L’obbligo di seguire una determinata modalità nello svolgimento del giudizio tributario sussiste solo nel caso di giudizio telematico ab initio, non invece nel caso opposto.
La pronuncia in oggetto nasce dall'impugnazione proposta da un commercialista avverso l'avviso di accertamento ricevuto dall'Agenzia delle Entrate per il recupero a tassazione di alcuni importi a titolo di IRPEF. Il giudizio di primo grado, concluso in senso favorevole al contribuente, si era infatti svolto con modalità cartacea mentre il successivo atto di appello era stato notificato a mezzo PEC. Proposto ricorso in sede di legittimità, il commercialista, secondo cui l'iniziale instaurazione del procedimento in forma cartacea impediva la proposizione dell'appello in via telematica, è però rimasto deluso. La Cassazione richiama l'articolo 16-bis, comma 3, d.lgs. numero 546/1992, inserito dall'articolo 9, comma 1, lett. h , d.lgs. 24 settembre 2015, numero 156, secondo cui, a decorrere dal 1° gennaio 2016, le notifiche degli atti sono effettuate con modalità telematiche, secondo le disposizioni contenute nel Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 23 dicembre 2013, numero 163. Nel caso di specie, la notifica dell'appello è avvenuta con modalità telematica, mediante l'utilizzo di posta elettronica certificata che i difensori sono obbligati ad avere. Il d.m. numero 163/2013 prevede che la parte che abbia utilizzato in primo grado le modalità telematiche è tenuta ad usare le medesime modalità anche per l'appello. In altre parole, «l'obbligo di seguire una determinata modalità nello svolgimento del giudizio sussiste, quindi, soltanto nel caso di giudizio telematico ab initio, ma non riguarda anche l'ipotesi dell'utilizzo iniziale della modalità cartacea, che ben può essere limitata al primo grado di giudizio». Peraltro, il ricorrente non contesta che la notificazione a mezzo PEC sia avvenuta all'indirizzo di posta elettronica dei difensori della parte privata. Essa ha infatti pacificamente raggiunto il suo scopo, trattandosi di modalità comunque idonea a far entrare l'atto di appello nella sfera di conoscenza della parte suddetta. Ne consegue che, in ogni caso, l'eccezione di nullità della notificazione dell'appello era da considerare infondata. Risultando infondati anche i rimanenti motivi di ricorso attinenti alla presunta formazione di un giudicato interno, il ricorso viene rigettato.
Presidente Sorrentino – Relatore Lenoci Rilevato in fatto che 1. L'Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Caserta notificava a N.A., esercente l'attività di lavoro autonomo di dottore commercialista, in data 11 aprile 2016, l'avviso di accertamento numero Omissis , con il quale l'Ufficio accertava, nell'ambito di una verifica di coerenza esterna della società Gestin Market s.r.l., maggiori componenti reddituali in capo al sig. N., relativamente all'anno 2011, per l'importo di Euro 165.070,00, sul quale recuperava a tassazione gli importi indicati a titolo di IRPEF e relative addizionali, IRAP ed I.V.A 2. Avverso tale avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta la quale, con sentenza numero 2540/06/2017 depositata il 26 aprile 2017, lo accoglieva, annullando l'avviso di accertamento in questione. 3. Interposto gravame dall'Ufficio, la Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza numero 4054/11/2018, pronunciata il 6 aprile 2018 e depositata in segreteria il 19 aprile 2018, accoglieva l'appello, rigettando il ricorso proposto in primo grado dal contribuente e condannando quest'ultimo alla rifusione delle spese e competenze di entrambi i gradi di giudizio. 4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione N. A., sulla base di quattro motivi. Non si è costituita in giudizio l'Agenzia delle Entrate. 5. La discussione del ricorso è stata quindi fissata per la camera di consiglio del 14 luglio 2022, ai sensi dell'articolo 375 c.p.c., comma 2, e articolo 380-bis.1, come introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, numero 168, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, numero 197. Considerato in diritto che 6. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, numero 546, articolo 16 e 16-bis, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 , per avere, la C.T.R., ritenuto ammissibile l'appello notificato a mezzo p.e.c. , nonostante che il relativo atto fosse in formato cartaceo ed il giudizio di primo grado si fosse svolto in modalità cartacea, il che escludeva che esso potesse essere notificato a mezzo posta elettronica certificata. Con il secondo motivo di ricorso il sig. N. deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 112 e 115 c.p.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 e 4 medesimo codice, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sulla eccezione di giudicato interno sollevata dalla difesa del contribuente in secondo grado. Con il terzo motivo di ricorso il contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, articolo 38 e 41-bis, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 , in quanto l'accertamento operato nei suoi confronti, pur fondato sulla presunta distribuzione di utili societari extra-contabili, presupponeva necessariamente un accertamento societario di maggiori utili occulti in capo alla società partecipata Gestin Market s.r.l., che, nella specie, era stato omesso. Con il quarto motivo di ricorso il sig. N. deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 32, comma 1, numero 7 , e del D.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633, articolo 51, comma 1, numero 7 , in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 e 5 , per avere, la C.T.R., erroneamente escluso che le somme confluite dalla Gestin Market s.r.l. ai conti correnti del contribuente rappresentassero restituzione di finanziamenti effettuati in precedenza. 7. Procedendo quindi ad esaminare i singoli motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue. 7.1. Il primo motivo è infondato. Sostiene il ricorrente che erroneamente la C.T.R. avrebbe rigettato l'eccezione di inammissibilità dell'appello avverso la sentenza di primo grado, in quanto, poiché il procedimento di primo grado si era svolto con modalità cartacea, la notifica degli atti nei gradi successivi avrebbe dovuto svolgersi con le modalità ordinarie previste dal D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 16, senza possibilità di utilizzare la notifica via p.e.c. prevista dallo stesso D.Lgs. articolo 16-bis. Orbene, in base al D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 16-bis, comma 3, inserito dal D.Lgs. 24 settembre 2015, numero 156, articolo 9, comma 1, lett. h , a decorrere dal 1 gennaio 2016, le notifiche degli atti sono effettuate con modalità telematiche, secondo le disposizioni contenute nel Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 23 dicembre 2013, numero 163. Nel caso di specie, la notifica dell'appello è avvenuta con modalità telematica, mediante l'utilizzo di posta elettronica certificata che i difensori sono obbligati ad avere. Ora, il D.M. numero 163 del 2013 prevede, tra l'altro, all'articolo 2, comma 2, che la parte che abbia utilizzato in primo grado le modalità telematiche, è tenuta ad utilizzare le medesime modalità per l'intero grado del giudizio, nonché per l'appello. L'obbligo di seguire una determinata modalità nello svolgimento del giudizio sussiste, quindi, soltanto nel caso di giudizio telematico ab initio, ma non riguarda anche l'ipotesi dell'utilizzo iniziale della modalità cartacea, che ben può essere limitata al primo grado di giudizio. Peraltro, non è contestato che la notificazione a mezzo PEC sia avvenuta all'indirizzo di posta elettronica dei difensori della parte privata, e come tale essa ha pacificamente raggiunto il suo scopo ex articolo 156 c.p.c., trattandosi di modalità comunque idonea a far entrare l'atto di appello nella sfera di conoscenza della parte suddetta. Ne consegue che, in ogni caso, l'eccezione di nullità della notificazione dell'appello era da considerare infondata. 7.2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono anch'essi infondati. Il contribuente censura la sentenza impugnata, per non avere questa considerato formata la cosa giudicata sulla indicazione della propria percentuale di partecipazione nella società Gestin Market s.r.l., che, nella sentenza di primo grado, era indicata nel 43%, e non già nell'83%, come invece ritenuto dall'Ufficio, nonché sulla parte della sentenza di primo grado in cui la C.T.P. aveva favorevolmente valutato la documentazione offerta dal contribuente, consistente in delibere di autorizzazione alla restituzione di finanziamenti, oltre che in documentazione contabile. Tali parti della sentenza di primo grado, ad avviso del ricorrente, non erano state specificamente contestate con l'atto d'appello, e su di esse quindi si sarebbe formata la cosa giudicata. In secondo luogo, secondo il ricorrente l'accertamento impugnato sarebbe illegittimo, in quanto non preceduto da un avviso di accertamento di redditi extra-contabili in capo alla società Gestin Market s.r.l Sul punto, mette conto tuttavia rilevare, innanzitutto, che l'indicazione della percentuale di partecipazione del sig. N. alla Gestin Market s.r.l. è elemento del tutto irrilevante ai fini del giudizio, in quanto - come si evince dalla sentenza impugnata - l'accertamento operato nei confronti del contribuente non è un accertamento di redditi da partecipazione societaria conseguenti ad un accertamento di utili extra-contabili nei confronti della società partecipata dal contribuente, ma si tratta di un accertamento effettuato ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, articolo 32, comma 1, numero 7 , e fondato sulla verifica di movimenti in entrata sui conti correnti bancari intestati al contribuente, non annotati in contabilità e non dichiarati. Peraltro, la ristrettezza della base azionaria comporta una presunzione semplice di distribuzione degli utili in base all'entità della partecipazione, ma non una presunzione assoluta, per cui è perfettamente possibile una distribuzione di utili extra-contabili in percentuali differenti, come è stato accertato nella specie, sulla base del dato oggettivo delle movimentazioni bancarie intercorse tra la società ed il contribuente. Per quanto attiene, invece, alla questione della valutazione della documentazione prodotta in primo grado dal contribuente, va osservato che con l'atto di appello l'Ufficio ha contestato integralmente le conclusioni cui era giunta la C.T.P., e quindi, evidentemente, anche la valutazione delle prove documentali che questa aveva effettuato. 7.4. Il quarto motivo è inammissibile. Invero, il ricorrente censura, con tale motivo, la valutazione in fatto operata dalla C.T.R., con riferimento all'inidoneità della documentazione prodotta dal contribuente ai fini della dimostrazione della sussistenza di un pregresso finanziamento alla società, e della natura di restituzione di tali finanziamenti delle somme trasferite dalla società ai conti correnti del sig. N Trattasi tuttavia di valutazione di merito, insindacabile in questa sede. 8. Consegue il rigetto del ricorso. Nulla per le spese, stante la non costituzione in giudizio dell'Agenzia delle Entrate. Sussistono i presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater.