Secondo la Corte di Cassazione, sì. Nonostante l’intervento della Consulta con la sentenza n. 150/2021 infatti, la diffamazione a mezzo stampa è tuttora punibile, in alcuni casi, con la reclusione.
La Corte d'Appello di Trento confermava la condanna di primo grado per il reato di diffamazione tramite un portale online di notizie. La difesa ha proposto ricorso per cassazione, dolendosi, per quanto qui d'interesse, per l'applicazione dell' aggravante di cui all' art. 13 l. n. 47/1948 in tema di diffamazione a mezzo stampa , nonostante la norma sia stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta con la sentenza n. 150/2021. Il ricorso risulta in tal senso fondato. La norma censurata prevedeva la circostanza aggravante complessa dell'essere stato il reato commesso a mezzo stampa, alla quale conseguiva l'applicazione della pena congiunta della reclusione e della multa . A seguito dell'intervento della Corte Costituzionale , l'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa è consentita solo in caso di eccezionale gravità del fatto, dal punto di vista soggettivo e oggettivo. La Consulta infatti ha sottolineato che l'apparente vuoto di tutela conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, viene in realtà colmato dalle norme generali di cui all' art. 595, commi 2 e 3, c.p. In particolare, il regime sanzionatorio previsto dal comma 3 non si espone a dubbi di legittimità costituzionale, affermando che la pena detentiva non è incompatibile con le ragioni di tutela della libertà di manifestazione del pensiero nei soli casi in cui l'offesa si caratterizzi per la sua eccezionale gravità. Il potere discrezionale del giudice nella scelta tra reclusione e multa deve dunque essere esercitato tenendo in considerazione i criteri di commisurazione della pena di cui all' art. 133 c.p. , ma anche i precisi limiti indicati dalla Corte Costituzionale. L'applicazione della pena detentiva è, in conclusione, subordinata alla verifica dell'eccezionale gravità della condotta, individuata nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi di odio o incitazione alla violenza oppure campagne di diffamazione gravemente lesive della reputazione della vittima compiute con consapevolezza v. Cass. n. 28340 del 25/0672021 Cass. n. 30572 del 28/07/2022 . Concludendo, la Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio alla Corte d'Appello che dovrà valutare l'effettiva gravità della condotta.
Presidente Stanislao Relatore Cirillo Ritenuto in fatto 1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 18 marzo 2021 dalla Corte di appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano -, che ha confermato la decisione del Tribunale di Bolzano che aveva condannato S.M. per il reato di diffamazione, in relazione alle dichiarazioni da lui rilasciate a un giornalista e poi da questo pubblicate, in data omissis , sul portale di notizie omissis . Secondo l'ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l'imputato all'epoca dei fatti amministratore delegato della società Hotel P.g. s.r.l. , con le dichiarazioni riportate nel suddetto articolo, avrebbe leso l'onore e la reputazione di C.H. all'epoca dei fatti presidente del consiglio di amministrazione della società Hotel P.g. s.r.l. e della moglie G.D.A.L. , accusati, in sostanza, di essersi appropriati in nero di somme di denaro della società Hotel P.g. s.r.l. . La vicenda trarrebbe origine dall'indagine sfociata poi nel procedimento a carico dello S. per presunti reati da lui commessi ai danni della società Hotel P.g. s.r.l. . Nel corso delle indagini, lo S. avrebbe, fra l'altro, dichiarato che lo C. gli avrebbe ordinato di trattenere delle somme ricevute in contanti dai clienti e di versarle poi a lui nonché di consegnare alla G. parte degli incassi in contanti. Oggetto delle dichiarazioni rese dall'imputato al giornalista sarebbero proprio tali vicende. 2. Contro la sentenza della Corte di appello, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia. 2.1. Con un primo motivo, deduce l'erronea applicazione della L. N. 47 del 8 febbraio 1948, art. 13 e art. 595 c.p. . Sostiene che mancherebbe completamente l'elemento oggettivo del reato, poiché l'imputato si sarebbe limitato a confermare al giornalista le dichiarazioni che aveva reso all'autorità giudiziaria nel corso del suo interrogatorio. Sotto altro profilo, evidenzia che con tali dichiarazioni l'imputato si sarebbe difeso dal processo mediatico al quale era sottoposto dovrebbe, dunque, in ogni caso, riconoscersi la scriminante del diritto di difesa. 2.2. Con un secondo motivo, deduce l'erronea applicazione dei criteri elaborati dalla giurisprudenza ai fini della configurabilità del reato di diffamazione a mezzo stampa . Sostiene che sussisterebbe la scriminante dell'esercizio del diritto, attesa la veridicità delle dichiarazioni rilasciate dallo S. al giornalista. Veridicità che emergerebbe dalle dichiarazioni rese da vari testi nonché da una registrazione consegnata alla polizia giudiziaria. 1.3. Con un terzo motivo, deduce l'incostituzionalità della L. N. 47 del 8 febbraio 1948, art. 13 dichiarata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 150 del 2021 . 1.4. Con un quarto motivo, contesta il giudizio di bilanciamento delle circostanze. In particolare, lamenta il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti. 3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di annullare la sentenza, limitatamente al punto relativo al terzo motivo, e di dichiarare il ricorso inammissibile nel resto. 4. Con memoria scritta, l'avv. Karl Zeller per le parti civili ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso. Considerato in diritto 1.1. Il ricorso è fondato, limitatamente al terzo motivo. 1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto si limita a riproporre le medesime questioni sollevate in secondo grado, trascurando, nella sostanza, le proposizioni che la Corte di appello ha dedicato a illustrare le ragioni per le quali erano infondate. Così facendo, il ricorrente ha mancato di adeguarsi all'attuale disposto di cui all' art. 581 c.p.p. , seguendo un proprio approccio critico, ma omettendo di esplicitare il ragionamento sulla cui base muoveva censure alla decisione avversata. A questo riguardo, va ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli Rv. 268823 secondo il quale i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato e che le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest'ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato. Va rilevato che la Corte di appello ha risposto, in maniera esauriente e logica, alle censure mosse dal ricorrente, evidenziando, tra l'altro, che l'intervista pubblicata su un giornale, seppur di conferma delle dichiarazioni rese in uno scritto destinato all'autorità giudiziaria, non può essere a esso equiparata, operando evidentemente su un piano completamente diverso solo in relazione allo scritto difensivo, in astratto, sarebbe invocabile l'esimente prevista dall' art. 598 c.p. . In ogni caso, ha rilevato la Corte territoriale, l'esimente di cui all' art. 598 c.p. per la quale non sono punibili le offese contenute negli scritti e nei discorsi pronunciati davanti alle autorità giudiziarie e amministrative non sarebbe comunque invocabile nel caso di specie, atteso che essa non si applica alle accuse calunniose. Ha, infine, rilevato che la pressione derivante dalla sottoposizione a un procedimento di rilevanza mediatica non può giustificare dichiarazioni con le quali si attribuiscono a una persona condotte integranti reato. Va solo aggiunto che si tratta di affermazioni pienamente conformi alla giurisprudenza di questa Corte, che ha affermato che l'esimente di cui all' art. 598 c.p. - per il quale non sono punibili le offese contenute negli scritti e nei discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie e amministrative - non si applica alle accuse calunniose contenute in tali atti, considerato che la predetta disposizione si riferisce esclusivamente alle offese e non può, pertanto, estendersi alle espressioni calunniose Sez. 5, n. 32823 del 06/02/2019, Prin, Rv. 276773 . 1.2. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto si limita a riproporre le medesime questioni sollevate in secondo grado, senza confrontarsi effettivamente con le argomentazioni che la Corte di appello ha speso per illustrare le ragioni per le quali erano infondate. La Corte di appello, infatti, ha ampiamente argomentato sul punto in questione, escludendo la veridicità delle dichiarazioni rilasciate dall'imputato al giornalista, evidenziando, tra l'altro, che gli atti richiamati in modo frammentario dalla difesa erano stati già esaminati nell'ambito del procedimento che era stato aperto nei confronti dello C. e della G. e che si era concluso con la richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico ministero. La Corte territoriale ha anche escluso che potesse configurarsi una verità putativa, atteso che si trattava di dichiarazioni che riguardavano fatti direttamente compiuti dall'imputato, in relazione al cui accadimento quest'ultimo non poteva avere dubbi. 1.3. Il terzo motivo è fondato. Secondo quanto chiaramente enunciato nel capo di imputazione e come si ricava, altresì, dalle sentenze di merito, il fatto ascritto al prevenuto è stato ritenuto aggravato sia dall'avere attribuito alla persona offesa un fatto determinato, sia dall'essere stato commesso con il mezzo della stampa ha trovato, quindi, applicazione la circostanza aggravante complessa di cui alla L. n. 47 del 8 febbraio 1948 art. 13, a lume della quale la diffamazione era punita con la pena congiunta della reclusione e della multa. La norma, tuttavia, è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza numero 150 del 2021 della Corte costituzionale . A seguito di tale pronuncia, l'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa è consentita solo in presenza di eccezionale gravità del fatto dal punto di vista oggettivo e soggettivo. La Corte costituzionale, infatti, dopo aver dichiarato costituzionalmente illegittima la disposizione della L. n. 47 del 8 febbraio 1948 art. 13, nella sua interezza, per contrasto con gli artt. 21 Cost. e 10 CEDU , ha chiarito che l'abolizione della lex specialis non crea un vuoto di tutela, poiché si espande nuovamente l'ambito precettivo delle norme generali dettate dall' art. 595, commi 2 e 3, c.p. . La Corte costituzionale si è poi interrogata sulla compatibilità costituzionale del regime sanzionatorio delineato dall' art. 595, comma 3, c.p. che prevede la pena detentiva come alternativa a quella pecuniaria , offrendo una risposta positiva, seppur ristretta entro rigorosi limiti, che sono riferiti espressamente all'intera gamma delle ipotesi contemplate dalla norma, vale a dire ai casi in cui l'offesa è stata recata col mezzo della stampa, con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico. In particolare, la Corte costituzionale ha precisato che l'inflizione della pena detentiva non è incompatibile con le ragioni di tutela della libertà di manifestazione del pensiero, nei soli casi in cui l'offesa si caratterizzi per la sua eccezionale gravità. Il potere discrezionale che l' art. 595 c.p. attribuisce al giudice, nella scelta tra la reclusione e la multa, dunque, deve essere esercitato tenendo conto dei criteri di commisurazione della pena di cui all' art. 133 c.p. , ma anche dei precisi limiti delineati dalla Corte costituzionale. Ne consegue che il giudice penale dovrà optare per l'ipotesi della reclusione soltanto nei casi di eccezionale gravità del fatto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, mentre, invece, dovrà limitarsi all'applicazione della multa in tutte le altre ipotesi. In definitiva, l'applicazione della pena detentiva è subordinata alla verifica dell'eccezionale gravità della condotta, che va individuata nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi di odio e di incitazione alla violenza ovvero in campagne di disinformazione gravemente lesive della reputazione della vittima compiute nella consapevolezza dell'oggettiva è dimostrabile falsità dei fatti ad essa addebitate Sez. 5, n. 28340 del 25/06/2021, Boccia, Rv. 281602 Sez. F, n. 30572 del 28/07/2022, n. m. . Essendo stata dichiarata incostituzionale la norma che prevedeva l'aggravante applicata nel giudizio di merito, il terzo motivo di ricorso risulta fondato e, in relazione a esso, la sentenza deve essere annullata, con conseguente rinvio al giudice di merito, al quale spetta la valutazione in ordine alla verifica dell'eccezionale gravità della condotta e alla conseguente applicabilità della pena detentiva, prevista dalle aggravanti di cui all'art. 595, commi 2 e 3, il cui ambito applicativo si è nuovamente espanso a seguito della pronuncia della Corte costituzionale. 1.4. Il quarto motivo di ricorso, relativo al giudizio di bilanciamento delle circostanze, risulta assorbito. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Trento. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.