Se la prende con un funzionario e un impiegato per la chiusura dell’ufficio comunale: condannato

Indiscutibile, secondo i giudici, la responsabilità penale dell’uomo sotto processo, ritenuto colpevole di violenza e minaccia ai danni di pubblico ufficiale. Decisivo il fatto che le condotte minacciose erano espressamente collegate alla volontà dell'uomo di ottenere il rilascio del documento d’identità e dunque erano finalizzate a costringere le persone offese a compiere un atto contrario ai propri doveri di ufficio.

Condanna inevitabile per il cittadino che reagisce in maniera rabbiosa e aggressiva dopo avere scoperto che l’ufficio comunale è chiuso e che, quindi, non può ottenere il documento richiesto. Chiusura. Nessun dubbio, secondo i giudici di merito, sulla responsabilità penale dell’uomo sotto processo. Si è accertato, difatti, grazie alla ricostruzione dell’episodio oggetto del procedimento, che egli ha «usato violenza e minaccia nei confronti di un funzionario e di un impiegato dell’ufficio anagrafe di un Comune», dove «egli si era presentato in orario di chiusura al pubblico, pretendendo l’apertura dell’ufficio e il rilascio della carta d’identità personale». A rendere più grave la posizione dell’uomo, poi, anche il fatto di «avere, in quella circostanza, cagionato all’impiegato un trauma discorsivo del quarto dito della mano sinistra, giudicato guaribile in tre giorni» e, ancora, di «avere colpito e danneggiato una porta a vetri e gli arredi dell’ufficio». Obiettivo. Inutile il ricorso proposto in Cassazione dall’avvocato che rappresenta l’uomo sotto processo. Il legale ha provato, in particolare, a contestare la condanna per il reato di violenza e minaccia a danno di pubblico ufficiale, osservando che il suo cliente «ha sì formulato alcune minacce all’indirizzo dei funzionari comunali ma non per costringerli a compiere un atto contrario ai loro doveri di ufficio bensì come reazione di rabbia manifestata dopo che quei pubblici dipendenti gli avevano negato il rilascio della carta d’identità». Secondo la visione proposta dal legale, quindi, il suo cliente ha tenuto «un comportamento cronologicamente successivo e sganciato dalla circostanza del mancato adempimento della prestazione amministrativa che era stata in precedenza richiesta». Dalla Cassazione chiariscono innanzitutto che «non integrano il reato di minaccia a pubblico ufficiale le espressioni minatorie rivolte nei confronti di un pubblico ufficiale come reazione alla pregressa attività dello stesso pubblico ufficiale, in quanto difetta la finalità di costringere la persona offesa a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio, ovvero quella di influire comunque su di esso». Nella vicenda in esame, invece, precisano i giudici di terzo grado, «la condotta violenta e minacciosa posta in essere dall’uomo sotto processo nei confronti dei funzionari comunali non era affatto sganciata dalla iniziale pretesa da lui manifestata» e cioè «ottenere il rilascio della carta d’identità nonostante l’ufficio anagrafe fosse stato chiuso al pubblico», con l’aggiunta che «l’uomo non aveva versato quanto dovuto a titolo di tassa comunale». Tirando le somme, le condotte minacciose tenute dall’uomo «erano espressamente collegate alla sua volontà di ottenere il rilascio del documento d’identità» e dunque «erano finalizzate a costringere le persone offese, cioè funzionario e impiegato, a compiere un atto contrario ai propri doveri di ufficio».

Presidente Capozzi – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Lecce riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, assolvendo l'imputato dal reato di cui all' articolo 336 c.p. contestato in danno di D.M.M. e riducendo la pena finale, e confermava nel resto la medesima pronuncia del 31 ottobre 2020 con la quale il Tribunale di Lecce aveva condannato M.S. in relazione ai reati di cui agli articolo 81,336,582 c.p. e articolo 635 c.p. , commi 1 e 2, per avere, il Omissis , usato violenza e minaccia nei confronti di S.M. e Sc.Gi., rispettivamente il primo funzionario e il secondo impiegato dell'ufficio anagrafe del comune di Omissis , dove l'imputato si era presentato in orario di chiusura al pubblico, pretendendo l'apertura dell'ufficio e il rilascio della carta d'identità personale per avere in quella circostanza cagionato allo Sc. un trauma distorsivo del quarto dito della mano sinistra, giudicato guaribile in tre giorni ed ancora, per avere colpito e danneggiato una porta a vetri e gli arredi dell'ufficio. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il M., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto tre motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione agli articolo 336 e 612 c.p. , per avere la Corte territoriale erroneamente disatteso la richiesta di riqualificazione dei fatto contestato e ritenuto come violenza o minaccia a pubblico ufficiale, benché le emergenze processuali avessero dimostrato che l'imputato aveva sì formulato alcune minacce all'indirizzo dei funzionari comunali, ma non per costringerli a compiere un atto contrario ai loro doveri di ufficio bensì come reazione di rabbia manifestata dopo che quei pubblici dipendenti gli avevano negato il rilascio della carta d'identità dunque, tenendo un comportamento cronologicamente successivo e sganciato dalla circostanza del mancato adempimento della prestazione amministrativa che era stata in precedenza richiesta. 2.2. Vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale valorizzato a fini di prova la deposizione della teste D.M., presente ai fatti, ritenuta attendibile nonostante la diversa versione fornita dalla persona offesa Sc. e, comunque, non riguardanti la persona offesa S., con riferimento alla quale la configurabilità del reato di cui all' articolo 336 c.p. doveva essere esclusa. 2.3. Violazione di legge, in relazione all' articolo 582 c.p. , per avere la Corte di merito confermato la pronuncia di condanna di primo grado, benché le carte del processo avessero escluso che la persona offesa avesse patito una malattia nel corpo, dato che la condotta dell'imputato non aveva raggiunto la portata offensiva richiesta dalla norma incriminatrice. Considerato in diritto 1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di M.S. sia inammissibile. 2. Il primo motivo del ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità, perché in parte manifestamente infondato e, in parte, presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale non integrano il reato di minaccia a pubblico ufficiale di cui all' articolo 336 c.p. , le espressioni minacciose rivolte nei confronti di un pubblico ufficiale come reazione alla pregressa attività dello stesso, in quanto difetta la finalità di costringere la persona offesa a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio, ovvero quella di influire comunque su di esso Sez. 6, numero 335 del 02/12/2008, dep. 2009, Lo Bianco, Rv. 242131 Sez. 6, numero 26819 del 16/05/2006, Bruzzise, Rv. 235175 Sez. 6, numero 12188 del 03/02/2005, Frocione, Rv. 231319 . Di tale criterio interpretativo la Corte di appello di Lecce ha fatto corretta applicazione, evidenziando come la condotta violenta e minacciosa, posta in essere dall'odierno ricorrente nei confronti dei funzionari comunali, non fosse stata affatto sganciata dalla iniziale pretesa manifestata dall'interessato di ottenere il rilascio della carta d'identità nonostante l'ufficio anagrafe fosse stato chiuso al pubblico e il richiedente non avesse versato quanto dovuto a titolo di cassa comunale tanto era risultato riscontrato sia dagli esiti della ricostruzione generale della dinamica della vicenda, sia, in particolare, dalle dichiarazioni della teste D.M. che aveva riferito come le minacce del M. fossero state espressamente collegate alla sua volontà di ottenere il rilascio del documento d'identità, dunque finalizzate a costringere le persone offese a compiere un atto contrario ai propri doveri di ufficio. Ne' conduce a differenti conclusioni la valutazione del motivo dedotto in termini di vizio di motivazione, in quanto le censure difensive attingono direttamente alla valutazione delle prove acquisite, sollecitando una diversa e alternativa lettura delle emergenze processuali in tal modo chiedendo alla Cassazione la soluzione di questioni di fatto che, in presenza di una motivazione non manifestamente illogica e in assenza di una reale forma di travisamento della prova, è attività preclusa in sede di giudizio di legittimità. 3. Il secondo motivo - che solo formalmente è stato dedotto in termini di vizio di motivazione, ma che, invero, ha ad oggetto la denunciata violazione di regole giuridiche di valutazione della prova - è inammissibile perché, così come formulata, risulta presentato per la prima volta con il ricorso per cassazione. L' articolo 606 c.p.p. , comma 3, prevede, infatti, espressamente come causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello situazione, questa, con la quale si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello. 4. Anche il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato. La Corte territoriale, valutando la prova documentale in atti - costituita dal certificato medico rilasciato dai sanitari del pronto soccorso che, nel dimettere il paziente, avevano refertato allo Sc. un trauma distorsivo del quarto dito e contusione alle dita della mano, con una prognosi di tre giorni necessari per la guarigione - e giudicando sussistenti gli elementi costitutivi oggettivi del reato contestato ai sensi dell' articolo 582 c.p. , ha fatto buon governo del principio di diritto enunciato da questa Corte regolatrice, secondo il quale la contusione, in quanto alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, costituisce malattia ai sensi dell' articolo 582 c.p. in questo senso, ex multis, Sez. 7, numero 29786 del 31/05/2016, Ferro, Rv. 268034 Sez. 5, numero 22781 del 26/04/2010, L., Rv. 247518, in relazione a contusione giudicata guaribile in tre giorni Sez. 1, numero 7254 del 30/11/1976, dep. 1977, Saturno, Rv. 136118 . Peraltro, va rimarcato anche un tasso di aspecificità della censura difensiva dato che, sul punto, con la stessa il ricorrente si è limitato a riproporre pedissequamente gli argomenti e i rilievi già esposti nell'atto di appello, ai quali i giudici di secondo grado avevano dato congrua risposta, richiamando ragioni - in particolare sottolineando come il delitto de quo sia configurabile anche in presenza di un trauma contusivo che, senza comportare alterazioni di natura anatomica, determini una limitazione funzionale o un significativo processo patologico - con le quali il ricorrente ha sostanzialmente omesso di confrontarsi. 5. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a quella di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.