Condannato l’uomo che oltraggia la compagna ostentando le relazioni avute con altre donne

Riconosciuto dai giudici il reato di maltrattamenti in famiglia. Impossibile ridimensionare le accuse a carico dell’uomo. A inchiodarlo sono non solo le condotte violente tenute nei confronti della compagna ma anche l’ostentazione dei rapporti avuti con altre donne.

Condannato per maltrattamenti l'uomo che tiene nei confronti della compagna una condotta non solo violenta ma anche insultante, caratterizzata, per la precisione, dall' ostentazione dei frequenti rapporti da lui avuti con altre donne . Cass. pen., sez. VI, ud. 29 settembre 2022, dep. 3 novembre 2022, n. 41568 . Violenza . Ricostruita nei dettagli la triste vicenda, i giudici di merito ritengono legittima, sia in primo che in secondo grado, la condanna dell'uomo sotto processo, ritenuto colpevole di maltrattamenti nei confronti della compagna con cui convive, maltrattamenti consistiti non solo in condotte violente ma anche in atteggiamenti palesemente offensivi . Secondo il legale che rappresenta l'uomo, però, i giudici d'Appello hanno erroneamente valorizzato due episodi di violenza fisica, distanti nel tempo e caratterizzati da specifici moventi mentre la persona offesa non ha individuato altri specifici episodi nell'ambito di una relazione conflittuale e burrascosa che non prevedeva alcun obbligo di fedeltà . Su quest'ultimo punto si sofferma ancora il legale per sostenere che la relazione avuta dal suo cliente con altre persone non poteva costituire ragione di rimprovero e causa di umiliazione ai danni della donna. Disprezzo . La tesi difensiva viene respinta in modo netto dai giudici Cassazione, i quali ritengono, invece, accertata la condotta vessatoria tenuta dall'uomo nei confronti della sua compagna. In questa ottica il richiamo è ad una costante pesante condotta violenta ed ingiuriosa dell'uomo ai danni della donna. E in questo quadro va collocata, chiariscono i magistrati, anche l'ostentata frequenza, da parte dell'uomo, di rapporti con altre donne, volutamente accompagnata dal manifesto disprezzo della compagna, a lui legata da una stabile relazione implicante , precisano i giudici, un obbligo di reciproco rispetto . Impossibile, poi, secondo i giudici, ridimensionare la gravità della linea di condotta tenuta dall'uomo. A questo proposito viene richiamato un precedente a carico dell'uomo per un reato commesso con violenza alle persone e poi viene anche sottolineata la complessiva gravità oggettiva e soggettiva dei comportamenti dell'uomo, anche tenuto conto della loro durata nei tempo .

Presidente Fidelbo Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino, a seguito di gravame interposto dall'imputato F.T.J.D. avverso la sentenza emessa in data 24 maggio 2021 dal locale Tribunale, ha confermato la decisione con la quale il predetto è stato riconosciuto responsabile del reato di cui all' art. 572 c.p. ai danni della convivente. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato che con atto del difensore deduce 2.1. Con il primo motivo violazione dell' art. 572 c.p. e difetto di motivazione in relazione alla unitarietà delle condotte e alla sussistenza del dolo di maltrattamenti. La Corte di merito ha erroneamente considerato due episodi di violenza fisica distanti nel tempo e caratterizzati da specifici moventi senza che la parte offesa abbia individuato - nelle sue dichiarazioni - altri specifici episodi nell'ambito di una relazione conflittuale e burrascosa, che non prevedeva alcun obbligo di fedeltà rispetto al quale, pertanto, la relazione con altre persone non poteva costituire ragione di rimprovero e causa di umiliazione. 2.2. Con il secondo motivo violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla mancata esclusione della recidiva, riferita a condanne per le quali era intervenuta sia la causa di estinzione del reato ai sensi dell' art. 167 c.p. sia quella di cui all' art. 445 c.p. e, in ogni caso in assenza di una specifica valutazione in ordine alla maggior colpevolezza rispetto a una risalente condanna per fatto del 2009 commesso in giovanissima età. 2.3. Con il terzo motivo difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio che ha genericamente tenuto conto del solo risalente precedente e non del comportamento resipiscente del ricorrente in ordine al fatto per il quale si è proceduto. 3. Il procedimento si è svolto ai sensi del D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, art. 23, commi 8 e 9, conv. in L. n. 176 del 18 dicembre 2020 , i cui effetti sono stati prorogati dal D.L. n. 105 del 23 luglio 2021, art. 7, convertito dalla L. n. 126 del 16 settembre 2021 ed ancora, dal D.L. n. 228 del 30 dicembre 2021 art. 16, convertito in L. 25 febbraio 2022, n. 15 . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è genericamente proposto rispetto alla individuata articolata e perdurante condotta vessatoria ricostruita dal doppio conforme accertamento consistita in una costante pesante condotta violenta ed ingiuriosa ai danni della persona offesa alla quale non può essere sottratta l'ostentata frequenza da parte del ricorrente di rapporti con altre donne volutamente accompagnata dal manifesto disprezzo della stessa persona offesa, a lui legata da una stabile relazione implicante un obbligo di reciproco rispetto. 3. Il secondo motivo - quanto alla ritenuta estinzione delle precedenti condanne - è generico non essendo stata devoluta la specifica questione in appello quanto alla valutazione in ordine alla maggiore gravità è manifestamente infondato rispetto all'incensurabile valorizzazione a riguardo di un precedente per reato commesso con violenza alle persone in relazione alla commissione di un delitto abituale espresso anche con analoghe violenze. 4. Il terzo motivo è generica contestazione in fatto al corretto esercizio dei poteri discrezionali demandati al giudice di merito che ha considerato non solo il precedente penale a carico del ricorrente ma anche la complessiva gravità oggettiva e soggettiva del reato, anche tenuto conto della durata nel tempo della condotta. 5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.