14/11/2013, Rv. 258454 -. Si consideri, in questa prospettiva, che una persistente situazione di tensione conflittuale può giustificare il riconoscimento dell'attenuante le volte in cui la reazione iraconda esploda a distanza di tempo, in occasione di un episodio scatenante, quale conseguenza di un accumulo di rancore determinato dalla reiterazione di comportamenti ingiusti - Sez. 1, numero 51041 del 08/10/2013, Rv. 257877 -. Si impone, pertanto, l'annullamento in parte qua della impugnata sentenza. 3. Il primo motivo è infondato. La Corte di appello ha bene argomentato in punto di elemento soggettivo del tentativo, ponendo in evidenza gli aspetti oggettivi del fatto da cui può essere agevolmente desunto. L'imputato si giovò di un coltello da cucina lungo 33 cm, di cui 20 cm di lama colpì la persona offesa in zone corporee prossime ad organi vitali per ben due volte sferrò i colpi con violenza, sì che un colpo penetrò per circa 4,5 cm. nella gabbia toracica le conseguenze lesive furono importanti e comportarono la necessità di un intervento chirurgico d'urgenza mostrò indifferenza verso la persona offesa dopo averla colpita, lasciandola in situazione di oggettivo pericolo mentre era visibilmente sanguinante. 4. Il secondo motivo è inammissibile. Con l'atto di appello l'imputato si lamentò della mancata considerazione del suo stato mentale quale fattore di amplificazione della percezione di una situazione di pericolo, ma non dedusse, con la necessaria specificità, la questione della legittima difesa putativa e non ne fece oggetto di richiesta. L'atto di appello, per questa parte, deve essere considerato inammissibile, dato che la specificità deve connotare non solo l'esposizione dei motivi ma anche la formulazione delle richieste. La legittima difesa putativa è stata pertanto richiesta per la prima volta con il ricorso per cassazione, e ciò rende il relativo motivo improponibile. L'assenza di una situazione di legittima difesa, reale o putativa, impedisce tra l'altro di indagare il profilo di un eventuale eccesso colposo. 5. Il terzo e il quarto motivo sono manifestamente infondati. Quanto rilevato dalla Corte di appello per dare conto della sussistenza del dolo di omicidio e della idoneità e inequivocità degli atti attesta implicitamente ma chiaramente la manifesta infondatezza delle pretese di derubricazione. 6. Il quinto motivo è generico. Il ricorrente ha dedotto un difetto di esame in ordine all'attendibilità della persona offesa ma non si è soffermato ad illustrare l'incidenza probatoria di tali dichiarazioni, la loro decisività e quindi quale sia stato l'apporto nella ricostruzione del fatto. In buona sostanza, non ha spiegato quale incidenza possa avere il vizio dedotto e per quale parte le dichiarazioni della persona offesa abbiano condizionato la ricostruzione della vicenda in modo da rendere incompatibile l'apprezzamento delle prospettazioni difensive. Ciò, in particolare, alla luce delle affermazioni dell'impugnata sentenza, per la quale l'affermazione dell'imputato di aver colpito una volta sola è stata smentita, oltre che dal narrato della persona offesa, dalla documentazione fotografica. 7. La sentenza impugnata deve personato essere annullata, limitatamente alla provocazione, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Per il resto il ricorso deve essere rigettato. La Corte di appello provvederà, in sede di rinvio, alla regolamentazione delle spese della parte civile. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla provocazione, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta il ricorso nel resto. Rimette alla Corte di appello di Roma la regolamentazione delle spese della parte civile.