Danni ambientali e responsabilità post scissione: la parola alla Corte di giustizia UE

La Prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria numero 32365 del 3 novembre 2022, visto l’articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e l’articolo 295 c.p.c., ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale e urgente su una questione di interpretazione del diritto comunitario.

«Se l'articolo 3 della VI direttiva, applicabile articolo 22 pure alla scissione mediante costituzione di nuove società, - nella parte in cui stabilisce che a se un elemento del patrimonio passivo non è attribuito nel progetto di scissione e l'interpretazione di quest'ultimo non permette di deciderne la ripartizione, ciascuna delle società beneficiarie ne è solidalmente responsabile , e che b gli Stati membri possono prevedere che questa responsabilità solidale sia limitata all' attivo netto attribuito a ciascuna società beneficiaria - osti a un'interpretazione della norma di diritto interno costituita dall'articolo 2506- bis , comma 3, c.c. che intenda la responsabilità solidale della beneficiaria riferibile, quale elemento del passivo non attribuito dal progetto, oltre alle passività di natura già determinata, anche i a quelle identificabili nelle conseguenze dannose, prodottesi dopo la scissione, di condotte commissive o omissive venute in essere prima della scissione stessa o ii delle condotte successive che ne siano sviluppo, aventi natura di illecito permanente, generative di un danno ambientale, i cui effetti, al momento della scissione, non siano ancora compiutamente determinabili». La questione in lite La fattispecie, estremamente complessa, può essere sintetizzata – ai fini del presente contributo – come segue Alfa S.p.a. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, Beta S.p.a. chiedendo che fosse accertata la responsabilità solidale di quest'ultima, anche nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Ministero della tutela del Territorio e del Mare inde, le “PA” , per tutti i debiti – a titolo di oneri di bonifica e danno ambientale - ascrivibili ad Alfa medesima e anteriori alla scissione societaria della quale Beta era stata costituita beneficiaria. Le PA avevano infatti avanzato ingenti pretese risarcitorie nei confronti di Alfa in relazione all'attività di produzione e commercializzazione di prodotti chimici esercitata dalla stessa per il tramite di alcune società controllate che però erano state oggetto di trasferimento a favore di Beta a seguito della menzionata operazione di scissione. Sicché, ad avviso di Alfa, ai sensi dell'articolo 2504- octies c.c., nella versione al tempo vigente i.e. prima dell'entrata in vigore della riforma del diritto societario di cui al d. lgs. numero 6/2003 Beta avrebbe dovuto ritenersi illimitatamente responsabile al riguardo. Il Tribunale dichiarava il difetto di interesse di Alfa e respingeva le domande delle PA avanzate nei confronti di Beta. La Corte d'Appello di Milano, in riforma della sentenza del primo giudice a riteneva che il quadro normativo di riferimento fosse quello di cui alla riforma di diritto societario b riconosceva l'effettività del nesso causale tra l'attività svolta da Alfa e l'inquinamento delle aree, e quindi la responsabilità della stessa quale proprietaria delle aree e degli stabilimenti c accertava anche la responsabilità solidale di Beta, limitatamente però all'attivo conferito ai sensi della nuova formulazione dell' articolo 2506 bis, comma 3, c.c. Beta proponeva ricorso per Cassazione formulando plurimi motivi e le PA resistevano proponendo ricorso incidentale. Ai fini del presente contributo verrà esaminata solo la questione rilevata dalla Corte di Legittimità come meritevole di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia della UE ai sensi dell' articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea TFUE . L'accertamento fattuale non suscettibile di revisione in sede di legittimità Osserva in primo luogo la Corte come in punto di fatto sia stata accertata nel merito la sussistenza di un nesso di causalità tra l'attività svolta da Alfa e l'inquinamento delle aree di cui è causa. In particolare, è stata accertata la responsabilità di Alfa quale proprietaria delle aree e degli stabilimenti, gestore diretto e capogruppo delle società dalla stessa partecipate, per un'intensa attività di sfruttamento ambientale protrattasi per quasi un secolo, con gravissime conseguenze di contaminazione e di inquinamento. Risulta altresì accertata la sicura anteriorità cronologica dei fatti e delle circostanze originanti la responsabilità Alfa rispetto alla data di efficacia della scissione. La suddetta responsabilità si riferisce alle conseguenze dannose di un illecito permanente, suscettibili di aggravamento nel tempo e tali da risultare per loro stessa natura refrattarie a rigide linee di demarcazione rispetto alla risultante di un'operazione societaria come quella di scissione sicché, ad avviso della Corte, le conseguenze di un illecito permanente sono pur sempre ascrivibili alla responsabilità della società scissa anche per condotte anteriori alla scissione. La questione di diritto societario sollevata da Beta Nel contesto fattuale appena delineato, osserva la Corte come si inserisca uno dei motivi di ricorso formulati da Beta e cioè che la corte territoriale avrebbe violato o falsamente applicato gli articolo 2506- bis e 2506- quater c.c. In buona sostanza, ad avviso di Beta, ai sensi dell'articolo 2506- bis c.c., non si potrebbero attribuire alla stessa quale beneficiaria i danni generati da condotte omissive o commissive tenute successivamente alla scissione, in violazione del limite temporale posto dalla normativa in rapporto agli elementi del passivo o ai debiti già esistenti al tempo della scissione medesima. Sicché la Corte di appello avrebbe omesso di rilevare la differenza di ambito applicativo che sussiste tra le evocate discipline, essendo l' articolo 2506 bis c.c. incentrato sugli elementi del passivo e l'articolo 2506- quater viceversa sui debiti . La distinzione tra i concetti dovrebbe invece condurre a includere nella nozione contabile di debito solo le passività di natura determinata ed esistenza certa, con scadenza e ammontare determinato, non confondibile con i fondi per rischi, con gli oneri e con gli impegni , visto che codesti - per l'appunto costituenti elementi del passivo - sarebbero rilevanti solo ai diversi fini dell'articolo 2506- bis c.c. La tesi della Corte di legittimità Ritiene la Corte che non sussiste alcuna necessità di distinguere, anche ai fini della responsabilità solidale tra Alfa e Beta, i debiti dagli elementi del passivo. La tesi di Beta, infatti e ad avviso dei Giudici di legittimità, non tiene conto della motivazione con la quale la corte territoriale ha accertato l'esistenza di un nesso di causalità tra l'attività imputabile ad Alfa e l'inquinamento delle aree di cui è causa. Né rileva il fatto che la condotta di Alfa sia inquadrabile nella categoria dell'illecito permanente. Il carattere permanente dell'illecito suppone che anteriori alla scissione debbano essere semplicemente i fatti generatori delle conseguenze dannose poi accertate, in questo caso da intendere sulla base della identificazione dell'attività idonea a determinare la responsabilità dell'agente per la definizione di un danno ambientale fatti la cui anteriorità cronologica alla data di efficacia della scissione, risulta accertata nel merito. Non è dunque dubitabile l'esistenza anteriore del debito risarcitorio ai fini dell'eventuale solidarietà, risultando questo compreso nella più ampia espressione “elementi del passivo impiegata nell'articolo 2506- bis c.c. la quale espressione non implica alcuna predeterminata caratteristica qualitativa ai fini della potenziale assegnazione, potendo gli elementi del passivo ben essere rappresentati anche e proprio da debiti, e perfino da debiti autonomi rispetto agli asset che vengono scissi. È dunque decisivo, ai fini dell'esegesi della norma in questione, che il giudice del merito abbia accertato l'anteriorità della condotta generativa del danno ambientale come configurata sia dalla l. numero 349/1986 che dal d.lgs. numero 152/2006 c.d. TUA . Il fatto rilevante può consistere dunque nella violazione di una qualunque prescrizione riferita ad attività umana da cui possa derivare un'alterazione o un deterioramento significativo dell'ambiente desumibile dall'insieme delle regole dell'ordinamento, tra le quali rientrano sicuramente quelle relative all'illecito aquiliano e alla responsabilità derivante dall'esercizio di attività pericolose articolo 2050 c.c. . E difatti la nozione stessa di danno ambientale, tanto se declinata ai sensi dell' articolo 18 della Legge numero 349/1986 , quanto se associata al TUA, comprende tutte le conseguenze dei fatti accertati, dalla perdita definitiva correlabile alla distruzione o al deterioramento o peggioramento qualitativo di una risorsa ambientale, e finanche all'alterazione del bene ambiente in sé considerato, consistente nella modificazione definitiva dell'equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio con una visibile modificazione degli assetti precedenti cfr. Cass. numero 8662/2017 , Cass. numero 8468/19 . La necessità del rinvio pregiudiziale Siffatta interpretazione dell'articolo 2506- bis c.c. è ad avviso della Corte da prediligere anche in funzione della ratio di tutela del creditore che la sottende. D'altronde anche la Corte di giustizia, esaminando rispetto alle scissioni delle società a responsabilità limitata il problema della tutela degli interessi dei creditori della società scissa ai fini dell'azione pauliana, ha esplicitamente riconosciuto che la IV Direttiva impone, a termine dell'ottavo considerando, che i creditori, obbligazionisti o meno, ed i portatori di altri titoli delle società partecipanti alla scissione devono essere tutelati onde evitare che la realizzazione della scissione li leda. E che quindi ogni interpretazione delle afferenti norme deve garantire la sicurezza giuridica nelle relazioni sia fra le società partecipanti alla scissione che fra queste e i terzi. Osserva però la Corte come la enunciata interpretazione dell'articolo 2506- bis implichi una conforme esegesi della corrispondente formula che caratterizza la VI Direttiva CE, rilevante pro tempore rispetto ai fatti accertati in causa. L'articolo 3 della VI Direttiva, applicabile anche alla scissione mediante costituzione di nuove società articolo 22 , contiene in vero la regola per cui se un elemento del patrimonio passivo non è attribuito nel progetto di scissione e l'interpretazione di quest'ultimo non permette di deciderne la ripartizione, ciascuna delle società beneficiarie ne è solidalmente responsabile. Gli Stati membri possono prevedere che questa responsabilità solidale sia limitata all'attivo netto attribuito a ciascuna società beneficiaria . In sostanza si basa su dicitura incentrata su concetto analogo a quello poi trasposto nella norma interna elemento del patrimonio passivo non attribuito nel progetto di scissione . Il quesito formulato alla Corte di Giustizia L'equivalenza di formulazione impone dunque alla Corte, di attivare, ai sensi dell' articolo 267 del TFUE , il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia onde verificare l'inesistenza, nella Direttiva, di ostacoli interpretativi rispetto alla anzidetta esegesi della norma interna. Il quesito sottoposto alla Corte di giustizia è il seguente «se l'articolo 3 della VI direttiva, applicabile articolo 22 pure alla scissione mediante costituzione di nuove società, - nella parte in cui stabilisce che a se un elemento del patrimonio passivo non è attribuito nel progetto di scissione e l'interpretazione di quest'ultimo non permette di deciderne la ripartizione, ciascuna delle società beneficiarie ne è solidalmente responsabile , e che b gli Stati membri possono prevedere che questa responsabilità solidale sia limitata all' attivo netto attribuito a ciascuna società beneficiaria - osti a un'interpretazione della norma di diritto interno costituita dall' articolo 2506 bis, terzo comma, c.c. che intenda la responsabilità solidale della beneficiaria riferibile, quale elemento del passivo non attribuito dal progetto, oltre alle passività di natura già determinata, anche i a quelle identificabili nelle conseguenze dannose, prodottesi dopo la scissione, di condotte commissive o omissive venute in essere prima della scissione stessa o ii delle condotte successive che ne siano sviluppo, aventi natura di illecito permanente, generative di un danno ambientale, i cui effetti, al momento della scissione, non siano ancora compiutamente determinabili». Attesa la particolare rilevanza dell'oggetto del giudizio, anche in prospettiva economica, la Prima Sezione della Corte di Cassazione chiede che la questione venga esaminata dalla Corte di giustizia con procedura di urgenza e sospende il giudizio il giudizio per cassazione fino all'esito del rinvio.

Presidente De Chiara – Relatore Terrusi Fatti di causa La S. s.p.a. in amministrazione straordinaria convenne dinanzi al Tribunale di Milano la omissis s.p.a., oggi omissis PLC, e le pubbliche amministrazioni indicate in epigrafe, chiedendo che fosse accertata, anche rispetto alle dette amministrazioni, la corresponsabilità solidale della omissis per tutti i debiti - per oneri di bonifica e per danno ambientale - ascrivibili alle responsabilità di S. s.p.a. anteriori alla scissione societaria ideata e realizzata il 13 maggio 2003, con effetti dal 2 gennaio 2004, della quale la società convenuta era stata costituita beneficiaria. La domanda di accertamento fu correlata alle ingenti pretese risarcitorie azionate in varie sedi dal Ministero dell'ambiente nei confronti della S. s.p.a., in relazione all'attività di produzione e commercializzazione di prodotti chimici esercitata, per il tramite delle controllate società C. e C. Chimica, presso tre siti industriali Omissis essa trovò fondamento nell'articolo 2504 decies c.c. nel testo allora vigente, stante l'operazione di scissione che, a dire di S. s.p.a., aveva determinato la costituzione della nuova società omissis previo trasferimento a questa di tutte le partecipazioni detenute nel settore biomedicale. La S. s.p.a., a fronte della regola limitativa dettata dall'articolo 2504 octies c.c., quanto alla rilevanza del valore effettivo del patrimonio netto trasferito, sostenne che la responsabilità di omissis dovesse peraltro ritenersi illimitata, perché oneri di bonifica e danni ambientali, ove accertati, avrebbero integrato elementi del passivo la cui destinazione non sarebbe stata desumibile dal progetto di scissione. Radicatosi il contraddittorio, le amministrazioni convenute chiesero la condanna di omissis al risarcimento dei danni in solido con S. s.p.a L'adito tribunale dichiarò il difetto di interesse di S. s.p.a. e respinse tutte le domande proposte dalle pubbliche amministrazioni. La sentenza venne gravata da appello da parte dei Ministeri e della Presidenza del Consiglio dei ministri. La omissis , costituitasi, propose a sua volta impugnazione incidentale nel capo relativo alle spese processuali e impugnazione incidentale condizionata in ordine ad alcune questioni di merito. La Corte d'appello di Milano, con sentenza non definitiva numero 973 del 2019, ha accertato la corresponsabilità di S. s.p.a. e di omissis per la mancata esecuzione delle misure di riparazione ambientale relativamente ai tre siti in questione. Ha accertato invero la responsabilità di omissis in quanto i debiti derivanti dagli oneri di bonifica e dai danni ambientali costituivano elementi del passivo di S. s.p.a., noti ma la cui destinazione non era desumibile dal progetto, in forza dell'articolo 2504 octies vecchio testo c.c., comma 3. Ha però ritenuto che il quadro normativo al quale far riferimento dovesse essere quello di cui alla riforma di diritto societario D.Lgs. numero 6 del 2003 , giacché l'operazione di scissione aveva avuto effetto, formalmente, dal 2 gennaio 2004, data di iscrizione dell'atto al registro delle imprese. Ha quindi riconosciuto l'effettività del nesso causale tra l'attività svolta da S. s.p.a. e dalle società a essa riferibili e l'inquinamento delle aree, e quindi la responsabilità di S. s.p.a. quale proprietaria delle aree e degli stabilimenti, e gestore diretto e capogruppo delle società via via partecipate e acquisite nonché solidalmente la responsabilità di omissis , limitatamente all'attivo conferito secondo il regime ancorato al nuovo articolo 2506 bis c.c. , comma 3. Con sentenza definitiva numero 3294 del 2021, all'esito di un'articolata c.t.u., accogliendo l'appello principale proposto dalle amministrazioni, la corte ha infine condannato omissis PLC, già omissis s.p.a., entro il limite dell'attivo conferito per effetto della scissione societaria, a rimborsare i costi associati alla riparazione primaria e compensativa del danno ambientale causato dalle attività delle società riconducibili al Gruppo S. s.p.a. nei tre siti sopra indicati, quantificandoli in complessivi 453.587.327,48 EUR, di cui 155.874.699,83 EUR per capitale fruttifero, da restituire alla parte soccombente al verificarsi della condizione tratta dalla stessa c.t.u. vale a dire allorché le concentrazioni di contaminanti nei relativi acquiferi fossero scese sotto i limiti di legge. La società omissis ha proposto un primo ricorso per cassazione contro la sentenza non definitiva, iscritto al numero r.g. 25206-19, sorretto da otto motivi. L'avvocatura generale dello Stato, nell'interesse di tutte le amministrazioni pubbliche, ha replicato con controricorso nel quale ha eccepito l'inammissibilità del ricorso avversario perché la difesa della società aveva formulato riserva di impugnazione ai sensi dell' articolo 361 c.p.c. , malgrado la stessa difesa avesse vanamente richiesto alla corte d'appello la riapertura del verbale onde correggerlo, e sostenuto che in quello non fosse stata rappresentata la effettiva volontà della parte. Ha in ogni caso proposto due motivi di ricorso incidentale. La società omissis ha inoltre proposto un secondo ricorso per cassazione iscritto al numero r.g. 31634-21 , questa volta contro entrambe le sentenze, complessivamente deducendo dodici motivi, otto riferiti alla sentenza non definitiva e quattro alla definitiva. L'avvocatura generale dello Stato, ancora nell'interesse di tutte le amministrazioni pubbliche, ha replicato con controricorso, nel quale ha ribadito l'eccezione di inammissibilità del primo ricorso per cassazione, a suo dire non incisa dall'eventuale riunione conseguente ad apposita istanza della ricorrente, e ha proposto tre motivi di ricorso incidentale, indicandoli infine come comuni a entrambe le sentenze. La ricorrente principale ha replicato al ricorso incidentale con apposito controricorso. Le parti hanno depositato memorie.   Ragioni della decisione I. - Riunione dei ricorsi. I ricorsi vanno innanzi tutto riuniti ai sensi dell' articolo 335 c.p.c. . II. - Ammissibilità del ricorso iscritto al numero 31634-21. L'eccezione pregiudiziale dell'avvocatura dello Stato circa il ricorso iscritto al numero 25206-19, per quanto incentrata su rilievi esatti, non incide sull'ammissibilità del secondo ricorso iscritto al numero 31634-21, relativo a entrambe le sentenze. L'impugnazione immediata di una sentenza non definitiva, di cui la parte si sia riservata l'impugnazione differita, è inammissibile v. Cass. Sez. 3 numero 9387-03, Cass. Sez. 2 numero 24141-04, Cass. Sez. 2 numero 10856-08, Cass. Sez. 3 numero 18188-14 sicché erra da questo punto di vista la società ricorrente nel sostenere la legittimità di una eventuale revoca della riserva da svolgere mediante la riapertura del verbale d'udienza. Del resto, risulta dagli atti, ed è ammesso dalla stessa difesa della società, che il verbale non è stato poi riaperto, onde emendarlo nel senso da essa indicato. Tuttavia è decisiva ai fini dell'ammissibilità del secondo ricorso, e della non incidenza dell'errore riguardante il primo, la circostanza che la società ha altresì proposto per l'appunto un nuovo tempestivo ricorso per cassazione il numero 31634-21 avverso entrambe le sentenze, definitiva e non definitiva, in esatta consonanza con la formulata riserva e in base alla giurisprudenza di questa Corte, anche a sezioni unite, è sempre possibile, nell'osservanza del principio di consumazione dell'impugnazione e dei relativi termini, la proposizione di un nuovo ricorso per cassazione in sostituzione di quello che per primo sia stato invalidamente proposto ma che non sia stato ancora dichiarato inammissibile v. Cass. Sez. U numero 6691-20 , Cass. Sez. 1 numero 18604-14, Cass. Sez. 3 numero 2848-15, Cass. Sez. 3 numero 8606-11, Cass. Sez. Cass. Sez. L numero 13257-10 . Ne segue che il ricorso iscritto al numero 31634-21, in quanto tempestivo in rapporto alla riserva ex articolo 361 c.p.c. , ha funzione sostitutiva di quello di cui al numero 25206-19, inammissibile ma la cui inammissibilità non è stata prima dichiarata, e deve essere esaminato nel merito delle censure svolte contro entrambe le sentenze. Egualmente dicasi per il controricorso dell'avvocatura relativo al ricorso più recente, comprensivo di ricorso incidentale, nel quale risultano riproposte le due censure di cui all'incidentale originario, con l'aggiunta del terzo motivo concernente la sentenza definitiva. III. - I motivi del ricorso principale contro la sentenza non definitiva. I primi otto motivi del ricorso principale sono relativi, come detto, alla sentenza non definitiva. I motivi sono i seguenti. i Violazione o falsa applicazione dell' articolo 2506 bis c.c. , in ordine alla possibilità di desumere la destinazione delle asserite responsabilità ambientali nella scissione, nonché omesso esame di fatto decisivo a proposito del non considerato complessivo contenuto del progetto di scissione. Si sostiene che la scissione aveva avuto il chiaro obiettivo di conferire a omissis solo le partecipazioni afferenti al settore biomedicale, mentre tutte le attività e passività non espressamente assegnate, e in particolare quelle del settore chimico, erano destinate a permanere in capo a S. s.p.a Si censura la sentenza sul rilievo che la corte d'appello avrebbe tratto le conclusioni circa la responsabilità solidale di omissis dall'essere i debiti originati da fatti e circostanze precedenti la scissione e costituenti elementi noti del passivo di S. s.p.a., a fronte del patrimonio netto di omissis quantificato nel progetto di scissione senza contemplare alcuna specifica assegnazione di debiti . Di contro l' articolo 2506 bis c.c. , impone la solidarietà passiva tra la società scissa e la beneficiaria nelle sole ipotesi in cui la destinazione di un elemento del passivo non sia in alcun modo desumibile dal progetto di scissione nel suo complesso, che pure la corte assume, nel caso di specie, di aver considerato. A dire della ricorrente, quindi, il progetto di scissione aveva fornito, nel caso concreto, tutti gli elementi perché potesse ritenersi desumibile l'allocazione delle eventuali responsabilità ambientali, in quanto lo stesso tribunale lo aveva indicato come propriamente e inequivocabilmente costruito intorno alla separazione delle attività del settore biomedicale le uniche trasferite alla beneficiaria omissis da tutte le altre attività riferibili alla originaria S. s.p.a. . ii Violazione o falsa applicazione degli articolo 2506 bis e 2506 quater c.c. , per l'errata attribuzione a omissis anche di quei danni generati da condotte omissive o commissive tenute successivamente alla scissione, in violazione del limite temporale posto dalla normativa in rapporto agli elementi del passivo o ai debiti già esistenti al tempo della scissione medesima. Si censura la sentenza perché avrebbe omesso di rilevare la differenza di ambito applicativo che sussiste tra le evocate discipline, essendo l' articolo 2506 bis c.c. , incentrato sugli elementi del passivo e l'articolo 2506 quater, viceversa sui debiti insoddisfatti. Secondo la ricorrente la distinzione tra i concetti - asseritamente disattesa dalla corte territoriale - avrebbe dovuto condurre a includere nella nozione contabile di debito solo le passività di natura determinata ed esistenza certa, con scadenza e ammontare determinato, non confondibile con i fondi per rischi, con gli oneri e con gli impegni , visto che codesti - per l'appunto costituenti elementi del passivo - sarebbero rilevanti solo ai diversi fini dell' articolo 2506 bis c.c. . iii Violazione o falsa applicazione dell' articolo 2497 c.c. , e, in subordine, dell'articolo 2043, per avere la sentenza imputato a S. s.p.a. le responsabilità ambientali delle controllate a titolo di capogruppo, in violazione della disciplina sulla responsabilità da direzione e coordinamento e di quella sulla distinta personalità giuridica delle singole società. La critica della ricorrente si dipana dal rilievo che la disciplina di cui all' articolo 2497 c.c. , in tema di responsabilità da direzione e coordinamento ha natura prettamente sostanziale e, pertanto, non sarebbe direttamente applicabile a una domanda che investe condotte ed eventi di danno realizzati già in epoca precedente l'entrata in vigore del D.Lgs. numero 6 del 2003 . Poiché la scissione si e', nel caso concreto, perfezionata il 2 gennaio 2004, le uniche condotte rilevanti ai fini dell'insorgenza di eventuali responsabilità in capo a omissis in solido con S. s.p.a. avrebbero dovuto essere quelle precedenti alla scissione. Da tanto la corte d'appello avrebbe dovuto dedurre l'inapplicabilità dell' articolo 2497 c.c. al caso di specie. Dopodiché la ricorrente aggiunge che in ogni caso l' articolo 2497 c.c. , riguardando l'azione fatta valere dai creditori di una società eterodiretta per il danno subito a causa della lesione all'integrità del patrimonio causata dalla eterodirezione abusiva, non sarebbe pertinente. E questo perché la parte attrice nel concreto non è stata riconosciuta come creditore della eterodiretta, cioè della società C., non essendo stata ammessa allo stato passivo di quest'ultima né sarebbe stata legittimata a esercitare l'azione perché, essendo C. in amministrazione straordinaria, ai sensi dell' articolo 2497 c.c. , l'azione spettante ai creditori di C. avrebbe dovuto essere esercitata dal commissario straordinario. Del resto la sentenza - tanto la parziale quanto la definitiva - non avrebbe individuato le condotte di S. s.p.a. determinative dell'impoverimento della società C., e neppure in vero affermato il carattere abusivo dell'eterodirezione di S. s.p.a iv Violazione o falsa applicazione della L. numero 349 del 1986, articolo 18, articolo 311 e 300 del Testo unico dell'ambiente breviter, T.u.a. e del D.Lgs. numero 92 del 1997, articolo 17, e articolo 2043 c.c. , per avere la corte d'appello fornito una interpretazione errata del principio chi inquina paga , nonché una errata estensione retroattiva dell'applicazione delle obbligazioni di bonifica anche in combinato disposto con l' articolo 2504 bis c.c. , nella versione anteriore alla riforma. Si sostiene che la corte d'appello, interpretando ed applicando correttamente il principio di matrice comunitaria, avrebbe dovuto rilevare che il danno ambientale lamentato dalle pubbliche amministrazioni era in realtà relativo a una situazione di contaminazione non riconducibile, nella sua interezza, alle attività del Gruppo S. s.p.a./C., né tantomeno alle singole società del Gruppo che si erano succedute e avevano operato nei siti, per lo meno in mancanza di una precisa e rigorosa allegazione e prova di quali forme di contaminazione fossero state riconducibili alle società suddette rispetto a quelle riconducibili ad altre fonti, naturali o artificiali. v Violazione o falsa applicazione dell' articolo 2462 c.c. , in tema di responsabilità di S. s.p.a. quale socio unico della C. s.r.l., e violazione dell' articolo 112 c.p.c. Si assume che la corte territoriale non avrebbe rilevato che la corresponsabilità in capo alla controllante, che abbia omesso la dichiarazione di unipersonalità, si verifica solo a far data dal perfezionamento della condizione dell'insolvenza della società controllata, con la conseguente esclusione di una responsabilità in capo a omissis , in via solidale con S. s.p.a., per le obbligazioni sorte in capo a quest'ultima solo successivamente alla scissione e si sostiene che il mancato corretto inquadramento della questione, oggetto dell'appello incidentale proposto da omissis , avrebbe comportato la conseguente omessa pronuncia sulla questione ivi dedotta. vi Violazione o falsa applicazione dell' articolo 2497 c.c. , in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno ambientale, avendo la sentenza omesso di considerare che a partire dal 2 gennaio 2004 ossia dalla sua costituzione la omissis non aveva avuto la disponibilità dei siti e, quindi, la possibilità di adottare alcuna misura riparatoria e/o ripristinato ria. vii Violazione o falsa applicazione dell'articolo 303 del T.u.a. D.Lgs. numero 152 del 2006 e della L. numero 349 del 1986, articolo 18, e articolo 2043 c.c. , per avere l'impugnata sentenza applicato retroattivamente la disciplina della parte VI del testo unico citato rispetto a fenomeni di inquinamento manifestatisi prima della sua entrata in vigore. viii Violazione o falsa applicazione delle medesime norme in base alla erronea applicazione retroattiva della Parte VI del T.u.a., con particolare riferimento ai fenomeni di inquinamento risalenti a oltre 30 anni prima rispetto al danno attuale. Si assume che la corte territoriale, errando, non avrebbe ritenuto di dare applicazione alla specifica disciplina prevista per gli inquinamenti cd. storici , ancora una volta riducendo la contaminazione a un unico compatto fenomeno seppure nel tempo società distinte avessero operato nei siti, producendo sostanze chimiche diverse in tempi diversi e dunque altrettanto erroneamente avrebbe deciso alla luce del solo criterio della permanenza di un danno attuale. IV. - I motivi del ricorso principale contro la sentenza definitiva. Gli ulteriori motivi del ricorso principale sono relativi alla sentenza definitiva. I motivi sono i seguenti. ix Nullità della sentenza per acquisizione e utilizzo di documenti tardivi, e quindi inammissibili, in violazione dell' articolo 345 c.p.c. . Si sostiene che nel corso del giudizio d'appello le pubbliche amministrazioni avevano prodotto molteplici documenti, poi considerati rilevanti dalla corte d'appello ai fini della quantificazione del danno ambientale, e si eccepisce che detti documenti non si sarebbero potuti ritenere accessibili dai c.t.u. ai fini dell'accertamento di un deterioramento ambientale e della quantificazione degli importi corrispondenti alle misure di riparazione del danno. x Violazione o falsa applicazione degli articolo 1223,2056,2057 e 2058 c.c. , e dell'articolo 2506 bis c.c., nonché della complessiva disciplina del T.u.a., in relazione ai criteri di liquidazione del danno. Il motivo compendia distinte doglianze, tutte relative ai criteri liquidatori prescelti dal giudice a quo a la liquidazione mediante l'adozione del deposito fruttifero , rispetto alla quale si obietta che il danno è costituito dalla contaminazione di una falda acquifera, e che si tratta di un danno attuale, suscettibile di essere rimosso con le giuste misure b l'avvenuta adozione di una misura di stampo cautelativo, anziché risarcitorio, oltre tutto per un tempo indefinito rimesso all'arbitraria valutazione della controparte, visto che il momento finale della detta misura, costituito dalla restituzione del capitale a omissis , non sarebbe identificabile c l'intervenuta violazione dei principi di sostenibilità e di proporzionalità, in quanto il costo ambientale discendente dalla statuizione, integrato da una misura come il deposito fruttifero di una somma esorbitante a copertura di costi minimi, e per giunta potenzialmente inefficace, sarebbe non sostenibile per l'operatore, e come tale sproporzionato rispetto all'ipotetico vantaggio in termini di ripristino ambientale d la violazione della regola di risarcibilità del danno ambientale, stante la ritenuta identificazione del danno col superamento della semplice soglia di contaminazione cd. CSC , anziché della più specifica e stringente soglia di rischio cd. CSR e la necessità di escludere in ogni caso i sedimenti dalle matrici ambientali considerate come risorse contaminate, giacché l'articolo 300 del T.u.a. non li contemplerebbe tra le risorse medesime f l'erronea identificazione delle cd. misure riparatorie compensative, che sarebbero state identificate per effetto di una non corretta interpretazione della normativa tratta dalla Direttiva 2004/35-CE, la quale imporrebbe - si dice - un'analisi di equivalenza per determinare il tipo e la quantità di risorse e servizi perduti a causa del danno ambientale e la quantità di azioni di riparazione complementare e compensativa necessarie per compensare la perdita. xi Nullità della sentenza per violazione dell' articolo 112 c.p.c. , essendo stata omessa la decisione su parte della domanda avanzata dalle pubbliche amministrazioni, e per ultrapetizione. La critica della ricorrente si appunta nuovamente sulla scelta di prevedere un risarcimento del danno in forma di capitale fruttifero , sostenendosi che si sarebbe trattato di soluzione non rispondente alla domanda erariale, in quanto nessun importo sarebbe stato liquidato a titolo risarcitorio. Si aggiunge poi che la statuizione legittimerebbe il concreto rischio che l'importo possa infine risultare superiore al danno effettivamente patito, esponendo la società a conseguenze dannose per un periodo indefinito. xii Nullità della sentenza per violazione degli articolo 112,153,177,178 e 294 c.p.c. , articolo 24 e 111 Cost. , non avendo la corte d'appello provveduto sull'istanza di rimessione in termini avanzata col fine di discutere della rilevanza di un accordo intervenuto tra il Ministero dell'ambiente e la C. Omissis in data 18 ottobre 2021, di rilevante impatto sulla determinazione del danno. V. - I motivi del ricorso incidentale. Il ricorso incidentale dell'avvocatura dello Stato presenta motivi comuni alla sentenza non definitiva e a quella definitiva. I motivi sono i seguenti. i Violazione o falsa applicazione degli articolo 2506 bis , 2506 quater e 2504 octies c.c., nella parte in cui, ai fini della individuazione del limite di responsabilità per la beneficiaria della scissione, la corte d'appello ha ritenuto applicabile al caso concreto la disciplina di diritto societario successiva alla riforma del 2003, anziché quella di cui alle norme anteriori. Si assume che la corte d'appello non avrebbe considerato che vi era stato un abuso dello strumento della scissione, con riferimento all' articolo 2 Cost. , articolo 1175,1176 e 2740 c.c. , stante l'ingiustificato ritardo col quale la scissione, già deliberata il 13 maggio 2003, era stata iscritta al registro delle imprese il 4 gennaio 2004 . ii Violazione o falsa applicazione degli articolo 2506 bis , 2506 ter e 2506 quater c.c. , per abuso dello strumento della scissione articolo 1175,1176 e 2740 c.c. , poiché la corte d'appello, nella sentenza non definitiva, non ha escluso che l'iscrizione al registro delle imprese sia avvenuta al precipuo scopo di beneficiare della normativa sopravvenuta. Se ne desume che la delimitazione di responsabilità tratta dal quadro normativo di cui all'articolo 2506 bis e seg., non si sarebbe potuta ravvisare, in quanto predicabile solo in circostanze fisiologiche , non anche invece in caso di anomalie della sequenza procedimentale finalizzate a comprimere la tutela risarcitoria. iii Violazione o falsa applicazione dei principi Eurounitari in materia ambientale articolo 191 del TFUE e articolo 3 ter del T.u.a. che, in nome del principio chi inquina paga , consentono di individuare il centro di imputazione del danno sulla base di una nozione unitaria di impresa, nel concreto rinvenibile tra la S. s.p.a. e la omissis / omissis . VI. - Considerazioni preliminari. A Apparente infondatezza dei motivi di ricorso incidentale. La Corte preliminarmente osserva che i motivi del ricorso incidentale, il cui esame è pregiudiziale in linea logica, non appaiono in grado di scalfire l'argomentazione chiave della sentenza non definitiva in ordine alla soggezione della fattispecie in esame alle norme articolo 2506 bis c.c. e seg. successive alla riforma di diritto societario di cui al D.Lgs. numero 6 del 2003 . Difatti i primi due motivi del suddetto ricorso sono incentrati sulla questione dell'ipotetico abuso dello strumento societario giacché la delibera di scissione era stata già adottata a maggio del 2003 e quindi diversi mesi prima rispetto all'iscrizione dell'atto nel registro delle imprese. Ma sembra agevole replicare che il procedimento di scissione si articola in tre momenti, rispettivamente costituiti i dalla redazione e dalla pubblicità del progetto di scissione, ii dalla deliberazione di scissione e iii dalla stipula dell'atto di scissione. La delibera di scissione integra e costituisce la semplice approvazione, da parte della società, del progetto di scissione, in quanto l'operazione può ancora esser contestata dai creditori e dagli eventuali obbligazionisti mediante l'opposizione. Ne segue che è solo con l'atto di stipula di scissione, sottoscritto dal legale rappresentante in esecuzione della delibera assembleare, che la scissione acquisisce gli effetti civilistici, i quali decorrono dalla data di iscrizione di tale atto nel registro delle imprese articolo 2506 quater c.c. . Nel caso concreto non è contestato, né è contestabile, che l'iscrizione dell'atto sia avvenuta in data successiva all'entrata in vigore della riforma di cui al D.Lgs. numero 6 del 2003 , con la conseguenza che è corretta l'inferenza della corte territoriale tesa a sostenere che, ai fini specifici, la responsabilità della beneficiaria dovesse trovare agio nel nuovo articolo 2506 bis. Affermare che l'iscrizione in data 4 gennaio 2004 sia stata frutto di una condotta abusiva, e quindi evocare il principio cd. antiabuso, implicherebbe la necessità di individuare uno stravolgimento della finalità dell'atto rispetto alla cornice attributiva stabilita dalla legge. Cosa che, da un lato, implicherebbe accertamenti di fatto estranei al giudizio di legittimità, volta che la finalità ipotizzata dalla ricorrente è stata motivatamente contestata dalla difesa di omissis , e dall'altro non sarebbe ravvisabile neppure in astratto dinanzi alla decisione di eventualmente differire gli effetti civilistici di un atto a fronte del beneficio di una più favorevole disciplina normativa. Certamente l'abuso del diritto non presuppone una violazione in senso formale. Tuttavia, per consolidata giurisprudenza, si realizza quando nel collegamento tra il potere di autonomia conferito a un soggetto e il suo atto di esercizio, ne risulti alterata la funzione obiettiva rispetto al potere che lo prevede, ovvero lo schema formale del diritto sia finalizzato a obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore v. Cass. Sez. L numero 15885-18, Cass. Sez. 3 numero 26541-21 . La scelta di differire gli effetti della scissione mediante la stipula dell'atto in modo da poter fruire di una disciplina normativa in fieri e più favorevole non stravolge affatto la funzione dell'atto stesso, ma corrisponde a una legittima opzione dell'autonomia privata. Il terzo motivo del ricorso incidentale non sembra, poi, alla Corte ammissibile, giacché presuppone il vaglio della fattispecie identificata dalla nozione unitaria d'impresa, coinvolgente tutte le società in mano agli stessi soggetti, che non risulta esser stata prospettata nella sede di merito a fondamento della domanda, e che risulta in contraddizione con la causa petendi unicamente incentrata sulla rilevanza della scissione. B Apparente infondatezza del primo motivo del ricorso principale. Sempre alla stregua di considerazione preliminare, la Corte ulteriormente osserva che non sembra potersi seguire l'argomentazione svolta dalla difesa di omissis nel primo motivo del ricorso principale. Quella in esame è stata, con tutta evidenza, una scissione parziale. La regola affermata dall' articolo 2506 bis c.c. , e', in ipotesi di scissione parziale, quella per cui degli elementi del passivo la cui assegnazione non sia desumibile dal progetto di scissione rispondono solidalmente la scissa e la beneficiaria. La responsabilità solidale della beneficiaria è limitata al valore effettivo del patrimonio netto attribuito v. in proposito Cass. Sez. 6-2 numero 36690-21 . La ricorrente sostiene che ai fini della norma debbono venire in considerazione gli elementi del passivo per i quali non sia possibile individuare alcuna allocazione, neppure implicita , alla luce di un esame complessivo del progetto di scissione e che quindi solo nell'ipotesi in cui il progetto di scissione non fornisca alcun elemento interpretativo per potere affermare con certezza che un elemento del passivo sia inerente al patrimonio di una delle società coinvolte nell'operazione di scissione troverebbe applicazione il principio di solidarietà passiva tra tutte le società, a tutela dei creditori. Secondo omissis il progetto di scissione relativo alla società omissis forniva tutti gli elementi perché potesse ritenersi desumibile l'allocazione delle eventuali responsabilità ambientali. Sicché la corte d'appello avrebbe dovuto trarre dall'esame complessivo e sistematico del progetto la stessa conclusione alla quale era addivenuto il tribunale, e cioè che, essendo stato l'intero progetto di scissione propriamente e inequivocabilmente costruito intorno alla separazione delle attività del settore biomedicale le uniche trasferite alla beneficiaria omissis da tutte le altre attività riferibili alla originaria S. s.p.a., le passività di natura ambientale, afferendo al settore chimico, non potevano che essere rimaste imputate a S. s.p.a La tesi, oltre che inammissibilmente versata in fatto quanto al contenuto implicito del progetto di scissione, non appare condivisibile giuridicamente, poiché si basa su un presunto automatismo deduttivo, da associare al concetto di inerenza del debito al settore di attività, che nella norma non esiste. Il concetto di inerenza al settore di attività è diverso da quello insito nell'espressione destinazione degli elementi del passivo desumibile dal progetto di scissione. L'unico concetto al quale risponde l' articolo 2506 bis c.c. , per escludere la responsabilità solidale della beneficiaria verso il terzo, è quello di effettiva e certa destinazione delle componenti del passivo in base al progetto. Nel lessico del codice civile il termine evoca il significato di una necessaria e puntuale risultanza del progetto - e quindi, appunto, di una effettiva e certa destinazione degli elementi passivi al patrimonio dell'uno o dell'altro soggetto -, perché la norma è ispirata alla tutela dei creditori e il regime delle passività di incerta destinazione non può esser considerato a detrimento del danneggiato. Solo nei rapporti interni tra la scissa e la beneficiaria si può discutere, nel silenzio del legislatore e dinanzi a elementi del passivo di incerta destinazione, di un criterio di distribuzione eventualmente fondato sul principio di pertinenza, a correzione di quello residuale di eguale suddivisione di cui all' articolo 1298 c.c. , u.c La corte d'appello ha accertato che la destinazione degli elementi del passivo non era desumibile dal progetto di scissione. Si tratta di una valutazione di merito. La critica della ricorrente a tal riguardo è essa stessa critica di merito, insuscettibile di trovare ingresso in sede di legittimità. VII. - La questione prospettata ai fini del rinvio pregiudiziale. E' invece essenziale lo scrutinio del secondo motivo del ricorso principale, per il quale si impone una verifica di compatibilità col diritto comunitario, e segnatamente con la VI Direttiva del Consiglio numero 82/891-CEE, dell'interpretazione della norma interna l' articolo 2506 bis c.c. che la Corte reputa preferibile rispetto all'alternativa sostenuta dalla ricorrente. Per tale ragione appare necessario attivare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia della UE ai sensi dell' articolo 267 del TFUE . La questione prospettata attiene, specificamente, al concetto di elemento del patrimonio passivo non attribuito nel progetto di scissione di cui all'articolo 3 della citata VI Direttiva, da considerare quale parametro del concetto di elementi del passivo, la cui destinazione non è desumibile dal progetto che contraddistingue l' articolo 2506 bis c.c. italiano, ai fini della responsabilità solidale della beneficiaria di un'operazione di scissione parziale. VIII. - Il contesto di fatto. i Occorre premettere che in punto di fatto è stato accertato dalla corte d'appello di Milano - tanto nella sentenza non definitiva, quanto in quella definitiva, e in questo caso alla luce della espletata c.t.u. - che esiste un nesso di causalità tra l'attività svolta da S. s.p.a. e dalle società a essa nel tempo riferibili e l'inquinamento delle aree di cui è causa. In particolare è stata accertata la responsabilità di S. s.p.a. quale proprietaria delle aree e degli stabilimenti, gestore diretto e capogruppo delle società via via partecipate e acquisite, per un'intensa attività di sfruttamento ambientale protrattasi, nei tre siti, per quasi un secolo, con gravissime conseguenze di contaminazione e di inquinamento. Tale responsabilità è stata oltre tutto ammessa dalla stessa S. s.p.a. fin dalla citazione, così come ancora risulta dalla sentenza. Nella sentenza non definitiva è stata sottolineata la sicura anteriorità cronologica di fatti e circostanze originanti la responsabilità di S. s.p.a. alla data del 13 maggio 2003 , in quanto desumibile da elementi documentali appositamente menzionati, provenienti dagli organi societari di essa. La suddetta responsabilità si riferisce alle conseguenze dannose di un illecito permanente, suscettibili di aggravamento nel tempo e tali da risultare per loro stessa natura refrattarie a rigide linee di demarcazione rispetto alla risultante di un'operazione societaria come quella in esame. ii La ricorrente, nel secondo motivo, ha sostenuto che sarebbero stati illegittimamente ascritti alla omissis oggi omissis , quale beneficiaria della scissione, anche gli aggravamenti del danno verificatisi dopo la scissione. Osserva la Corte che questa affermazione è parziale e comunque non è congruente, volta che l'aggravamento evoca, secondo quanto stabilito dal giudice del merito, le conseguenze di un illecito permanente pur sempre ascrivibile alla responsabilità della scissa per condotte anteriori alla scissione. Rileva in tal senso la circostanza che il protrarsi della condotta commissiva o anche solo omissiva di S. s.p.a. dopo il gennaio 2004 è stato chiaramente descritto nella sentenza definitiva come mero sviluppo di quello antecedente attuato per anni. Da questo punto di vista la sentenza definitiva, in base alla c.t.u. dettagliatamente riportata negli esiti finali, ha determinato i danni - per riparazione primaria, complementare e compensativa - sull'accertato presupposto che l'inquinamento di tutte le aree fosse causalisticamente riconducibile, in via diretta o indiretta, all'attività di S. s.p.a. a prescindere dagli sviluppi successivi al gennaio 2004. Ciò è emerso nitidamente dal richiamo della sentenza alla risposta fornita dai c.t.u. al quarto quesito loro impartito di indicare cioè ove possibile e rilevante, quali fossero alla data del 2 gennaio 2004 le condizioni di inquinamento dei siti in esame, con relative misure di riparazione, come sopra specificate, e con i relativi costi . E' bene riportare testualmente quanto al riguardo emerge dalla sentenza suddetta. Al quesito i c.t.u. hanno fornito la seguente risposta - con riguardo al sito di Omissis -C. si ritiene che lo stato di inquinamento del sito in esame al 2 gennaio 2004 fosse analogo allo stato attuale, in termini di tipologia di inquinanti presenti, anche se si sono osservate oscillazioni temporali dei livelli di contaminazione in particolare per il CrVI . Come evidenziato nella relazione, la fonte di contaminazione è dovuta a pregresse attività di società riconducibili al gruppo S. S.P.A La produzione di PCB è ultimata nel 1984 mentre le attività che includevano l'utilizzo di Mercurio sono terminate nel 1997 e comunque prima del 2004 . Recenti ispezioni di ARPA Lombardia hanno evidenziato la presenza di ulteriori sorgenti primarie di contaminazione ed in particolare di Mercurio attive fino ad oggi. Tali sorgenti di contaminazione sono dovute all'incuria nella gestione attuale e passata dell'ex-area produttiva, legata ad attività precedenti al 2004 ciò in dipendenza della necessità di una urgente messa in sicurezza della Ditta C. in base a quanto già comunicato dall'Asl di Omissis che nel 2001 in base alla disamina dei dati di laboratorio e delle informazioni disponibili, vale a dire che dall'insediamento continuano ad essere rilasciate in ambiente esterno in particolare attraverso gli scarichi idrici sostanze es. PCB che contribuiscono, nel loro complesso, a peggiorare lo stato dell'ambiente stesso con possibili ripercussioni sulla salute umana. - con riguardo al sito di Omissis alla data in oggetto si ritiene che lo stato di inquinamento del sito in esame fosse del tutto analogo allo stato attuale, in quanto non si ravvisano sul sito di Omissis o nella Omissis dopo tale data, attività di alcun genere da parte delle società riconducibili al gruppo S. S.P.A. - con riguardo al sito di C.- Omissis dall'analisi della documentazione consultata, e dalla ricostruzione effettuata dagli scriventi, risulta che alla data del 2 gennaio 2004 tutti i principali fenomeni di inquinamento emersi dalle indagini di caratterizzazione ambientale fossero già consolidati. L'attività dello stabilimento infatti, avviata negli anni ‘30, ha subito un forte ridimensionamento a partire dalla fine degli anni ‘90. Le principali sorgenti della contaminazione, rappresentate dai depositi di residui dei processi lavorativi sparsi in diverse aree dello stabilimento, erano in loco da molti anni e non si è a conoscenza di contributi successivi a tale data. Ulteriore elemento a sostegno di tale tesi è che la dispersione di mercurio nelle acque dei canali lagunari, attraverso gli scarichi delle acque derivanti dal processo di lavorazione della cloro-soda, è stata interrotta a partire dal 1980. Infine non risultano eventi di perdite, sversamenti, incidenti di alcun tipo che possano aver fornito un ulteriore contributo all'inquinamento in sito. Le analisi condotte sulle acque di falda, seppur datate, hanno permesso di ricostruire nel 2013 un quadro di generale tendenza al miglioramento qualitativo, in ragione delle attività di messa in sicurezza realizzate dalla C. negli anni, che hanno consentito l'isolamento idraulico di molti accumuli di rifiuti o l'eliminazione in toto degli stessi, nonché l'intercettazione dei flussi idrici transitanti nelle aree maggiormente contaminate. Queste considerazioni consentono di affermare con sufficiente sicurezza, che successivamente alla data del 2 gennaio 2004 non si sia assistito a nessun incremento significativo della contaminazione. Come conseguenza, tutte le misure di riparazione primaria e complementare individuate e riportate nei capitoli precedenti, sono completamente da imputare alle attività dello stabilimento C. antecedente alla data del 2 gennaio 2004 . iii In sostanza, il contesto di fatto consente di ritenere accertata l'inesistenza di fenomeni incrementali dei livelli di inquinamento nei siti di Omissis e di Omissis , e che invece un incremento si è avuto nel sito di Omissis per la presenza - pur dopo il 2004 - di ulteriori sorgenti primarie di contaminazione e in particolare di Mercurio attive fino a oggi. Sorgenti di contaminazione che tuttavia pur sempre evocano il nesso causale con la condotta illecita di S. s.p.a. anteriore alla scissione, essendo dovute - si dice in sentenza - all'incuria nella gestione attuale e passata dell'ex-area produttiva, legata ad attività precedenti al 2004 . Da qui l'univoca conclusione della c.t.u., recepita dalla corte d'appello di Milano e costituente specifico accertamento di fatto, che per tutte le aree esiste il nesso causale tra attività industriale specifica posta in essere dalle società riconducibili al gruppo S. s.p.a. e le contaminazioni presenti in loco. iv Occorre aggiungere che un tale nesso appare esser stato definito in coerenza con la normativa Europea in materia di danno ambientale di cui alla Comunicazione 2021/C, 118/01, del 7.4.2021. Codesta, con riferimento alla pronuncia della Corte di giustizia in causa C-378/08, ha riconosciuto per quanto riguarda il nesso di causalità che, qualora la legislazione di uno Stato membro lo preveda, e' sufficiente presumere l'esistenza del nesso sulla base di indizi plausibili , che siano in grado di dare fondamento alla presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività . Il che è proprio quanto si desume dalla sentenza definitiva, in termini ben vero neppure specificamente censurati sul versante della motivazione. IX. - Il problema di diritto societario. In tale pacifico contesto di fatto si inserisce il problema posto dal secondo motivo di ricorso. La ricorrente principale sostiene che, ai sensi dell' articolo 2506-bis c.c. , non si potrebbero attribuire a essa beneficiaria i danni generati da condotte omissive o commissive tenute successivamente alla scissione, in violazione del limite temporale posto dalla normativa in rapporto agli elementi del passivo o ai debiti già esistenti al tempo della scissione medesima. Sicché la sentenza non definitiva è censurata per i riflessi sulla definitiva, in quanto avrebbe omesso di rilevare la differenza di ambito applicativo che sussiste tra le evocate discipline, essendo l' articolo 2506 bis c.c. , incentrato sugli elementi del passivo e l'articolo 2506 quater viceversa sui debiti . La distinzione tra i concetti - asseritamente disattesa dalla corte territoriale - dovrebbe condurre a includere nella nozione contabile di debito solo le passività di natura determinata ed esistenza certa, con scadenza e ammontare determinato, non confondibile con i fondi per rischi, con gli oneri e con gli impegni , visto che codesti - per l'appunto costituenti elementi del passivo - sarebbero rilevanti solo ai diversi fini dell' articolo 2506-bis c.c. . X. - La risposta della Corte. La risposta della Corte su questo punto e', in base alla norma di diritto interno, negativa in ordine alla presunta necessità di distinguere, anche ai fini della responsabilità solidale, i debiti dagli elementi del passivo col fine di intendere la norma stessa come tesa a riferire la solidarietà della beneficiaria solo al passivo già determinato prima della operazione di scissione. Non solo infatti la diversa affermazione di omissis involge profili di merito, oltre tutto con formulazione generica in ordine alla postulata irrilevanza del nesso causale tra gli accertati fatti di sfruttamento ambientale e di inquinamento e le conseguenze determinatesi negli anni, ma non tiene conto - come già sottolineato - della motivazione con la quale la corte territoriale ha accertato l'esistenza di un nesso di causalità tra l'attività imputabile a S. s.p.a. e alle società a essa nel tempo riferibili e l'inquinamento di tutte e tre le aree di cui è causa. Ne' la diversa affermazione di omissis si palesa congruente con l'essere stata quella di S. s.p.a. una condotta inquadrabile nella categoria dell'illecito permanente. Il carattere permanente dell'illecito suppone che anteriori alla scissione debbano essere semplicemente i fatti generatori delle conseguenze dannose poi accertate, in questo caso da intendere sulla base della identificazione dell'attività idonea a determinare la responsabilità dell'agente per la definizione di un danno ambientale fatti la cui anteriorità cronologica al 13 maggio 2003 la corte d'appello ha stabilito con netta sicurezza alla luce delle risultanze delle relazioni del c.d.a. di S. s.p.a. e dello stesso comitato di controllo del 2002 e del 2003. Discorrendosi di scissione societaria, è in ciò da riscontrare l'esistenza anteriore del debito risarcitorio ai fini dell'eventuale solidarietà, sembrando codesto chiaramente compreso nella più ampia espressione elementi del passivo impiegata dal legislatore italiano nell' articolo 2506-bis c.c. la quale espressione non implica alcuna predeterminata caratteristica qualitativa ai fini della potenziale assegnazione, potendo gli elementi del passivo ben essere rappresentati anche e proprio da debiti, e perfino da debiti autonomi rispetto agli asset che vengono scissi. Quel che resta dunque decisivo, ai fini dell'esegesi della norma interna, è che dal giudice del merito è stata accertata, a carico di S. s.p.a., l'anteriorità della condotta generativa del danno ambientale come configurata sia dalla L. numero 349 del 1986 , che dal D.Lgs. numero 152 del 2006 cd. T.u.a. , articolo 300 e seg Questa identifica l'ambito della responsabilità risarcitoria per il conforme illecito permanente. Il fatto rilevante può consistere nella violazione di una qualunque prescrizione riferita ad attività umana da cui possa derivare un'alterazione o un deterioramento significativo dell'ambiente desumibile dall'insieme delle regole dell'ordinamento, tra le quali rientrano sicuramente quelle relative all'illecito aquiliano e alla responsabilità derivante dall'esercizio di attività pericolose articolo 2050 c.c. . E difatti la nozione stessa di danno ambientale, tanto se declinata ai sensi della L. numero 349 del 1986, articolo 18, quanto se associata al T.u.a. articolo 300 , comprende - è stato detto in modo condivisibile - tutte le conseguenze dei fatti accertati, dalla perdita definitiva correlabile alla distruzione o al deterioramento o peggioramento qualitativo di una risorsa ambientale, e finanche all'alterazione del bene ambiente in sé considerato, consistente nella modificazione definitiva dell'equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio con una visibile modificazione degli assetti precedenti cfr. Cass. Sez. 3 numero 8662-17, Cass. Sez. 3 numero 8468-19 . XI. - La necessità del rinvio pregiudiziale. Questa interpretazione della norma di diritto interno è ad avviso del Collegio da prediligere senz'altro anche in funzione della ratio di tutela del creditore che la sottende. La stessa Corte di giustizia, con la sentenza 30-1-2020, esaminando rispetto alle scissioni delle società a responsabilità limitata il problema della tutela degli interessi dei creditori della società scissa ai fini dell'azione pauliana, ha d'altronde esplicitamente riconosciuto che la VI Direttiva impone, a termini dell'ottavo considerando, che i creditori, obbligazionisti o no, ed i portatori di altri titoli delle società partecipanti alla scissione devono essere tutelati onde evitare che la realizzazione della scissione li leda . E che quindi ogni interpretazione delle afferenti norme deve garantire la sicurezza giuridica nelle relazioni sia fra le società partecipanti alla scissione che fra queste e i terzi. Tuttavia, è ovvio che l'interpretazione dell'articolo 2506 bis c.c., qui prediletta implica una conforme esegesi della corrispondente formula che caratterizza la VI Direttiva CE, rilevante pro tempore rispetto ai fatti accertati in causa. L'articolo 3 della VI Direttiva, applicabile anche alla scissione mediante costituzione di nuove società articolo 22 , contiene in vero la regola per cui se un elemento del patrimonio passivo non è attribuito nel progetto di scissione e l'interpretazione di quest'ultimo non permette di deciderne la ripartizione, ciascuna delle società beneficiarie ne è solidalmente responsabile. Gli Stati membri possono prevedere che questa responsabilità solidale sia limitata all'attivo netto attribuito a ciascuna società beneficiaria . In sostanza si basa su dicitura incentrata su concetto analogo a quello poi trasposto nella norma interna elemento del patrimonio passivo non attribuito nel progetto di scissione . La sostanziale equivalenza di formulazione impone a questa Corte, quale giudice di ultima istanza, di attivare, ai sensi dell' articolo 267 del TFUE , il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia onde verificare dunque l'inesistenza, nella Direttiva, di ostacoli interpretativi rispetto alla anzidetta esegesi della norma interna. XII. - Il quesito. Il quesito sottoposto alla Corte di giustizia è il seguente - Se l'articolo 3 della VI direttiva, applicabile articolo 22 pure alla scissione mediante costituzione di nuove società, - nella parte in cui stabilisce che a se un elemento del patrimonio passivo non è attribuito nel progetto di scissione e l'interpretazione di quest'ultimo non permette di deciderne la ripartizione, ciascuna delle società beneficiarie ne è solidalmente responsabile , e che b gli Stati membri possono prevedere che questa responsabilità solidale sia limitata all'attivo netto attribuito a ciascuna società beneficiaria - osti a un'interpretazione della norma di diritto interno costituita dall' articolo 2506 bis c.c. , comma 3, che intenda la responsabilità solidale della beneficiaria riferibile, quale elemento del passivo non attribuito dal progetto, oltre alle passività di natura già determinata, anche i a quelle identificabili nelle conseguenze dannose, prodottesi dopo la scissione, di condotte commissive o omissive venute in essere prima della scissione stessa o ii delle condotte successive che ne siano sviluppo, aventi natura di illecito permanente, generative di un danno ambientale, i cui effetti, al momento della scissione, non siano ancora compiutamente determinabili . Attesa la particolare rilevanza dell'oggetto del giudizio, anche in prospettiva economica, si richiede che la questione venga esaminata dalla Corte di giustizia con procedura di urgenza. XIII. - Il giudizio è sospeso e gli atti sono rimessi alla Corte di giustizia. All'esito del rinvio pregiudiziale saranno esaminati i restanti motivi di ricorso. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, visto l 'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europe a e l 'articolo 295 c.p.c ., chiede alla Corte di giustizia dell'Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale e urgente, sulla questione di interpretazione del diritto comunitario indicata al par. XII della motivazione. Ordina la sospensione del processo e dispone che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla cancelleria della Corte di giustizia.