13 grammi di cocaina in casa: il lockdown non giustifica tale quantitativo di droga come scorta personale

Respinta la tesi difensiva, mirata a mettere in discussione l’accusa di detenzione di droga a fini di spaccio. A inchiodare l’uomo sono anche la suddivisione della sostanza in 25 dosi e la precaria condizione economica, incompatibile con un corposo acquisto di droga per uso esclusivamente personale. Infine, i giudici sottolineano anche il progressivo venir meno dello stato di lockdown.

Il lockdown imposto dallo Stato a causa della pandemia non basta per catalogare come scorta personale il quantitativo oltre 13 grammi di cocaina posseduto in casa da un uomo Cass. pen., sez. IV, ud. 15 novembre 2022 dep. 23 novembre 2022 , n. 44567 . In casa. A fine maggio del 2020 il blitz che consente alle forze dell'ordine di scoprire oltre 13 grammi di cocaina nella casa di un uomo. Inevitabile l'accusa detenzione di droga a fini di spaccio. Il quadro probatorio è inequivocabile per i giudici di merito consequenziale la condanna dell'uomo. In secondo grado, però, viene ridimensionato il trattamento sanzionatorio, ridotto a due anni di reclusione e 4mila euro di multa . Col ricorso in Cassazione, però, l'avvocato che difende l'uomo sotto processo sostiene sia illogico ritenere acclarata la finalità di spaccio , a fronte della necessità dell'uomo, risultato essere tossicodipendente , di approntare una scorta per il periodo di lockdown . Su quest'ultimo punto il legale osserva che il suo cliente è stato sì rinvenuto in possesso di venticinque dosi di cocaina lasciate incustodite sopra il comodino della camera da letto, oltre a due bilancini e ad alcune bustine di cellophane trasparente ma, aggiunge, egli aveva fatto una scorta, lucrando un considerevole sconto sul prezzo di acquisto in un periodo maggio 2020 in cui non era ancora garantita la libera circolazione delle persone. Plausibile, quindi, secondo il legale, la finalità della detenzione della cocaina ad uso personale , anche tenendo presente la mancanza di denaro e l'assenza di conversazioni telefoniche con potenziali acquirenti . I giudici di merito hanno invece ragionato in un'altra ottica, sostenendo che l'attività di cessione poteva non essere ancora iniziata e che il denaro poteva essere stato già utilizzato ad altri fini dall'uomo. E il legale ribatte che sì, sulla carta, il TFR preso dall'uomo a marzo, di appena 1.200 euro, e l'indennità di disoccupazione di cui egli godeva non sarebbero stati sufficienti a giustificare la spesa di circa 800 euro per l'acquisto dello stupefacente rinvenuto nella sua casa, ma, aggiunge, l'uomo godeva, prima del lockdown, di uno stipendio mensile di oltre 1.200 euro ed è un fatto notorio che un soggetto assuntore abituale di droga sperpera i suoi interi risparmi per assecondare la propria dipendenza . In ultima battuta, poi, il legale richiama il principio secondo cui il mero dato quantitativo della droga non può essere sufficiente a escludere la detenzione per uso personale . Lockdown e soldi. Alle obiezioni difensive i giudici di Cassazione replicano sottolineando che in Appello non ci si è limitati ad enunciare il dato ponderale , peraltro corrispondente a ottantatre dosi singole, ma sono stati elencate specifici elementi indiziari a supporto della condanna, ossia la suddivisione della sostanza in dosi , la presenza di due bilancini, l'inconsistenza patrimoniale dell'uomo e l'incompatibilità con tale condizione economica del significativo valore della sostanza rinvenuta nella sua casa. Legittima, quindi, secondo i magistrati, la condanna dell'uomo per detenzione di droga a fini di spaccio . Per quanto concerne l'ipotesi difensiva relativa a una scorta personale di cocaina, i giudici condividono la valutazione compiuta in Appello e centrata su suddivisione della sostanza stupefacente in dosi, presenza di strumenti atti al confezionamento, data risalente della certificazione inerente allo stato di tossicodipendenza dell'uomo, condizione economica dell'uomo e, infine, il progressivo venir meno dello stato di lockdown .

Presidente Montagni Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato limitatamente al trattamento sanzionatorio, ridotto ad anni 2 di reclusione ed Euro 4.000 di multa, la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Roma il 23 novembre 2020 nei confronti di S.I. in relazione al reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 art. 73, comma 5, per avere illecitamente detenuto a fini di spaccio grammi 13,2 circa lordi di sostanza stupefacente del tipo cocaina in Roma il 22 maggio 2020. 2. S.I. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata, con un primo motivo, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 73 e 75 T.U. Stup. La difesa si duole del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto sussistente la finalità di spaccio sull'apodittica affermazione che l'ipotesi della scorta nel periodo di lockdown fosse priva di verosimiglianza. L'imputato era stato rinvenuto in possesso di 25 dosi di cocaina lasciate incustodite sopra il comodino della camera da letto, oltre a due bilancini e ad alcune bustine di cellophane trasparente. E tanto è stato sufficiente per escludere la finalità della detenzione ad uso personale, sebbene l'imputato avesse fatto una scorta lucrando un considerevole sconto sul prezzo di acquisto in un periodo in cui maggio 2020 non era ancora garantita la libera circolazione. 2.1. Tale elemento è stato pretermesso dalla Corte territoriale, così come l'assenza di denaro e di conversazioni telefoniche con potenziali acquirenti, che i giudici di merito hanno ritenuto dati neutri, da un lato perché l'attività di cessione poteva non essere ancora iniziata e dall'altro perché il denaro poteva essere stato già utilizzato ad altri fini, concludendo contraddittoriamente per la mitigazione del trattamento sanzionatorio sulla scorta del fatto che non fossero state osservate cessioni e sulla base del dichiarato stato di tossicodipendenza. 2.2. La motivazione è viziata anche laddove la Corte ha ritenuto che il TFR preso a marzo, di appena 1200 Euro, e l'indennità di disoccupazione di cui l'imputato godeva non sarebbero stati sufficienti a giustificare la spesa di circa 800 Euro per l'acquisto dello stupefacente, sebbene l'imputato prima del Lockdown godesse di uno stipendio mensile di oltre 1200 Euro e sebbene sia fatto notorio che un soggetto assuntore abituale sperpera i suoi interi risparmi per assecondare la propria dipendenza. 2.3. È principio giurisprudenziale che il mero dato quantitativo non possa essere sufficiente a escludere la detenzione per uso personale. 3. Con un secondo motivo censura la sentenza per la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in merito alla determinazione della pena inflitta e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Secondo la difesa, la motivazione sul punto è apparente e in contrasto con la pena eccessiva irrogata. La Corte territoriale ha erroneamente affermato che l'imputato è pregiudicato per delitti della stessa specie, laddove il S. è gravato da un solo precedente penale relativo a un fatto analogo commesso a distanza di poco tempo da quello oggetto del presente procedimento, segno di una grave condizione di disagio dell'imputato completamente ignorata dalla Corte territoriale. 3.1. Nel ricorso si censura l'utilizzo di stilemi del genere pena congrua , pena adeguata , pena equa in quanto impediscono di esternare le ragioni sottese all'esercizio del potere discrezionale, tanto più quando il giudice si discosti dal minimo edittale. 3.2. L'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non è riservata ai cosiddetti reati bagattellari ma ha la funzione di temperamento del rigore sanzionatorio, laddove l'applicazione aritmetica condurrebbe a risultati non equi. La Corte territoriale avrebbe dovuto effettuare un intervento correttivo alla luce dell'organizzazione rudimentale, dell'assenza di contatti abituali e stabili con concorrenti nel reato, della personalità dell'imputato. 4. All'odierna udienza, svoltasi a trattazione orale su istanza della difesa che ha fatto pervenire in data 14 novembre 2022 note giustificative della propria mancata partecipazione alla discussione , il Procuratore generale ha concluso come in epigrafe trascritto per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. 1.1. Nel dedurre l'assenza di un quadro probatorio idoneo a sostenere la pronuncia di condanna, il ricorrente sembra ignorare il testo della sentenza impugnata. La Corte territoriale, nell'esaminare analogo motivo di doglianza, non si è limitata ad enunciare il dato ponderale, peraltro corrispondente a 83 dosi singole, ma ha elencato gli elementi indiziari giovevoli alla conferma della pronuncia di condanna, segnatamente la suddivisione della sostanza in dosi, la presenza di due bilancini, l'inconsistenza patrimoniale dell'imputato e l'incompatibilità con tale condizione economica del significativo valore della sostanza rinvenuta. 1.2. Si tratta di elementi indiziari non specificamente contestati e, in ogni caso, coerenti con le linee interpretative dettate dalla Corte di legittimità in merito all'individuazione dell'oggetto della prova in materia di detenzione cosiddetta a fini di spaccio. 1.3. In merito alle giustificazioni addotte dall'imputato per spiegare per quale ragione detenesse tale quantitativo di cocaina, la Corte territoriale si è fatta carico di esaminarle, indicando le ragioni per le quali non le ritenesse attendibili, evidenziando la suddivisione della sostanza in dosi, la presenza di strumenti atti al confezionamento, la data risalente della certificazione inerente allo stato di tossicodipendenza, il progressivo venir meno dello stato di lockdown. Si tratta di argomentazioni non manifestamente illogiche, congruenti rispetto alle allegazioni difensive e prive di intrinseca contraddittorietà. 1.4. Giova rammentare che anche in presenza di quantitativi superiori ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute è, peraltro, lo stesso testo normativo che impone di attribuire rilievo al dato ponderale al fine di accertare se la detenzione sia finalizzata allo spaccio, ancorché l'interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità della norma in esame imponga al giudice di valutare globalmente sulla base di ulteriori parametri normativi tra loro non autonomi se, insieme al dato quantitativo, che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili, le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014, Salaman, Rv. 260991 Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256611 Sez. 6, n. 12146 del 12/02/2009, Delugan, Rv. 242923 Sez.6, n. 40575 del 01/10/2008, Marsili, Rv. 241522 . 1.5. Secondo quanto si è detto, la sentenza impugnata si è pienamente conformata a tale ultimo principio, avendo esaminato le modalità di presentazione della sostanza e la condizione economica dell'imputato. 2. Il secondo motivo è inammissibile. 2.1. Secondo quanto si evince dalla sentenza qui impugnata, si tratta di motivo che reitera pedissequamente analogo motivo di appello, al quale la Corte territoriale ha fornito adeguata replica, non senza accogliere parzialmente la censura in punto di determinazione della misura della pena, del tutto trascurata dal ricorrente. 2.2. Il ricorrente indica, poi, alcuni elementi che il giudice di merito avrebbe dovuto prendere in considerazione onde riconoscere le circostanze di cui all' art. 62 bis c.p. , ma la valutazione degli elementi sui quali si fonda la determinazione della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, il cui esercizio, se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all' art. 133 c.p. , è censurabile in Cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, nel caso concreto neppure prospettato. 3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell' art. 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Ammende.