Il danno endofamiliare causato dal disinteresse verso la prole

È stato ribadito da una recentissima sentenza della Cassazione che il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio naturale integra violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione, oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento, un elevato grado di riconoscimento e tutela.

Tale condotta è dunque suscettibile di integrare gli estremi dell' illecito civile e legittima l'esercizio, ai sensi dell' art. 2059 c.c. , di un'autonoma azione, esercitabile anche nell'ambito dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, volta risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole. La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza con la quale la Corte d'Appello rigettava la domanda di risarcimento danni proposta dal figlio naturale nei confronti del padre , e con cui riteneva che l'attore non avesse dimostrato la consapevolezza del convenuto circa la propria paternità, prima della richiesta di riconoscimento giudiziale, e non avesse fornito la prova del presunto danno subito sulla perdita di chances circa una vita in condizioni migliori. In particolare, la Corte d'Appello aveva ritenuto che, mancando la prova della consapevolezza della paternità, non vi era prova che il genitore avesse agito illegittimamente venendo meno all'assolvimento degli obblighi paterni nei confronti del figlio e sottolineava altresì che non era stato dimostrato quali fossero gli obiettivi del figlio non raggiunti in tema di perdita di chances . La Cassazione accoglieva i motivi di ricorso del figlio ritenendo che la Corte di appello, nel procedere all'accertamento della consapevolezza della genitorialità, avesse erroneamente, ovvero senza svolgere un'adeguata e motivata valutazione di attendibilità, privato di qualsiasi valenza probatoria la testimonianza della madre, oltre che mancato di svolgere una corretta valutazione dei plurimi elementi indiziari , che fu svolta atomisticamente anziché gli uni per mezzo degli altri. La Corte di Cassazione concludeva quindi che, la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti , può produrre anche un danno non patrimoniale lato sensu psicologico ed esistenziale, che investe direttamente la progressiva formazione della personalità del danneggiato, condizionando così lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa. Questo illecito, potendo integrare gli estremi dell'illecito civile o illecito intra familiare, può dar luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sensi dell' art. 2059 c.c. , esercitabile anche nell'ambito dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, qualora l'inadempimento del genitore abbia causato un complessivo disagio materiale e morale per il figlio e qualora da tale disagio siano derivate una serie di ulteriori conseguenze pregiudizievoli, di carattere patrimoniale, oltre che non patrimoniale, tra cui la impossibilità di affermarsi in maniera più soddisfacente socialmente e di svolgere degli studi, che possono aver precluso la possibilità di realizzazione professionale, con rilievo anche economico. In tale situazione, ove sussiste la prova del danno morale e mancando la ragionevole possibilità di dimostrare la sua precisa entità, risulta consentita la liquidazione di esso in via equitativa .

Presidente Genovese – Relatore Tricomi Fatti di causa 1.- La Corte d'appello di Bolzano, con sentenza in data 8.9.2017, confermò il rigetto della domanda con cui K.J. aveva impugnato l'atto con cui egli stesso aveva riconosciuto il figlio M.A. nato il omissis e riformò la prima decisione nella parte in cui aveva accolto la domanda di risarcimento dei danni proposta dal figlio, condannando il padre a corrispondergli Euro 100.000,00=. Ad avviso della Corte, non vi era prova che K. fosse stato informato della sua paternità prima dell'anno 2009 -, non essendo confermate da altre risultanze probatorie le affermazioni, ritenute di dubbia attendibilità, della teste M.R. , la quale aveva riferito di avere avuto con lui un rapporto sessuale non protetto da cui era nato M.A. e di avere informato K. di ciò già un mese dopo la nascita del figlio e anche successivamente inoltre, M.R. aveva taciuto al figlio per molti anni l'identità del padre, in tal modo contribuendo a segnare negativamente il futuro del figlio non era provato che K. fosse, consapevolmente e intenzionalmente o per colpa, venuto meno ai propri obblighi paterni nei confronti di M.A. non v'era prova del danno patito da quest'ultimo sotto l'aspetto affettivo, psicologico e sociale, ed infatti, pur avendo provato di essere cresciuto in povertà, questi non aveva dimostrato che avrebbe potuto beneficiare di condizioni di vita migliori se il padre lo avesse riconosciuto non aveva dimostrato quali prospettive egli avesse riguardo al suo futuro, quali ambizioni restassero insoddisfatte e quali concrete chances egli si fosse perso , tanto piu a fronte delle non floride condizioni economiche del K. . M.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, resistito da K.J. che ha depositato memoria. La causa perviene all'odierna udienza pubblica a seguito di rinvio a nuovo ruolo disposto all'adunanza camerale dell'11 novembre 2021. Ragioni della decisione 2.1.- Con il primo motivo M. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. , nonché la nullità della sentenza per violazione dell' art. 111 Cost. e 132, comma 2, c.p.c. per motivazione insufficiente e contraddittoria. La censura concerne la statuizione con cui la testimonianza della madre del ricorrente è stata ritenuta insufficiente, in assenza di ulteriori conferme, a provare la circostanza che K. fosse stato informato della propria paternità poco dopo la nascita del figlio M.A. , avvenuta nel omissis . Il ricorrente si duole che la decisione della Corte di appello di escludere l'attendibilità della teste sia stata assunta aprioristicamente, in ragione del solo vincolo di parentela con esso, originario attore. 2.2.- Il motivo è fondato e va accolto. 2.3.- La Corte di appello, riformando la prima decisione, ha affermato che gli obblighi genitoriali conseguenti al concepimento si basano sulla consapevolezza della genitorialità, che non equivale ad una certezza assoluta, ma può essere desunta da una serie di indizi univoci, come il fatto indubbio di avere avuto un rapporto sessuale non protetto con la madre nel figlio nel periodo del concepimento, e che la domanda risarcitoria del danno conseguente alla violazione dei diritti del bambino per il mancato assolvimento degli obblighi genitoriali presuppone la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa e che le risultanze istruttorie non avevano fornito la necessaria chiarezza in merito al momento della conoscenza del K.J. circa la sua paternità verso M.A. fol.8 della sent. perché i l'affermazione che questi venne informato già nel omissis , dopo la nascita, della paternità si basava sulla sola testimonianza della madre del figlio M.R. la sorella di M.R. , presente in un'altra occasione in cui l'argomento tra i due genitori era stato affrontato, non era stata chiamata a testimoniare gli altri testimoni non avevano potuto confermare che la madre avesse informato K.J. della paternità durante la gravidanza e dopo la nascita del figlio ii la dichiarazione di M.R. doveva essere valutata con prudenza, in quanto lei ha oggettivamente un interesse di fatto all'esito del giudizio che, anche se non qualificato ai sensi dell' art. 246 c.p.c. , si ripercuote sulla sua credibilità iii la deposizione della madre non era confermata da nessun tipo di prova e non vi erano elementi sufficienti a provare che K. fosse consapevole della propria paternità prima della richiesta di riconoscimento avanzata nel 2009 dal legale di M.A. iv non emergeva che nella comunità del paese ove vivevano tutte le parti interessate, tutti fossero a conoscenza della condizione di paternità naturale di K. e che la circostanza che la madre lo avesse comunicato ad alcune persone nei tardi anni settanta non era sufficiente a far ritenere nota alla comunità la circostanza all'esame, potendo, al contrario far desumere l'intento della madre di mantenere segreta la vicenda v anche il fatto che M.A. lo avesse scoperto nel 2009 deponeva in tal senso vi il fatto che le parti vivessero nelle immediate vicinanze e che la madre del figlio frequentasse il ristorante del K. aveva carattere neutrale e significava unicamente che K.J. sapeva sicuramente della gravidanza della M.R. e della nascita del figlio di questa, non invece della propria paternità nei confronti del bambino. 2.4.- La decisione non può essere condivisa. Appare utile ricordare che mentre l'art. 246 C.P.C. sancisce l'incapacità a testimoniare ove ricorra un interesse nella causa stabilendo che Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. , il divieto di testimoniare previsto dall' art. 247 c.p.c. , ancor prima dell'intervento abrogativo della Corte Costituzionale sent. n. 248 del XXXX , non era assoluto, essendo previsto che Non possono deporre il coniuge ancorché separato, i parenti o affini in linea retta e coloro che sono legati a una delle parti da vincoli di affiliazione, salvo che la causa vetta su questioni di stato, di separazione personale, o relative a rapporti di famiglia . 2.5.- Nel caso di specie appare conclamata l'inapplicabilità dell' art. 246 c.p.c. - che sancisce le ipotesi di incapacità a testimoniare - nei confronti della madre, perché, come da questa Corte si è già affermato, In tema di dichiarazione giudiziale della paternità naturale, nell'ipotesi di maggior età di colui che richiede l'accertamento non può configurarsi un interesse principale ad agire della madre naturale ai sensi dell' art. 276, ultimo comma, c.c. , non essendo in tale evenienza ravvisabile un obbligo legale di assistenza o mantenimento nei confronti del figlio, potendo peraltro essa svolgere un intervento adesivo dipendente, allorché sia ravvisabile un suo interesse di fatto tutelabile in giudizio. In ogni caso, alla stregua della disciplina normativa della legittimazione ad agire in tale giudizio, contenuta nell' art. 276 c.c. , correlata all'interpretazione dell'art. 269, secondo e comma 4, c.c., le dichiarazioni della madre naturale assumono un rilievo probatorio integrativo ex art. 116 c.p.c. , quale elemento di fatto di cui non si può omettere l'apprezzamento ai fini della decisione, indipendentemente dalla qualità di parte o dalla formale posizione di terzietà della dichiarante, con la conseguente inapplicabilità dell' art. 246 c.p.c. Cass. n. 12198 del 17/07/2012 , conf. Cass. n. 6025 del 25/03/2015 , considerazioni a cui va aggiunto che, anche sotto la vigenza dell' art. 267 c.p.c. – dichiarato costituzionalmente illegittimo - la testimonianza dei parenti era, comunque, ammessa se la causa verteva su questioni di stato come nel presente caso-, di separazione personale, o relative a rapporti di famiglia. Da ciò discende che l'affermazione della Corte di appello circa la ricorrenza di un interesse di fatto , pur non risponde al modello legale di cui all' art. 246 c.p.c. , che giustificherebbe prudenza nella valutazione, non risulta svolta in conformità con le disposizioni normative e con i principi di legittimità in materia, giacché frutto di una evidente confusione tra capacità a testimoniare e valutazione sull'attendibilità del teste. Invero, L'incapacità a deporre prevista dall' art. 246 c.p.c. si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell'interesse ad agire di cui all' art. 100 c.p.c. , tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l'interesse di fatto a un determinato esito del processo - salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell'attendibilità del teste - nè un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio. Cass. n. 167 del 05/01/2018 e, nel caso in esame, l'interesse personale nei sensi prima precisati non ricorre, giacché le istanze risarcitorie proposte dal figlio, a titolo personale, in ragione del preteso danno endofamiliare non patrimoniale da abbandono subito, non avrebbero potuto legittimare la madre alla partecipazione al giudizio. Esclusa la ricorrenza di una incapacità a testimoniare della madre, ai sensi dell' art. 246 c.p.c. , è opportuno rimarcare che La capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull'attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l'una, ai sensi dell' art. 246 c. p. c. , dipende dalla presenza di un interesse giuridico non di mero fatto che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc. e di carattere soggettivo la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite , con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità. Cass. n. 21239 del 09/08/2019 Cass. n. 26547 del 30/09/2021 in particolare, quanto alla credibilità del teste, va osservato che In materia di prova testimoniale, la verifica in ordine all'attendibilità del teste - che afferisce alla veridicità della deposizione resa dallo stesso - forma oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice compie alla stregua di elementi di natura oggettiva la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc. e di carattere soggettivo la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite , con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità. Cass. n. 7623 del 18/04/2016 . Orbene, pur confermando il principio secondo il quale In tema di prova testimoniale, l'insussistenza, per effetto della decisione della Corte Cost. n. 248 del 1994 , del divieto di testimoniare sancito per i parenti dall' art. 247 c.p.c. non consente al giudice di merito un'aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni rese dalle persone indicate da detta norma, ma neppure esclude che l'esistenza di uno dei vincoli in essa indicati possa, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerato dal giudice di merito la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove motivata - ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilità delle deposizioni stesse. Cass. n. 98 del 04/01/2019 Cass. n. 17630 del 28/07/2010 , va rimarcato che, nel caso di specie, la valutazione di inattendibilità si è fondata aprioristicamente sulla ravvisata ricorrenza astratta di un interesse di fatto, estendendo inammissibilmente in via analogica la previsione di cui all' art. 246 c.p.c. norma, per stessa ammissione della Corte di appello non applicabile nella specie, e che, circoscrivendo l'esercizio del diritto di azione e di difesa, è di stretta interpretazione. 3.1. - Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 116, comma 6, Cost. e 132 c.p.c., per motivazione apparente, illogica e contraddittoria. Il ricorrente si duole, altresì, che la Corte di appello, pur avendo affermato che la consapevolezza del padre in merito al concepimento poteva desumersi da una serie di indizi, tra cui l'avere avuto un unico rapporto sessuale non protetto con la madre in epoca compatibile con il concepimento, ha poi affermato che la sola gravidanza della M. non era tale da indurre il K. ad attivarsi, in quanto non era stato provato che egli era stato informato circa la propria paternità e la M. non aveva sollevato alcuna richiesta in ordine alla paternità. Sostiene, di contro, M.A. che la avvenuta gravidanza, la circostanza che i genitori, abitanti nello stesso paese e vicini di abitazione, avessero avuto un rapporto non protetto, era invece rilevante e la motivazione della Corte di merito appariva contraddittoria. 3.2.- Il motivo è fondato. 3.3.- La Corte di appello, nel procedere all'accertamento circa la consapevolezza della genitorialità da parte di K. , è pervenuta alla conclusione che mancavano i presupposti per il riconoscimento del risarcimento del danno in quanto mancava la prova che K. , consapevolmente ed intenzionalmente o anche solo per colpa e per mancanza di necessaria diligenza, avesse agito illegittimamente, non provvedendo all'assolvimento degli obblighi paterni nei confronti del figlio fol.13 della sent. imp. . A questa statuizione la Corte di appello è pervenuta, sia per avere privato di qualsiasi valenza probatoria la testimonianza della madre, senza svolgere un adeguata e motivata valutazione di inattendibilità, ove riscontrabile, sia in quanto ha mancato di svolgere una corretta valutazione dei plurimi elementi indiziari, oltre che della indiscussa paternità, secondo i criteri elaborati in proposito dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare laddove ha affermato che le circostanze che i due genitori vivessero vicini al momento del concepimento ed avessero continuato a vivere nello stesso piccolo paese e che la madre avesse frequentato il ristorante di K. avevano carattere neutrale fol.10 della sent. imp. ed ha proceduto ad una valutazione atomistica degli indizi. Va riaffermato che In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell' art. 2729 c.c. , ad ammettere solo presunzioni gravi, precise e concordanti , laddove il requisito della precisione è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della gravità al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della concordanza , richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia - di regola - desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva c.d. convergenza del molteplice , non raggiungibile, invece, attraverso un'analisi atomistica degli stessi. Cass. n. 9054/2022 . Infatti, i requisiti della gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi devono essere ricavati dal complesso degli indizi da valutarsi non atomisticamente ma nel loro insieme e l'uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno, quand'anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, potrebbe rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento Cass. n. 9178/2018 , così come va valutato non atomisticamente ma nel complesso anche l'insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale Cass. n. 14151/2022 . Nello specifico, tali criteri avrebbero dovuto improntare la disamina degli elementi di prova ed indiziari volti ad accertare la ricorrenza dell'elemento soggettivo in K. - sia sotto il profilo del dolo, che della colpa - in ordine alla consapevolezza della paternità ed al mancato assolvimento degli obblighi paterni. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento Cass. n. 9059/2018 . 3.4.- Va, infine, rilevato che solo con la memoria, e quindi tardivamente ed inammissibilmente, il controricorrente K. ha prospettato che la madre avrebbe avuto rapporti sessuali con altri uomini all'epoca del concepimento, circostanza che non risulta essere stata in precedenza dedotta, nè accertata in corso di giudizio. 4.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 147 e 148 c.c. Il ricorrente deduce che la Corte di appello avrebbe fatto erronea applicazione degli artt. 147 e 148 c.c. , laddove ha assunto che la mancata attivazione della madre nei confronti del padre assente, per sollecitarlo ad assumersi le sue responsabilità, fosse idonea a fondare un concorso di colpa della stessa nella produzione del danno lamentato. Il ricorrente, pur rimarcando la propria personale tesi, secondo la quale la madre non si era attivata, stante il rifiuto del padre di assumersi le sue responsabilità, per non aggravare la sofferenza al figlio, rammenta ed invoca la giurisprudenza di legittimità secondo cui la responsabilità del padre assente non è esclusa o ridotta in considerazione del comportamento della madre. 4.2.- Il motivo è assorbito in conseguenza dell'accoglimento dei primi due, posto che la statuizione impugnata si fonda sull'accertamento di non consapevolezza del padre circa la condizione di genitore - fino al 2009 - per non essere stato su ciò informato dalla madre. È, tuttavia, opportuno rammentare che, come già affermato da questa Corte La responsabilità del genitore per i danni subiti dal figlio, in conseguenza del suo inadempimento ai propri obblighi di mantenimento, istruzione, educazione ed assistenza, non può ritenersi esclusa o limitata dalla circostanza che anche l'altro genitore possa non avere correttamente adempiuto ai rispettivi doveri. Cass. n. 14382/2019 . 5.1.- I motivi quarto e quinto vanno trattati congiuntamente per connessione. 5.2.- Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 2 e 30 Cost. , 185 e 570 c.p., 147,148,2043, 2059, 2697 e 2728 c.c., 115 e 116 c.p.c. Il ricorrente si duole che la Corte di appello, erroneamente interpretando ed applicando le norme in esame, abbia adottato una lettura estremamente riduttiva del danno da violazione degli obblighi di assistenza morale e materiale e non abbia ritenuto sussistente il danno per lesione del diritto del ricorrente ad essere educato e mantenuto , desumibile dalla lettura coordinata delle disposizioni di cui prima, rimarcando che in primo grado era stato riconosciuto come l'odierno ricorrente avesse sofferto sia sotto il profilo emotivo per l'assenza del rapporto con la figura paterna, sia per il mancato riconoscimento dello status di figlio. 5.3.- Con il quinto motivo si denuncia la violazione degli artt. 115, 116, 147, 148, 2043, 2059, 2697 e 2728 c.c. , nonché nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost. e 132 c.p.c. a fronte della motivazione insufficiente e contraddittoria. Il ricorrente sostiene che la Corte di merito, laddove ha ritenuto non provata la sussistenza del danno anche sotto il profilo della perdita di chances rispetto ad una migliore formazione personale e collocazione economica e sociale del ricorrente, ha trascurato ogni valutazione in merito al pregiudizio per lesione di primari valori costituzionali, riducendolo al mero raffronto tra la situazione familiare concreta e quella che si sarebbe avuta in assenza della violazione. 5.4.- I due motivi sono fondati e vanno accolti. Va rimarcato che, per tali motivi, non può procedersi ad assorbimento in applicazione del principio secondo il quale L'assorbimento di un motivo di ricorso per cassazione postula che la questione con esso prospettata si presenti incondizionatamente irrilevante, al fine della decisione della controversia, a seguito dell'accoglimento di un altro motivo, e, pertanto, non è configurabile ove la questione stessa possa diventare rilevante in relazione ad uno dei prevedibili esiti del giudizio di rinvio, conseguente alla cassazione della sentenza impugnata per il motivo accolto. In tale ipotesi, quindi, la Suprema Corte deve procedere egualmente all'esame di quel motivo annullando eventualmente la medesima sentenza anche in relazione ad esso, sia pure condizionatamente ad un determinato esito del giudizio di rinvio sulla questione oggetto del motivo principale accolto. Cass. n. 13259/2006 5.5.- Nel caso di specie, la Corte d'appello ha affermato che difettava qualsiasi fondamento probatorio del danno che M.A. aveva richiesto, deducendo l'omesso assolvimento degli obblighi genitoriali in riferimento al danno morale da lui patito sotto l'aspetto affettivo, psicologico e sociale e per avere compromesso in senso peggiorativo le sue condizioni di vita, perché l'odierno ricorrente non aveva assolto agi oneri probatori su di lui gravanti, giacché aveva provato di essere cresciuto in povertà, con le limitate risorse procacciate dalla madre svolgendo l'attività lavorativa di cameriera stagionale, ma non aveva dimostrato che avrebbe potuto vivere in condizioni migliori, nè quali concrete ambizioni fossero rimaste insoddisfatte e quali concrete chances si fosse perso. Tale motivazione è da ritenere del tutto erronea. 5.6.- Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell'illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti l'illecito intrafamiliare può, infatti, produrre anche un danno non patrimoniale lato sensu psicologico/esistenziale, ovvero che investe direttamente la progressiva formazione della personalità del danneggiato, condizionando così pure lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa Cass. n. 40335/2021 . Questo illecito, pertanto, può dar luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell' art. 2059 c.c. esercitabile anche nell'ambito dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità Cass. n. 5652/2012 Cass. n. 14382/2019 qualora l'inadempimento del genitore abbia causato un complessivo disagio materiale e morale per il figlio e qualora da tale disagio siano derivate una serie di ulteriori conseguenze pregiudizievoli, di carattere patrimoniale oltre che non patrimoniale, tra cui la impossibilità di affermarsi in maniera più soddisfacente socialmente e di svolgere degli studi, che posso aver precluso le possibilità di realizzazione professionale, con rilievo anche economico. In tale situazione, ove sussista la prova del danno morale e mancando la ragionevole possibilità di dimostrare la sua precisa entità, risulta certamente consentita la liquidazione di esso in via equitativa. Va ancora osservato che il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli artt. 2 e 30 Cost. - oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento - un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell'illecito civile e legittima l'esercizio, ai sensi dell' art. 2059 c.c. , di un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole Cass. n. 3079/2015 Cass. n. 15148/2022 . È stato altresì osservato, ai fini del decorso del termine di prescrizione, che l'illecito endofamiliare commesso in violazione dei doveri genitoriali verso la prole può essere sia istantaneo, ove ricorra una singola condotta inadempiente dell'agente, che si esaurisce prima o nel momento stesso della produzione del danno, sia permanente, se detta condotta perdura oltre tale momento e continua a cagionare il danno per tutto il corso della sua reiterazione, poiché il genitore si estranea completamente per un periodo significativo dalla vita dei figli Cass. n. 11097/2020 Cass. n. 27139/2021 . Orbene, la Corte di appello ha escluso che la condotta ascritta al K. costituisse un illecito endofamiliare e fosse stata produttiva di danni non patrimoniali, limitandosi a raffrontare le possibili condizioni di vita e deducendo la mancanza di prova in ordine al preteso pregiudizio subito, omettendo del tutto di considerare che il figlio, dalla nascita a tutta l'età matura è stato privato della figura genitoriale paterna sia nella vita strettamente familiare, che nel contesto sociale, costituito dal piccolo centro urbano in cui ha vissuto. Al riguardo, non può essere invece sottaciuto che la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare se e quali fossero stati gli effetti causati da detta assenza e, dunque, dall'assoluta elisione della figura paterna, sullo sviluppo fisiopsichico del ricorrente, mentre si è soffermata solo su profili di tipo sostanzialmente economico. 6.1.- Con il sesto motivo si denuncia la violazione degli artt. 96, 115 e 116 c.p.c. e l'omesso esame di un fatto decisivo, per avere escluso la condanna per responsabilità processuale aggravata ex art. 96, comma 1, c.p.c. a fronte della temeraria proposta di una domanda - disconoscimento di paternità - nella chiara consapevolezza della sua infondatezza. 6.2.- Il motivo è assorbito 7.- In conclusione, fondati i motivi primo, secondo, quarto e quinto, assorbiti i motivi terzo e sesto, il ricorso va accolto la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Bolzano in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi e per la statuizione sulle spese anche del presente grado. Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 . P.Q.M. - Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bolzano in diversa composizione anche per le spese - Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 5 2.