I colleghi timbrano (con il suo badge) al posto suo: licenziata

Con sentenza numero 32611/2022, la Corte di Cassazione conferma il licenziamento di una dipendente di un Comune siciliano, quale conseguenza della «falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente».

Ed è proprio questo il motivo su cui si basa la Corte territoriale nel rigettare il reclamo proposto dalla protagonista della vicenda, avverso la sentenza del Tribunale di Termini Imerese, che a sua volta aveva disatteso l’impugnazione del provvedimento disciplinare di licenziamento per falsa attestazione della presenza in servizio. Nel caso di specie, è stata considerata l’ordinanza del GIP, che aveva disposto misura cautelare nei riguardi della lavoratrice, in particolare con riferimento alle video riprese, ai pedinamenti da parte della Polizia giudiziaria ed ai dati relativi al badge di cui in essa si dava atto. Risultavano, infatti, molteplici eventi di timbratura in entrata ed in uscita da parte di alcuni colleghi, che utilizzavano il badge della protagonista della vicenda, per permetterle di entrare ed uscire in orari differenti. Pertanto, attraverso un’analisi completa di dati oggettivi e di atteggiamenti soggettivi, «l’intenzionalità certa e la gravità, tale da integrare fattispecie penalmente rilevante» sono state ritenute «ragioni idonee a giustificare la congruità della sanzione».

Presidente Manna – Relatore Bellè Fatti di causa 1. La Corte d'Appello di Palermo ha rigettato il reclamo proposto da R.R. , nelle forme di cui alla . Legge numero 92 del 2012 articolo 1, comma 58 ss, avverso la sentenza del Tribunale di Termini Imerese che a propria volta aveva disatteso l'impugnazione del provvedimento disciplinare di licenziamento irrogato dal Comune di OMISSIS , per falsa attestazione della presenza in servizio. Per quanto qui ancora interessa, la Corte territoriale valorizzava quanto emerso dall'ordinanza del giudice per le indagini disciplinari di seguito, GIP che aveva disposto misura cautelare nei riguardi della R. e ciò in particolare con riferimento alle video riprese, ai pedinamenti da parte della polizia giudiziaria ed ai dati relativi ai badge di cui in essa si dava atto. La Corte di merito rilevava quindi come emergessero vari eventi di timbratura in entrata ed in uscita da parte di altri colleghi, che utilizzavano il badge che la ricorrente lasciava sull'apparecchio rilevatore, entrando ed uscendo in orari diversi da quelli per lei così fatti risultare, ritenendo che le giustificazioni rese dalla ricorrente per una delle varie giornate cui si riferiva la contestazione fossero irrilevanti e non scalfissero la grave illiceità del comportamento tenuto, tanto più considerando anche altri episodi in cui era stata la stessa R. a prestarsi per attestare falsamente con il badge altrui l'entrata o l'uscita di un collega. L'intenzionalità certa e la gravità, tale da integrare fattispecie penalmente rilevante, erano infine ritenute dalla Corte d'Appello ragioni idonee a giustificare la congruità della sanzione. 2. R.R. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti da controricorso del Comune. Motivi della decisione 1. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., numero 3, la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. numero 165 del 2001 articolo 55-ter, 55-quater e 59, comma 9, numero 2 lett. a e degli articolo 653 e 654 c.p.p., per avere la Corte d'Appello tenuto conto delle sole valutazioni di cui all'ordinanza del GIP e non delle difese svolte dalla ricorrente, fondando il proprio convincimento esclusivamente sulle risultanze di un atto formatosi in un ultroneo giudizio penale , senza considerare che soltanto il giudicato penale, a certe condizioni, può avere efficacia nei giudizi disciplinari o comunque nei giudizi civili e non certamente un'ordinanza del GIP. 2. Il motivo è infondato 3. La Corte territoriale non ha valorizzato l'ordinanza cautelare del GIP nei suoi effetti propri di provvedimento giudiziale, ma soltanto come documento ricognitivo di determinate risultanze istruttorie video riprese servizi di pedinamento dati rilevati dai badge su cui poi si è sviluppato il ragionamento istruttorio in questa sede civile. Non vi è stata quindi alcuna violazione sulle norme che regolano l'efficacia nei giudizi disciplinari o civili del giudicato penale, perché non di ciò si è trattato, quanto dell'utilizzazione, nella formazione del convincimento, di quel documento come fonte di cognizione delle emergenze istruttorie quali e come da esso risultanti. È del resto noto che nel processo civile vige un principio di valutabilità delle prove documentali c.d. atipiche Cass. 10 novembre 2020, numero 25162 Cass., S.U., 23 giugno 2010, numero 15169, purché non illecite Cass. 5 maggio 2020, numero 8459 , sicché del tutto ritualmente la Corte d'Appello ha fatto leva su quegli elementi istruttori, quali da essa desunti attraverso la mediazione dell'ordinanza resa in sede penale. Nel caso di specie è poi evidente che la Corte distrettuale ha valorizzato i predetti elementi nel loro convergere univoco verso la fondatezza dell'accertamento disciplinare, il che costituisce esercizio della formazione del convincimento di merito, trattandosi di dati plausibilmente ritenuti significativi, trattandosi di riscontri di una certa oggettività video riprese/relazioni sui pedinamenti/dati dei badge . 3.1 Priva di decisività è anche l'insistenza, nel contesto del motivo in esame, sull'erroneo richiamo della Corte territoriale, a fondamento della decisione, del D. Lgs. numero 165 del 2001 articolo 59, comma 9, numero 2 lett. a . Effettivamente quella norma non è mai esistita, in quanto l'articolo 59, anche nella versione antecedente all'abrogazione disposta dal D.Lgs. numero 75 del 2017, constava di soli tre commi, nessuno dei quali articolato in lettere e numeri. Si tratta tuttavia di errore del tutto ininfluente, avendo la Corte territoriale fatti richiamo anche all'articolo 55-quater D.Lgs. numero 165 del 2001 che prevede appunto, alla propria lettera a il licenziamento quale conseguenza della falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente . 3.2 Del tutto generico è infine, nel corpo del motivo, il richiamo a contrarie difese della ricorrente, le quali peraltro, se destinate a suffragare una diversa valutazione dei dati istruttori di merito, sono inammissibili in sede di legittimità Cass., S.U., 27 dicembre 2019, numero 34476 Cass., S.U., 25 ottobre 2013, numero 24148 4. Ciò introduce al contenuto del secondo e del terzo motivo, quali si denuncia la nullità della sentenza impugnata per l'error in procedendo asseritamente commesso in violazione, anche per irragionevolezza e contraddittorietà, dell'articolo 111 Cost. e dell'articolo 132 c.p.c., oltre che per evidente illegittimità ed illogicità. Il motivo reitera le censure, già svolte con il primo mezzo, in ordine all'essersi basato il provvedimento impugnato esclusivamente su quell'ordinanza penale, trascurando la documentazione allegata e le complessive difese della ricorrente. Tuttavia, una illogicità manifesta e quindi un vizio di esistenza della motivazione è palesemente da escludere, in quanto l'asse logico della decisione è del tutto percepibile e muove appunto dal convergere dei dati obiettivi di cui si è detto, mentre parimenti generico è il richiamo agli elementi di difesa dispiegati dalla lavoratrice. 5. Non diversamente da disattendere sono le questioni sulla proporzionalità della sanzione, già accennate nel secondo motivo e poi riprese dal terzo motivo, con cui si assume la violazione dell'articolo 2697 c.c. per inversione dell'onere della prova, nonché la violazione del principio di gradualità e proporzionalità della sanzione ex articolo 2106 c.c. e D.Lgs. numero 165 del 2001 articolo 55, comma 2,, oltre che dei principi di coerenza, correttezza e buona fede ex articolo 1375 c.c. ed omessa considerazione di fatti e circostanze rilevanti ai fini del decidere con lesione del D.Lgs. numero 165 del 2001 articolo 63, comma 2. Infatti, quanto alla motivazione sulla proporzionalità della sanzione e sulla richiesta di conversione di essa in una misura conservativa, non è vero che la sentenza di appello non si sia pronunciata. Essa ha infatti evidenziato l'ininfluenza della giustificazione resa dalla lavoratrice rispetto alla sola giornata del 26.5.2017, stante il reiterarsi della condotta fraudolenta in molteplici altri giorni, individuando una connotazione di grave illiceità , tanto maggior ove poi si considerasse anche l'agevolazione data dalla ricorrente ad analoghi illeciti di propri colleghi. Il tutto per rimarcare l'esistenza di una certa intenzionalità e di un carattere tanto grave da integrare una fattispecie penalmente rilevante . È palese, dunque, come la Corte territoriale abbia inequivocabilmente ritenuto, in un'analisi completa di dati oggettivi e di atteggiamenti soggettivi, che l'accaduto fosse di gravità massima ed implicitamente non consentisse alcuna diversa sanzione. 5.1 Non è poi vero che vi sia stata violazione dell'articolo 2697 c.c., perché la Corte d'Appello non ha deciso in applicazione della regola sugli oneri probatori, ma ha ritenuto positivamente raggiunta la dimostrazione dell'illecito sulla base degli elementi da essa valorizzati, il che è cosa ben diversa. 6. Il ricorso va dunque integralmente rigettato e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali 15 % ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.