Immobile intestato a uno dei coniugi ante riforma: per dimostrare l’esistenza di una comunione tacita familiare l’altro deve fornirne la prova

Nella disciplina anteriore alla riforma del diritto di famiglia di cui alla l. n. 151/1975, il coniuge che affermi il diritto di comproprietà su un bene immobile intestato all'altro coniuge, in forza di un regime di comunione tacita familiare - idoneo ad estendersi ipso iure agli acquisti fatti da ciascun partecipante - ha l'onere di fornire la relativa prova, tenendo conto che la suddetta comunione non può essere desunta da una mera situazione di collaborazione familiare, postulando atti o comportamenti che evidenzino inequivocabilmente la volontà di mettere a disposizione del consorzio familiare determinati beni e di porre in comune lucri, perdite ed incrementi patrimoniali, e che non può avvalersi della prova testimoniale, stante la necessità dell'atto scritto ai sensi dell'art. 1350 c.c.

Il caso. Un uomo citava in giudizio l'ex moglie al fine di far accertare, in via principale, la comproprietà al 50% di un appartamento, acquistato a nome della moglie ma con denaro proprio, in data anteriore alla riforma del diritto di famiglia e destinato a residenza familiare. In via subordinata chiedeva che fosse accertato il diritto di credito in proprio favore, con condanna dell'ex moglie al pagamento di una somma pari ad almeno la metà del valore attuale dell'immobile. Il giudice di primo grado respingeva le domande attoree negando l'esistenza di una comunione tacita familiare tra i coniugi. La decisione veniva impugnata dinanzi alla Corte d'Appello di L'Aquila che la confermava. I giudici d'appello, in particolare, richiamavano la disposizione dettata dall' articolo 228, l. numero 151/1975 , secondo la quale il regime della comunione legale tra i coniugi , introdotto con la riforma del diritto di famiglia , si applica automaticamente alle coppie sposate prima dell'entrata in vigore di tale legge, avvenuta il 20 settembre 1975, a meno che entrambi i coniugi o solo uno di essi non abbiano espressamente dichiarato di volere adottare un regime differente entro la data del 16 gennaio 1978. Nell'oggetto della comunione rientravano, quindi, sia gli acquisti compiuti dopo il 16 gennaio 1978, sia quelli compiuti dal 21 settembre 1975 al 15 gennaio 1978. Ad avviso della Corte territoriale l' immobile adibito a casa familiare , essendo stato acquistato al di fuori dell'arco temporale suddetto, doveva ritenersi di proprietà esclusiva del coniuge intestatario . Né poteva ritenersi intervenuta una comunione tacita familiare, in mancanza di una prova che doveva essere fornita dal coniuge non intestatario del bene. Avverso la pronuncia l'uomo proponeva ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. La donna non svolgeva attività difensiva. L'uomo, tra le altre cose, lamentava il fatto che la Corte d'Appello non avesse ammesso le prove orali tese a comprovare che l'immobile rientrava nella comunione tacita familiare , l'omesso esame della documentazione prodotta, sin dal primo grado, idonea a dimostrare la comproprietà dell'immobile per effetto di tale comunione tacita tra i coniugi e, inoltre, che l'ex moglie, non essendo titolare di alcun reddito, né di lasciti, non era nelle condizioni di poter pagare la somma necessaria per l'acquisto, né le rate del mutuo acceso. Osservazioni. Diversamente da quanto prevede attualmente l' articolo 159 c.c. , nel sistema vigente anteriormente alla riforma del 1975 , il regime patrimoniale legale tra i coniugi risultava essere quello della separazione dei beni, anche se detto principio non era sancito espressamente in alcuna norma. Esso operava ope legis qualora i coniugi non avessero scelto con apposita convenzione, da stipulare con atto pubblico, la comunione dei beni. Tale regime ha la propria disciplina negli artt. 177 ss c.c. Il patrimonio dei coniugi, in regime di comunione legale, può dirsi costituito da tre categorie di beni i beni in comunione immediata o attuale, i beni in comunione de residuo o differita, ossia quelli destinati ad entrare nel patrimonio comune allo scioglimento del regime legale se, e nella misura in cui, non siano stati consumati e, infine, i beni personali, che compongono il patrimonio individuale del coniuge. La norma transitoria dell' articolo 228 l. numero 151 prevede, al primo comma, che le famiglie già costituite alla data di entrata in vigore della legge 20 settembre 1975 rimangano assoggettate - per quanto attiene ai beni acquistati successivamente a questa data - al regime della comunione legale, salvo che uno dei coniugi non manifesti volontà contraria entro il termine del 15 gennaio 1978 fissato con la l. numero 804/77 e, al secondo comma, che entro lo stesso termine del 15 gennaio i coniugi possono convenire che i beni acquistati anteriormente al 20 settembre 1975 siano assoggettati al regime della comunione, salvo i diritti dei terzi. Con particolare riferimento al precetto del secondo comma è sorta la questione se con la convenzione prevista i coniugi che abbiano contratto matrimonio prima del 20 settembre 1975 possano assoggettare alla comunione legale oltre ai beni acquistati da ciascuno di essi durante il matrimonio anche quelli anteriori alle nozze. Nel caso in esame l' acquisto della proprietà esclusiva della casa in capo alla moglie era avvenuto sì in costanza di matrimonio ma prima dell'entrata in vigore della riforma di famiglia , vigente il regime patrimoniale della separazione dei beni. Né era emerso che i coniugi avessero optato per il regime della comunione legale, in deroga a quello della separazione, al momento dell'acquisto o entro il termine di legge del 15 gennaio 1978. I Supremi giudici nel decidere richiamano una precedente pronuncia di legittimità Cass. numero 4031/85 stabilendo che, in merito all'acquisto di un immobile fatto da un coniuge, a suo nome, prima della riforma del 1975, il diritto di comproprietà dell'altro, per quota uguale, può essere riconosciuto qualora risulti la ricorrenza di una comunione universale dei beni che, però, nel caso de quo non è invocata, facendosi riferimento soltanto all'acquisto della casa familiare. Inoltre, la Corte afferma che, nella disciplina previgente alla riforma del 1975, il coniuge che reclami la comproprietà di un bene immobile, anche in una situazione di comunione tacita familiare, non può avvalersi della prova testimoniale, stante la necessità dell'atto scritto. Conclusione. Con l'ordinanza in oggetto, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione rigetta il ricorso, ritenendo altresì che, non avendo l'intimata svolto attività difensiva, non v'è luogo a provvedere sulle spese processuali.

Presidente Genovese – Relatore Iofrida Fatti di causa La Corte d'appello di L'Aquila, con sentenza n. 805/2016, pubblicata il 22/7/2016, - in controversia proposta da I.A., con citazione dell'ottobre 2006, nei confronti di A.R. ex coniuge in forza di matrimonio del Omissis , al fine di sentire accertare, in via principale, la comproprietà in capo all'attore al 50% dell'appartamento, sito in Omissis , acquistato con atto del Omissis ante Riforma del diritto di famiglia , a nome della moglie, ma con denaro del marito, destinato a residenza familiare, ovvero, in via gradata, il diritto di credito in proprio favore, con condanna della ex moglie al pagamento di somma pari ad almeno la età del valore attuale dell'immobile, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva respinto le domande attoree, negando la sussistenza di una comunione tacita familiare tra i coniugi per effetto della convenzione matrimoniale di scioglimento della comunione legale, per atto notarile del Omissis , nella quale i coniugi avevano dichiarato non essere presente alcun bene immobile, e di separazione dei beni. In particolare, i giudici d'appello hanno respinto il gravame dell' I., richiamando la disposizione transitoria dettata dalla L. n. 151 del 1975, art. 228 secondo cui il regime di comunione legale tra i coniugi, introdotto con la Riforma del diritto di famiglia, si applica automaticamente alle coppie sposate prima dell'entrata in vigore della legge di Riforma, avvenuta il 20/9/1975, a meno che entrambi i coniugi o anche uno solo di essi non abbiano espressamente dichiarato, entro il 16/1/1978, di volere adottare un diverso regime, e rilevando che oggetto della comunione sono sia gli acquisti compiuti dopo il 16/1/1978, sia quelli compiuti dal 21/9/1975 al 15/1/1978, ma non anche gli acquisti effettuati prima, che rimangono di proprietà individuale del coniuge che li aveva fatti nella specie, l'atto di compravendita era stato stipulato in data Omissis , fuori dall'arco temporale indicato e doveva quindi ritenersi di proprietà esclusiva del coniuge che ne risulta intestatario ad avviso della Corte territoriale, neppure poteva ritenersi intervenuta una comunione tacita familiare, in difetto di prova cui era onerato l'altro coniuge, non intestatario della proprietà del bene , essendo al riguardo dirimente la convenzione matrimoniale inter partes dell'aprile 2001, con la quale i coniugi, nel dichiarare di volere mutare il regime patrimoniale, adottando quello di separazione dei beni, con conseguente scioglimento della comunione, avevano espressamente dichiarato che nella stessa non era presente alcun bene immobile e nulla avrebbe impedito all' I. di dichiarare l'esistenza di una comunione, seppure tacita, sull'appartamento intestato a A.R. , con conseguente correttezza dell'ordinanza istruttoria di primo grado, con la quale non era stata ammessa la prova orale articolata dall' I., in violazione dell' art. 2722 c.c. , e non era stata ammessa la produzione documentale, in quanto tardiva la domanda di rimborso delle spese di manutenzione dell'immobile, degli oneri condominiali e fiscali era inammissibile, in quanto nuova, in violazione dell' art. 345 c.p.c. . Avverso la suddetta pronuncia, non notificata, I.A. propone ricorso per cassazione, notificato tra il 27/1/2017 e il 13/2/2017, affidato a cinque motivi, nei confronti di A.R. che non svolge difese . Il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Il ricorrente lamenta a con il primo ed il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c. , n. 3, di norme di diritto in relazione all' art. 1362 c.c. , rilevando, nel primo motivo, che la Corte d'appello, pur riconoscendo che per le coppie sposate prima dell'entrata in vigore della Legge di Riforma del Diritto di Famiglia n. 151 del 1975, avvenuta il 20/9/1975, soggette automaticamente, in difetto di diversa convenzione, al regime patrimoniale della comunione legale, potesse sussistere per gli acquisti immobiliari effettuati prima, in forza di intesa tacita, la comunione universale degli utili e degli acquisti, salvo l'onere della relativa prova, ha errato nel non ammettere le prove orali specificamente ritrascritte in questa sede , articolate sin dal primo grado, non ammesse e reiterate in appello, dirette a dimostrare che l'immobile rientrava nella comunione tacita familiare, ritenendo ostativo il disposto di cui all' art. 2722 c.c. , perché esse avrebbero avuto ad oggetto un patto contrario al contenuto del documento rappresentato dalla convenzione matrimoniale di modifica del regime patrimoniale in quello di separazione dei beni del 2001, non correttamente interpretata, in base al criterio preminente letterale di cui all' art. 1362 c.c. , avendo, con essa, i coniugi solo dichiarato di sciogliere la comunione legale , nella quale essi dichiaravano non essere presente alcun immobile, non anche la comunione convenzionale tacita universale, in cui invece rientrava l'immobile acquistato nel 1974 ed intestato alla moglie, nonché, nel secondo motivo, che egli non avrebbe avuto alcuna ragione di dichiarare che l'immobile in oggetto rientrava nella comunione legale che le parti si accingevano a sciogliere , ovvero per dichiarare l'esistenza di una comunione tacita, estranea alla lettera della convenzione del 2001, né vi avrebbe avuto alcun interesse la A., che pure aveva sottoscritto l'atto notarile del 2001 b con il terzo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c. , n. 3, dell'art. 228, comma 1, secondo cui le famiglie già costituite prima dell'entrata in vigore della legge, decorso il termine di due anni, erano assoggettate al regime della comunione legale per i beni acquistati successivamente alla data medesima, salvo che uno dei coniugi non manifestasse volontà contraria entro lo stesso termine e comma 2 secondo cui entro lo stesso termine i coniugi potevano convenire che i beni acquistati prima della data indicata nel comma 1, fossero assoggettati al regime della comunione , L. n. 151 del 1075, nell'ipotesi in cui si dovesse ritenere che la Corte d'appello abbia erroneamente ritenuto che la comunione tacita di cui all' art. 215 c.c. , vigente anteriormente alla Riforma del 1975, abbia perso la sua natura giuridica, convertendosi automaticamente nella comunione legale introdotta con la Riforma, considerato che, da un lato, i beni dei coniugi I.- A. sono stati assoggettati al regime della comunione legale fino al 2001, quando ex art. 191 c.p.c. hanno convenzionalmente mutato il regime patrimoniale, adottando quello di separazione dei beni, che alcun immobile era stato acquistato dopo il 1975, cosicché correttamente essi avevano dichiarato che nella comunione legale non era presente alcun bene immobile, che alcuna convenzione, con riguardo all'immobile acquistato nel 1974, era stata stipulata dai coniugi dopo l'entrata in vigore della Riforma del 1975 e che la precedente convenzione tacita costitutiva di comunione dei beni tra coniugi aveva conservato valore dopo la Riforma, distinguendosi sempre dalla comunione legale introdotta dalla Riforma c con il quarto motivo, la nullità della sentenza o del procedimento, ex art. 360 c.p.c. , n. 4, con riguardo all'esclusione, in primo grado, scaduti i termini ex art. 183 c.p.c. , comma 4, della produzione tardiva, all'udienza del 24/01/2008, prima dell'ammissione dei mezzi di prova articolati, dei verbali di udienza, dal gennaio 2006 al novembre 2007, relativi alla causa di separazione pendente tra le parti, quanto meno di quello del 7/11/2007, redatto dopo l'udienza del 20/6/2007, di formazione successiva alla scadenza dei termini ex art. 183 c.p.c. , comma 4, contenenti prova del fatto che l'unica fonte di reddito della famiglia era sempre stato il lavoro dell' I., essendo la moglie casalinga e priva di qualsiasi reddito d con il quinto motivo, l'omesso esame ex art. 360 c.p.c. , n. 5, di fatto decisivo, rappresentato dalla documentazione prodotta, sin dal primo grado, idonea a dimostrare la comproprietà dell'immobile per effetto della comunione tacita familiare convenuta tra i coniugi e che la moglie non era titolare di alcun reddito, di alcun lascito e dote e dunque non era in grado di pagare il corrispettivo versato in contanti nel 1974 né le rate di mutuo. 2. Le prime due censure sono infondate, nei sensi di cui in motivazione, con assorbimento del terzo motivo. Nella specie, si discute di un acquisto immobiliare effettuato, a nome della sola A.R., in costanza di matrimonio dei coniugi A. - I., con atto del Omissis ante Riforma del diritto di famiglia . Si deve poi ribadire che non risulta essere stata stabilita tra le parti alcuna convenzione secondo la disciplina dettata dalla L. n. 151 del 1975, art. 228 . Solo nel 2001, veniva stipulato dai coniugi atto notarile con il quale gli stessi, nel dichiarare di volere mutare il regime patrimoniale, adottando quello di separazione dei beni, con conseguente scioglimento della comunione legale, dichiaravano che nella stessa non era presente alcun bene immobile. Secondo la disciplina anteriore all'entrata in vigore della L. n. 151 del 1975 , il regime patrimoniale dei coniugi era rappresentato dalla separazione dei beni che operava ope legis qualora i coniugi non avessero scelto con apposita convenzione da stipulare con atto pubblico la comunione dei beni. L' art. 159 c.c. nel testo introdotto dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, art. 41 in vigore dal 20/9/1975 nel disporre che il regime patrimoniale legale della famiglia è costituito - salva diversa convenzione - dalla comunione dei beni regolata dalla sezione III del presente capo ha innovato radicalmente il precedente regime costituito dalla separazione dei beni. L' art. 210 c.c. inserito nella Sezione IV del Capo VI del Libro I del Codice civile dedicato alla comunione convenzionale , come modificato dalla L. n. 151 del 1975, art. 79 consentiva e consente nel comma 1, che i coniugi possano mediante convenzione modificare il regime della comunione legale dei beni purché i patti non siano in contrasto con le disposizioni dell' art. 161 c.c. e nel comma 2 l'inserimento nella comunione convenzionale anche dei beni di cui all' art. 179 c.c. , lett. a , ossia de i beni di cui prima del matrimonio il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento . La L. n. 151 del 1975, art. 228 prevede - nel comma 1, che le famiglie già costituite alla data di entrata in vigore della legge 20 settembre 1975 rimangano assoggettate - per quanto attiene ai beni acquistati successivamente a questa data - al regime della comunione legale, salvo che uno dei coniugi non manifesti volontà contraria entro il termine del 15 gennaio 1978 fissato con la L. 31 ottobre 1977 n. 804 - nel comma 2, che entro lo stesso termine del 15 gennaio 1978 i coniugi possono convenire che i beni acquistati anteriormente alla data indicata nel comma 1 20 settembre 1975 siano assoggettati al regime della comunione, salvo i diritti dei terzi . Al comma 3 erano poi previste agevolazioni fiscali. Questa disposizione, di natura transitoria, consentiva dunque ai coniugi già sposati alla data di entrata in vigore della legge, la possibilità di estendere il regime della comunione legale - applicabile in via automatica, salva dichiarazione contraria - anche ai beni acquistati, in costanza di matrimonio, anteriormente alla legge. La norma quindi di per sé si occupava del regime della comunione legale alle famiglie già costituite, in un ottica di favor attribuito dal legislatore al nuovo regime di comunione familiare, consentendo alle persone già coniugate alla data del 20 settembre 1975 di estendere il regime di comunione legale anche agli acquisti anteriori, senza con ciò vietare la scelta di un regime patrimoniale diverso, fosse quello della separazione dei beni ovvero della comunione convenzionale cfr. Cass. 4457/2003 Cass. 21786/2008 . Quindi, l'assoggettamento automatico alla comunione legale riguardava i soli beni acquistati dopo il 20 settembre 1975 comma 1, seconda parte e, perciò, anche quelli acquistati nel periodo durante il quale i coniugi avrebbero potuto manifestare la volontà contraria a detto assoggettamento cfr. Cass. 25 luglio 1997 n. 6954 dalla formulazione della L. 19 maggio 1975, n. 151, art. 228 risulta che con la realizzazione delle condizioni per l'applicazione del nuovo regime la comunione legale ha ad oggetto anche gli acquisti effettuati dai coniugi nel periodo transitorio ricompreso tra l'entrata in vigore della legge e il termine ultimo per manifestare la volontà contraria all'applicazione delle nuove norme 15 gennaio 1978 , purché a tale data i beni si trovino nel patrimonio del coniuge che li ha acquistati conf. Cass. 225/2010 e i coniugi potevano convenire che al regime della comunione rimanessero assoggettati anche i beni da loro essi singolarmente acquistati avanti il 20 settembre 1975 comma 2 . Come stabilito dalle sezioni unite di questa Corte con la sent. 77/1999 essendo sorta, con riferimento al precetto di cui all'art. 228, comma 2 la questione se con la convenzione ivi prevista i coniugi che abbiano contratto matrimonio prima del 20 settembre 1975 potessero assoggettare al regime della comunione legale, oltre i beni acquistati da ciascuno di essi durante il matrimonio, i c.d. beni post-nuziali, anche gli acquisti anteriori al matrimonio, i c.d. beni pre-nuziali , le convenzioni previste della L. 19 maggio 1975, n. 151, dall'art. 228, comma 2, da stipularsi entro il termine del 15 gennaio 1978 così prorogato dal D.L. 9 settembre 1977, n. 688, art. 1 convertito nella L. 31 ottobre 1977, n. 804 , potevano avere ad oggetto soltanto i beni post-nuziali, cioè i soli beni acquistati dai coniugi prima dell'entrata in vigore della L. n. 151 del 1975 , ma pur sempre in costanza di matrimonio, in quanto la ratio dell'intera disposizione tendeva a consentire l'estensione del regime della comunione legale c. d. pura quale fissato negli artt. da 177 a 197 c.c. alle famiglie già costituite alla data di entrata in vigore della legge di riforma e conseguentemente l'esenzione fiscale di cui al comma 3 era applicabile esclusivamente alle convenzioni assoggettanti a comunione legale i beni post-nuziali . Questa Corte Cass.24867/2014 ha chiarito che la L. 19 maggio 1975, n. 151, art. 228 di riforma del diritto di famiglia, nel prevedere che, a partire dal 15 gennaio 1978, rimanessero esclusi dall'applicazione del regime legale della comunione i beni dei coniugi già uniti in matrimonio soltanto qualora uno di essi avesse effettuato, entro due anni dall'entrata in vigore della legge, una specifica dichiarazione negoziale di volontà contraria all'applicazione del regime legale ricevuta da notaio o dall'ufficiale dello stato civile ha voluto determinare un passaggio temporalmente netto al nuovo regime legale, sicché la proposizione della domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio da parte di uno dei coniugi, che sia stata successivamente abbandonata, non può ritenersi equipollente alla formalità prescritta dalla legge poiché non dimostra una inequivoca scelta in senso contrario e, dunque, non osta all'applicazione del nuovo regime della comunione legale dei beni . Ora, quindi, al momento dell'acquisto della proprietà esclusiva del bene da parte della A., nel 1974, in costanza di matrimonio, il nucleo familiare era sottoposto al regime patrimoniale della separazione dei beni, non risultando neppure che i coniugi, al momento dell'acquisto, avessero optato per il regime della comunione legale in deroga al regime della separazione dei beni previsto dalla normativa anteriore alla riforma del diritto di famiglia di cui alla citata legge. Neppure risulta che i coniugi abbiano operato la scelta, loro consentita e necessaria non rientrando, in difetto, automaticamente l'acquisto individuale di uno dei coniugi nella comunione legale , entro il termine di legge, di cui alla L. n. 151 del 1975, art. 228, comma 2. Ne consegue che, come correttamente affermato dalla Corte d'appello, il bene in oggetto era di proprietà esclusiva della A., salvo quanto si dirà appresso. Successivamente all'entrata in vigore della L. n. 151 del 1975 , il regime patrimoniale dei beni acquistati dopo il 20/9/1975 è stato automaticamente, anche nell'intervallo di due anni dalla data di entrata in vigore della legge previsto dall'art. 228, comma 1 stessa Legge a decorrere quindi dal 16.1.1978 , quello della comunione legale, non essendosi nessuno dei coniugi opposto a tale assoggettamento, con una dichiarazione di volontà che doveva essere manifestata nel suddetto termine. Nella convenzione del Omissis , i coniugi hanno dichiarato di volere mutare il regime patrimoniale in quello della separazione dei beni, procedendo contestualmente allo scioglimento della comunione legale, dichiarando che peraltro nella stessa non era presente alcun bene immobile. Ma il regime di comunione legale cui faceva riferimento la convenzione del 2001 non poteva che riguardare gli acquisti immobiliari intervenuti successivamente al gennaio 1978, non anche quelli anteriori, che ne restavano fuori per quanto detto sopra. Ora, la stessa Corte d'appello ritiene che, pur in mancanza di atto scritto, era possibile che tra i coniugi fosse intervenuta un'intesa tacita idonea a vincolarli reciprocamente a considerare in comunione il bene acquistato a nome di uno di essi. Invero, questa Corte Cass. 4031/1985 ha affermato che con riguardo all'acquisto di un bene immobile, effettuato da uno dei coniugi, a suo nome, prima della riforma del diritto di famiglia introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151 , il diritto di comproprietà dell'altro coniuge, per quota uguale, può essere riconosciuto qualora risulti la ricorrenza di una comunione universale dei beni, secondo la previsione degli allora vigenti artt. 215 e 230 c.c. , tenuto conto che la costituzione di tale comunione, riconducibile anche ad un'intesa tacita dei coniugi medesimi, implica ipso iure la caduta in comproprietà dei successivi acquisti effettuati dal singolo compartecipante, con la sola esclusione di quelli espressamente contemplati dall'art. 217 vecchio testo c.c. . L'art. 215 c.c., nel testo anteriore alla Riforma del 1975, recitava così Art. 215 Comunione degli utili e degli acquisti . Non è permesso agli sposi di contrarre altra comunione universale di beni, fuorché quella degli utili e degli acquisti. Tale comunione può essere stabilita anche se v'e' costituzione di dote, ferma in ogni caso l'inalterabilità delle precedenti convenzioni . Resta tuttavia il fatto che nel presente giudizio non si afferma o si invoca chiaramente l'esistenza di una comunione universale dei beni tra i coniugi né tanto meno di un consorzio familiare o di una comunione familiare nell'esercizio dell'agricoltura, secondo la disciplina vigente ante Riforma 1975 , quanto la comunione sul solo acquisto immobiliare del 1974 a nome della sola A Ora l'argomento secondo cui, per effetto di un'interpretazione letterale della convenzione del 2001, nonché tenuto conto della disciplina dettata, in via transitoria, dalla L. n. 151 del 1975 , di per sé la convenzione del 2001 non costituiva ostacolo all'ammissione della prova testimoniale, ai sensi dell' art. 2722 c.c. , come erroneamente ritenuto dalla Corte d'appello, considerato che la prova orale dedotta non era volta a provare un patto contrario al contenuto del documento contrattuale del 2001, non e', in ogni caso, conferente. Invero, si pone sempre il problema dell'ammissibilità, in generale, della prova testimoniale in questione rispetto all'esistenza di una comunione tacita familiare. Questa Corte ha, invero, costantemente negato tale ammissibilità, in relazione all'acquisto di un bene immobile. Si richiama Cass. 1062/1989 Nella disciplina previgente alla riforma del diritto di famiglia di cui alla L. 19 maggio 1975, n. 151 , il coniuge che reclami la comproprietà di un bene immobile, anche in una situazione di comunione tacita familiare, non può avvalersi della prova testimoniale, stante la necessità dell'atto scritto art. 1350 c.c. nella fattispecie allora in esame da parte di questa Corte, la ricorrente, assumendo che fra lei ed il marito deceduto, dal quale si era separata consensualmente nel Omissis , prima della separazione, si fosse costituita una comunione tacita, intesa al mero godimento dei beni in regime di matrimonio ed avente ad oggetto tutti gli acquisti effettuati, aveva chiesto di provare come era suo onere il patto circa l'apporto di entrambi i coniugi al fondo comune, nonché la comproprietà dei beni a causa della realizzata comunione e la concordata intestazione al marito questa Corte, in motivazione, premessa l'applicazione della disciplina anteriore, essendosi il matrimonio sciolto per morte del coniuge prima della riforma del 1975, e che era pacifica l'inesistenza tra i coniugi di alcuna convenzione nelle forme di cui agli artt. 162 e 215 e ss. c.c. , ha osservato che l'applicazione delle regole generali sulla comunione dei beni postula che, con riguardo ai beni immobili, l'accordo relativo alla comunione dell'acquisto di esso dovesse risultare da atto scritto art. 1350 c.c. e non potesse essere provato per testi, come intendeva fare la ricorrente. In tal senso deve intendersi la giurisprudenza citata dalla medesima Cass. n. 2120 del 1961 si riferisce ad una comunione tacita familiare, istituto che la stessa ricorrente ammette essere del tutto estraneo al caso di specie, per mancanza dell'esercizio di un'attività comune egualmente deve dirsi di Cass. n. 415 del 1950 Cass. n. 1536 del 1952 e Cass. 1816 del 1963 . Si tratta di giurisprudenza risalente v. Cass. 5 febbraio 1935 che però non giova alla ricorrente, stante il difetto del requisito dell'esercizio di un'azienda anche non agricola cfr. Cass. 17 febbraio 1987 n. 1688 e non gioverebbe in ogni caso, perché anche con riguardo alla comunione tacita familiare, l'acquisto formale di un immobile da parte di uno dei componenti non produce l'automatico acquisto del bene in capo alla comunione Cass. 9 maggio 1978 n. 2242 16 novembre 1982 n. 6129 10 gennaio 1983 n. 161, in motivazione Cass. 9 marzo 1988 n. 2359 . Anche Cass. 6537/1985 ha affermato La messa a disposizione, da parte di uno dei membri della comunione, di un bene di sua proprietà, che consenta la costituzione e lo sviluppo della comunione tacita familiare, in quanto rende possibile l'utilizzazione di esso nell'esercizio dell'impresa familiare, non attribuisce al consorzio la proprietà dello stesso, essendo necessario, perché ciò si verifichi, che il proprietario manifesti la propria volontà in tal senso attraverso un atto formale di trasferimento a norma dell' art. 1350 c.c. senza che possano assumere rilievo gli usi, in forza del generico rinvio ad essi contenuto nell' art. 2140 e nell'art. 230 bis c.c. non possono, infatti, gli usi, in materia di trasferimento immobiliare, prevalere sul disposto della legge con essi in contrasto . Il principio è stato richiamato in motivazione da Cass. 787/2021 conf. a Cass. 1688/1987 Nella disciplina anteriore alla riforma del diritto di famiglia di cui alla L. n. 151 del 1975 , il coniuge che affermi il diritto di comproprietà su un bene immobile intestato all'altro coniuge, in forza di un regime di comunione tacita familiare, idoneo ad estendersi ipso iure agli acquisti fatti da ciascun partecipante senza bisogno di mandato degli altri né di successivo negozio di trasferimento, ha l'onere di fornire la relativa prova, tenendo conto che la suddetta comunione non può essere desunta da una mera situazione di collaborazione familiare, ma postula atti o comportamenti che evidenzino inequivocabilmente la volontà di mettere a disposizione del consorzio familiare determinati beni, nonché di porre in comune lucri, perdite ed incrementi patrimoniali Cass. 33384/2021 . Ora, seppure la ragione di inammissibilità della prova orale espressa dalla Corte d'appello sia un'altra, il decisum va confermato, con correzione della motivazione, ai sensi dell' art. 384 c.p.c. 3. Il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili, in quanto non emerge dal ricorso la decisività dei documenti non ammessi in giudizio i verbali dell'udienza di separazione personale tra le parti, peraltro quelli la cui produzione entro i termini ex art. 183 c.p.c. , comma 4 non fosse stata possibile per loro sopravvenienza, state per gli altri la tardività della loro prodizione in giudizio ovvero prodotti e non esaminati attestanti la situazione reddituale ed economica della A., le spese sostenute dall' I. per la gestione ordinaria e straordinaria dell'immobile, documentazione varia, bancaria ed assicurativa . 4.Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v'e' luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l'intimata svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stresso art, 13, comma 1 bis. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.