Raffica di messaggi sul social network all’amico della moglie: condannato per stalking

Respinta la linea difensiva mirata a ridimensionare la vicenda, catalogando il fatto come minaccia o molestia. Per i giudici, invece, è inequivocabile, anche alla luce del ristretto arco temporale e del numero di messaggi, lo stato di paura instillato nel destinatario delle sgradevoli comunicazioni, caratterizzate da contenuto minatorio e offensivo.

Condannato per stalking l'uomo che, preda della gelosia verso la moglie , su Facebook tempesta di messaggi poco gradevoli un amico della consorte Cass. pen., sez. V, ud. 11 ottobre 2022 dep. 10 novembre 2022 , n. 42874 . Social . Ricostruita nei dettagli la vicenda, i giudici di merito ritengono colpevole di stalking l'uomo finito sotto processo per avere inviato messaggi a raffica su Facebook a un amico della moglie. Sia in primo che in secondo grado i giudici non mostrano dubbi all'uomo va attribuita la responsabilità penale per il reato di stalking, poiché egli ha, per motivi di gelosia nei confronti della moglie, molestato e minacciato un conoscente della consorte, inviandogli, tramite il social network Facebook, numerosi messaggi di testo dal contenuto minatorio e offensivo e così ingenerando in lui un fondato timore per la propria incolumità . Su quest'ultimo punto i giudici aggiungono una precisazione importante il destinatario dei messaggi on line era stato già vittima di un'aggressione fisica per mano dell'uomo sotto processo. Timore . Col ricorso in Cassazione il legale che rappresenta la persona sotto accusa sostiene sia eccessivo ipotizzare il reato di stalking, anche perché, osserva, non vi sono elementi di prova a dimostrare un perdurante e grave stato d'ansia e un cambiamento delle abitudini di vita nel destinatario dei messaggi. Perciò, secondo il legale, sarebbe più logico catalogare la condotta tenuta dal suo cliente come minaccia o come molestia. Per i giudici di terzo grado, però, le obiezioni difensive sono fragili. Solida, invece, l'accusa, soprattutto tenendo conto di un particolare il ristretto arco temporale in cui i messaggi sono stati inviati è stato caratterizzato da una tale intensità di condotte – oltre ottanta i messaggi – che, anche alla luce delle precedenti condotte – lesioni e minacce aggravate – ai danni dell'amico della moglie, risulta giustificata la conclusione sull'esistenza di un fondato timore del destinatario dei messaggi per la propria incolumità . Legittimo, perciò, catalogare la raffica di messaggi inviati tramite ‘Facebook' come un vero e proprio atto persecutorio . Irrilevante, in questa ottica, il richiamo difensivo alla presunta mancata modifica delle abitudini di vita da parte della persona offesa .

Presidente Zaza – Relatore Bifulco Ritenuto in fatto 1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Trieste ha confermato il provvedimento con cui il Tribunale di Udine aveva affermato la penale responsabilità di K.D. per il reato di cui agli artt. 612-bis c.p. , comma 1, perché, per motivi di gelosia nei confronti della coniuge L.V. , con condotte reiterate molestava e minacciava P.R. , conoscente di L.V. , inviando a P. , tramite social network Facebook, numerosi messaggi di testo dal contenuto minatorio e offensivo , in modo da ingenerare un fondato timore per la propria incolumità, tenuto conto che il P. era stato già vittima di un'aggressione fisica da parte del K. . 2. Avverso la sentenza, ricorre l'imputato, per il tramite del proprio difensore di fiducia, articolando le censure in un unico motivo, col quale lamenta violazione di legge in relazione all' art. 612 bis c.p. con specifico riferimento alla insussistenza degli eventi di danno, nonché vizio di motivazione, data la mancata indicazione di elementi di prova circa la sussistenza del perdurante e grave stato d'ansia e il cambiamento delle abitudini di vita della p.o. Carenza di motivazione viene inoltre eccepita in relazione alla mancata derubricazione del fatto nella fattispecie di cui all' art. 612 c.p. o in quella di cui all' art. 660 c.p. . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. L'unico motivo è manifestamente infondato, in quanto generico. Nell'articolazione del motivo di ricorso, manca un effettivo confronto con le notazioni dei Giudici d'appello relative sia alla sussistenza dell'evento di danno degli atti persecutori sia ai motivi della denegata derubricazione del reato contestato in altre fattispecie normative. La sintetica motivazione dà conto di come il ristretto arco temporale in cui i messaggi sono stati inviati sia stato però caratterizzato da una tale intensità di condotte oltre ottanta messaggi che, anche alla luce delle precedenti condotte lesioni e minacce aggravate il dato non è oggetto di contestazione in ricorso , risulta giustificata la conclusione sull'esistenza di un fondato timore della vittima per la propria incolumità. D'altra parte, in tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata a elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata Sez. 5, numero 17795 del 02/03/2017, S., Rv. 269621 - 01 . Va inoltre rilevata l'incongruenza del rilievo difensivo relativo alla non intervenuta modifica delle abitudini di vita da parte della p.o. secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel delitto di atti persecutori, l'evento di danno può consistere tanto nell'alterazione delle proprie abitudini di vita quanto in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, non essendo necessario che tali due effetti si producano congiuntamente il delitto di atti persecutori è reato abituale, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di danno consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di pericolo , consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva Sez. 3, numero 23485 del 07/03/2014, U., Rv. 260083 01 v. inoltre Sez. 5, numero 15625 del 09/02/2021, R., Rv. 281029 - 01 si configura il delitto di cui all' art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita . Corsivi nostri . La dimostrata esistenza dell'evento di danno degli atti persecutori giustifica, inoltre, il fatto che, implicitamente ma non equivocamente, sia stato disatteso il motivo che invocava la riqualificazione del reato ascritto in altre fattispecie normative, come quella di cui all' art. 660 c.p. Gioverà a tal proposito ribadire che il criterio discretivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all' art. 660 c.p. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all' art. 612-bis c.p. qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all' art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva ritenuto integrato il reato di atti persecutori in un caso di condotta di reiterata ed ossessiva molestia della persona offesa, mediante appostamenti sul luogo di lavoro e nei pressi dell'abitazione, urla ed aggressioni verbali seguite all'insistente suonare al citofono ed al campanello, telefonate invadenti, minacce e tentativi di contatti fisici, tali da cagionare un grave stato d'ansia e paura nella vittima e costringerla a limitare le uscite e a farsi costantemente accompagnare da qualcuno Sez. 5, numero 15625/2021, cit. . 3. Per i motivi sopra esposti, questo Collegio dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003 art. 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003 art. 5 2 in quanto imposto dalla legge.