La lettura tipizzante della categoria di pericolosità generica affermata nella sentenza 24/2019 dalla Corte Costituzionale, alla luce delle direttive ermeneutiche delineate dalla sentenza della Corte EDU De Tomaso c/to Italia, trova applicazione retroattiva.
Ciò in quanto la Corte Costituzionale, con la sentenza 24/2019, operando un’interpretazione riduttiva della norma, si è limitata a ricondurre nei contorni della determinatezza solo condotte palesemente sintomatiche di pericolosità generica. Dunque, non sussiste violazione dell’articolo 7 CEDU atteso che, in questi termini, l’interpretazione fornita dalla Corte non è sfavorevole al reo ma, al contrario, più favorevole rispetto alla lettera della norma, restringendone così il campo applicativo. La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 44414/2022, depositata il 22 novembre u.s., si pronuncia in tema di confisca di prevenzione, con particolare riguardo alla necessaria tassatività delle disposizioni di prevenzione idonee a fondare la pericolosità sociale. Il fatto. La Corte d'Appello di Messina, seppur in parziale riforma, confermava le statuizioni del decreto del Tribunale territoriale con cui veniva rigettata la richiesta di applicazione della sorveglianza speciale a carico di un soggetto, ma al contempo veniva disposta nei suoi medesimi riguardi la confisca di prevenzione di ingenti quantitativi di beni. La decisione del Tribunale si fondava sul positivo apprezzamento di una pregressa pericolosità sociale del proposto, in un arco temporale intercorrente tra il 1998 e il 2010, ove venivano rilevate attività illecite di tipo usurario accertate con condanna passata in giudicato, da dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e da altre indagini in corso. Quindi, la pericolosità veniva individuata nella figura del “soggetto che vive abitualmente dei proventi di attività delittuose” ex articolo 1, comma 1, lett. b e articolo 4, comma 1, lett.c D.lgs.159/2011 . Avverso tale provvedimento viene proposto ricorso per Cassazione, mediante l'articolazione di una serie di motivi di doglianza, tra i quali quello della violazione di legge con riguardo alla succitata norma incriminatrice così come reinterpretata alla luce dell'evoluzione pretoria nazionale ed europea. Secondo il ricorrente, infatti, poiché le condotte da cui è stata desunta la sua pericolosità sociale si collocano in epoca anteriore alla esegesi tassativizzante e tipizzante attuata dal diritto vivente dell' articolo 1, comma 1, lett. b D.Lgs.159/2011 , quando vi era un deficit di prevedibilità. Tale interpretazione, parallelamente a quanto avvenuto nel caso Contrada rispetto alla fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa, dovrebbe precludere l'operatività retroattiva delle norme oggetto di nuova lettura ermeneutica. Il ricorso è infondato. Le censure sollevate non meritano accoglimento. La Corte di Cassazione, con specifico riguardo alle questioni inerenti all'impossibilità applicativa dei criteri di individuazione della pericolosità sociale per i fatti precedenti alla giurisprudenza derivata dalla sentenza della Corte EDU del 2017 De Tomaso contro Italia, non condivide le argomentazioni difensive. Più segnatamente, i Giudici del Palazzaccio evidenziano che non è del tutto chiaro se l' applicazione retroattiva dell' articolo 1, comma 1, lett. b D.Lgs.159/2011 a condotte antecedenti all'intervento tassativizzante della Corte Costituzionale con la sentenza 24 del 2019 integri una violazione di legge oppure no. Tuttavia, la Corte Decidente avalla l'orientamento prevalente che ritiene non applicabile il principio di irretroattività sfavorevole ai criteri di individuazione della pericolosità sociale in materia di prevenzione. Difatti, si è affermato che in tale ambito la lettura tassativizzante della categoria di pericolosità generica affermata nella sentenza 24/2019 della Corte Costituzionale , alla luce delle direttive ermeneutiche delineate dalla sentenza della Corte EDU De Tomaso c/to Italia, trova applicazione anche con riferimento alle condotte antecedenti a siffatte pronunce. Tanto perché la Corte Costituzionale, con la sentenza 24/2019, operando un'interpretazione riduttiva della norma, si è limitata a ricondurre nei contorni della determinatezza solo condotte palesemente sintomatiche di pericolosità generica. Dunque, non sussiste violazione dell'articolo 7 CEDU atteso che, in questi termini, l'interpretazione fornita dalla Corte non è sfavorevole al reo ma, al contrario più favorevole rispetto alla lettera della norma, restringendone il campo applicativo. Pertanto, la Corte di Cassazione, alla luce del percorso argomentativo sviluppato sui confini applicativi della confisca di prevenzione, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Presidente Palla – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d'Appello di Messina, in parziale accoglimento degli appelli proposti da R.N., G. e E. avverso il decreto del Tribunale di Messina, Sezione Misure di Prevenzione, del 17.2.2021, ha disposto - la revoca della confisca dell'intero capitale sociale e del relativo compendio aziendale della omissis s.r.l., ad eccezione dei beni immobili ad essa intestati indicati nel dispositivo esplicitamente vale a dire, l'immobile sito nel comune di Omissis , NCEU foglio Omissis , particella Omissis l'immobile sito nello stesso luogo, NCEU foglio Omissis , particolo Omissis , dei quali ha confermato la confisca già disposta in primo grado - la revoca della confisca dell'autovettura Golf W 1.9. intestata a R.G Nel resto, il provvedimento d'appello ha confermato quanto stabilito dal decreto del Tribunale, con cui era stata rigettata la richiesta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale a carico di R.N. ed era stata ordinata la confisca di un ingente quantitativo di beni, oltre quelli già richiamati in sintesi il capitale sociale ed il compendio aziendale della R. s.r.l. ed i numerosi beni immobili e mobili - un'autovettura e 9 autocarri - intestati a detta società la quota del 20% del fondo consortile afferente al Consorzio Pascoli di Sicilia alcuni immobili, specificamente indicati, formalmente di proprietà di T.L., ed altri formalmente in proprietà di R.R. l'indennità riconosciuta a vantaggio di R.R. e del di lei convivente R.G., per effetto dell'atto di espropriazione per pubblica utilità di un ulteriore immobile sito nel comune di Naso altre autovetture intestate a R.G., N. e R. due polizze assicurative . La decisione del Tribunale si è fondata sul positivo apprezzamento di una pregressa pericolosità sociale di R.N., ritenuta, tuttavia, circoscritta ad un arco temporale che va dal 1998 al 2010, in cui si sono rivelate attività illecite di natura usuraria collegate all'attività imprenditoriale svolta dal proposto in provincia di Messina, nel settore conciario e della lavorazione pelli principalmente attraverso la società R. s.r.l., di cui deteneva il 50%, dividendosi parimenti le quote tra lui ed il fratello C.C.R. . Tra gli indicatori della pregressa pericolosità sociale, la Corte d'Appello richiama la condanna del proposto per il delitto di usura, con sentenza passata in giudicato il 26.5.2009 altre indagini a suo carico per diverse condotte usuraie, confluite in intercettazioni portate all'attenzione dei giudici le dichiarazioni rese nel 2002 da un collaboratore di giustizia, L.S., coinvolto come partecipe in alcuni sodalizi mafiosi territoriali, il quale riferiva dei rapporti del proposto con alcune associazioni mafiose e del suo essere dedito a reati di usura il rinvio a giudizio per abusivismo finanziario infine, sono state valutate, sebbene con minor rilievo, anche altre condotte delittuose legate ad illegalità commesse nel contesto dell'attività imprenditoriale indagini per utilizzo di fatture per operazioni inesistenti indagini per reati di falso e truffa in relazione ad erogazioni pubbliche, chiuse da pronunce di prescrizione e non approdate, quindi, ad una sua condanna . La pericolosità è stata individuata, dai giudici d'appello della prevenzione, in quella relativa alla figura del soggetto che viva abitualmente dei proventi di attività delittuose si tratta del paradigma personologico previsto dal D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b e articolo 4, comma 1, lett. c , così rimodulata l'iniziale indicazione del Tribunale per la tipologia di pericolosità facente capo anche alla lettera a dell'articolo 1 citato, dichiarata incostituzionale dalla sentenza numero 24 del 2019 della Corte costituzionale . I decreti di prevenzione danno atto dei molti elementi di fatto che sono stati posti alla base del convincimento di una pericolosità pregressa, ancorché non attuale, dell'imputato, il quale è stato ritenuto al centro di diversi processi sperequativi, tenuto conto, da un lato, dei suoi investimenti societari e immobiliari, degli svariati autoveicoli e di alcune polizze assicurative acquisiti tramite i familiari figli, moglie dall'altro, della capacità reddituale formalmente dichiarata. In sintesi, il proposto, secondo i giudici della prevenzione, ha potuto fare affidamento, negli anni, sui proventi di una serie di reati di usura, principalmente per investire ed implementare il patrimonio familiare e societario a lui riferibile. Di qui, la misura di prevenzione patrimoniale imposta. 2. Propongono ricorso avverso il provvedimento d'appello il proposto e tutti i terzi interessati, tramite distinte impugnazioni. 3. Il ricorso congiunto di R.N. - il proposto - e della moglie T.L. - terza intestataria - è a firma dell'avv. M. e deduce cinque diversi motivi. 3.1. La prima censura eccepisce violazione di legge in relazione al D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, lett. b , e articolo 10, comma 2, interpretati alla luce dei principi costituzionali e convenzionali. La tesi del ricorrente, chiarita all'esito dell'analisi delle più rilevanti pronunce della giurisprudenza Europea, costituzionale e di legittimità, sul tema della necessaria tassatività delle disposizioni di prevenzione idonee a fondare la pericolosità sociale, è che siano irrilevanti e, per così dire, non utilizzabili ai fini della valutazione di pericolosità, i comportamenti del proposto ritenuti sintomatici della sua pericolosità sociale siano stati tutti individuati per essersi realizzati in epoca anteriore all'intervento, tassativizzante e tipizzante , attuatosi, nel diritto vivente la giurisprudenza della Cassazione , in seguito alla pronuncia della Corte EDU De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017, e, dunque, in epoca antecedente all'evoluzione costituzionalizzante della disposizione prevista dal D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b, affermata dalla Corte costituzionale nella pronuncia numero 24 del 2019. Tale anteriorità determina che detti indizi di prevenzione, selezionati dai giudici di merito, non possano essere utilizzati come indicativi di un inserimento del proposto nel catalogo di pericolosità previsto dalla disposizione di cui all'articolo 1 citato, lett. b poiché attinenti ad elementi di fatto, appunto, antecedenti alla sentenza De Tommaso c. Italia del 2017 ed alla successiva giurisprudenza tipizzante della Cassazione, su tale pronuncia basata. Parallelamente a quanto stabilito dalla Corte EDU nella sentenza Contrada c. Italia del 14 aprile 2015, in cui si è affermato un deficit di prevedibilità antecedente all'intervento tassativizzante della fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa, avvenuto solo con la pronuncia delle Sezioni Unite numero 16 del 5/10/1994, dep. 1995, Demitry, Rv. 199386, anche nel caso delle misure di prevenzione e della pericolosità prevista dal D.Lgs. numero 160 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b , il deficit di prevedibilità, colmatosi soltanto in seguito all'intervento della Corte EDU nel 2017, impedisce l'accertamento sulla pericolosità e, quindi, l'ablazione dei beni del proposto la pericolosità, infatti, costituisce la ragione giustificativa dell'apprensione coattiva di beni acquistati in costanza della stessa o grazie alle sue manifestazioni. 3.2. Il secondo motivo di censura deduce violazione di legge in relazione al D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 10, comma 2, per essere la motivazione del provvedimento impugnato gravemente carente e soltanto apodittica nel rispondere ai motivi di d'appello, richiamando per relationem il decreto di primo grado. 3.3. Il terzo motivo di ricorso eccepisce violazione di legge in relazione al D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 10, comma 2, avuto riguardo all'insussistenza di elementi di fatto idonei a concretizzare quella congerie di indizi, utile a fondare il giudizio di pericolosità sociale ascritto al ricorrente. In particolare, si evidenzia che, analizzando la fattispecie alla luce dell'interpretazione giurisprudenziale tassativizzante, delineatasi sia sul piano sostanziale che su quello processuale, non vi era stata un'adeguata struttura diagnostica della pericolosità del ricorrente, tale da sostenere la prognosi della sua pericolosità sociale mancano anzitutto gli indizi di prevenzione , e cioè indizi tali da desumere la qualificata probabilità di commissione di reato da parte del proposto vale a dire indizi prossimi ai gravi indizi di colpevolezza ex articolo 273 c.p.p. . Non sarebbero sufficienti la condanna per usura per un fatto del 1998 un altro procedimento per usura pendente, relativo a fatti ipotizzati come commessi nel 20052006 né tantomeno la sentenza di proscioglimento predibattimentale pronunciata dal Tribunale di Patti per il delitto di abusiva attività finanziaria contestato per gli anni 2009-2010, dichiarato estinto per prescrizione. Con riferimento a tale ultimo elemento, il ricorrente evidenzia come la Cassazione sia oramai dell'avviso che le sentenze di proscioglimento per estinzione del reato, dovuta a prescrizione, possono assumere rilevanza nel giudizio di prevenzione là dove il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza o sia ricavabile in via autonoma dagli atti, circostanze che non ricorrono nel caso di specie ciononostante la Corte d'Appello ha fatto derivare da tale sentenza l'esistenza di prestiti usurari elargiti dal ricorrente e dai quali ha tratto profitto, smentita dagli stessi accertamenti investigativi della DIA. 3.4. Il quarto motivo di ricorso reitera il motivo d'appello riferito all'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche richiamate nel decreto originario di applicazione della misura ablativa, in quanto compiute in violazione dei termini di cui all' articolo 407 c.p.p. , comma 3 previsti per le indagini preliminari. Il ricorso si richiama alla sentenza delle Sezioni Unite numero 13426 del 2010, Cagnazzo, per sostenere l'inutilizzabilità assoluta, anche nel procedimento di prevenzione, delle intercettazioni acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. 3.5. Un quinto argomento difensivo è dedicato ad eccepire il vizio di violazione di legge, avuto riguardo al D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 20 -24 e articolo 10, comma 2, ed al perimetro applicativo della misura ablativa, che - stando agli orientamenti di legittimità dominanti si evoca, dalla difesa, la sentenza Spinelli delle Sezioni Unite, numero 4880 del 2015 e le altre successive conformi - deve essere limitato all'arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale sono confiscabili, cioè, soltanto i beni acquistati in detto periodo temporale e sempre che le condotte criminose compiute in passato dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti, in quantità congruente al valore dei beni da confiscare e della cui origine lecita non vi sia giustificazione. Nel caso di specie, i ricorrenti evidenziano che la Corte non si sia orientata a decidere sulla base della corretta applicazione di tali principi, ma abbia dilatato la valenza temporale della pericolosità, allargando il significato degli indizi di prevenzione, ed abbia apoditticamente postulato l'esistenza di delitti lucrogenetici e la derivazione illecita dei beni acquisiti, immotivatamente superando le specifiche e concrete obiezioni formulate nell'atto di appello richiamate alle pagg. 36, 37 e 38 del ricorso . In sintesi, la difesa ribadisce che, in ogni caso, negli anni di manifestazione della pericolosità sociale, ancorché contestata, le attività delittuose a non risultano essere state fonte di profitti illeciti b comunque lo sarebbero state in maniera assolutamente incongruente rispetto al valore degli incrementi patrimoniali ingiustificati insufficiente, se non irrisorio, come descritto, in particolare, a pag. 40 del ricorso . 4. Sono stati depositati, in data 30.8.2022, motivi aggiunti nell'interesse dei ricorrenti R.N. e T.L., dall'avv. E.G. e dall'avv. F.I., nominati difensori di fiducia, motivi con i quali si ribadiscono e si precisano le considerazioni di sistema già proposte con il primo dei motivi del ricorso principale, richiamando la necessità di ritrovare nella fattispecie in esame quegli indici concreti di tassativizzazione della norma prevista dal D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b , richiesti dalla Corte EDU sentenza De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017 , dalla Corte costituzionale sentenza numero 24 del 2019 e, da tempo, dalla giurisprudenza della Cassazione a partire dalle Sezioni Unite Spinelli del 2015 . All'esito di tale analisi, si lamenta, nel caso in esame, la violazione del requisito dell'abitualità nell'interpretazione tassativizzante ricostruita dalla giurisprudenza, dal momento che R.N. è stato ritenuto socialmente pericoloso nonostante abbia riportato un'unica condanna per il reato di usura, relativa ad un isolato episodio del 1998, foriera di un profitto minimo pari a 1000 Euro, e non risultino a suo carico altri elementi dai quali sia possibile affermare, in termini di ragionevole probabilità, che il proposto abbia commesso, nel corso di un significativo arco temporale, delitti dai quali abbia ricavato profitti idonei a rappresentare, in quello stesso periodo, la sua unica o principale fonte di sostentamento vale a dire, delitti lucrogenetici . Infatti, a giudizio della difesa, non possono essere ritenuti delitti significativi di pericolosità abituale - quello relativo alla violazione dell' articolo 132 TUB , contestato come commesso negli anni 2009-2010 ed indebitamente esteso dal decreto d'appello, nella sua valenza di indicatore , al periodo 2005-2010, poiché il procedimento penale si è chiuso con una sentenza predibattimentale di prescrizione - quello relativo ad una contestazione di usura ai danni dell'imprenditore M.C., ascrittogli tra il 2005 e il 2006, il cui processo è ancora in fase dibattimentale in primo grado. 4.1. Un'ulteriore ragione difensiva il secondo motivo aggiunto ripropone un altro tema del ricorso principale darebbe vita ad una violazione di legge l'applicazione retroattiva del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b, a condotte antecedenti all'intervento tassativizzante della Corte costituzionale, nella sentenza numero 24 del 2019 . La prevedibilità legale della disposizione attinente al giudizio di pericolosità sociale in esame potrebbe agganciarsi soltanto a periodi successivi alla sentenza della Consulta, poiché solo da quel momento gli elementi tassativizzanti sono stati interpretativamente forniti, salvando la fattispecie legale che, di per sé, non li prevedeva attraverso un intervento di ortopedia costituzionale mediante una sentenza che, in relazione a tale norma, configura una pronuncia interpretativa di rigetto. In altre parole, a giudizio della difesa, la citata disposizione non può essere applicata con riferimento a fatti che si sono verificati prima dell'intervento della sentenza numero 24 del 2019 Corte Cost. , ma varrà solo per il tempo successivo a tale pronuncia i motivi aggiunti criticano la soluzione contraria espressa dalla recente sentenza della Prima Sezione Penale numero 15954 del 10/11/2021, Mellea . 4.2. Un terzo, ultimo argomento dei motivi aggiunti denuncia - così come il quarto motivo del ricorso principale - violazione di legge in relazione al D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 10 avuto riguardo all'utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche richiamate nel decreto di sequestro, poiché a loro volta inutilizzabili nel procedimento nel quale sono state disposte al di fuori dei termini di durata delle indagini preliminari. In ogni caso, si tratta di intercettazioni che si pretende di utilizzare in un procedimento penale quello relativo all'usura ai danni dell'imprenditore M. non connesso ex articolo 12 c.p.p. a quello in cui sono state disposte il numero 3020/02 RGNR , contrariamente a quanto affermato recentemente dalle Sezioni Unite nella pronuncia Cavallo numero 51 del 2020. Tale inutilizzabilità, benché non dichiarata nel procedimento penale di cognizione cui si fa riferimento, può essere rilevata dallo stesso giudice della prevenzione, nell'ambito dei suoi poteri decisionali autonomi - secondo il paradigma interpretativo disegnato dalla Sezioni Unite con la sentenza Sez. U, numero 13426 del 25/3/2010, Cagnazzo, Rv. 246271 una volta che chi intenda farla valere abbia adempiuto al suo onere di allegazione, come accaduto nel caso di specie, da parte della difesa sull'onere di allegazione, si richiama Sez. 1, numero 33330 del 11/2/2021, Ferrero, Rv. 281788 . 5. Hanno proposto ricorso anche R.R. e R.G. nato a Omissis , rispettivamente figlia del proposto e compagno di costei, in qualità di terzi intestatari, in relazione ai beni confiscati loro riferibili, tramite il difensore di fiducia, l'avv. G 4.1. Il primo motivo di censura eccepisce violazione di legge in relazione al D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 24 anzitutto denunciando il fatto che la confisca sia stata basata sulla deduzione logica della disponibilità indiretta dei beni in capo al proposto, stante l'incapacità patrimoniale della figlia. In particolare, la difesa lamenta l'attribuzione dell'intestazione indiretta al proposto dell'immobile ad uso commerciale acquistato dai ricorrenti nel 2011, per un corrispettivo pari a 27.500 Euro, destinato a sede della loro attività commerciale di tabaccheria e poi espropriato per pubblica utilità, con conseguente confisca dell'indennità di esproprio. Ed infatti, l'immobile risulta documentalmente che sia stato acquistato con provviste di R.G. un assegno di 10.000 Euro è stato corrisposto alla controparte sei mesi prima del rogito ed un assegno pari a 17.500 Euro è stato elargito il giorno stesso del rogito . Non vale a smentire tale certezza ed a ricondurre il bene al proposto la circostanza anch'essa documentale e messa in risalto dal decreto di primo grado che quest'ultimo abbia girato sul conto corrente della figlia R., ben tre mesi dopo il rogito, la somma di 30.000 Euro con bonifico bancario, somma che poi costei ha girato sul conto del compagno nella stessa giornata. Il motivo specifico dedotto dalla difesa in sede di appello è rimasto privo di risposta da parte dei giudici di secondo grado. 4.2. Un secondo motivo di ricorso evidenzia il vizio di violazione di legge in relazione al D.Lgs. numero 156 del 2011, articolo 20 rispetto alla mancata valutazione del giudizio di congruità tra le provviste lecite del proposto e dei terzi intestatari e l'acquisto del bene oggetto di ablazione, nonché con riguardo alla circostanza che, sebbene il decreto di prevenzione di primo grado, confermato in appello, fissi non oltre il 2010 il perimetro di manifestazione della pericolosità sociale del proposto, si sia disposta la confisca di un immobile acquistato nell'anno 2011, sull'erroneo presupposto che l'acquisto sia una stretta derivazione di ricchezza accumulata in precedenza. Si è dimenticato, viceversa, che il proposto e la sua famiglia, nell'anno 2011, hanno dimostrato di aver legittimamente guadagnato un reddito pari a poco meno di 50.000 Euro, cifra da sola sufficiente a giustificare l'acquisto dell'immobile citato. Ancora una volta, si sarebbero contraddetti i principi affermati dalle Sezioni Unite Spinelli nel 2015. 5. Un terzo atto di ricorso è stato depositato da R.G. nato a Omissis ed R.E., tramite i loro difensori di fiducia, gli avvocati L.P. e F., quali terzi intestatari fittizi, rispettivamente titolare e socio unico della omissis s.r.l. Tuttavia, preliminarmente, il Collegio dà atto che R.E. non è stato iscritto quale ricorrente formalmente nel procedimento RGN numero 6075/2022, né conseguentemente è stato considerato parte processuale ai fini delle rituali notifiche, sicché non si terrà conto della sua posizione nell'esame delle doglianze congiuntamente proposte con R.G 5.1. Il primo motivo di censura eccepisce violazione di legge, derivata dalla mancanza della motivazione del decreto d'appello impugnato, avuto riguardo alla sussistenza dei requisiti di pericolosità generica ed alla perimetrazione cronologica della pericolosità, rispetto all'acquisizione dei beni oggetto di confisca. Il ricorso premette che la Corte d'Appello ha accolto parzialmente il motivo di censura già avanzato in quella sede, disponendo la revoca della confisca dell'intero capitale sociale e del relativo compendio aziendale della società citata, ad eccezione dei beni immobili di proprietà dell'ente oltre a due polizze assicurative e ad un motociclo intestato a R.G. , perché legati comunque in termini probabilistici a capitali non giustificati, acquisiti fino all'anno 2010, pag. 8 del provvedimento impugnato , richiamando gli elementi a fondamento di tale affermazione. In proposito, la difesa evidenzia come non siano state prese in considerazione le eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, invece alla base di una parte dell'accertamento di pericolosità del proposto, e come siano state valutate determinanti le affermazioni contenute nella sentenza di prescrizione relativa al reato di cui all' articolo 132 TUB D.Lgs. numero 385 del 1993 , sebbene non vi sia stato alcun accertamento di fatto. In tal modo, si sono contraddette le affermazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale numero 24 del 2019 . Vi sarebbe, dunque, anche un vizio di motivazione mancante o apparente. Ancora, si mette in luce come la Corte d'Appello abbia errato nel ritenere la pericolosità sociale, nonostante difettino - il presupposto dell'abitualità delle condotte di reato, che sono a tale distanza temporale l'una dall'altra da rendere plausibile l'esclusione di tale carattere necessario - il presupposto della necessaria correlazione quantitativa tra proventi delle attività delittuose ed ingiustificati incrementi patrimoniali. Infine, il ricorso evidenzia che i beni immobili di proprietà della omissis s.r.l., le due polizze vita intestate a R.G. e il motociclo di questi, acquistato dal 2006, ancora sottoposti a confisca, avrebbero dovuto anch'essi essere restituiti, mancando, per i primi, il necessario collegamento cronologico tra manifestazione della pericolosità sociale accertata fino al 2010 ed ingiustificati incrementi patrimoniali gli acquisti sono stati effettuati con somme compatibili e ragionevolmente provenienti dalla lecita attività d'impresa vedi pagine 12 e 13 del ricorso , mentre le polizze e il motociclo sono sicuramente compatibili con la capacità reddituale lecita di R.G 5. Il Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao d'Aquino ha chiesto l'inammissibilità dei ricorsi. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono complessivamente infondati e devono essere rigettati. 2. Va premesso, prima di ogni altra considerazione, che il Collegio si atterrà, nell'analisi dei ricorsi, al principio generale, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, ai sensi del disposto del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 10 richiamato dal D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 27, comma 2, per quanto concerne specificamente le impugnazioni delle misure di prevenzione patrimoniali. Il sindacato della Corte di cassazione in materia di misure di prevenzione è limitato, quindi, ai vizi di motivazione che sfocino in violazioni di legge, da sempre individuati dalla giurisprudenza di legittimità solo nell'inesistenza o nella carenza assoluta o mera apparenza della motivazione Sez. U, numero 33451 del 29/5/2014, Repaci, 10 Rv. 260246 Sez. 1, numero 6636 del 7/1/2016, Pandico, Rv. 266365 , che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio Sez. 6, numero 33705 del 15/6/2016, Caliendo, Rv. 270080 . Espressamente le Sezioni Unite, nella citata sentenza Repaci, hanno chiarito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato sulla nozione di violazione di legge, in tema di difetto motivazionale, cfr. anche in senso analogo Sez. U, numero 5876 del 28/1/2004, Ferazzi, Rv. 226710 nella materia cautelare . 3. Alla luce di tali premesse, il ricorso di R.N. e di T.L. deve ritenersi privo di fondamento e, per certi aspetti, inammissibile. 3.1. Anzitutto, in via ancora preliminare e limitatamente alla posizione di T., terza intestataria dei beni e moglie del proposto, deve rilevarsi come ella formuli le proprie censure soltanto nel solco di quelle del marito, che attengono all'accertamento della sua pericolosità. Ebbene, il Collegio evidenzia come costituisca opinione dominante nella giurisprudenza di legittimità, che qui si intende riaffermare, ritenere che, in materia di misure di prevenzione, nel caso di confisca avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, questi può rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, mentre è del tutto estraneo ad ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l'applicazione della misura nei confronti di quest'ultimo - quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso - e che solo costui può avere interesse a far valere cfr., tra le altre, Sez. 5, numero 333 del 20/11/2020, dep. 2021, Icardi, Rv. 280249 Sez. 6, numero 7469 del 4/6/2019, dep. 2020, Hudurovic, Rv. 278454 . E' rimasta, invece, isolata la diversa opzione ermeneutica, rappresentata nella sentenza Sez. 5, numero 12374 del 14/12/2017, dep. 2018, La Porta, Rv. 272608, secondo cui, in tema di confisca di prevenzione, il terzo che rivendica l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo è legittimato ed ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell'intestazione, ma anche a far valere l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nei confronti del proposto. Già soltanto per questa ragione, dunque, il ricorso di Trepiciano dovrebbe ritenersi privo di basi di interesse. Esaminandone il merito, sono infondate, per le ragioni che si indicheranno al par. 3.2., le censure proposte unitamente al marito R.N. e per la sua posizione, in relazione alla quale, invece, vale il principio legittimante all'impugnazione, secondo cui, nel caso di confisca di prevenzione di un bene ritenuto fittiziamente intestato a terzi, se è inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione del proposto che si limiti a dedurre l'insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarità effettiva del bene in capo al terzo intestatario, è invece ammissibile il ricorso del proposto che, senza negare l'esistenza del rapporto fiduciario, alleghi di aver acquistato i beni lecitamente, essendo portatore, in questo caso, di un interesse proprio all'ottenimento di una pronuncia che accerti la mancanza delle condizioni legittimanti l'applicazione del provvedimento cfr. Sez. 1, numero 20717 del 21/1/2021, Loiero, Rv. 281389 . Si illustreranno, pertanto, di seguito, le ragioni in base alle quali i motivi specificamente volti dai ricorrenti, e dal proposto in particolare, a contestare l'applicazione della misura ablatoria, nelle forme disposte, sono privi di pregio. 3.2. Il primo argomento difensivo propone una questione non inedita nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, sebbene non ancora del tutto chiarita e consolidata nei suoi approdi interpretativi vale a dire, se dà vita ad una violazione di legge l'applicazione retroattiva del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b , a condotte antecedenti all'intervento tassativizzante della Corte costituzionale, nella sentenza numero 24 del 2019 . Secondo la difesa, la prevedibilità legale della disposizione attinente al giudizio di pericolosità sociale in esame potrebbe agganciarsi soltanto a periodi successivi alla sentenza della Consulta, poiché solo da quel momento gli elementi tassativizzanti sono stati interpretativamente forniti, salvando la fattispecie legale che, di per sé, non li prevedeva attraverso un intervento di ortopedia costituzionale mediante una sentenza che, in relazione a tale norma, configura una pronuncia interpretativa di rigetto. Nel secondo motivo aggiunto si ribadisce la censura, criticando anche la soluzione contraria, espressa dalla recente sentenza della Prima Sezione Penale numero 15954 del 10/11/2021, Mellea. La doglianza è infondata. Come noto, la sentenza della Corte costituzionale numero 24 del 2019 ha evidenziato come, alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale successiva alla sentenza De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017 che ha condannato l'Italia in relazione al deficit di tassatività e di prevedibilità delle misure di prevenzione previste dal D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1 per l'eccessiva discrezionalità giurisprudenziale nell'interpretare la condotta rilevante ai fini dell'appartenenza alla suddetta categoria di pericolosità generica , risulti oggi possibile assicurare in via interpretativa contorni sufficientemente precisi alla fattispecie descritta dal D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b , sì da consentire ai consociati di prevedere ragionevolmente in anticipo in quali casi - oltre che in quali modi - essi potranno essere sottoposti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, nonché alle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca da essa derivanti. Afferma la Consulta La locuzione coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose è oggi suscettibile, infatti, di essere interpretata come espressiva della necessità di predeterminazione non tanto di singoli titoli di reato, quanto di specifiche categorie di reato Le categorie di delitto che possono essere assunte a presupposto della misura sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione nel caso di specie esaminato dal giudice in virtù del triplice requisito - da provarsi sulla base di precisi elementi di fatto , di cui il tribunale dovrà dare conto puntualmente nella motivazione articolo 13 Cost. , comma 2 - per cui deve trattarsi di a delitti commessi abitualmente e dunque in un significativo arco temporale dal soggetto, b che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c i quali a loro volta costituiscano - o abbiano costituito in una determinata epoca - l'unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito . Con riguardo specifico alle misure patrimoniali del sequestro e della confisca, i requisiti enucleati dovranno essere accertati in relazione al lasso temporale nel quale si è verificato, nel passato, l'illecito incremento patrimoniale che la confisca intende neutralizzare, in ossequio - prosegue la sentenza della Corte costituzionale all'indicazione delle Sezioni Unite, nella sentenza numero 4880 del 2015, Spinelli, Rv. 262604 e 262605, circa la necessità della correlazione temporale che discende dall'apprezzamento dello stesso presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, ossia dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita l'ablazione patrimoniale si giustificherà se, e nei soli limiti in cui, le condotte criminose compiute in passato dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti, in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s'intendono confiscare, e la cui origine lecita egli non sia in grado di giustificare. Su tali basi, e tornando alla questione sottoposta al Collegio, va detto che la Cassazione ha già avuto modo di testare positivamente la legittimità dell'applicazione retroattiva del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b , a condotte antecedenti all'intervento tassativizzante della Corte costituzionale, di cui alla pronuncia numero 24 del 2019, rispetto alle censure oggi proposte e non soltanto nella citata sentenza Mellea, in cui, in motivazione, si è superata un'obiezione del tutto analoga a quella oggi in esame, ma anche, più specificamente, in altre due pronunce, emesse dalla Quinta e dalla Sesta Sezione Penale. Si è affermato esplicitamente, infatti, che, in tema di misure di prevenzione, la lettura tassativizzante della categoria di pericolosità generica di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159, articolo 1, comma 1, lett. b , affermata nella sentenza della Corte Cost. numero 24 del 2019 , alla luce dei principi espressi dalla Corte EDU, Grande Camera, nella sentenza 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, trova applicazione anche con riferimento alle condotte antecedenti alla pronuncia del giudice delle leggi, la quale ha recepito l'interpretazione consolidata che la Corte di cassazione ha dato del contenuto della norma, consacrandola quale diritto vivente, sulla cui base sono state ritenute la sufficiente determinatezza della fattispecie, nonché la prevedibilità delle conseguenze della violazione cfr. Sez. 6, numero 20557 del 10/6/2020, Dezi, Rv. 279556 . Ciò perché, con la richiamata sentenza del 2019, la Corte costituzionale, aderendo all'interpretazione giurisprudenziale della disposizione in esame maggiormente restrittiva rispetto al semplice dettato normativo, si è limitata a ricondurre nelle maglie della determinatezza solo condotte palesemente sintomatiche di pericolosità generica Sez. 5, numero 19227 del 24/1/2022, Immobiliare Peonia, s.r.l., Rv. 283397 . In altre parole, già su di un piano intuitivo, appare evidente come non possa sussistere una violazione del principio di prevedibilità e di quello di irretroattività della norma penale sfavorevole, previsto dall'articolo 7 CEDU - a prescindere dall'applicabilità di tale principio al settore delle misure di prevenzione, esclusa come noto dalle citate Sezioni Unite Spinelli cfr. Rv. 262602 - se l'interpretazione successiva costituzionalmente legittima, derivata da una pronuncia interpretativa di rigetto della Corte costituzionale, non è affatto sfavorevole ma, viceversa, più favorevole rispetto all'interpretazione letterale di tale disciplina, restringendone il campo di azione. In un tale contesto, il soggetto doveva orientarsi, per il passato ed al momento della commissione delle condotte espressive di pericolosità, secondo paradigmi comportamentali più rigorosi di quelli poi divenuti legittimi, sulla base dell'interpretazione tassativizzante successiva al 2017 e peraltro emersa già prima di tale anno , sicché non può essere invocato alcun deficit di prevedibilità rispetto alla disciplina del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b . D'altra parte, l'interpretazione della Corte costituzionale costituisce la sintesi dell'orientamento tassativizzante già progressivamente adottato da questa Corte regolatrice dopo la sentenza De Tommaso del 2017 e divenuto diritto vivente , ed ha stabilizzato, con il crisma della legittimità costituzionale, l'interpretazione più restrittiva della disposizione citata nel chiarire il concetto di attività delittuosa, lo si è circoscritto ai soli delitti l'avverbio abitualmente è stato inteso nel senso di richiedere un'attività sviluppatasi in un significativo arco temporale, ossia la necessità che al soggetto proposto possano essere attribuite una pluralità di condotte passate non episodiche tali condotte devono aver effettivamente generato in capo al proposto profitti, che a loro volta costituiscono - o hanno costituito in una determinata epoca - il suo unico reddito o quanto meno una componente significativa di esso. Pertanto, come è stato ben chiarito dalla sentenza numero 19227 del 2022, la pronuncia interpretativa di rigetto numero 24 del 2019 della Consulta non solo non sovverte un orientamento interpretativo più favorevole, ma evita semmai la proliferazione di interpretazioni sfavorevoli, poiché essa assume valore vincolante nei giudizi successivi, essendo l'unica interpretazione conforme ai parametri costituzionali. Aderendo all'interpretazione più restrittiva, cioè, la Corte costituzionale, sulla scia della giurisprudenza di legittimità e di quella della Corte EDU, ha ricondotto al D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, lett. b solo quelle condotte palesemente sintomatiche di pericolosità generica e rispetto alle quali non potevano nutrirsi ragionevoli dubbi quanto alla loro rilevanza, anche prima della pronuncia. Ed è il momento valutativo quello che ha il ruolo di determinare le conseguenze di una disciplina penale, sicché, se la valutazione della configurabilità o meno di una categoria di pericolosità secondo il sistema delle misure di prevenzione avviene seguendo uno schema interpretativo più favorevole, è esclusa, già dal punto di vista logico, qualsiasi violazione del principio di irretroattività sfavorevole il proposto sarà valutato, infatti, nella sua dimensione soggettiva di pericolosità, sulla base dei criteri costituzionalmente legittimi sanciti dalla Corte costituzionale nel 2019, in adesione al diritto vivente giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza De Tommaso del 2017, ha scolpito le fattezze legali della norma dettata dal D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b , secondo un processo di giurisdizionalizzazione tassativizzante. Del resto, anche le sentenze precedentemente citate hanno avvisato che è proprio l'operazione di qualificazione della fattispecie di pericolosità a dover essere rispettosa del dictum del giudice delle leggi ed a dover contemplare la verifica dei materiali istruttori secondo le nuove regole già presenti nella giurisprudenza di legittimità dal 2017 in poi e stabilizzate dall'intervento della Corte costituzionale nel 2019, al fine di vagliare le condotte attribuite al proposto, non solo come temporalmente significative, ma anche perché produttive di reddito illecito utilizzato, almeno in parte, per il soddisfacimento dei bisogni primari del soggetto e il mantenimento del tenore di vita i profitti da reato devono rappresentare una componente significativa del reddito, per stare alle parole utilizzate nella decisione numero 24 del 2019 Corte Cost. cfr. Sez. 1, numero 27696 del 1/4/2019, Immobiliare Peonia s.r.l., Rv. 275888, in motivazione e Sez. 5, numero 19227 del 2022, cit. . Per tutte le ragioni esposte, deve essere affermato, quindi, che, in tema di misure di prevenzione, la lettura tassativizzante della categoria di pericolosità generica di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159, articolo 1, comma 1, lett. b , affermata nella sentenza della Corte Cost. numero 24 del 2019 , alla luce dei principi espressi nella sentenza Corte EDU, GC, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, trova applicazione anche con riferimento alle condotte antecedenti alla pronuncia del giudice delle leggi, la quale ha recepito il diritto vivente della Cassazione che ha dato contenuto determinato e prevedibile alla norma, sicché tale applicazione non viola il principio di irretroattività stabilito dall'articolo 7 CEDU , in quanto più favorevole rispetto all'interpretazione letterale di tale disciplina. 3.3. Quanto, agli altri motivi di ricorso - risolto il secondo argomento dell'impugnazione principale con una valutazione di inammissibilità per manifesta infondatezza, non ravvisandosi alcun appiattimento della motivazione del giudice d'appello su quella di primo grado, sì da rendere illegittima l'operazione di richiamo per relationem parzialmente svolta - la soluzione della terza, centrale censura difensiva ribadita nel primo motivo aggiunto richiede una premessa sistematica, ad ulteriore specificazione di quanto già esposto nel paragrafo precedente, che, nella materia delle misure di prevenzione, la sentenza della Corte costituzionale numero 24 del 2019 , con cui si è dichiarata l'illegittimità costituzionale della fattispecie di pericolosità generica prevista dal D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159, articolo 1, comma 1, lett. a , assume, in rapporto alla fattispecie di cui al citato D.Lgs., articolo 1, lett. b , - disposizione, quest'ultima, che ha, invece, superato indenne il vaglio della Corte -, la valenza di sentenza interpretativa di rigetto. Ne consegue che, in sede di applicazione della disposizione salvata dalla scure dell'incostituzionalità, deve prestarsi osservanza all'esegesi offertane dalla sentenza della Consulta, salvo che emergano validi motivi contrari, da illustrarsi compiutamente alla stregua di una puntuale e rafforzata motivazione cfr., tra le molte, Sez. 1, numero 27696 del 1/4/2019, Immobiliare Peonia s.r.l., Rv. 275888 . Altrettanto essenziale è ricordare, come già poc'anzi esposto ed a definitivo chiarimento delle griglie decisorie alle quali si atterrà il Collegio, che, in tema di misure di prevenzione, alla luce della sentenza della Corte costituzionale numero 24 del 2019 , le categorie di delitto legittimanti l'applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b , devono presentare il triplice requisito - da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione - per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l'unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo Sez. 5, numero 182 del 30/11/2020, dep. 2021, Zangrillo, Rv. 280145 Sez. 2, numero 27263 del 16/4/2019, Germanò, Rv. 275827 . Ebbene, il provvedimento impugnato corrisponde alle indicazioni della giurisprudenza di legittimità, da ultimo ispirate dalla pronuncia numero 24 del 2019 Corte Cost. . Gli elementi di fatto posti alla sua base, costituiti dagli accertamenti svolti in sede penale, rinviano ad una attività delittuosa posta in essere in modo non episodico, dalla quale il proposto ha tratto effettivamente profitto, a fronte di una scarsa capacità economica del nucleo familiare di riferimento. In particolare, la Corte di appello ha individuato l'attività delittuosa di R.N. in un coinvolgimento non episodico ma reiterato in reati di usura, dal 2000 al 2010, evinto oltre che dalla condanna passata in giudicato per condotte sino al 2000, anche dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, L.S., partecipe di sodalizi mafiosi del territorio, il quale svelava il suo coinvolgimento in un giro di usura ed il suo rapporto con la mafia venivano, altresì, valorizzati, in chiave di pericolosità e acquisizione di patrimonio illecito, un'ulteriore vicenda di indagine per il reato di usura in danno dell'imprenditore M., nonché il rinvio a giudizio per il delitto di abusivismo finanziario, che, dalle indagini, lasciava comprendere come il proposto avesse intrattenuto numerosissimi rapporti economici con altrettanti soggetti privati, afferenti a prestiti di somme di denaro per quasi 800.000 Euro, tra il 2005 e il 2010, in un contesto di usura, attingendo a risorse economiche non chiare nella loro derivazione, nonché illeciti tributari e reati di falso e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche questi ultimi definiti di minor rilievo . Anzi, il decreto impugnato sottolinea come il Tribunale abbia ritenuto di straordinaria significatività le emergenze del procedimento penale iscritto in relazione al reato di cui al D.Lgs. numero 385 del 1993, articolo 132 nonostante la conclusione della gran parte delle contestazioni con sentenze di estinzione del reato per prescrizione, poiché, esaminando la documentazione contabile ritrovata presso la sede della R. s.r.l., era stata accertata l'esistenza di numerosissime dichiarazioni sottoscritte da altrettanti soggetti privati, aventi la valenza di ricognizione di debito in relazione a somme di denaro spesso di elevato importo, non altrimenti giustificabili, in un simile contesto, se non con il collegamento con gli altri elementi che conducono a ritenere un coinvolgimento piene in delitti di usura. Peraltro, del tutto illogico è stato ritenuto, da entrambi i giudici, il tentativo di giustificazione difensiva che ha cercato di sostenere che l'attività fosse una sistematica concessione di finanziamenti senza interessi ed a titolo gratuito. A proposito, poi, della rilevanza, nell'ambito della procedura di prevenzione, di elementi di fatto tratti da procedimenti definiti con sentenza di prescrizione, il Collegio non può che far notare come le conclusioni del provvedimento impugnato e del decreto di primo grado siano coerenti con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di misure di prevenzione, il giudice, attesa l'autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un'affermazione di pericolosità generica del proposto D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159, ex articolo 1, comma 1, lett. b , in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti posti alla base del giudizio di pericolosità cfr. Sez. 2, numero 31549 del 6/6/2019, Simply soc. coop, Rv. 277225 Sez. 2, numero 33533 del 25/6/2021, Avorio, Rv. 282862 Sez. 2, numero 4191 del 11/1/2022, Staniscia, Rv. 282655 . E su tale opzione concordano anche le sentenze espressione di quell'orientamento, maggiormente condivisibile, che, a differenza delle sentenze poc'anzi citate, non estende l'autonomia valutativa della procedura di prevenzione anche ai casi nei quali sia intervenuta una sentenza di assoluzione definitiva, in quanto la negazione penale irrevocabile di un determinato fatto impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità cfr. Sez. 1, numero 31209 del 2473/2015, Scagliarini, Rv. 264319 Sez. 2, numero 11846 del 19/1/2018, Carnovale, Rv. 272496 Sez. 1, numero 36080 del 11/9/2020, Cavazza, Rv. 280207 Sez. 5, numero 182 del 30/11/2020, dep. 2021, Zangrillo, Rv. 280145 . Nel caso di specie, i decreti ablativi hanno chiarito perché, nonostante la prescrizione dei reati ritenuti indicativi del coinvolgimento sistematico del proposto in un'attività di usura, emergono comunque elementi di fatto oggettivi e chiari da valorizzare nel senso della pericolosità e dell'accumulo patrimoniale di derivazione delittuosa qualsiasi censura al riguardo, si risolve nella deduzione di un vizio di motivazione che, come si è esposto in apertura, non è proponibile in sede di legittimità nell'ambito delle misure di prevenzione. Si è ritenuto, pertanto, che siano state, così, realizzate dal proposto, in un considerevole periodo coincidente con la prima decade degli anni 2000, attività delittuose produttrici di risorse economiche dalle quali egli ha effettivamente tratto profitti destinati non solo al suo sostentamento ed a quello del proprio nucleo familiare, ma anche alla creazione di un patrimonio economico non di poco conto. Ed invero, è stata adeguatamente e logicamente motivata la sproporzione tra gli investimenti nel periodo di interesse effettuati dal proposto e dai suoi familiari e il loro reddito si parla di spese conferimenti, investimenti, polizze vita, auto e un immobile, riferibili al proposto direttamente od ai suoi familiari per centinaia di migliaia di Euro cfr., per i dettagli ampiamenti ripercorsi nel decreto impugnato, le pagine 5 e 6, 9 e 10 soprattutto , che non trovano giustificazione legittima alcuna, in confronto con gli introiti familiari, appena sufficienti, in talune annualità, come per esempio nel 2002, a soddisfare i bisogni primari della famiglia. 3.4. Il quarto motivo cui fa eco la terza ragione di censura dei motivi aggiunti è manifestamente infondato e genericamente formulato, poiché ripropone la medesima eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni relative al rapporto usurario intrattenuto con l'imprenditore M., valutate come rilevanti per l'accertamento di pericolosità del proposto, già avanzata in primo grado e disattesa dal Tribunale con corretti argomenti giuridici, ai quali si è richiamato il decreto d'appello. E' pur vero, infatti, come sostiene la difesa, che l'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti in qualsiasi tipo di giudizio, e quindi anche nell'ambito del procedimento di prevenzione Sez. U, numero 13426 del 25/3/2010, Cagnazzo, Rv. 246271 ma è anche vera la speculare affermazione sono utilizzabili nel procedimento di prevenzione i risultati delle intercettazioni telefoniche e ambientali, l'utilizzabilità delle quali sia accertata nel giudizio penale di cognizione né, in tal caso, occorre una valutazione ad hoc del giudice della prevenzione, trattandosi di prova la cui conformità all'ordinamento è stata delibata nella sede propria, nel contraddittorio delle parti, all'esito di un giudizio con la partecipazione di tutte le parti interessate al suo utilizzo. Ne consegue che il giudice della prevenzione non deve compiere alcuna nuova valutazione al riguardo, salva la verifica della capacità dimostrativa della prova in questione ai fini del giudizio di pericolosità del proposto Sez. 5, numero 52095 del 29/10/2014, Bonura, Rv. 261337 . Nel caso di specie, il decreto di primo grado ha chiarito che nel procedimento penale di cognizione le eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni sono state disattese e superate, sia per ragioni formali, di mancata tempestiva deduzione, sia per ragioni di merito, riferite alla valutazione positiva ex articolo 270 c.p.p. . Come si è sottolineato, non vi è spazio per nuove valutazioni sul punto in sede di prevenzione. 3.5. Il quinto argomento di censura è inammissibile poiché deduce vizi di motivazione e non una violazione di legge, peraltro con una prospettiva di rivalutazione in fatto degli esiti di una verifica invece plausibile e motivata proposta dalla Corte d'Appello. I ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia dilatato la valenza temporale della pericolosità, allargando il significato degli indizi di prevenzione, ed abbia apoditticamente postulato l'esistenza di delitti lucrogenetici e la derivazione illecita dei beni acquisiti, immotivatamente superando le specifiche e concrete obiezioni formulate nell'atto di appello. La formulazione del motivo è apodittica e tende ad avvalorare la prospettazione difensiva, senza tener conto che il decreto impugnato, lungi dal sopravvalutare la perimetrazione temporale della pericolosità rispetto alle acquisizioni patrimoniali sproporzionate, ha indicato, con puntuale elencazione, gli anni della pericolosità, sottolineando la valenza espressiva del protrarsi di quest'ultima sino al 2010, in ragione dell'attività vorticosa di prestiti verso debitori, reticenti una volta escussi nel corso delle indagini, prestiti che si è escluso possano ricondursi ad un'attività benefattrice e gratuita del ricorrente e, motivatamente, si è ritenuto che fondino il convincimento di un perdurante convincimento in attività di usura continuative. Si sono estesi gli effetti ablatori soltanto a beni acquistati in un momento ragionevolmente vicino al momento di cessazione della perimetrazione di pericolosità, seguendo l'opzione giurisprudenziale secondo cui, in tema di confisca di prevenzione, è legittimo disporre la misura ablatoria, quando gli acquisti si realizzino in un periodo immediatamente successivo a quello per cui è stata asseverata la pericolosità, purché il giudice dia atto della sussistenza di una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della derivazione delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista patrimoniale formatasi nel periodo di compimento della attività illecita, in quanto esiste un collegamento di tipo logico tra il fatto presupposto, la pericolosità del proposto e l'incremento patrimoniale ingiustificato che ha generato i beni oggetto di confisca Sez. 5, numero 1543 del 23/11/2020, dep. 2021, Marotta, Rv. 280667 . Inoltre, è stata attentamente valutata la consistenza del provvedimento ablativo in sede di appello, distinguendosi tra i beni riferibili all'illecita derivazione da patrimonio frutto di delitti e beni la cui acquisizione successiva alla cessazione del periodo di perimetrazione della pericolosità non potevano essere considerati legati all'accumulazione precedente, dimostrando la Corte d'Appello di avere ben chiara la differenza tra impresa mafiosa e impresa collegata ad una pericolosità generica. Così, si è disposta la revoca della confisca dell'intero capitale sociale e del relativo compendio aziendale afferenti alla società OMISSIS s.r.l., costituita dal figlio del proposto, G., nel 2012, ad eccezione di una piccola parte costituita dall'immobile sede della società, ritenuto acquistato con beni paterni e non appartenente a quella componente economica successiva di molto alla cessazione del periodo di pericolosità che è rappresentata dall'azienda nella sua consistenza economica. Diversamente, nei riguardi della società R., pure creata nel 2012 e nelle cui casse, tra il 2000 ed il 2008, il proposto ha versato una somma prossima ai 750.000 Euro, è stata mantenuta la confisca del 50%, ritenendo gli utili modesti dichiarati successivi al periodo di pericolosità accertato e, quindi, non riconducibili con chiarezza a ricavi delittuosi. Il provvedimento impugnato, quindi, è stato costruito secondo direttrici logico-giuridiche perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte regolatrice e, al tempo stesso, conta su una solida base fattuale, idonea a sostenere la struttura portante dell'accertamento di pericolosità e del collegamento tra perimetrazione temporale di essa e acquisizioni patrimoniali derivate da delitto, oggetto della confisca. I giudici d'appello hanno ritenuto che l'ampiezza temporale del periodo di pericolosità sociale compreso tra il 1998 e il 2010 e la dimensione economica degli affari circa 800.000 Euro consentisse di ritenere rispettato, con riferimento alla pericolosità generica di cui al D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lett. b , il compimento di attività delittuose capaci di produrre reddito e non già di condotte genericamente devianti o denotanti un semplice avvicinamento a contesti delinquenziali Sez. 1, numero 27366 del 28/1/2021, He Dong, Rv. 281620 . 4. Il ricorso di R. e R.G., rispettivamente figlia del proposto e compagno di costei, in qualità di terzi intestatari, tende complessivamente a sostenere la titolarità effettiva dell'unità immobiliare ad uso commerciale sita in Omissis , loro confiscata poiché ritenuta in realtà attribuibile a risparmi del proposto, inscrivibili nel periodo segnato dalla sua pericolosità sociale, per quanto l'atto di compravendita formalmente si collochi nell'anno 2011 e, quindi, nell'anno successivo a quello di cessazione della perimetrazione temporale della misura di prevenzione. Il motivo è infondato, con tratti di evidente inammissibilità per aspecificità e mancanza di confronto con le argomentazioni dei provvedimenti ablatori, reciprocamente integrantisi. La Corte d'Appello ha esattamente chiarito la sequenza temporale e fattuale dei pagamenti dell'immobile, dai quali ha dedotto che l'operazione patrimoniale fosse sintomatica di attribuibilità fittizia del bene, concludendo nel senso che si sia dinanzi ad un investimento-donazione del proposto che non trova sufficiente giustificazione nel reddito complessivo dell'anno 2011, ammontante a poco meno di 50.000 Euro, a fronte di un esborso di 30.000 Euro a favore della figlia R Le considerazioni riferite alla possibilità che il danaro provenga da provviste lecite di R.G. si scontra con la trasparenza dell'operazione immobiliare appena tre mesi dopo il rilascio di due assegni in pagamento, per 27.500 Euro complessivi, da parte di questi, il proposto ha effettuato un bonifico a vantaggio della figlia R., di importo di poco superiore a tale somma utile al pagamento, e cioè pari a 30.000 Euro, somma che, nella stessa giornata, è stata trasferita proprio a R.G., evidentemente allo scopo di sostenere con denaro del proposto l'acquisto già effettuato. Tale ricostruzione logica non è messa in crisi dalle apodittiche affermazioni dei ricorrenti circa la sostenibilità economica dell'acquisto da parte loro e del nucleo familiare del proposto, visto che già il Tribunale aveva evidenziato, del tutto plausibilmente e, quindi, con motivazione non soltanto adeguata ma anche convincente, l'insufficienza di ingressi reddituali annuali per l'importo di 50.000 Euro, utile a malapena a coprire i pagamenti dell'immobile e della polizza stipulata, senza contare le necessità di sostentamento quotidiano del nucleo familiare nell'anno di interesse. Neppure ha pregio la censura riferita al collocarsi dell'acquisto al di fuori dell'area di perimetrazione temporale della pericolosità si è già esposto l'orientamento interpretativo che, in presenza di adeguati indici fattuali altamente dimostrativi della derivazione delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista patrimoniale formatasi nel periodo di compimento della attività illecita, rinvenibili nel caso di specie, ammette pacificamente la confisca di beni successivamente a tale periodo acquisiti vedi anche Sez. 1, numero 12329 del 14/2/2020, Turchi, Rv. 278700 . 5. Il ricorso di R.G., omonimo del precedente ricorrente e figlio del proposto, è anch'esso infondato. 5.1. I motivi che si prefiggono l'obiettivo di mettere in discussione l'esito del provvedimento impugnato, sotto il profilo della pericolosità sociale del proposto e della sua perimetrazione temporale, sono inammissibili, secondo l'opzione dominante della giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio e già anticipata al par. 3.1. il terzo intestatario è del tutto estraneo ad ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l'applicazione della misura nei confronti di quest'ultimo - quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso - e che solo costui può avere interesse a far valere cfr., tra le altre, Sez. 5, numero 333 del 20/11/2020, dep. 2021, Icardi, Rv. 280249 Sez. 6, numero 7469 del 4/6/2019, dep. 2020, Hudurovic, Rv. 278454 . 5.2. Quanto alla rivendicata titolarità effettiva della società RU.GI.CA., in relazione alla quale, come si è ricordato, la Corte d'Appello ha già disposto la revoca della confisca dell'intero capitale sociale e del compendio aziendale, il ricorso evidenzia che i beni immobili, invece confermati nell'ablazione e di proprietà della omissis s.r.l., nonché le due polizze vita intestate a R.G. ed il motociclo di questi, acquistato dal 2006, ancora sottoposti a confisca, avrebbero dovuto anch'essi essere restituiti, mancando, per i primi, il necessario collegamento cronologico tra manifestazione della pericolosità sociale accertata fino al 2010 ed ingiustificati incrementi patrimoniali gli acquisti sono stati effettuati con somme compatibili e ragionevolmente provenienti dalla lecita attività d'impresa vedi pagine 12 e 13 del ricorso , mentre le polizze e il motociclo sono sicuramente compatibili con la capacità reddituale lecita di R.G Il provvedimento impugnato ha operato un'equilibrata differenziazione tra ricchezza dinamica e ricchezza statica , derivante o riferibile all'impresa già confiscata. Si sono restituiti i beni afferenti alla prima categoria patrimoniale, vale a dire la ricchezza frutto di attività imprenditoriale avviata in epoca successiva alla perimetrazione temporale della pericolosità del proposto e, quindi, al di fuori della fascia di operatività della presunzione di derivazione da capitale illecitamente creato. Sono stati mantenuti nell'alveo dell'ablazione, invece e motivatamente, quei beni aziendali collegati alla ricchezza statica , derivata direttamente dalle provviste economiche accumulate precedentemente all'anno di creazione della società e serviti ad avviare l'impresa, come capitale iniziale, vale a dire i due immobili, l'acquisto dei quali si è concluso che fosse tratto da fondi di R.N., nel periodo di accertata pericolosità. Le restanti doglianze si rivelano, infine, inammissibili poiché formulate genericamente, per vizi di motivazione e, quanto al motociclo confiscato, dimenticando che si tratta di bene che la stessa difesa evidenzia sia stato acquistato nel pieno del periodo espressivo della pericolosità del proposto l'anno 2006 la sua vetustà non può essere di per sé indice di non confiscabilità, come sembra adombrare il motivo difensivo. Quanto alle due polizze intestate a R.G., il ricorso è privo di riferimenti specifici al loro importo e generico nella misura in cui dimentica che le polizze erano inserite nella perizia disposta dal Tribunale, quali beni in relazione ai quali è provata la sperequazione tra acquisto e reddito percepito. A nulla rileva, come già evidenziato, che esse fuoriescano - peraltro non si eccepisce che genericamente di quanto lo facciano - dalla delimitazione temporale della pericolosità sociale il Collegio rammenta l'orientamento di legittimità già più volte richiamato e, dunque, la loro confiscabilità in linea astratta in presenza di determinate condizioni, ancorché estranee al perimetro temporale formale. In relazione ad esse, il ricorso ripropone la sua diffusa genericità, mentre non risponde al vero che i decreti di prevenzione non si siano occupati motivazionalmente di loro a pag. 32 del provvedimento di primo grado si evidenzia la loro derivazione da profitti dell'attività delittuosa, ribadita nel richiamo del decreto d'appello alle ragioni del primo giudice. 6. I ricorsi, pertanto, devono essere tutti, complessivamente, rigettati ed a tale esito segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.