Gli appostamenti volti ad ottenere dalla persona offesa contatti con alcuni calciatori per dei servizi fotografici, gli inseguimenti continui e l’aggressività sono valsi al paparazzo una condanna per atti persecutori.
Il paparazzo imputato, affinché la persona offesa, agente di calciatori, gli facesse ottenere servizi fotografici con alcuni calciatori, era solito attuare appostamenti al di fuori dell'ufficio della stessa e in altri luoghi frequentati per ragioni di lavoro, tempestandola di telefonate fino ad arrivare ad inseguimenti in auto e insulti rivolti pubblicamente. Veniva pertanto condannato con sentenza confermata in appello per il reato di atti persecutori di cui all'articolo 612-bis c.p. sentenza avverso la quale ricorreva in Cassazione denunciando l'insussistenza delle alterate abitudini di vita della p.o. e, in subordine, offrendo una rilettura dei fatti volta a ottenere una riqualificazione degli stessi nell'alveo del reato contravvenzionale di molestia o disturbo alle persone previsto dall'articolo 660 c.p Inammissibile, però, a parere della Suprema Corte, la doglianza proposta, in quanto meramente reiterativa di quelle già prospettate in appello e il cui rigetto fu adeguatamente motivato, essendosi provato l'impatto che le condotte avevano prodotto sulla vita lavorativa della persona offesa, che fu costretta a ricevere i propri clienti in luoghi diversi dal proprio ufficio, a non utilizzare la propria vettura e bloccare le telefonate per via del continuo e grave stato d'ansia e di paura insorto in lui. Aggiungono i supremi Giudici, che nemmeno l'attività di paparazzo svolta dall'imputato giustifica tali comportamenti e che anche il tentativo di riqualificazione dei fatti nella fattispecie contravvenzionale è stato giustamente ritenuto vano dalla Corte d'appello proprio per le alterazioni nella vita quotidiana causate dall'imputato. In ragione di ciò, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Presidente Zaza – Relatore Bifulco Ritenuto in fatto 1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Torino ha confermato il provvedimento con cui Giudice di primo grado aveva affermato la penale responsabilità di P.M. per il reato di cui all'articolo 612 bis c.p., comma 1, con condanna alla pena di mesi 4 di reclusione, al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di assistenza e rappresentanza in favore della parte civile, G.G. . 2. Avverso la sentenza, ricorre l'imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, articolando le proprie censure in un unico motivo, col quale eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte d'appello erroneamente ravvisato la penale responsabilità dell'imputato per il delitto di atti persecutori. Del tutto genericamente sarebbe descritto, nella parte motiva dell'impugnata sentenza, l'evento delle alterate abitudini di vita della p.o., così come inesplorato sarebbe rimasto il profilo dell'impatto emotivo sulla vittima concretamente ingenerato dal comportamento dell'imputato. I fatti ascritti alla condotta di quest'ultimo, pur se percepiti come molesti e fastidiosi dalla p.o., avrebbero dovuto, al limite, essere ricondotti all'ipotesi contravvenzionale di cui all'articolo 660 c.p Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. L'unico motivo è manifestamente infondato, in quanto reitera i medesimi rilievi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione così, tra le altre, Sez. 4, numero 30810 del 10/05/2022, Ragusa, numero m. Sez. 2, numero 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01 Sez. 3, numero 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01 Sez. 6, numero 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838 01 . La motivazione dell'impugnata sentenza è priva di aspetti di illogicità, mostrandosi, al contrario, dotata di completezza e rigore logico sia per quel che ha riguardo alla puntuale ricostruzione del fatto sia in relazione alla qualificazione giuridica prescelta dalla Corte d'appello. A tal proposito, va condivisa la scelta dei giudici di merito di disattendere l'ipotesi contravvenzionale evocata dal ricorrente invero, i comportamenti ascritti all'imputato, avendo determinato una alterazione delle quotidiane abitudini di vita della p.o., non possono essere ricondotti all'alveo dell'articolo 660 c.p Il giudizio della Corte territoriale, oltre a poggiare su una corretta lettura dei principi posti dalla Corte di cassazione in ordine ai criteri discretivi tra reato di atti persecutori e fattispecie contravvenzionale di molestie o disturbo di cui all'articolo 660 c.p., si è basata altresì sull'attenta disamina dei comportamenti contestati. Infatti, i frequenti appostamenti di fronte all'ingresso dell'ufficio del G. , e in altri luoghi frequentati dallo stesso per ragioni lavorative, le insistenti telefonate mirate a ottenere notizie sugli spostamenti dei calciatori, il seguire la vittima in auto, la pretesa, insistita e molesta, che la p.o. intercedesse a suo favore presso calciatori al fine di ottenere servizi fotografici, gli insulti rivolti alla p.o., pubblicamente e con aggressività, per non avere ottenuto dette intercessioni, hanno portato la Corte territoriale a formulare un coerente giudizio di penale responsabilità per atti persecutori, alla luce, come si è anticipato, di una motivazione priva di censure sia dal punto di vista giuridico sia da quello del logico argomentare. A fronte dei comportamenti contestati, a nulla vale il rilievo difensivo teso a giustificare i predetti comportamenti data l'attività di paparazzo svolta dall'imputato. L'impatto della condotta dell'imputato sulle abitudini -segnatamente, quelle lavorative della vittima è chiaramente illustrato dalla Corte territoriale, la quale, nel far riferimento alle ripercussioni negative di quei comportamenti sulla vita e sulle quotidiane abitudini della vittima, ha evidentemente tenuto in conto l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'evento tipico della alterazione o cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa non possa intendersi come puramente occasionale Sez. 5, numero 17552 del 10/03/2021, B., Rv. 281078 01 . La p.o. si è infatti vista costretta a ricevere i propri clienti in luoghi diversi dal proprio ufficio, con detrimento per la propria riservatezza, a non utilizzare la propria autovettura per non lasciare segni tangibili della propria presenza in ufficio o nei luoghi frequentati per motivi di lavoro, a bloccare le telefonate in entrata, e così via. I Giudici di merito hanno chiaramente illustrato la dinamica con cui dette reazioni e escamotages della p.o., indotti dal comportamento dell'imputato, hanno cagionato un perdurante e grave stato d'ansia e di paura, tale da ingenerare un giustificato timore per la propria sicurezza personale e da portare a un'alterazione delle abitudini di vita cfr., ex plur., Sez. 5, numero 1813 del 17/11/2021, dep. 2022, Biundo Rv. 282527 01 . I Giudici d'appello, nell'analizzare i vari comportamenti persecutori ponendoli in relazione agli effetti provocati sulla p.o., hanno altresì fatto buon governo dei canoni di giudizio elaborati dalla giurisprudenza, a iniziare da quella costituzionale. Come infatti ricordato da Corte Cost. numero 172 del 2014, il riferimento del legislatore alle abitudini di vita costituisce un chiaro e verificabile rinvio al complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell'ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare a seguito dell'intrusione rappresentata dall'attività persecutoria, mutamento di cui l'agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di reato per l'appunto punibile solo a titolo di dolo. 3. Il ricorso va dichiarato, pertanto, inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003 articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003 articolo 52 in quanto imposto dalla legge.