L’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche INAPP è un ente pubblico di ricerca, che svolge analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro e dei servizi per il lavoro, delle politiche dell’istruzione e della formazione, delle politiche sociali e di tutte quelle politiche pubbliche che hanno effetti sul mercato del lavoro.
Il suo ruolo strategico nel nuovo sistema di governance delle politiche sociali e del lavoro dell’Italia è stabilito dal d.lgs. 14 settembre 2015, numero 150. L’INAPP ha pubblicato il suo Rapporto 2022 dove, attraverso 261 pagine, che vi invito a leggere, coglie in modo lungimirante e documentato le tendenze evolutive degli scenari economici e sociali e analizza i problemi che si pongono per riorganizzare l’architettura sociale in risposta alle nuove esigenze e dare un contributo fattivo per le politiche del lavoro e per tutti i giuslavoristi. Riporto integralmente le conclusioni «Le evidenze trattate in questo capitolo mettono in luce la necessità di introdurre o di rimodulare le misure previste dal sistema di protezione sociale del nostro Paese, come già era stato fatto a seguito della pandemia da Covid-19. Nonostante i tentativi di riforma di alcuni istituti degli ammortizzatori sociali, l’aumento dell’occupazione atipica e del lavoro povero richiede una risposta pronta e repentina da parte del policy maker affinché si riduca per le fasce più deboli e meno tutelate della popolazione il rischio di esclusione sociale. La regolamentazione del mercato del lavoro e il welfare state italiano sono stati infatti pensati e strutturati a partire dal concetto di lavoratore con contratto a tempo indeterminato e full-time. Tale tipologia di contratto, definita standard, garantisce maggiore stabilità e sicurezza sul lavoro e riduce il rischio di finire in condizioni di povertà. Il welfare state italiano può, inoltre, essere definito come un sistema particolaristico, ovvero modellato sulla base di interessi specifici e non in chiave strettamente universale. Negli ultimi anni tale sistema ha subito forti stress dovuti alle grandi trasformazioni operanti nel mercato del lavoro, alla globalizzazione dell’economia e dei mercati finanziari e alla mutata struttura della popolazione. Questo nuovo contesto porta non solo a nuovi rischi sociali, ma incide sulle condizioni familiari e lavorative che si modificano sempre più rapidamente. L’Italia si trova così a dover affrontare nuovi rischi sociali e bisogni che necessitano un riconoscimento nel sistema di protezione sociale. L’impostazione generale del nostro sistema di welfare è più rivolta a chi è già nel mondo del lavoro i cosiddetti insiders al sistema , mentre lascia poco spazio a chi ancora deve intraprendere il suo percorso lavorativo. Un sistema di welfare molto orientato ai problemi dell’invecchiamento e troppo poco a temi quali il cambiamento del nucleo familiare o l’inclusione sociale. Tutto questo evidenzia la necessità di riformare il welfare italiano per andare verso un modello pubblico universale che si muova a seconda del bisogno e non della categoria cui il lavoratore appartiene. Un sistema, quindi, che sia in grado di adattarsi rispetto a ciò di cui la società necessita e di rispondere alle nuove sfide del mercato del lavoro, sfide che richiedono soluzioni efficaci ma anche innovative. Del resto, è lo stesso Consiglio europeo che nel 2018 sottolineava l’importanza che ciascuno Stato membro modernizzasse il proprio sistema di welfare al fine di ottenere una maggior equità e una minore divisione e segmentazione tra le varie forme di occupazione. L’aumento delle disuguaglianze può rendere inadeguati i regimi contributivi e può quindi richiedere misure maggiormente redistributive che assicurino sia l’efficacia che l’equità, finanziate mediante la fiscalità generale. Il welfare dovrebbe infine garantire un effettivo pluralismo di offerta in cui, accanto allo Stato e al privato, agiscano anche famiglie e organizzazioni non profit, che non devono essere utilizzate come sostitutive laddove il pubblico non arriva, ma come alternative per il cittadino. Come illustrato nelle pagine di questo capitolo, qualcosa si sta iniziando a fare per apportare delle modifiche al sistema di protezione sociale, si veda ad esempio la riforma degli ammortizzatori sociali, ma, data la crescente disuguaglianza e povertà, tali interventi risultano ancora insufficienti ai fini della salvaguardia della condizione di molti lavoratori» https //inapp.org/it/rapporto2022 . E ora veniamo all’avvocatura italiana che ha il problema, a tutt’oggi irrisolto, per esempio della monocommittenza che costituisce per la nostra categoria il lavoro povero, precario e senza diritti ma che produce PIL per l’avvocatura in bonis che, secondo i numeri offerti da Cassa Forense, rappresenta il 7% del totale ma che forma la metà del PIL stesso. Il Comitato dei Delegati di Cassa Forense ha recentemente approvato una riforma strutturale, della quale peraltro non si conosce ancora l’articolato e la proiezione attuariale dello stesso, che dovrebbe aver risolto il problema della sostenibilità di lungo periodo in danno però dell’adeguatezza delle prestazioni per una larga fascia di iscritti e un Ente di previdenza e assistenza, privo della tutela finale dello Stato, deve essere sostenibile ma anche offrire prestazioni adeguate. I principali obiettivi delle politiche in materia di pensioni e pensionamento sono fornire un reddito adeguato in vecchiaia, garantendo sostenibilità finanziaria e massimizzando l'occupazione. Questo è avvenuto perché non si è capito, dal punto di vista sociologico, che l’avvocatura italiana è cambiata nel tempo sia nei numeri che nella redditività e che aveva bisogno, anche e soprattutto in tema di welfare, di un nuovo assetto che affrontasse il tema, non più rinviabile, delle disuguaglianze e della povertà. Mutuando i concetti INAPP si può dire che il welfare state forense, nel riformarsi, ha guardato, soprattutto, ai cd. insiders al sistema senza inseguire una maggior equità e una minore divisione e segmentazione tra le varie forme di occupazione, anzi aggravando dette divisioni. L’integrazione al minimo della pensione sarà gradualmente rimodulata sino a € 9.000 annui … ne è un esempio di scuola aggiungendo che per legge 335/1995 per chi va al contributivo l’integrazione al trattamento minimo è vietata. Se l’INAPP prospetta un nuovo welfare per il mondo del lavoro subordinato, altrettanto deve essere fatto per il lavoro autonomo professionale che, ovviamente, riguarda non solo gli avvocati ma tutto il mondo delle libere professioni. Risolvere con lungimiranza il problema della monocommittenza sarebbe, a mio giudizio, già un primo passo verso una nuova architettura forense e un nuovo welfare state. Come giustamente è stato scritto in vista del recente Congresso di Lecce non bisogna cedere alla tentazione di chiudersi nelle proprie stanze ma cercare di governare il futuro, indicarne la direzione per evitare che lo faccia qualcun altro. L’avv. Giuseppe Pilon del Foro di Lecce mi manda questo studio che ha fatto sui numeri di Cassa Forense e sulle linee guida della riforma appena approvata dal CDD e che opportunamente allego «Riforma previdenziale forense, approvata dal Comitato dei Delegati nella seduta del 28.10.2022. Osservazioni critiche. Con il presente contributo, intendo portare all’attenzione del Lettore alcune immediate riflessioni in merito alla efficacia delle misure individuate di recente dal Comitato dei Delegati per superare le gravi criticità evidenziate dal bilancio tecnico standard al 31.12.2020, ovvero sulla mancata sostenibilità finanziaria della Cassa Forense nel lungo periodo. Peraltro, la crudezza dei dati, ben rappresentati nei grafici riportati dallo Studio attuariale del Prof. Paolo De Angelis, commissionato da CF, non lascia spazio a diversa interpretazione immagine - saldo previdenziale negativo dal 2036, - saldo gestionale negativo dal 2042, - patrimonio negativo dal 2060. In queste condizioni, la sostenibilità finanziaria nell’arco temporale di 50 anni, imposta agli enti previdenziali categoriali dall’articolo 24, comma 24, DL 201/2011 conv. in L. numero 214/2011 non è affatto garantita parimenti sarebbe accaduto in applicazione della previsione più benevola della sostenibilità a trent’anni di cui all’articolo 1, comma 763, l. numero 296/2006. Per evitare la débâcle, preannunciata peraltro dai saldi negativi anticipati già nel Bilancio tecnico al 31.12.2017 che presentava un saldo previdenziale negativo nell’arco temporale 2042 - 2062 , nella primavera del 2020, la Cassa Forense istituiva un’apposita Commissione di studio per la riscrittura del Regolamento previdenziale al fine di apportare le correzioni al sistema a garanzia dell’equilibrio di bilancio. Al termine dei lavori e dopo l’esame degli emendamenti proposti, la Riforma è stata trasmessa al Ministero del Lavoro per l’approvazione. I punti principali della Riforma previdenziale sono i seguenti - ai neo-iscritti alla Cassa dal 01.01.2024 si applicherà il sistema di calcolo contributivo delle prestazioni in modo integrale viene previsto anche un meccanismo di calcolo che aggiunge al montante contributivo anche un punto percentuale di quanto versato a titolo di contributo integrativo - per gli avvocati con anzianità di iscrizione inferiore a 18 anni al 31.12.2023 si applicherà un sistema di calcolo “misto”, equivalente al contributivo pro-rata retributivo per gli anni antecedenti l’entrata in vigore della riforma e contributivo per gli anni successivi - per gli avvocati iscritti con un’anzianità di almeno 18 anni al 31.12.2023 continuerà ad applicarsi l’attuale sistema retributivo, con la modifica del coefficiente di rendimento per il calcolo della pensione da 1,40% a 1,30% per gli anni successivi all’entrata in vigore della riforma - l’aliquota per il calcolo del contributo soggettivo verrà gradualmente innalzata di due punti 16% dal 2024 e 17% dal 2026 , mentre il contributo soggettivo minimo verrà ridotto da circa 3.000 euro attuali a 2.200 euro. - l’aliquota per la contribuzione modulare volontaria viene elevata dal 10 al 15% per dar modo di integrare il montante contributivo per il calcolo della quota modulare di pensione, mantenendo gli attuali benefici fiscali. - è previsto un innalzamento dal 7,5% al 10% dell’aliquota del contributo soggettivo dovuto dai pensionati che intendono proseguire nell’attività professionale. A fronte di ciò i pensionati potranno contare su periodici aumenti della pensione legati al ripristino di supplementi di pensione triennali che tengono conto, comunque, di una quota di contributi versata a titolo di solidarietà - l’integrazione al minimo della pensione sarà gradualmente rimodulata da € 12.000 a € 9.000 annui. Delineati così i tratti distintivi della Riforma, si rammenta che il Rapporto Censis del 2022 ha scattato un’impietosa fotografia delle condizioni in cui versa la categoria degli avvocati - l’età media degli iscritti alla Cassa incluso i pensionati che esercitano è pari a 48,7 anni quasi 6 anni in più rispetto al 2002, con trend in aumento anche a causa della perdita di attrazione per la professione e il repentino abbandono da parte degli iscritti, giovani e meno giovani, soprattutto donne l’età media degli attivi è invece di 47,2 anni. immagine 1 - scarso appeal delle professioni legali nel 2020, la quota relativa agli studi giuridici è stata del 5,6%, molto al di sotto di quanto accade nelle discipline economiche 17,2% , in quelle mediche e farmaceutiche 12,1% , nell’ambito ingegneristico 12,0% . Si è verificata soprattutto una contrazione di laureati in ambito giuridico che, in dieci anni, si sono ridotti del 4,1% - nell'anno della pandemia il reddito medio annuo di un avvocato, iscritto alla Cassa, ha subito una riduzione di 6 punti percentuali, collocandosi su una soglia di poco inferiore ai 38.000 euro. Il reddito medio osserva un trend negativo costante negli anni immagine 2 - la distanza fra il reddito medio di una donna avvocato e quello di un collega uomo è tale che occorre sommare il reddito di due donne per sfiorare il livello medio percepito da un uomo 23.576 euro contro i quasi 51.000 immagine 3 - il 59,1% degli avvocati under 35 è rappresentato dalle donne professioniste a reddito mediamente dimidiato - la distribuzione per area geografica mette in evidenza il peso della componente meridionale sul totale degli iscritti circa un terzo degli avvocati risiede al Nord, contro il 43,8% degli avvocati presenti nel Mezzogiorno area del Paese economicamente depressa e il 22,5% nelle regioni centrali - il 28,4% degli avvocati considera molto critica la propria situazione, il 32,8% valuta la possibilità di abbandonare la professione, e il 63,7% lo farebbe a causa di motivi economici - secondo l’Ufficio attuariale di CF in rivista “La Previdenza Forense”, Maggio-Agosto 2022, a pag. 103 , il rapporto iscritti pensionati non solo tende a peggiorare notevolmente nel tempo ma, addirittura, raggiunge una situazione di massima criticità nel periodo 2048-2056, in cui ogni iscritto nel regime contributivo dovrà farsi carico del pagamento di oltre una pensione in regime retributivo , con costi, ovviamente, insostenibili se non attingendo al patrimonio dell’Ente. Si osserva, però, che, secondo il cennato studio attuariale del prof. De Angelis, dal 2050 il patrimonio di Cassa sarà impegnato esclusivamente a copertura delle riserve legali e dal 2060 sarà negativo. Peraltro, nella previsione dello sviluppo del patrimonio non è stata considerata l’inflazione galoppante, ormai al 12% e l’andamento negativo dei mercati finanziari degli ultimi due anni - il reddito medio della categoria si raggiuge, e poi si supera, soltanto dai 50 ai 74 anni classe di età protetta dalla Riforma a garanzia dell’aspettativa pensionistica e dei diritti quesiti immagine 4 Riassumendo la categoria degli avvocati invecchia velocemente, a breve si supererà la soglia di età media di 50 anni, con consequenziale aumento delle richieste di prestazioni previdenziali da erogare di converso, gli iscritti attivi e i loro redditi medi si contraggono drasticamente e, quindi, non saranno in grado di sostenerne il peso previdenziale. Non si potrà neanche attingere al patrimonio dell’Ente per far fronte alla spesa. È bene evidenziare, che secondo la Riforma proposta, gli avvocati con più di 18 anni di anzianità di iscrizione alla Cassa[1] la maggior parte degli odierni iscritti, atteso che gli over 48 rappresentano oltre il 50% dei contribuenti totali continueranno a godere del regime previdenziale retributivo, certamente di maggior favore rispetto a quello contributivo sostenuto da una platea di iscritti in diminuzione e con redditi sempre minori . [1] Non a caso è stato scelto il limite dei 18 anni di anzianità contributiva, in quanto la collettività degli attivi è di 231.295 iscritti, equamente distribuiti tra maschi e femmine, con un’età media di 47 anni 48 anni maschi e 45 anni femmine , un’anzianità contributiva media di 15 anni 16 anni maschi e 15 anni femmine , un reddito medio di 36.643 euro 50.397 euro maschi e 22.908 euro femmine e un volume d’affari medio di 54.073 euro 76.685 euro maschi e 31.491 euro femmine . immagine 5 A questo punto, occorre rilevare che così facendo la Cassa non tutela né la “sostenibilità finanziaria”, né “l’equità generazionale” del sistema infatti, è fin troppo evidente che non saranno garantite prestazioni previdenziali adeguate ai giovani iscritti. E, del resto, i giovani avvocati non potranno assicurare alcuna contribuzione sufficiente a copertura delle prestazioni previste a favore della maggioranza degli iscritti che, ancora per molti decenni, continuerà a godere del sistema retributivo. Quanto messo in campo dall’Ente previdenziale sembra rappresentare tutt’al più l’estremo forse ultimo? tentativo di rinviare ad altra data ciò che appare ormai agli occhi di tutti inevitabile l’ingresso della gestione di CF in Inps attesa la estrema incertezza del futuro della professione che non vede l’ingresso cospicuo delle giovani generazioni. Peraltro, nel XXI Rapporto Annuale redatto dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale 11.07.2022 , si è apertamente rappresentata la debolezza dei fondi previdenziali di categoria. Infatti, in merito al “fallimento” della Cassa dei giornalisti si legge la seguente riflessione “L’ingresso della gestione INPGI/1 in INPS dimostra come possa essere problematica la sostenibilità di fondi previdenziali che si basano su una sola categoria di lavoratori, il cui futuro è incerto ed in continua evoluzione. Viceversa, l’adesione dei lavoratori ad un fondo previdenziale pubblico e universale consente di distribuire su più categorie professionali i rischi dell’evoluzione tecnologica, traendo al contempo beneficio dall’ingresso di nuove professionalità, oltreché garantire uniformità di requisiti e regole di calcolo che assicurerebbero maggiore equità tra i lavoratori”. Ma la riferita previsione della mancata sostenibilità del sistema di CF non cade certo come un fulmine a ciel sereno. Già, dieci anni fa, nelle conclusioni alla Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di CF per gli anni 2012 - 2013 , la Corte dei conti – Sezione controllo enti osservava La Cassa, con una serie di provvedimenti del 2006, del 2007 e, in misura ancora più incisiva, del 2009, ha avviato una vera e propria riforma previdenziale intesa, attraverso misure sia dal lato delle contribuzioni sia da quello delle prestazioni, a migliorare l’equilibrio della gestione … sulla base delle risultanze attuariali esposte nel bilancio tecnico permane in prospettiva un periodo – fra l’anno 2043 e il 2049 - nel quale il saldo previdenziale assumerebbe segno negativo. Occorrerà ora verificare gli esiti della legge 31 dicembre 2012, numero 247 e della conseguente emanazione del Regolamento che disciplina la materia dell'iscrizione obbligatoria e della contribuzione minima per tutti coloro che sono iscritti all’Albo forense. Tale provvedimento ha effetto dal 1° gennaio 2014…”. Dopo la riforma della legge professionale L. numero 247/2012 , nel nuovo tentativo di migliorare l’equilibrio gestionale dell'Ente, attraverso l'iscrizione coattiva dei professionisti a basso reddito, si era proceduto ad immettere capitali freschi nel bilancio di CF per mezzo dell’obbligo della contribuzione minima. Ma, con il passare del tempo, la situazione non è certo migliorata. Nel referto per la gestione dell’anno 2015, la Sezione controllo della CdC di nuovo osservava “Nonostante i miglioramenti registrati rispetto alle precedenti proiezioni, sulla base delle risultanze attuariali esposte nell’ultimo bilancio tecnico al 31 dicembre 2014, emerge in prospettiva un periodo - fra l’anno 2051 e il 2057 - nel quale il saldo previdenziale assumerebbe segno negativo. Occorrerà verificare nel prosieguo del tempo gli effetti finanziari della legge 247/2012 in vigore dal 1 gennaio 2014 , con la quale è stato disposto che tutti gli iscritti agli albi forensi – anche coloro che producono un reddito minimo e che in precedenza versavano i propri contributi previdenziali alla gestione speciale INPS – siano iscritti alla Cassa . Per brevità, finito l'“effetto dopante” della L. 247/2012 che ha visto l'ingresso di oltre 50.000 nuovi iscritti nel 2014, producendo anche l’abbassamento dell’età media ai valori del 2011 , l'ultimo bilancio attuariale al 31.12.2020 ha consegnato comunque l’impietosa previsione rappresentata all’inizio di questo scritto. In conclusione. Occorre a questo punto domandarsi, seriamente, se le numerose riforme messe in campo dai primi anni del 2000, come anche quella drastica del 2012, abbiano portato a qualcosa di buono, ovvero se siano servite solo a mantenere ancora in vita una struttura che probabilmente avrà funzionato per alcuni, ma non per tutti. È certo, però, che le condizioni delle nuove generazioni di professionisti si sono inesorabilmente aggravate tanto da non garantire più un ricambio generazionale. Ad ogni modo, la sostenibilità gestionale a lungo termine di CF non è stata salvaguardata nonostante gli enormi sforzi e sacrifici richiesti ai professionisti contribuenti» avv. Giuseppe Pilon del Foro di Lecce . Non credo che i Ministeri Vigilanti potranno approvare una riforma di tal genere perché, come detto più sopra ma giova ripeterlo in chiusura, ha guardato, soprattutto, ai cd. insiders al sistema senza inseguire una maggior equità e una minore divisione e segmentazione tra le varie coorti di iscritti, anzi aggravando dette divisioni. Già nel 2014 la Collega Antonella Valentini nel suo “I limiti costituzionali alla revisione delle pensioni e le prospettive per il futuro” osservava che «La complessità della situazione sociale ed occupazionale del nostro Paese, l’andamento demografico e il progressivo invecchiamento della popolazione, le conseguenti prospettive di crescita anche della spesa pubblica per assistenza e sanità, unitamente alle sollecitazioni che ci giungono dalle istituzioni comunitarie, dovrebbero forse spingere i decisori a guardare anche oltre, provando a porre le basi per un ripensamento complessivo del nostro modello sociale, ad iniziare dalla ricerca di un più corretto bilanciamento fra sostenibilità e adeguatezza della prestazione previdenziale, anche per il tramite di una migliore cooperazione tra risorse finanziarie private e pubbliche, che riconosca come primi fattori di costruzione la responsabilità della persona e l’equità sociale». Il CDD di CF invece è tornato alla legge Dini che è del 1995.