Rifiuta la visita domiciliare a un’anziana signora: il ‘codice bianco’ relativo alle condizioni della donna non salva il medico

Condanna sacrosanta per il medico, ritenuto colpevole di omissione di atti d’ufficio. A inchiodare l’uomo è la palese indifferibilità dell’atto dell’ufficio. Su questo fronte sono decisive alcune circostanze di fatto, ossia le condizioni e l’età della donna, nonché la tipologia di sintomi .

Condanna sacrosanta per il medico che rifiuta la visita domiciliare a casa di un’anziana signora che, bloccata a causa di una frattura, presenta gravi difficoltà respiratorie. Ricostruito nei dettagli l’increscioso episodio, i giudici di merito ritengono, sia in primo che in secondo grado, legittima la condanna dell’uomo finito sotto processo per essersi rifiutato, in qualità di medico di continuità assistenziale, di recarsi presso il domicilio di una paziente di età avanzata, impossibilitata a muoversi, e di cui il figlio aveva denunciato, in una telefonata al 118, gravi difficoltà respiratorie . All’uomo viene addebitato il reato di omissione di atti d’ufficio , ma l’avvocato che lo rappresenta contesta la visione tracciata in appello e propone in Cassazione una diversa chiave di lettura. Nello specifico, il legale osserva che in base alla normativa regolamentare e agli accordi collettivi, non sussiste un obbligo di visita domiciliare, essendo la relativa decisione rimessa alla discrezionalità del medico, che la esercita in base alla valutazione del caso concreto , e sottolinea, poi, che nell’episodio oggetto del processo è non contestabile il codice bianco con cui furono valutate, all’epoca, le condizioni dell’anziana signora e che certifica l’assenza , in quel frangente, di gravi rischi per la salute della donna . In questa ottica il legale pone in evidenza che nei giudizi di merito è stata valorizzata la testimonianza della centralinista del 118, la quale aveva precisato che a tutte le chiamate viene assegnato il codice bianco , mentre si è taciuto che dalle risultanze processuali è emerso che un secondo medico, recatosi presso il domicilio della donna, aveva confermato, all’esito della visita, il codice bianco e dunque la bontà della diagnosi fatta dal medico ora sotto processo, diagnosi secondo cui non sussisteva un rischio di danni gravi per la salute dell’anziana signora. E anche per quest’ultimo dato il legale sostiene non vi sia stato dolo nella condotta tenuta dal suo cliente, poiché il dolo richiede che ci si rifiuti di porre in essere un atto che si sa di dover compiere senza ritardo, ciò che non era, in questa fattispecie, secondo la valutazione del medico, valutazione rivelatasi poi corretta . Inutile il ricorso in Cassazione proposto dal legale che rappresenta il medico. Per i Giudici di terzo grado va confermata la condanna per il reato di omissione di atti d’ufficio. Secondo la tesi difensiva la visita domiciliare rappresenta soltanto una delle opzioni attraverso le quali il medico di continuità assistenziale può adempiere al suo dovere, ben potendo egli, laddove non la ritenga necessaria, limitarsi ad un consulto telefonico . I Giudici osservano che l’accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale postula un apparente automatismo ove stabilisce che il medico di continuità assistenziale è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che siano chiesti direttamente dal paziente entro la fine del turno mentre altre fonti normative puntualizzano che il medico deve valutare, sotto la propria responsabilità, l’opportunità di fornire un consiglio telefonico, o recarsi al domicilio per una visita, o invitare l’assistito in ambulatorio . In sostanza, vi sono tre opzioni per il medico, che deve decidere in base alla situazione completa . Ebbene, alla luce della vicenda oggetto del processo, i Giudici chiariscono che la terza possibilità era fuori discussione a causa dell’età e delle condizioni della paziente – la signora per la quale era stato richiesto l’intervento era molto anziana, aveva riportato una frattura alle costola e non era dunque nelle condizioni di recarsi a una visita ambulatoriale – mentre è emerso che il medico non si è nemmeno prestato ad un consulto telefonico , non avendo egli neppure rivolto un consiglio terapeutico puntuale, tale non potendo ritenersi l’alternativa di chiedere l’intervento di un’ambulanza ovvero, se la situazione fosse rimasta stazionaria, rivolgersi, il giorno dopo, al medico di base . Per i Giudici merita di essere ribadito il principio secondo cui la necessità e l’urgenza di effettuare una visita domiciliare è rimessa alla valutazione discrezionale del sanitario di guardia , sulla base della propria esperienza , ma, aggiungono, tale valutazione sommaria non può prescindere dalla conoscenza del quadro clinico del paziente , acquisita attraverso la richiesta di indicazioni precise circa l’entità della patologia dichiarata , richiesta che, in questo caso, non risulta essere stata formulata dal medico . Di conseguenza, l’unica opzione residua era la visita domiciliare , in relazione alla cui mancata esecuzione il medico non ha addotto né documentato alcun impedimento , sottolineano i giudici. Per quanto riguarda, poi, la presunta mancanza , ipotizzata dalla difesa, del requisito dell’urgenza, insito nella necessità che l’atto vada compiuto senza ritardo , viene richiamata la valutazione compiuta in appello, laddove si è rilevato che il quadro clinico dell’anziana signora avrebbe imposto al medico di recarsi immediatamente al domicilio della malata, affetta da difficoltà respiratorie in un contesto di età avanzata con l’aggiunta di una frattura alle costole . Nessun dubbio, quindi, sull’ urgenza della visita non effettuata, colpevolmente, dal medico sotto processo. Irrilevante, a questo proposito, il fatto che un secondo medico recatosi a casa della donna avesse poi confermato il codice bianco assegnato dalla centralinista la quale diramava le telefonate in entrata al 118 . Su quest’ultimo punto i Giudici chiariscono che il suddetto codice bianco era stato confermato in quanto il secondo medico si era recato a casa della donna, le aveva diagnosticato una bronchite e le aveva prescritto idonea terapia . Tirando le somme, premesso che l’omissione di atti d’ufficio ha natura di reato di pericolo , sulla base della ricostruzione dell’episodio oggetto del processo è palese, secondo i giudici, che il pericolo per la salute della donna sussisteva al momento della realizzazione della condotta omissiva, a nulla rilevando la sua successiva neutralizzazione ad opera del secondo medico contattato dal figlio della donna. Impossibile, di conseguenza, mettere in dubbio il dolo presente nella condotta del medico. Secondo la difesa, l’uomo non si è rappresentato la necessità di compiere l’atto senza ritardo, non avendo egli ritenuto urgente la condizione clinica della donna . I Giudici replicano in modo netto, ritenendo palese l’ indifferibilità dell’atto dell’ufficio alla luce di precise circostanze di fatto, ossia le condizioni e l’età della donna, nonché la tipologia di sintomi riferita dal figlio .

Presidente Costanzo – Relatore Di Giovine Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riduceva la pena principale e la pena accessoria inflitte all'imputato per omissione di atti d'ufficio art. 328 c.p. , per essersi, in qualità di medico di continuità assistenziale, rifiutato di recarsi presso il domicilio di una paziente di età avanzata, impossibilitata a muoversi e di cui il figlio, nella telefonata al 118, aveva denunciato gravi difficoltà respiratorie. 2. Avverso la sentenza l'imputato, per il tramite del suo difensore, avvocato Roberto Palmisano, presenta ricorso, articolandolo in due motivi. 2.1. Nel primo motivo deduce errata applicazione dell' art. 328 c.p. sul piano della tipicità oggettiva e correlato vizio di motivazione. Premesso che in base alla normativa regolamentare e agli accordi collettivi, non sussiste un obbligo di visita domiciliare, essendo la relativa decisione rimessa alla discrezionalità del medico, che la esercita in base alla valutazione del caso concreto, secondo il ricorrente la sentenza della Corte d'appello avrebbe contraddittoriamente usato l'argomento del c.d. codice bianco , speso nei giudizi di merito per evidenziare l'assenza di gravi rischi per la salute della donna. In motivazione sarebbe stata infatti valorizzata la testimonianza della centralinista del 118, la quale aveva precisato che a tutte le chiamate viene assegnato tale codice, e si sarebbe invece taciuto che dalle risultanze processuali era emerso che il collega di A., recatosi presso il domicilio della donna dopo il diniego di quest'ultimo, aveva confermato, all'esito della visita, il codice bianco e dunque la bontà della diagnosi fatta da A., secondo cui non sussisteva un rischio di danni gravi per la salute. 2.2. Nel secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione, relativamente all'elemento soggettivo del reato, osservando che per la sussistenza del dolo occorre che l'agente rifiuti di porre in essere un atto che sa di dover compiere senza ritardo, ciò che nella fattispecie secondo la valutazione del ricorrente, ex post rivelatasi peraltro corretta, non era. 3. Il ricorrente presenta altresì una memoria di replica alle deduzioni del Procuratore Generale in cui insiste per l'accoglimento del ricorso. 4. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 1, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15 . Considerato in diritto 1. Il ricorso non si confronta con le puntuali deduzioni contenute nella sentenza di appello ed appare, sotto questo profilo, generico, oltre che manifestamente infondato. 2. Con il primo motivo si denuncia la mancanza, nel fatto concreto, degli elementi costitutivi la tipicità oggettiva della fattispecie di omissione di atti d'ufficio art. 328 c.p. . 2.1. Sul punto e muovendo dall'individuazione di quello che va ritenuto, in concreto, I ‘atto dell'ufficio la cui omissione è suscettibile di assumere rilievo penale, il ricorrente correttamente afferma che la visita domiciliare rappresenta soltanto una delle opzioni attraverso le quali il medico di continuità assistenziale può adempiere al suo dovere, ben potendo egli - laddove non la ritenga necessaria - limitarsi ad un consulto telefonico. Infatti, vero è che l'art. 13, comma 3, dell'accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale, reso esecutivo ai sensi dell' art. 48 L. 23 dicembre 1978, n. 833 con D.P.R. n. 25 gennaio 1941, n. 41, postula un apparente automatismo ove stabilisce che il medico di continuità assistenziale e' tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che siano chiesti direttamente dall'utente entro la fine del turno al quale è preposto . Tuttavia, altre fonti normative, rilevanti nel caso concreto, puntualizzano che, come d'altronde logico, il medico deve valutare, sotto la propria responsabilità, l'opportunità di fornire un consiglio telefonico, recarsi al domicilio per una visita, invitare l'assistito in ambulatorio così, il Manuale per il medico di continuità assistenziale approvato dal Comitato permanente aziendale-Azienda USL della Omissis . Nel caso di specie, si configuravano, pertanto, tre opzioni al cui interno l'imputato era chiamato a scegliere, in base al suo apprezzamento della situazione concreta. Ebbene, posto che la terza possibilità era fuori discussione a causa dell'età e delle condizioni della paziente la signora per la quale era richiesto l'intervento era molto anziana, aveva riportato una frattura alle costole e non era dunque nelle condizioni di recarsi a una visita ambulatoriale , dal tenore della sentenza di secondo grado emerge come l'imputato non si fosse nemmeno prestato ad un consulto telefonico A. neppure ha rivolto consigli terapeutici puntuali, tale non potendo ritenersi l'alternativa di chiedere l'intervento di un'ambulanza ovvero, se la situazione fosse rimasta stazionaria, rivolgersi, il giorno dopo, al medico di base . Deve ribadirsi che la necessità e l'urgenza di effettuare una visita domiciliare, in virtù di quanto previsto dal citato l'art. 13 dell'accordo collettivo nazionale, è rimessa alla valutazione discrezionale del sanitario di guardia, sulla base della propria esperienza, ma tale valutazione sommaria non può prescindere dalla conoscenza del quadro clinico del paziente, acquisita dal medico attraverso la richiesta di indicazioni precise circa l'entità della patologia dichiarata Sez. 6, n. 34047 del 14/01/2003, Miraglia, Rv. 226594 richiesta che, nel caso di specie, non risulta essere stata formulata da A L'unica opzione residua era, dunque, la visita domiciliare, in relazione alla cui mancata esecuzione l'imputato non ha addotto - tantomeno documentato alcun impedimento durante le due fasi del giudizio di merito. 2.2. La censura del ricorrente riguarda, infatti, soltanto la mancanza del requisito dell'urgenza, insito nella necessità - secondo il dettato dell' art. 328 c.p. - che l'atto vada compiuto senza ritardo . Premesso che, sul punto, la giurisprudenza di legittimità riconosce pacificamente la connotazione discrezionale della valutazione del medico, riservando tuttavia al giudice il potere di sindacarla quando emergano elementi che evidenzino l'evidente erroneità di quest'ultima in tal senso, ex aliis Sez. 6,n. 23817 del 30/10/2012, dep. 2013, Tomas, Rv, 255715 Sez. 6,n. 12143 del 11/02/2009, Bruno, Rv. 242922 Sez. 6, n. 34047 del 14/01/2003, Miraglia, cit. , si rileva che nel giudizio in esame, tale potere è stato esercitato dal giudice dell'appello, là dove scrive E' evidente che, nel caso di specie, il quadro clinico descritto dall'utente avrebbe imposto di recarsi immediatamente al domicilio della malata, affetta da difficoltà respiratorie ir un contesto di età avanzata e frattura alle costole . Il ricorrente reputa tale motivazione apparente e contraddittoria, posto che - osserva - la valutazione dell'imputato, che aveva evidentemente escluso l'urgenza della visita, era risultata ex post corretta, essendo stata validata dal collega di A., che, all'esito della visita, aveva confermato il codice bianco assegnato dalla centralinista la quale diramava le telefonate in entrata al 118. Quest'ultima notazione tralascia però di considerare - ed in ciò consiste il profilo di inammissibilità del ricorso - come su questo aspetto il giudice di appello abbia fornito una risposta puntuale, con motivazione completa ed esente da vizi di illogicità. In sentenza si trova infatti replicato che, in tanto il suddetto codice bianco era stato confermato, in quanto il secondo medico, che si era recato a seguito della inerzia dell'imputato a casa della donna, diagnosticandole una bronchite, aveva prescritto idonea terapia . Dunque, premesso che l'omissione di atti d'ufficio ha natura di reato di pericolo, sulla base della ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito ricostruzione, non sindacabile dalla Corte di cassazione - tale pericolo nel caso di specie, per la salute dell'assistito sussisteva al momento della realizzazione della condotta omissiva, a nulla rilevando la sua successiva neutralizzazione ad opera di un terzo nella specie, il secondo medico contattato . 3. Per la stessa ragione, manifestamente infondata risulta altresì la deduzione formulata nel secondo motivo di ricorso, tesa a negare la sussistenza del dolo, poiché l'imputato non si sarebbe rappresentato la necessità di compiere l'atto senza ritardo, non avendo egli ritenuto urgente la condizione clinica della donna. Infatti, in base alla ricostruzione operata dai giudici di merito, l'indifferibilità dell'atto dell'ufficio era ragionevolmente ipotizzabile al momento della telefonata, alla luce delle circostanze del fatto quali le condizioni e l'età della donna, nonché la tipologia di sintomi riferita dal figlio , con la conseguenza che il soggetto agente non poteva che essersela rappresentata. Ne', come ovvio, può incidere sull'elemento soggettivo, elidendolo, la circostanza che - sempre sulla base della ricostruzione fattuale del giudice di appello, insindacabile in quanto compiutamente e coerentemente motivata - il pericolo fosse venuto meno, per effetto del successivo intervento, in chiave terapeutica, del secondo medico di continuità assistenziale. 4. Da quanto precede deriva che il ricorso è inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell' art. 616 c.p.p. . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.