Mansioni incompatibili con la sua condizione fisica: lavoratore morto per infarto e Comune condannato

Palese, secondo i giudici, l’illecito addebitabile all’ente locale. Riconosciuto, di conseguenza, il diritto al risarcimento delle familiari del lavoratore.

Comune colpevole per avere ripetutamente impiegato il dipendente come netturbino-autista nonostante quelle mansioni fossero incompatibili, come stimato dalla Commissione medica, con la sua condizione fisica, e per averne così causato la morte. Consequenziale l' obbligo risarcitorio a carico dell'ente locale verso la moglie e le figlie del lavoratore. Concordi i giudici di merito. Così come sostenuto dalle familiari del lavoratore oramai deceduto, è palese la responsabilità del Comune , reo di avere adibito il dipendente a mansioni non compatibili con la sua condizione fisica. Nello specifico, i giudici di secondo grado sottolineano che il lavoratore, inquadrato come netturbino e autista di autocarri , è deceduto a seguito di infarto acuto del miocardio , e aggiungono che si può imputare all'ente locale un comportamento colposo consistito nella perdurante adibizione del dipendente, reiterata nel giorno del decesso, a mansioni, quelle di netturbino-autista, che già tre anni prima erano state certificate come incompatibili con la sua condizione fisica, in relazione ad una inabilità lavorativa stimata dalla Commissione medica in misura pari a due terzi . Inutile il ricorso proposto in Cassazione dal Comune. Impossibile, secondo i giudici di terzo grado, mettere in dubbio la responsabilità dell'ente locale per la tragica morte del lavoratore. È impensabile, quindi, mettere in discussione il risarcimento riconosciuto in favore delle familiari del lavoratore. Decisive le prove accertate in merito alla modalità di esecuzione della prestazione da parte del lavoratore nel giorno della sua morte . A questo proposito è decisiva la dichiarazione testimoniale di un collega del lavoratore, il quale ha riferito di essere a conoscenza delle modalità di esecuzione della prestazione da parte del lavoratore nel giorno del decesso e ciò per averne avuto cognizione diretta allorché, pur essendo assente dal luogo di lavoro, egli era stato, nel pomeriggio di quel giorno, raggiunto telefonicamente dall'ufficio perché intervenisse in aiuto del collega nello svolgimento dell'attività che a quello era stata affidata . Palese, quindi, il fatto illecito imputabile al Comune e rappresentato dall' impiego del lavoratore, in quella giornata come in quelle precedenti, in mansioni che già da anni erano state certificate incompatibili con il suo stato di salute .

Presidente Manna - Relatore De Marinis Rilevato in fatto - che, con sentenza del 13 ottobre 2016, la Corte d'Appello di Catanzaro confermava la decisione resa dal Tribunale di Cosenza ed accoglieva la domanda proposta da R.R. ed G.E. e G. nella qualità di eredi di G.R. nei confronti del Comune di omissis , alle cui dipendenze il G. operava con inquadramento nella categoria A3 e mansioni di netturbino e autista di autocarri, avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità dell'Ente per la morte del G. intervenuta a seguito di infarto acuto del miocardio - che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto, non diversamente dal primo giudice, sussistere a carico del Comune la responsabilità extracontrattuale da fatto illecito per essere stato causa della perdita parentale anche con riguardo all'elemento psicologico, potendosi imputare all'Ente un comportamento colposo consistito nella perdurante adibizione del dipendente, reiterata nel giorno dell'evento, a mansioni, quelle di netturbino-autista comprovate in giudizio, che già da tre anni prima erano state certificate come incompatibili con la sua condizione fisica, in relazione ad una inabilità lavorativa stimata dalla Commissione medica in misura pari a 2/3 - che per la cassazione di tale decisione ricorre il Comune di omissis , affidando l'impugnazione a tre motivi, cui resistono, con controricorso, gli eredi G. Considerato in diritto - che, con il primo motivo, il Comune ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell' art. 437 c.p.c. , comma 2, anche in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c. , e art. 416 c.p.c. , comma 3, lamenta la non conformità a diritto del pronunciamento della Corte territoriale circa la ritenuta inammissibilità per tardività della prova documentale prodotta dal Comune ricorrente in sede di appello al fine di attestare la falsa dichiarazione resa in primo grado dal teste indotto dagli istanti, confutando altresì l'ulteriore ratio della decisione data dall'essere stata comunque raggiunta la prova delle circostanze di fatto relative alle modalità di esecuzione della prestazione nel giorno dell'evento letale per la non contestazione di quanto a riguardo allegato, a motivo del non essere state quelle circostanze fatte oggetto di specifica allegazione nell'atto introduttivo ed essere state, di contro, ampiamente contestate - che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. , anche in relazione all' art. 2697 c.c. , e artt. 99 e 112 c.p.c. , il Comune ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale di aver accolto la domanda degli istanti sotto il profilo del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale loro spettante iure proprio in relazione alla riconosciuta responsabilità da fatto illecito per essere stato causa della perdita parentale laddove tale domanda difettava processualmente di allegazione della causa petendi ancora una volta l'omessa specificazione delle circostanze in cui era maturato l'evento e in sostanza della stessa configurazione del fatto illecito ex art. 2043 c.c. da cui soltanto poteva derivare l'insorgenza di diritti risarcitori propri dell'erede per aver subito un danno ingiusto riconducibile all' art. 2059 c.c. - che nel terzo motivo, rubricato con riferimento al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il Comune ricorrente imputa alla Corte territoriale l'incongruità logica e giuridica dell'apprezzamento in termini di mero errore materiale del riferimento ai criteri di liquidazione del danno biologico operato dal primo giudice nel procedere alla liquidazione del danno non patrimoniale da perdita parentale il solo riconosciuto risarcibile ed il mantenimento di tale parametro nella valutazione della correttezza della decisione sul punto da parte del primo giudice, sostenendo trattarsi di un modo processualmente inammissibile di superare, attraverso l'aggancio ad un riferimento oggettivo., le carenze di allegazione e prova sulla consistenza del riconosciuto danno non patrimoniale da fatto illecito spettante iure proprio, il cui accoglimento avrebbe richiesto l'assolvimento rigoroso di quegli oneri - che appare opportuno evidenziare come, unitariamente considerata, l'impugnazione proposta sia volta a censurare l'aver la Corte territoriale disatteso l'impostazione di fondo della posizione difensiva del Comune, data dal non aver gli istanti specificamente allegato e provato le circostanze di fatto relative alla modalità di esecuzione della prestazione da parte del G. nel giorno dell'evento ovvero il fatto illecito , la cui comprovata riconducibilità al comportamento dell'Ente soltanto varrebbe a fondare in capo al medesimo la riconosciuta responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. , ed il diritto attribuito agli istanti al risarcimento del danno non patrimoniale maturato iure proprio in ragione del danno ingiusto subito per la perdita parentale, derivandone la non conformità a diritto, sul piano processuale e sostanziale, della dichiarata responsabilità extracontrattuale dell'Ente per difetto di allegazione e prova del fatto illecito, se non addirittura della stessa causa petendi, che si assume non essere stata neppure prospettata, per essere il petitum fondato soltanto sulla deduzione della violazione dell'obbligo contrattuale ex art. 2087 c.c. , e della condanna al risarcimento del danno non patrimoniale tanto nell'an che nel quantum, mancando, in ragione ancora una volta della carenza di allegazione e prova del fatto illecito e così del danno ingiusto e della sua consistenza, gli elementi in fatto sulla base dei quali procedere all'accertamento della loro ricorrenza - che è a dirsi come, così impostata, l'impugnazione si rivela complessivamente infondata atteso che la censura di cui al primo motivo non vale ad inficiare il pronunciamento della Corte territoriale circa la raggiunta prova delle circostanze di fatto relative alla modalità di esecuzione della prestazione da parte del G. nel giorno dell'evento non misurandosi, così da risultare inammissibile, con la ratio decidendi sottesa alla pronunzia, incentrata sul disconoscimento della falsità della dichiarazione testimoniale che il ricorrente vorrebbe attestata dalla prova documentale che la Corte territoriale non ha ritenuto ammissibile, illegittimamente a detta del ricorrente, per risultare da quella prova l'assenza del teste dal lavoro nella giornata dell'evento letale e l'erroneità dell'indicazione dell'orario di lavoro osservato, disconoscimento basato sull'apprezzamento, qui insindacabile, in termini di corrispondenza al vero di quanto dal teste riferito essere a sua conoscenza circa le circostanze di fatto relative alla modalità di esecuzione della prestazione da parte del G. nel giorno dell'evento per averne auto cognizione, allorché, pur essendo assente dal luogo di lavoro, circostanza ricavabile dal tenore della dichiarazione resa in giudizio, era stato nel pomeriggio di quel giorno raggiunto telefonicamente dall'ufficio perché intervenisse in aiuto del G. nello svolgimento dell'attività che al medesimo era stata affidata - che da qui discende la correttezza della pronunzia resa dalla Corte territoriale circa la configurabilità del fatto illecito imputabile al Comune ricorrente, dato dall'impiego del G. in quella giornata, come in quelle precedenti, in mansioni che già da anni erano state certificate incompatibili con il suo stato di salute, la ricorrenza del danno ingiusto subito dagli istanti per la perdita parentale, la sussistenza del diritto iure proprio al risarcimento di quel danno, l'utilizzabilità della tabella del Tribunale di Milano quale parametro per la liquidazione del danno conseguente alla perdita di un congiunto in favore del coniuge e dei figli, considerato in quella tabella, derivandone l'assoluta infondatezza del secondo e del terzo motivo - che, pertanto, il ricorso va rigettato - che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 10.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.