Anche se riteniamo che lo schema attraverso cui opera il superbonus possa definirsi noto, pare utile, anche solo ai fini del presente commento, richiamarlo il committente richiede all’appaltatore l’esecuzione di opere atte a conseguire risparmio energetico in relazione alla propria abitazione non è il caso in questa sede di incamminarci lungo la strada dei mille distinguo tra le tipologie abitative che si sono generati in forza di una norma che certamente non verrà ricordata negli annali quali esempio di tecnica legislativa , l’appaltatore accetta di eseguirle.
Il prezzo richiesto per l'esecuzione delle opere anche qui sarebbe corretto specificare l'ammontare massimo del corrispettivo richiesto assoggettabile alla normativa può essere o integralmente corrisposto , generandosi in favore del committente credito fiscale di pari importo da utilizzarsi in 5 anni fiscali sempre ammesso che il contribuente goda della necessaria capienza, ovvero della possibilità di avere un debito di imposta almeno pari alla quota annuale per la quale gode del diritto alla compensazione, oppure può essere corrisposto, totalmente o parzialmente, attraverso il meccanismo dello sconto in fattura , cioè di applicazione da parte del committente di una percentuale di sconto rispetto all'ammontare complessivo del corrispettivo richiesto che può giungere sino al 100% del medesimo. Ovviamente sia il committente, nel caso in cui abbia corrisposto il prezzo, totalmente o parzialmente, sia l'appaltatore in modo del tutto analogo al committente, avranno maturato un credito fiscale pari al 110% del l'importo pagato o non riscosso a mezzo dello sconto in fattura. L'appaltatore, una volta maturato il credito di imposta potrà, a propria scelta o utilizzarlo nei limiti e con le modalità previste dal legislatore ovvero attraverso compensazione di imposte oppure cedere il proprio credito fiscale a terzi operatori qualificati. Terzi operatori fra i quali ovviamente rivestono qualifica privilegiata gli istituti di credito. Il caso La vicenda trae origine da un'indagine condotta dalla Procura della repubblica di Napoli che ipotizzava la commissione di truffe, evasione fiscale e falso finalizzati a beneficiare dei vantaggi portati e riconosciuti dalla normativa vigente in tema di c.d. superbonus . In tale ambito veniva richiesto provvedimento di sequestro impeditivo , che il GIP del tribunale di Napoli concedeva avente ad oggetto crediti pervenuti all'appaltatore in esito all'applicazione dello sconto in fattura e da questi ceduti al terzo operatore qualificato, nella specie istituto di credito. Istituto di credito che, in esito al provvedimento aveva visto sottoposti a misura crediti fiscali in suo possesso, pur essendo qualificato negli atti quale persona offesa dal reato di truffa. Avverso il provvedimento veniva frapposto ricorso al Tribunale del riesame che confermava il provvedimento e, successivamente, ricorso per cassazione nei confronti della ordinanza resa dal Tribunale del riesame, articolato in ben sei motivi. L' articolo 321, comma 1, c.p.p. recita «quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari». Il primo motivo di ricorso che formerà oggetto del presente commento formato dal ricorrente si interrogava circa la possibilità di qualificare come pertinenze del reato i crediti di imposta . Detto dubbio trovava, a parere del ricorrente, ragion d'essere nella equiparazione, effettuata dalla Pubblica Accusa, delle posizioni del titolare della detrazione sorgente in capo a chi effettua i lavori di ristrutturazione oggetto dell'incentivo ed il credito di imposta che, a seguito della cessione di quel diritto, si genera in capo al cessionario che lo abbia acquistato in buona fede. La difesa osservava come il credito di imposta che si generi in esito alla duplice dichiarazione unilaterale di esercizio dell'opzione da parte del cedente e di accettazione da parte del cessionario e compare nel cassetto fiscale del cessionario non consenta di risalire ai lavori in relazione ai quali era sorto in origine il diritto alla detrazione poi rinunciato. In altre parole, il cessionario non sarebbe in grado di vedere l'origine del credito e dunque non potrebbe effettuare alcun controllo in relazione al medesimo vedendosi unicamente riconosciuto nel proprio cassetto fiscale un credito pari a quello oggetto di acquisto senza che detto credito sia in alcun modo collegato, o collegabile, direttamente ed univocamente ad una qualsivoglia opus. La prospettazione, sotto il profilo fattuale ineccepibile, poggiava le proprie fondamenta giuridiche su di un affascinante ragionamento che è opportuno riprendere integralmente. Il committente dei lavori che decida di esercitare l'opzione della cessione del credito in luogo della detrazione diretta dello stesso, non cederebbe alcunché in quanto non è titolare di alcun credito d'imposta e, dunque, quella che viene impropriamente indicata quale cessione del credito di imposta, in realtà altro non è che una rinuncia al diritto alla detrazione da parte del committente che viene monetizzata mediante percezione di un corrispettivo da parte del cessionario. Corrispettivo, aggiungiamo noi, che non è mai pari al diritto alla detrazione spettante al committente ma ad esso inferiore. Il pagamento del corrispettivo della rinuncia al diritto alla detrazione implicherebbe per il cessionario l' insorgenza a titolo originario di un credito di imposta che è una cosa ben diversa dal diritto alla detrazione. Errando, a nostro modesto avviso, il ricorrente indica come diritto alla detrazione e credito di imposta generato dalla rinuncia al diritto alla detrazione siano assimilabili esclusivamente in ragione del quantum , che, però ed in realtà non è né simile né identico posto che sia per le operazioni di sconto in fattura che per quelle inerente le cessioni da appaltatore a terzi non solo non è identico ma neppure simile. Nel primo caso esso differisce in misura minima pari al 10 % nel secondo caso in misura oscillante tra il 15 ed il 25%. Con l'effetto che un originario diritto alla detrazione pari a 100, genera un credito di imposta pari a 110% nell'appaltatore che, a seguito di “cessione” a terzi diviene pari 70. Definire assimilabile nel quantum un siffatto “diritto” pare assolutamente difficile. Il ricorrente conclude affermando quindi come il legislatore abbia disciplinato in realtà non una modalità di trasformazione del diritto alla detrazione , che è e resta una prerogativa propria di chi effettua i lavori e sostiene le spese, in qualcosa di strutturalmente diverso, ovvero una detrazione cedibile sotto forma di credito di imposta. Ovvero un vero e proprio diritto di credito che, in esito alla cessione sorge in modo del tutto indipendente dall'esistenza del diritto alla detrazione esistente in capo al soggetto che ha effettuato i lavori e sostenuto le spese degli stessi poi corrisposte secondo modalità che esso ha determinato e scelto in accordo con l'esecutore delle stesse. A detta caratteristica si aggiungerebbe poi l'ulteriore passaggio tra esecutore delle opere e cessionario del credito finale che, ancora una volta avrebbe acquisto non già un diritto alla detrazione ma un vero e proprio credito di imposta scollegato, inevitabilmente ed indiscutibilmente, da ogni e qualsiasi rapporto giuridico con l'originario diritto alla detrazione esistente in capo al soggetto che ha richiesto l'esecuzione delle opere e sostenuto le spese. Il problema del concorso Così ricostruita la vicenda, anche sulla scorta dell'articolo 121, comma 5 del decreto rilancio, la responsabilità del cessionario del credito di imposta si manifesterebbe unicamente in caso di compartecipazione dolosa nella condotta del titolare del diritto alla detrazione, non potendo, secondo la tesi della difesa, il cessionario subire gli effetti pregiudizievoli che dipendano esclusivamente dalla condotta del cedente. La soluzione che la Corte ritiene applicabile al caso concretamente sottoposto al proprio esame pare finalizzata più ad impedire che la circolazione dei “crediti” generati dal superbonus 110% possano circolare liberamente senza possibilità per lo Stato, rectius l'erario o la manifestazione del Leviatano in sede penale, possa intervenire assicurando che essi non divengano profitto di reato. Vediamo come persegue, con lucida capacità ermeneutica ed indubitabile maestria, la scelta, quasi di carattere proattivo, destinata ad impedire l'utilizzo del cessionario, soprattutto del terzo cessionario ovvero degli istituti di credito, in veste di “laundry”. La prima pietra della costruzione giurisprudenziale è costituita dall'interpretazione della norma del codice di rito istitutrice del sequestro impeditivo . I Giudici della Cassazione ricordano come la giurisprudenza consolidata, dunque in ultima analisi essi stessi, individui il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l'esistenza di collegamento tra il reato e la cosa e non tra il reato e il suo autore «cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all'illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all' articolo 321, comma 1 c.p.p. ». La scelta compiuta dalla Corte , ovvero in concreto quella di non affrontare tutte le questioni ad essa sottoposte limitandosi, consente ai giudici di non pronunciarsi sul quesito, fondamentale, inerente la qualifica dei crediti sottoposti a cautela, ovvero se essi costituiscano prodotto e profitto del reato e se detto profitto possa essere individuato quale tale anche in capo al terzo di buona fede, rifugiandosi, per così dire nella ermeneutica, ed anche ermetica, analisi del disposto dell' articolo 321, comma 1 c.p.p. indicando come la norma richieda esclusivamente «l'esistenza di un legame pertinenziale tra la res ed il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa». Certo, non possono dirsi appartenere a tale genus beni generati da rapporti meramente occasionali tra la res e l'illecito penale ma nel caso dei “crediti” oggetto del sequestro non possono definirsi generati da rapporti meramente occasionali tra res e reato ed anzi essi debbono considerarsi cosa pertinente al reato. Perché? Perché «non si riscontra l' estinzione di un diritto alla detrazione in capo al beneficiario e la contestuale costituzione ex nihilo di un credito in capo al cessionario […] né un fenomeno novativo di sorta ma soltanto l'evoluzione – non la sostituzione – del primo nel secondo, espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal Legislatore un fattore ulteriormente incentivante la procedura, e, dunque, uno strumento ancora più utile per la ripresa economica». Qualche riflessione è d'obbligo La Corte più che un'interpretazione della norma ha reso un'interpretazione autentica della stessa, sostituendosi, forse con motivazioni e ragioni più condivisibili rispetto ad altre vicende, ad un Legislatore confuso e un po' pasticcione che ha dato vita ad una normativa difficilmente comprensibile e discutibile persino sotto il profilo economico e finanziario. Consentire un “guadagno” superiore al beneficio fiscale ottenibile, svincolandolo di fatto da parametri di carattere oggettivo e senza dettare procedure di accertamento trasparenti e costruite ex ante , rappresentava una vera e propria condizione criminogenetica che, in un sistema in cui i controlli sono operati sempre a distanza di troppo tempo dei fatti, è stata colta al volo dal malaffare. Ritenere legittimo il sottoporre a sequestro impeditivo i beni, rectius i crediti fiscali oggetto di acquisto anche presso il terzo in buona fede addirittura parte offesa nel reato di truffa, costituisce un vero e proprio argine all'azione criminale di chi, profittando della norma, intendeva procurarsi illeciti guadagni. Ma anche bloccare ogni possibilità di procedere alla cessione dei crediti fiscali acquistati, attraverso il meccanismo dello sconto in fattura da imprenditori onesti, piccole e medie imprese, che non potranno sicuramente accedere al mercato costituito dagli Istituti di credito che ben si guarderanno dall'assumere in proprio un rischio che non può in alcun modo essere da loro valutato e/o previsto. La conseguenza della decisione della Corte rischia quindi di generare da un canto una spirale virtuosa capace di tarpare le ali alle attività criminali ma, dall'altro, di condurre al fallimento decine di piccole e medie imprese edili che si trovano ad avere crediti fiscali a disposizione in misura assai superiore a quelli da loro utilizzabili e, in assenza di cessione dei medesimi, di fatto in condizioni di insolvenza. Al di là ed oltre ogni considerazione di natura economico sociale, ciò che occorre segnalare è ancora una volta, il ruolo assunto dalla Giurisprudenza che da tempo non si limita ad applicare o ad interpretare la norma ma, a costruirla attraverso le pronunce del Supremo Collegio, con cui, e la sentenza in commento ne è a mio parere la prova, la norma si costruisce attraverso la sua interpretazione autentica. Prerogativa, un tempo, riservata al solo Legislatore di grado primario. Resta poi oscuro, almeno a me, comprendere come la libera disponibilità dei crediti fiscali in essere presso l'istituto di credito, indicato quale persona offesa dal reato, possa o potesse “aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati”. Non può infatti non considerarsi come le conseguenze del reato , in relazione all'illecito vantaggio, si fossero già integralmente verificate in capo all'autore della truffa e/o degli illeciti fiscali e come certo i crediti nella disponibilità della banca, da questa certamente acquistati e pagati, non possano essere ricompresi fra le conseguenze del reato da impedire posto che il loro sequestro ha quale risultato quello di gravare, sotto il profilo economico, maggiormente la persona offesa che, in punto, essendo vittima della truffa ben potrebbe addirittura invocare la legislazione sovra nazionale in materia di tutela della vittima di reato, qui addirittura “punita” senza colpa da provvedimento giudiziario. Certo, come detto, il sequestro impeditivo ha avuto ed avrà certamente la funzione di non agevolare altri reati. Peccato che si tratti di reati non connessi alla fattispecie concreta ma di reati della stessa specie ed indole del tutto scollegati dal fatto storico su cui gli ermellini sono stati chiamati a pronunciarsi. Fuor di metafora la Corte si è sostituita al Legislatore compiendo una scelta di “politica criminale” atta ad impedire la commissione di altri illeciti. Un monito rivolto ad ogni cessionario che è, sostanzialmente e caldamente invitato a non dar corso ad acquisti di crediti fiscali. Pena il vederseli sequestrare dopo averne corrisposto il prezzo.
Presidente Andreazza – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza 21.02.2022, il tribunale del riesame di Napoli ha confermato l'ordinanza del gip del Tribunale di Napoli del 18/01/2022 di sequestro impeditivo ex articolo 321 c.p.p. , comma 1, emesso nei confronti di alcuni soggetti, indagati dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di truffa, evasione fiscale e falso al fine di beneficiare indebitamente del c.d. superbonus previsto dal D.L. numero 34 del 2020 articolo 121 , conv. con modd. in L. numero 77 del 2020 , c.d. decreto rilancio, nonché dei reati di truffa aggravata ai danni dello Stato, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed indebita compensazione tentata, sequestro disposto nei confronti del Banco omissis e della Brianza S.p.A. di cui il D.A. è legale rappresentante. 2. Propone ricorso per cassazione il Banco omissis S.p.A., quale terzo interessato, a mezzo del difensore fiduciario munito di procura speciale, deducendo sei motivi, di seguito illustrati. 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli D.L. numero 34 del 2020 articolo 121 e articolo 321, comma 1, c.p.p. , per avere erroneamente ritenuto i crediti di imposta di Banco omissis quale pertinenza dei reati contestati. In sintesi, con il primo motivo di ricorso la difesa contesta la qualificazione dei crediti d'imposta quali pertinenze dei reati contestati agli indagati e rispetto ai quali il Banco omissis è indicato dalla stessa Procura della Repubblica come persona offesa dal reato. Sostiene la difesa che l'errore di impostazione commesso dai giudici del merito consisterebbe nell'aver considerato alla stessa stregua il diritto alla detrazione sorgente in capo a chi effettua i lavori di ristrutturazione oggetto dell'incentivo ed il credito di imposta che, a seguito di cessione di quel diritto, si genera in capo al terzo cessionario sul presupposto, ovviamente, che si tratti di cessionario di buona fede. Al fine di sostenere, diversamente, la diversità esistente tra diritto alla detrazione e credito d'imposta, la difesa opera un'analisi preliminare della normativa che ha incrementato al 110% l'aliquota di detrazione delle spese sostenute negli anni 2020 - 2024 per la realizzazione di specifici interventi di riqualificazione energetica con l'obiettivo di incentivarli e, in questo modo, di favorire la ripresa dell'economia nazionale a seguito della crisi generata dalla pandemia. In sostanza, secondo la difesa, il credito d'imposta che, per effetto della duplice dichiarazione unilaterale di esercizio dell'opzione da parte del cedente e di accettazione da parte del cessionario compare nel cassetto fiscale di quest'ultimo, non consente di risalire ai lavori in relazione ai quali era sorto in origine il diritto alla detrazione poi rinunciato. In altri termini, il cessionario del credito di imposta, qual è nel caso di specie il Banco omissis , non riuscirebbe a vedere l'origine del proprio credito e, dunque non sarebbe in grado di effettuare alcun controllo, vedendosi riconosciuto nel proprio cassetto fiscale un importo pari al credito acquistato da portare in compensazione nei tempi stabiliti dalla legge rispetto a qualsiasi tipologia di debito erariale. Tale impossibilità di ricollegare il credito ai lavori originariamente svolti è ancor più evidente nel caso di cessioni successive, come sarebbe avvenuto nel caso in esame, laddove l'ultimo cessionario ha, quale unica evidenza disponibile, l'identità del proprio dante causa, ma certamente non può identificare i lavori di ristrutturazione. In sostanza, secondo la ricostruzione difensiva, il committente dei lavori che decide di esercitare l'opzione della cessione in luogo della detrazione diretta del costo, a dire la verità, non cederebbe alcunché in quanto non è titolare di alcun credito d'imposta e, dunque, quella che viene impropriamente definita cessione in realtà è una rinuncia al diritto alla detrazione da parte del committente che lo monetizza mediante percezione di un corrispettivo da parte del cessionario, ed il pagamento di tale corrispettivo implica, per il cessionario, l'insorgenza a titolo originario di un credito di imposta, che è una cosa ben diversa dal diritto alla detrazione assimilandosi ad esso soltanto sotto il profilo del quantum della tempistica di utilizzo. Ciò sarebbe confermato anche dalla Relazione illustrativa del D.L. numero 34 del 2020 che, nell'introdurre il paragrafo sull'articolo 121 che disciplina le opzioni concesse al beneficiario della detrazione, non utilizza il termine cessione ma parla, piuttosto, di trasformazione delle detrazioni fiscali in sconto sul corrispettivo dovuto in credito di imposta cedibile quella disciplinata dal legislatore è dunque una modalità di trasformazione del diritto alla detrazione, che è e resta una prerogativa propria di chi effettua i lavori e sostiene le spese, in un qualcosa di strutturalmente diverso. Una conferma di ciò discende anche dal Provvedimento dell'Agenzia delle entrate, che viene allegato al ricorso, che parla di detrazione cedibile sotto forma di credito d'imposta, così ribadendo che la cessione determina una trasformazione della detrazione in un credito d'imposta. Ma la tesi della differenza ontologica e strutturale tra diritto alla detrazione e credito d'imposta sarebbe confermata anche dalla stessa lettura dei commi 4, 5 e 6 dell'articolo 121 del decreto rilancio in materia di controlli e di recupero delle agevolazioni indebitamente fruite. Analizzando infatti in particolare il comma 4 emergerebbe subito che eventuali recuperi di imposta nei confronti dei cessionari si legano solo ad eventuali errori nell'utilizzo, prescindendo dall'esito delle verifiche sul diritto alla detrazione a monte. In sostanza, il legislatore contempla espressamente tra le ipotesi di intervento repressivo anche quelle di oggettiva inesistenza dei lavori da cui trae origine il diritto alla detrazione, non di meno però circoscrivendo l'intervento al solo titolare del diritto alla detrazione, come specifica il comma 5, prevedendone l'estensione al cessionario del credito d'imposta solo in presenza di concorso nella violazione, come specifica il comma 6 dell'articolo 121. In altri termini, la disciplina introdotta dal decreto bilancio è chiara nel focalizzare l'intervento di recupero a tassazione come di tipo sanzionatorio al solo beneficiario del diritto alla detrazione, mentre il coinvolgimento del terzo cessionario dei crediti d'imposta resta circoscritto ai soli casi di compartecipazione dolosa nella condotta del primo beneficiario. Secondo la difesa, pertanto, all'infuori delle ipotesi di compartecipazione dolosa nella condotta illecita del primo beneficiario, il terzo cessionario del diritto di credito non può subire gli effetti pregiudizievoli che attengono al primo beneficiario ed a sue eventuali condotte illecite da cui è derivata l'insorgenza del diritto alla detrazione poi trasformato in credito d'imposta. Quanto sopra sarebbe confermato anche dal provvedimento del direttore dell'agenzia delle entrate nonché dalla circolare numero 24/E dell'8 agosto 2020 che in maniera chiara afferma come il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d'imposta vedi anche audizione parlamentare 18 novembre 2020 del direttore dell'agenzia delle entrate, indicata come allegato 8 al ricorso . Una volta chiarita dunque la ontologica differenza tra diritto alla detrazione e credito d'imposta il corollario sarebbe che il credito di imposta ceduto non può considerarsi come pertinenza del reato di emissione di false fatture né di alcun altro degli illeciti ipotizzati nei capi di imputazione trattandosi di sequestro impeditivo mancherebbe il requisito della pertinenzialità con riguardo ai crediti di imposta ceduti che sono il frutto di un processo di trasformazione che dal diritto alla detrazione, utilizzabile solo dal committente dei lavori e solo per abbattere la propria imposta, conduce ad un quid nuovo e diverso, ossia un credito di imposta utilizzabile da terzi per compensare debiti erariali di natura eterogenea, di talché la commissione del reato appare al più come l'occasione che ha dato luogo alla sua formazione. Tale affermazione varrebbe a maggior ragione per il Banco omissis che è cessionaria di 3 livello dei crediti in questione, avendoli acquistati non dai presunti committenti dei lavori di ristrutturazione e neppure dal Consorzio, ma avendoli ottenuti in cessione dalla omissis , soggetto espressamente autorizzato dalla Banca d'Italia a gestire ed investire anche in crediti fiscali. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alle medesime norme dianzi evocate a proposito del primo motivo, per aver ritenuto erroneamente sussistente il periculum in mora ai fini dell'applicazione del sequestro impeditivo, e correlato vizio di manifesta contraddittorietà della motivazione. In sintesi, si contesta la ritenuta sussistenza del presupposto del periculum in mora inteso quale rischio di aggravamento delle conseguenze dei reati commessi ovvero di commissione di ulteriori reati nel caso in cui questi crediti dovessero rimanere nella libera disponibilità della banca. La motivazione, in particolare, sarebbe censurabile nella parte in cui sostiene che l'interpretazione resa dall' agenzia delle entrate nella circolare 24/E/2020 dovrebbe intendersi come riferita ai casi in cui, accertata l'inesistenza del credito di imposta a seguito di instaurazione del contraddittorio, il cessionario dimostri all'amministrazione finanziaria la sua buona fede nell'acquisto che potrebbe valergli la facoltà di non perdere il diritto di utilizzare il credito d'imposta. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alle medesime disposizioni di legge evocate, nonché con riferimento all' articolo 321, c.p.p. , comma 2 per aver erroneamente ritenuto i giudici del riesame che i crediti di imposta del Banco omissis costituiscano profitto del reato di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000 articolo 8, nonché per non aver considerato la posizione del Banco omissis quale terzo di buona fede e correlato vizio di motivazione. In sintesi, si censura la motivazione dell'ordinanza impugnata laddove paventa l'eventualità che i crediti d'imposta del Banco omissis possono essere confiscati all'esito del procedimento penale in quanto profitto o prodotto del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti contestato al legale rappresentante del consorzio, il che giustificherebbe il mantenimento del vincolo cautelare anche a prescindere dalla sussistenza di uno specifico periculum in mora. 2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alle medesime disposizioni legislative dianzi citate per aver erroneamente ritenuto i crediti d'imposta di Banco omissis quale prodotto del reato di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000 articolo 8, come tali suscettibili di confisca nonché per omessa considerazione della posizione del Banco omissis quale terzo di buona fede. In sintesi, si censura la motivazione dell'ordinanza impugnata laddove classifica i crediti di imposta presenti nel cassetto fiscale del Banco omissis quale prodotto del reato di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000 articolo 8 . Secondo la banca ricorrente, il prodotto o il profitto del reato implicano che il bene o l'utilità così classificati siano caratterizzati dalla pertinenzialità, non essendo sufficiente una relazione veramente occasionale tra la res ed il reato commesso. 2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al D.Lgs. numero 74 del 2000 articolo 10-quater, per aver erroneamente ritenuto i crediti di imposta di Banco omissis quale corpo del reato di indebita compensazione, e come tali suscettibili di confisca, nonché per totale carenza di motivazione. In sintesi, il ricorrente censura la motivazione dell'ordinanza impugnata nella parte in cui classifica erroneamente i crediti di imposta sequestrati al Banco omissis quale corpo del reato di cui all'articolo 10-quater cit. l'erroneità starebbe nell'aver ritenuto i crediti di imposta come corpo di un reato mai commesso, ma considerato potenzialmente futuro e di cui responsabile sarebbe la banca laddove dovesse decidere di utilizzare in compensazione i crediti di cui si discute. 2.6. Deduce, con il sesto ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli D.Lgs. numero 74 del 2000 articolo 12-bis, articolo 240 c.p. e articolo 321 c.p.p. , commi 1 e 2, per avere surrettiziamente introdotto una forma di confisca per equivalente. In sintesi, si censura l'ordinanza impugnata per le modalità con cui è stato disposto ed eseguito il sequestro e per le peculiarità dei beni su cui è stato applicato, che rischia di tramutare un sequestro impeditivo in sequestro per equivalente dell'asserito prodotto o profitto del reato, non consentito nei confronti del terzo di buona fede. In particolare, era stato evidenziato in sede di riesame che quelli acquistati da omissis non erano gli unici crediti di imposta acquistati nel contesto della disciplina del decreto rilancio , avendo Banco omissis acquisito nel medesimo arco temporale ulteriori quantitativi di crediti anche da altri soggetti, tant'e' che il sequestro nei confronti del Banco omissis è stato disposto fino a concorrenza del valore complessivo di oltre 46 milioni e mezzo di Euro. L'esecuzione del sequestro denoterebbe quindi la peculiarità del funzionamento del cassetto fiscale all'interno del quale tutti i crediti acquistati ai sensi dell'articolo 121 confluiscono in un unico plafond confondendosi, e perdendo completamente di vista la loro origine per diventare un tutt'uno. In altri termini, non essendo possibile identificare e porre il vincolo sui crediti ritenuti indebiti, si è proceduto a sottoporre a sequestro un importo di corrispondente valore a quello ipotizzato come illecito secondo il paradigma tipico del sequestro per equivalente, formalità di sequestro inammissibile nei confronti dei soggetti terzi estranei al reato, in quanto incide negativamente su posizioni di persone estranee ed incolpevoli in violazione del principio della personalità della responsabilità penale. 3. Con requisitoria scritta del 25.08.2022, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. In data 20.06.2022 è pervenuta istanza di trattazione orale del ricorso da parte del difensore della banca ricorrente, cui ha fatto seguito, in data 15.09.2022, una memoria di replica dell'Avv. A. Simbari alla requisitoria scritta del PG, con cui la difesa, rappresentando l'infondatezza delle argomentazioni della Procura Generale, insiste per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso risulta infondato alla luce delle considerazioni che seguono. 2. Deve essere preliminarmente osservato come il ricorrente non contesta la configurabilità dei reati ipotizzati in capo agli attuali indagati, rispetto ai quali in particolare il capo di imputazione riguardante la truffa aggravata , peraltro, è la stessa prospettazione accusatoria a qualificare la veste della parte ricorrente Banco omissis e della Brianza S.p.A. quale persona offesa dal reato. Il tema, inedito nella giurisprudenza di legittimità, riguarda invece la sequestrabilità dei crediti di imposta ceduti, nella specie del valore di oltre 46 milioni e mezzo di Euro, in capo al terzo estraneo al reato, quale cessionario di tali crediti, in seconda battuta, rispetto alla omissis , che ha acquistato il credito di imposta dal cedente consorzio Sgai con sede in Napoli. 3. Tanto premesso, il Collegio ritiene necessario, in primo luogo, operare una rigorosa delimitazione dell'ambito di intervento di questa decisione, e dunque delle questioni da esaminare, per come direttamente ricavati dalla natura del sequestro disposto a carico del Banco omissis e della Brianza S.p.A., poi confermato dal Tribunale del riesame. 3.1. In particolare, la lettura del provvedimento genetico in atti, sostenuta sul punto dallo stesso ricorso in oggetto pag. 13 ss. , consente di accertare che il G.i.p. del Tribunale di Napoli, in data 18/1/2022, aveva emesso un decreto di sequestro preventivo ai sensi dell' articolo 321, comma 1, c.p.p. un sequestro, dunque, motivato dal pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente ad un reato potesse aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati. 3.2. Da questa oggettiva premessa e rimarcando che nessuna questione è posta in punto di fumus dei delitti contestati agli indagati , deriva allora la constatazione che alcune delle questioni trattate tanto nell'ordinanza impugnata quanto nel ricorso, anche con ampie considerazioni, esulano del tutto dalla concreta reiudicanda, afferendo a profili che sono propri non del sequestro impeditivo, come quello in esame, ma di quello anticipatorio di cui all' articolo 321, comma 2, c.p.p. , relativo alle cose di cui è consentita la confisca ed estraneo al decreto emesso dal G.i.p. di Napoli. 4. Tali profili - che la Corte, dunque, non tratterà, unitamente a quelli attraverso cui si è preteso di rinvenire nel provvedimento impugnato vizi motivazionali di contraddittorietà o di illogicità, in quanto gli stessi esulano dall'ambito cognitivo di questa Corte per espressa previsione dell' articolo 325, c.p.p. v. per tutte Sez. U, numero 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710 - 01 - concernono innanzitutto la qualifica soggettiva del terzo colpito dal sequestro come la ricorrente Banco omissis e della Brianza S.p.A. e, in particolare, l'esame della sua eventuale buona fede secondo, terzo e quarto motivo , con riferimento alla diligenza spiegata nell'istruire le pratiche relative ai crediti oggetto di cessione. Al riguardo, infatti, occorre ribadire - con la giurisprudenza consolidata - che il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l'esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all'illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all' articolo 321, comma 1, c.p.p. , sopra richiamato tra le altre, Sez. 3, n 57595 del 25/10/2018, Cervino, Rv. 274691 Sez. 3, numero 40480 del 27/10/2010, Orlando, Rv. 248741 . 5. Altra questione sviluppata nell'ordinanza e nel ricorso, ma ancora estranea alla tematica del sequestro impeditivo, è poi quella della natura della res sottoposta a vincolo in rapporto all'illecito contestato, ossia se quanto in sequestro possa esser qualificato come corpo, profitto o prodotto del reato secondo, terzo, quarto e quinto motivo . 5.1. Il Tribunale del riesame ha affermato che i crediti di imposta colpiti dalla misura costituirebbero il prodotto ed il profitto del delitto di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000 articolo 8, ed anche il corpo del reato di cui all'articolo 10-quater, decreto citato, e come tali sarebbero suscettibili di ablazione ai sensi degli articolo 240 c.p. , articolo 321 c.p.p. , commi 1 e 2 D.Lgs. numero 74 del 2000 articolo 12-bis questa tesi è stata contestata dalla ricorrente par. 1.11. , sul presupposto, per un verso, che il profitto del reato - quale conseguenza diretta dell'illecito - possa esser individuato soltanto in capo al suo autore e non ad un terzo, e, per altro verso, che i crediti in esame non sarebbero qualificabili come inesistenti e, peraltro, non potrebbero costituire oggetto di un delitto articolo 10-quater cit. non ancora commesso, né astrattamente ipotizzabile, in capo al personale Banco omissis e della Brianza S.p.A., per difetto dell'elemento soggettivo. 5.2. Ebbene, il Collegio rileva che anche tale complessa questione esula dall'esame della misura disposta dal G.i.p. di Napoli, in quanto il sequestro impeditivo di cui all' articolo 321, comma 1, c.p.p. richiede soltanto - e più genericamente - la prova di un legame pertinenziale tra la res ed il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa tra le altre, Sez. 2, numero 28306 del 16/4/2019, PM/ Lo Modou, Rv. 276660 Sez. 3, numero 31415 del 15/1/2016, Ganzer, Rv. 267513 Sez. 3, numero 9149 del 17/11/2015, Plaka, Rv. 266454 Sez. 5, numero 26444 del 28/05/2014, Denaro e altro, Rv. 259850 . Diversamente, d'altronde, l'ipotesi del comma 1 dell'articolo 321 finirebbe per rappresentare un doppione rispetto a quella contenuta nel comma 2, così che non riuscirebbe più a distinguersi l'area applicativa dell'una rispetto all'altra. E fermo restando, peraltro, come sempre affermato da questa Corte, che la nozione di pertinenza non può estendersi sino al punto di attribuire rilevanza a rapporti meramente occasionali tra la res e l'illecito penale tra le molte, Sez. 5, numero 26444 del 28/05/2014 cit. , quel che deve espressamente escludersi nel caso di specie, in forza dei seguenti argomenti. 6. In particolare, e così introducendo il fulcro della questione posta dal ricorso con il primo motivo, il Collegio ritiene che i crediti sequestrati alla ricorrente debbano essere considerati, per l'appunto, cosa pertinente al reato, non potendosi accogliere la tesi difensiva secondo cui, esercitata l'opzione per la cessione del credito, e dunque rinunciato dal beneficiario l'originario diritto alla detrazione nella misura del 110% delle spese documentate e rimaste a carico , il credito stesso sorgerebbe - in capo al cessionario - a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio, anche radicale, che avesse eventualmente colpito il diritto alla detrazione. Questa tesi, che intenderebbe il credito ceduto come sempre garantito dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto di presupposti, non può essere condivisa, non deponendo in tal senso la normativa di riferimento primaria e secondaria ampiamente richiamata nell'impugnazione e più sopra ricordata, alla quale non può esser riconosciuta alcuna forza derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria. 7. Il D.L. numero 34 del 19 maggio 2020, articolo 121,, convertito, con modificazioni, dalla L.numero 77 del 17 luglio 2020 , come anticipato, stabilisce che i soggetti che sostengono spese per determinati interventi di recupero del patrimonio edilizio, di efficienza energetica, di adozione di misure antisismiche, di recupero o restauro della facciata di edifici esistenti, di installazione di impianti fotovoltaici, di installazione di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, di superamento ed eliminazione di barriere architettoniche , negli anni di riferimento, possono optare, in luogo dell'utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente 1 per il cd. sconto in fattura, ossia un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d'imposta, di importo pari alla detrazione spettante, a sua volta suscettibile di cessione. Con tale meccanismo, dunque, chi ha commissionato gli interventi del comma 2 rimane titolare della detrazione d'imposta, ma ne subisce la riduzione - anche sino alla totale scomparsa - per la parte in cui le spese di intervento siano sostenute non da lui, ma direttamente dal fornitore/esecutore, sotto forma di sconto questi, per la misura corrispondente, vede allora sorgere un proprio ed autonomo credito d'imposta, che potrà portare in compensazione o, a sua volta, cedere nei termini di cui alla stessa norma 2 per la cessione di un credito d'imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, a sua volta suscettibile di cessione, nei termini più volte modificati del comma 1, lett. b , o di essere portato in compensazione con debiti erariali. 8. Dalla lettura dell'articolo 121, comma 1, emerge dunque con chiarezza che il meccanismo del Superbonus in oggetto è stato costruito dal legislatore su percorsi alternativi, sebbene evidentemente legati nei presupposti e sostenuti dall'identica finalità di incentivare gli interventi indicati all'utilizzo diretto della detrazione fiscale spettante, previsto come ipotesi ordinaria, sono state infatti aggiunte le due opzioni appena richiamate, che - rimesse alla scelta dell'unico beneficiario colui che ha sostenuto le spese - costituiscono un'evidente derivazione della prima, utile per ottenere un'immediata monetizzazione del proprio diritto, senza dover attendere cinque anni per la complessiva detrazione. Con particolare riguardo alla cessione del credito, oggetto del ricorso, il beneficiario si spoglia dunque del proprio diritto alla detrazione, che assume la veste - nell'identico contenuto patrimoniale - di un credito suscettibile di circolare nei termini indicati dalla legge, e che viene contestualmente ceduto come confermato, d'altronde, dall'originaria versione dello stesso articolo 121, comma 1, lett. b , che menzionava un'opzione, per l'appunto, per la trasformazione corsivo dell'estensore del corrispondente importo in credito d'imposta, con facoltà di successive cessioni ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari . 9. Non si riscontra, dunque, l'estinzione di un diritto alla detrazione in capo al beneficiario e la contestuale costituzione ex nihilo di un credito in capo al cessionario , come sostenuto dalla ricorrente, né un fenomeno novativo di sorta, ma soltanto l'evoluzione - non la sostituzione - del primo nel secondo, espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal legislatore un fattore ulteriormente incentivante la procedura, e, dunque, uno strumento ancora più utile per la ripresa economica del Paese, fiaccato dalla pandemia. 10. Ne consegue, allora, che non risultano decisive le ampie considerazioni svolte dalla ricorrente circa le differenze tra il diritto alla detrazione ed il credito di imposta il primo non cedibile e suscettibile di ridurre solo l'imposta lorda sul reddito del beneficiario, a differenza dell'altro come appena affermato, infatti, la norma è sorta con il fine di agevolare resercizio dell'unico diritto a contenuto patrimoniale sorto in capo al beneficiario che ha sostenuto le spese, e ciò ha reso necessaria l'individuazione di appropriati strumenti tecnici che lo consentissero, eventualmente anche in favore di terzi, ed anche più volte. Tra questi, per - l'appunto, la cessione qui in esame. 11. La diretta ed immediata derivazione di questo credito dall'originario diritto alla detrazione, peraltro, si ricava anche dal D.L. numero 34 del 2020 articolo 121, comma 3, in forza della cui prima parte I crediti d'imposta di cui al presente articolo sono utilizzati in compensazione ai sensi del D.Lgs. numero 241 del 9 luglio 1997, articolo 17, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite. Il credito d'imposta è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione . A conferma ulteriore, dunque, di un credito che deriva proprio dall'originario diritto alla detrazione, senza alcuna vicenda estintivo-costitutiva, conservando di questo non solo il valore economico, ma anche le modalità di esercizio, qualora - non nuovamente ceduto - utilizzato in compensazione. 12. A conclusioni diverse, peraltro, non si può pervenire valorizzando i commi 4, 5 e 6 dell'articolo 121 in esame, in tema di controlli e sanzioni, come invece affermato nel ricorso. In particolare, a norma del comma 4, prima parte, ai fini del controllo, si applicano, nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, le attribuzioni e i poteri previsti dagli D.P.R. numero 600 del 29 settembre 1973, articolo 31 e seguenti, e successive modificazioni. I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l'eventuale utilizzo del credito d'imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d'imposta ricevuto . A norma del comma 5, prima parte, poi, qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d'imposta, l'Agenzia delle entrate provvede al recupero dell'importo corrispondente alla detrazione non spettante nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 . A norma del comma 6, infine, il recupero dell'importo di cui al comma 5 è effettuato nei confronti del soggetto beneficiario di cui al comma 1, ferma restando, in presenza di concorso nella violazione, oltre all'applicazione del D.Lgs. numero 472 del 18 dicembre 1997, articolo 9, comma 1, anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e del cessionari per il pagamento dell'importo di cui al comma 5 e dei relativi interessi . 13. Ebbene, anche a voler ammettere che il legislatore abbia voluto assegnare a queste disposizioni un ambito ulteriore rispetto a quello esclusivamente tributario ipotesi, peraltro, che parrebbe smentita dal richiamo ai poteri di controllo dell'Agenzia delle entrate, al recupero dell'importo, alla responsabilità in solido di fornitori e cessionari in caso di concorso nella violazione , il Collegio osserva comunque che i commi 4, 5 e 6 non appaiono introdurre affatto una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo. Come già ricordato, infatti, il vincolo impeditivo implica soltanto l'esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all'illecito ed in buona fede ne deriva, allora, che non rileva in questa sede l'eventuale responsabilità del terzo cessionario quale la ricorrente, peraltro persona offesa del capo 2 , né i presupposti oggettivi o soggettivi di questa per come ricavabili dai commi 4, 5 e 6 in oggetto, occorrendo soltanto verificare piuttosto, come si farà più oltre sub p. 18 , se la libera disponibilità della res - anche in capo allo stesso terzo - sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all' articolo 321, comma 1, c.p.p. . 14. Sotto altro profilo, poi, si osserva che proprio la possibilità che il terzo fornitore ed il cessionario siano chiamati a rispondere ai sensi del comma 6, in caso di concorso, evidenzia ulteriormente il nesso derivativo che il credito ceduto ha rispetto all'originario diritto alla detrazione stessa, non ravvisandosi presupposti, diversamente, per un recupero anche nei confronti di questi dell'importo corrispondente alla detrazione medesima. 15. Negli stessi termini, poi, non costituisce argomento a sostegno della tesi della ricorrente neppure l' articolo 28-ter, D.L. 27 gennaio 2022, numero 4 , convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2022, numero 25 , in forza del quale l'utilizzo dei crediti d'imposta di cui agli D.L. numero 34 del 2020 articolo 121 e 122, convertito, con modificazioni, dalla L. numero 77 del 2020 , nel caso in cui tali crediti siano oggetto di sequestro disposto dall'Autorità giudiziaria può avvenire, una volta cessati gli effetti del provvedimento di sequestro, entro i termini di cui al medesimo D.L. numero 34 del 2020 articolo 121, comma 3, e articolo 122, comma 3,, aumentatì di un periodo pari alla durata del sequestro medesimo, fermo restando il rispetto del limite annuale di utilizzo dei predetti crediti d'imposta previsto dalle richiamate disposizioni . Nulla infatti autorizza a sostenere che il fatto che il cessionario possa utilizzare comunque i crediti in compensazione o per ulteriore cessione , una volta venuti meno gli effetti del vincolo, possa significare insensibilità di detti crediti rispetto alla misura cautelare penale, derivando anzi da detta previsione la constatazione che è lo stesso legislatore a prendere atto che un sequestro ben possa essere adottato secondo le regole generali del codice di rito. Una tale conclusione, palesemente derogatoria rispetto alla disciplina generale sul sequestro impeditivo eseguito presso terzi, già richiamata, richiederebbe infatti una previsione espressa, che, tuttavia, non si riscontra nella norma in esame posto che, appunto, ed in senso esattamente inverso, la stessa non fa che confermare l'ammissibilità del sequestro anche nei confronti del cessionario, secondo le regole generali, così ribadendo che non si è in presenza di un acquisto del diritto a titolo originario, impermeabile ad ogni vicenda illecita precedente, come invece affermato dalla ricorrente. 16. Ancora non decisivo, poi, è un altro elemento testuale che l'impugnazione propone, quale il contenuto della Circolare dell'Agenzia delle entrate numero 24/E dell'8 agosto 2020 , nella quale, in particolare, si afferma che I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l'eventuale utilizzo del credito d'imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d'imposta ricevuto. Pertanto, se un soggetto acquisisce un credito d'imposta, ma durante i controlli dell'ENEA o dell'Agenzia delle entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d'imposta . 16.1. Ebbene, al riguardo il Collegio osserva, per un verso, che si tratta soltanto della lettura di un testo normativo compiuta dall'Agenzia delle entrate, e non, invece, di un'interpretazione autentica vincolante erga omnes per altro verso, ed a conferma di ciò, si osserva che la stessa Agenzia - con la successiva circolare numero 23/E del 23 giugno 2022 - ha sostenuto una tesi contraria, ossia che l'eventuale dissequestro di crediti, acquistati in violazione dei principi sopra illustrati, da parte dell'Autorità giudiziaria ad esempio, in ragione dell'assenza di periculum in mora in capo al cessionario non costituisce ex se circostanza idonea a legittimare il loro utilizzo in compensazione. Di conseguenza, in caso di utilizzo in compensazione di crediti d'imposta inesistenti, interessati dal provvedimento di dissequestro, gli organi di controllo procederanno parimenti alla contestazione delle violazioni e alle conseguenti comunicazioni all'Autorità giudiziaria per le indebite compensazioni effettuate . Analogamente è a dirsi, ancora, con riferimento all'audizione in Senato del Direttore Generale dell'Agenzia delle Entrate in data 10 febbraio 2022, V commissione bilancio, in cui pag. 13 si legge testualmente Tuttavia, in caso di sequestro di crediti inesistenti da parte dell'Autorità giudiziaria, in quanto cose pertinenti al reato , tali crediti diventano inutilizzabili dal terzo cessionario, anche in buona fede, al quale pertanto non resta che rivalersi nei confronti del cedente. Difatti, l'azione di contrasto posta in essere da numerose Procure della Repubblica è spesso sfociata in sequestri dei crediti nei confronti degli intermediari finanziari, benché ad essere entrati materialmente in possesso dei profitti del reato destinandoli con ogni probabilità a ulteriori attività illecite - siano stati i reali autori degli illeciti. In altri termini, in queste ipotesi i crediti sequestrati dall'Autorità - giudiziaria non possono essere utilizzati dal cessionario, seppur in buona fede . 17. Da tutto quanto appena riportato, conclusivamente sul punto, consegue che proprio la mancata previsione di una disciplina espressa di segno contrario appare rappresentare la conferma alla lettura offerta dal Tribunale del riesame, non emergendo dal D.L. numero 34 del 2020 , e successive modificazioni, alcuna previsione derogatoria ai principi generali, con particolare riguardo all'ipotesi di sequestro impeditivo. Anzi, la stessa normativa successiva ha confermato che proprio di cessione di un credito già esistente si tratta, e non di una vicenda estintivo-costitutiva del citato D.L. numero 4 del 2022 l'articolo 28, infatti, al comma 3 stabilisce la ipotesi di nullità dei contratti di cessione , quando conclusi in violazione delle disposizioni di cui agli articolo 121, comma 1, 122, comma 1, e del comma 2 dello stesso articolo 28, così confermando ulteriormente il carattere derivativo dell'istituto e, dunque, la corretta interpretazione contenuta nell'ordinanza impugnata. 18. Il ricorso in esame, di seguito, deve essere rigettato anche con riguardo al periculum in mora, che risulterebbe, secondo quanto prospettato dal ricorrente con il secondo motivo di ricorso, inesistente nel caso in esame alla luce delle medesime considerazioni già poste a fondamento del ricorso e, in particolare, della rivendicata autonomia del credito ceduto rispetto al diritto alla detrazione ebbene, sul punto appare sufficiente richiamare tutte le considerazioni di segno opposto a sostegno dell'ordinanza impugnata, rispetto alle quali non può che emergere con evidenza come la possibilità di permanente utilizzazione dei crediti originanti da fatto illecito protrarrebbe e/o aggraverebbe le conseguenze del reato secondo quanto previsto dall' articolo 321, comma 1, c.p.p. . 19. I primi cinque motivi di ricorso, pertanto, debbono essere rigettati, perché infondati. 20. Alle stesse conclusioni, infine, il Collegio non può non giungere anche quanto alla sesta censura, con la quale si lamenta l'applicazione surrettizia di un indebito sequestro per equivalente a danno di un terzo estraneo al reato ciò sul presupposto che, in assenza di elementi identificativi, la misura colpirebbe non esattamente i crediti originati dalle artificiose condotte poste in essere dagli indagati, ma crediti - per oltre 46 milioni di Euro - pari alla somma del valore nominale di tutti i crediti d'imposta originatisi in capo al consorzio e poi ceduti anche indirettamente alla ricorrente. Con la conseguenza che la misura, pur disposta nei confronti dei crediti d'imposta individuati con richiamo alle condotte contestate, sarebbe stata concretamente eseguita su una massa indistinta di crediti solo di importo equivalente a quello oggetto di indagine, in quanto presenti nel cassetto fiscale del Banco omissis e della Brianza S.p.A. 20.1. Questa tesi, pur suggestiva, non può però essere accolta. Al riguardo si osserva, in primo luogo, che l'assenza di uno specifico codice identificativo introdotto soltanto con disposizioni successive non si traduce nell'assegnazione al credito di una natura prettamente fungibile, come fosse una somma di denaro per come riportato nell'ordinanza impugnata pag. 1 , infatti, il provvedimento genetico ha individuato l'oggetto della misura in modo specifico e sufficientemente dettagliato, richiamando i crediti d'imposta correlati alle detrazioni fiscali previste dagli D.L. numero 34 del 2020 articolo 119 -121. cd. Superbonus per attività edilizia intestati al CONSORZIO SGAI con sede in Napoli e di quelli ceduti da detto ente a terzi . Tale espressione, dunque, non consente alcuna assimilazione di questi crediti ad una indistinta somma di denaro, né trasforma in un bene fungibile ciò che, per contro, possiede ab origine un'effettiva e propria individualità. In senso contrario, peraltro, non risultano decisive neppure le considerazioni svolte infine dalla difesa, dalle quali, anzi, emerge con chiarezza che il vizio denunciato atterrebbe non al provvedimento impositivo del vincolo, ma alla sua concreta esecuzione un argomento, dunque, estraneo al giudizio di questa Corte, in forza del costante principio per cui i provvedimenti riguardanti le modalità di esecuzione del sequestro preventivo non sono né appellabili né ricorribili per cassazione e le eventuali questioni ad essi attinenti vanno proposte in sede di incidente di esecuzione per tutte, Sez. 1, numero 8283 del 24/11/2020, Sforza, Rv. 280604 . 21. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.