Furgoncino in retromarcia sposta la vettura parcheggiata dietro: conducente condannato per violenza privata

A inchiodare il conducente del furgoncino sono i dettagli dell’episodio. In particolare, si è appurato che l’automobilista era stato costretto a fermare la propria vettura, poiché in quegli attimi il figlio piccolo, seduto dietro nel seggiolino a lui riservato, si era slacciato la cintura di sicurezza ed era pronto a muoversi liberamente all’interno dell'auto.

Condannato per violenza privata il conducente che col proprio furgoncino procede in retromarcia per spostare di forza un'automobile il cui guidatore era stato obbligato a fermarsi per bloccare il figlioletto che, seduto dietro sul seggiolino a lui riservato, si era slacciato la cintura di sicurezza per potersi muovere liberamente all'interno del veicolo Cass. pen., sez. V, ud. 13 settembre 2022 dep. 17 novembre 2022 , n. 43638 . In retromarcia. Scenario dell'episodio è la provincia veneta. A finire sotto processo è un uomo, resosi colpevole di una condotta poco urbana alla guida. Nello specifico, gli viene contestato di avere fatto retromarcia al volante del proprio furgoncino e di avere urtato una vettura ferma dietro il furgoncino, così spingendola fino a costringere l'automobilista a tollerare lo spostamento del veicolo, al cui interno si trovava il figlio minore, seduto nel seggiolino e, in quegli attimi, privo di cintura di sicurezza . I dettagli sono chiarissimi, secondo i giudici di merito. Consequenziale la condanna, sia in primo che in secondo grado, dell'uomo alla guida del furgoncino egli viene ritenuto colpevole di violenza privata e viene sanzionato con la pena, condizionalmente sospesa, di sei mesi di reclusione, a cui si aggiunge, poi, l'obbligo del risarcimento dei danni in favore dell'automobilista, costituitosi parte civile. Spostamento. Col ricorso in Cassazione l'avvocato che rappresenta il conducente del furgoncino prova a fornire una chiave di lettura diversa dell'intera vicenda. In particolare, il legale parla di lievissimo contatto, intervenuto per pochissimi secondi, tra i veicoli e di spostamento di pochi centimetri dell'automobile . In aggiunta, poi, egli mette in discussione la legittimità della sosta della vettura, sosta che aveva provocato la reazione del conducente del furgoncino a questo proposito, il legale sostiene non si possa parlare di sosta determinata da una necessità oggettiva , poiché su questo punto ci sono solo le dichiarazioni dell'automobilista , mentre non vi è prova che il conducente del furgoncino si fosse accorto della presenza del bambino nella vettura . Per il legale è impossibile catalogare la condotta tenuta dal proprio cliente come violenza privata , essendo, invece, plausibile ipotizzare che egli abbia agito nella convinzione di esercitare un diritto e perciò si sia fatto ragione da sé , mediante violenza sulle cose . Per i giudici di Cassazione, però, le obiezioni difensive non hanno fondamento. Innanzitutto, perché è stato proprio il conducente del furgoncino ad ammettere di aver spostato di un metro, e non di pochi centimetri, l'automobile della persona offesa, costretta, dunque, a tollerare l'evento consistito appunto nello spostamento della propria vettura, su cui si trovava, peraltro, il figlio in tenera età . In seconda battuta, poi, i giudici sottolineano che la condotta dell'automobilista, ossia l' improvvisa sosta della vettura , fu determinata da un'oggettiva necessità, poiché il figlio piccolo del conducente si era sganciato dalla cintura di sicurezza e stava cercando di scendere dal seggiolino, necessità che fu manifestata a chiare lettere, addirittura urlando, al conducente del furgoncino . Legittimo, quindi, concludono i giudici, parlare di violenza privata , poiché va esclusa anche solo l'apparenza di un diritto da esercitare , da parte del conducente del furgoncino, a fronte della situazione che il conducente dell'automobile stava fronteggiando in quegli attimi.

Presidente Vessichelli – Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata il 22/12/2020, la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del 13/06/2019 con la quale il Tribunale di Rovigo, per quanto è qui di interesse, aveva dichiarato S.L. responsabile del reato di violenza privata perché, facendo retromarcia alla guida del proprio furgoncino urtava l'automobile guidata da I.A., spingendola fino a costringere il conducente a tollerare lo spostamento del veicolo all'interno del quale si trovava il figlio minore della persona offesa, seduto nel seggiolino e in quel momento privo di cintura di sicurezza l'imputato veniva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 6 di reclusione e al risarcimento dei danni a favore della parte civile. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione S.L., attraverso il difensore Avv. P.F., articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all' art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. . 2.1. Il primo motivo denuncia violazione dell' art. 610 c.p. e insussistenza della condotta, in quanto la sentenza impugnata non ha considerato il lievissimo contatto intervenuto per pochissimi secondi tra i veicoli e lo spostamento di pochi centimetri dell'auto della parte civile, laddove erroneamente la Corte di appello afferma che la sosta di I. era stata determinata da una necessità oggettiva, posto che tale affermazione si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni della parte civile, mentre non vi è prova che l'imputato si fosse accorto della presenza del bambino e abbia percepito le urla di I., posto che anche la teste B. ha riferito che S. si trovava all'interno del proprio veicolo. 2.2. Il secondo motivo invoca la configurabilità del reato di violenza privata nei confronti della persona offesa. 2.3. Il terzo motivo denuncia errata qualificazione giuridica, dovendo il fatto essere qualificato a norma dell' art. 392 c.p. , da ravvisare qualora il soggetto agisca nella convinzione, anche erronea, di esercitare un diritto che gli spetta. 2.4. Il quarto motivo denuncia erronea applicazione dell' art. 62-bis c.p. e vizi di motivazione in ordine alla conferma del diniego dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche. 3. Con requisitoria scritta ex del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 , il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Francesca Ceroni ha concluso per l'inammissibilità del ricorso per la parte civile, l'Avv. G.B. si è associato alle conclusioni del P.G. chiedendo la rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. Su un piano generale, mette conto rilevare che le censure articolate dal ricorso risultano reiterative di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, dovendo le stesse essere considerate, pertanto, non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata alla sentenza oggetto di ricorso Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838 Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708 . 2. Ciò premesso, il primo motivo è inammissibile, in quanto reiterativo e, comunque, manifestamente infondato. La Corte distrettuale ha puntualmente risposto al corrispondente motivo di appello, richiamando le dichiarazioni dello stesso S. lì dove evidenziava di aver spostato di un metro non di pochi centimetri l'auto della persona offesa, costretta, dunque, a tollerare l'evento consistito appunto nello spostamento della propria auto, sulla quale si trovava il figlio in tenera età. La sentenza impugnata ha poi rimarcato che la condotta di I. fu determinata da un'oggettiva necessità il bimbo si era sganciato dalla cintura di sicurezza e stava cercando di scendere dal seggiolino , necessità che fu manifestata a chiare lettere, addirittura urlando, a S., come confermato anche dalla teste B Rilievo, questo, che rende ragione dell'inconsistenza del secondo motivo e della manifesta infondatezza anche del terzo, non sussistendo neppure l'apparenza di un diritto da esercitare a fronte della situazione che la persona offesa stava fronteggiando. Il ricorso deduce che l'imputato non si era accorto del bambino e non aveva percepito le urla di I., ma, sul punto, la sentenza impugnata ha rimarcato la reazione del ricorrente e del figlio che era con lui a bordo del veicolo , che indirizzò alla persona offesa una serie di insulti e bestemmie il ricorso omette di confrontarsi con il dato puntualmente messo in rilievo dal giudice di appello, risultando, sotto questo profilo, del tutto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849 . Inammissibile è anche il quarto motivo, avendo il giudice di appello fatto riferimento non solo alla condotta che aveva coinvolto anche un bambino , ma anche al comportamento post factum, laddove, nel motivare il diniego dell'applicazione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 . 3. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00, nonché alle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, liquidate come da dispositivo. Il coinvolgimento di un minore impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 2000, oltre accessori di legge.