Maltrattata dal compagno: comprensibile che la donna non lo denunci subito

Respinta la tesi difensiva, mirata a porre in dubbio la gravità dei fatti e l’attendibilità della donna alla luce del fatto che le vessazioni messe in atto dall’uomo non siano state subito segnalate alle forze dell’ordine. Secondo i Giudici rientra nell’ordinaria dinamica delle relazioni familiari segnate da condotte di maltrattamento il differimento nel tempo del momento in cui la vittima decide di reagire.

Comprensibile che la donna, vittima tra le mura domestiche delle angherie compiute ai suoi danni dal compagno, prenda tempo e non denunci subito l'uomo. Di conseguenza, questa condotta della donna, cioè il suo prendere tempo prima di far venire alla luce i maltrattamenti subiti, non può mettere in dubbio la solidità dell'accusa a carico dell'uomo. Ricostruita la delicata vicenda, l'uomo sotto processo viene condannato, sia in primo che in secondo grado, per le vessazioni compiute, tra le mura domestiche, ai danni della compagna. Impossibile non attribuire all'uomo il reato di maltrattamenti in famiglia , sanciscono i giudici di merito. Col ricorso in Cassazione, però, il legale che difende l'uomo osserva che la condanna del suo cliente è poggiata esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la quale ha riferito solo di sporadici episodi, peraltro avvenuti a notevole distanza temporale l'uno dall'altro . Di conseguenza, difetta quella condizione di soggezione psicologica derivante dalle condotte lesive e vessatorie attribuite all'uomo, mancanza che, sostiene il legale, è indirettamente desumibile anche dal fatto che la persona offesa si è rivolta alle forze dell'ordine solo dopo un lungo periodo di tempo nel corso del quale, a suo dire, avrebbe subito le condotte maltrattanti per mano del compagno. Dalla Cassazione ribattono, innanzitutto, che in appello i giudici non si sono affatto limitati a ripercorrere gli aspetti salienti della testimonianza resa dalla persona offesa, bensì hanno proceduto al controllo della sua attendibilità, rinvenendo plurimi elementi di conferma . A questo proposito, è stato richiamato un certificato medico e sono state valorizzate le plurime testimonianze indirette rese da soggetti, anche non legati da vincoli parentali con la persona offesa, ai quali era stato riferito il clima di grave ed abituale vessazione vissuto all'interno della famiglia a causa delle condotte tenute dall'uomo . E nel quadro probatorio sono state poste in evidenza soprattutto la deposizione resa dal maresciallo al quale la persona offesa si era rivolta per riferire di essere vittima di maltrattamenti e quella della responsabile del Centro antiviolenza' cui la persona offesa si era rivolta . Tutti questi elementi sono sufficienti, secondo i Giudici di terzo grado, per inchiodare l'uomo alle proprie responsabilità. Irrilevante, difatti, il richiamo difensivo al fatto che la persona offesa non ha tempestivamente sporto denuncia . Per i Giudici la mera circostanza che la persona offesa non abbia inteso tempestivamente denunciare le condotte maltrattanti non è un elemento idoneo, di per sé, a far sorgere il ragionevole dubbio circa la commissione del reato . Ciò perché rientra nell'ordinaria dinamica delle relazioni familiari segnate da condotte di maltrattamento il differimento nel tempo del momento in cui la vittima decide di reagire, atteggiamento che può essere motivato da molteplici ragioni quali il tentativo di salvaguardare l'unita familiare ed i figli, ragioni economiche, speranze nel miglioramento della situazione che, tuttavia, non incidono in alcun modo né sulla configurabilità del reato, né sulla valutazione di attendibilità della persona offesa , chiosano i Magistrati.

Presidente Di Stefano - Relatore Di Geronimo Ritenuto in fatto 1. Con l'impugnata sentenza, veniva confermata la condanna di C.M. per il reato di maltrattamenti in famiglia aggravato. 2. Avverso la suddetta sentenza, il ricorrente ha proposto impugnazione formulando due motivi di doglianza. 2.1. Con il primo motivo, deduce il vizio di motivazione in relazione all'applicazione dell' art. 192 c.p.p. , sostenendo che i giudici di merito si sarebbero basati esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la quale, peraltro, aveva riferito solo di sporadici episodi, peraltro avvenuti a notevole distanza temporale l'uno dall'altro. Difetterebbe, pertanto, quella condizione di soggezione psicologica derivante dalle condotte lesive e vessatorie, mancanza che sarebbe indirettamente desumibile anche dal fatto che la persona offesa si è rivolta alle forze dell'ordine solo dopo un lungo periodo di tempo nel corso del quale, a suo dire, avrebbe subito le condotte maltrattanti. 2.2. Con il secondo motivo, deduce la mancata assunzione di una prova decisiva, consistente nella testimonianza del figlio C.C., all'epoca minorenne, il quale avrebbe potuto riferire con certezza se aveva o meno assistito a condotte maltrattanti poste in essere dal padre ai danni della madre. 3. La persona offesa faceva pervenire, in data 3 ottobre 2022, una missiva con la quale riferiva in ordine ai rapporti all'epoca dei fatti esistenti con l'imputato. 4. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020 art. 23, comma 8, e art. 7 D.L. n. 105 del 23 luglio 2021 . Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Il primo motivo di ricorso non si confronta con l'articolata motivazione resa dal giudice di appello, il quale non si è affatto limitato a ripercorrere gli aspetti salienti della testimonianza resa dalla persona offesa, bensì ha proceduto al controllo della sua attendibilità, rinvenendo plurimi elementi di conferma. In particolare, si valorizzava il certificato medico dell'8 settembre 2014, nonché le plurime testimonianze indirette rese da soggetti, anche non legati da vincoli parentali con la persona offesa, ai quali era stato riferito il clima di grave ed abituale vessazione vissuto all'interno della famiglia a causa delle condotte tenute dal C In tale contesto probatorio, la Corte di appello ha condivisibilmente valorizzato, tra e altre, la deposizione resa dal maresciallo B., al quale la persona offesa si era rivolta per riferire di essere vittima di maltrattamenti, nonché quella di O.R., responsabile del centro antiviolenza cui la persona offesa si era rivolta fin dal 2013. Orbene, a fronte di una ricostruzione attenta del fatto e della valutazione delle dichiarazioni della persona offesa alla luce delle conferme provenienti anche da soggetti non legati alla stessa da alcun vincolo che potesse inficiarne la terzietà, le doglianze proposte dal ricorrente risultano manifestamente infondate. Nè può individuarsi un vulnus nel percorso motivazionale con riferimento al fatto che la persona offesa non abbia tempestivamente sporto denuncia, dato che tale aspetto è stato ritenuto non rilevante dalla Corte di appello, sulla base di una motivazione immune da censure. Invero, in presenza di un quadro probatorio pienamente affidabile, la mera circostanza che la persona offesa non abbia inteso tempestivamente denunciare le condotte maltrattanti non è un elemento idoneo, di per sé, a far sorgere il ragionevole dubbio circa la commissione del reato. Rientra, infatti, nell'ordinaria dinamica delle relazioni familiari segnate da condotte di maltrattamento il differimento nel tempo del momento in cui la vittima decide di reagire, atteggiamento che può essere motivato da molteplici ragioni - quali il tentativo di salvaguardare l'unita familiare ed i figli, ragioni economiche, speranze nel miglioramento della situazione - che, tuttavia, non incidono in alcun modo né sulla configurabilità del reato, né sulla valutazione di attendibilità della persona offesa. 3. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, con il quale ci si duole della mancata assunzione della testimonianza del figlio del ricorrente. Il ricorrente sostiene che solo la deposizione del figlio avrebbe potuto confermare l'effettiva commissione delle condotte maltrattanti e, soprattutto, la sua presenza al loro compimento, circostanza essenziale al fine della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 11-quinquies c.p. La Corte di appello ha escluso la necessità dell'escussione del teste, all'epoca minore, ritenendo che il quadro probatorio fosse di per sé esaustivo, stante la deposizione resa dalla persona offesa e le conferme, sia pur de relato, rese dai testi cui la vittima aveva riferito della presenza del figlio in occasione delle condotte di maltrattamento. In tale contesto probatorio, la deposizione del teste C.C. non avrebbe determinato un apporto conoscitivo su fatti ulteriori e diversi rispetto a quelli per i quali i giudici di merito hanno già ritenuto superato ogni ragionevole dubbio. Quanto detto consente di escludere la decisività della testimonianza non ammessa, non potendosi neppure valorizzare l'apporto che tale prova avrebbe potuto dare nell'ottica di una diversa valutazione di attendibilità delle restanti testimonianze già acquisite. 4. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.