La S.C. fa il punto sulla rendita vitalizia nella liquidazione del danno non patrimoniale e ne valorizza la funzione risarcitoria

La scelta di liquidare il danno permanente alla persona tramite una rendita vitalizia ai sensi dell’art. 2057 c.c. è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, che può optare d’ufficio per questa soluzione anche in appello , disponendo in tal caso opportune cautele”.

Nella determinazione della rendita il giudice deve dapprima determinare la somma capitale, avuto riguardo all'età della vittima al momento del sinistro e alle conseguenti aspettative di vita, senza tenere in considerazione la loro riduzione nel caso concreto, quando dipenda dalle lesioni causate dall'illecito. Deve poi applicare un coefficiente di capitalizzazione, la cui scelta rientra nel suo potere discrezionale tale coefficiente però, nel rispetto di quanto previsto dall' articolo 1223 c.c. , deve essere scientificamente fondato, aggiornato, corrispondente all'età della vittima alla data dell'infortunio e progressivo. Il caso A causa dell' errata diagnosi in sede di primo accesso al pronto soccorso e del conseguente ritardo nella somministrazione della corretta terapia, un minore subisce lesioni permanenti gravissime . In primo grado il Tribunale, accertati comportamenti imprudenti, imperiti e negligenti del falso medico che aveva visitato il bambino, lo condanna in solido con l'azienda socio sanitaria territoriale al pagamento del danno non patrimoniale subito dalla vittima e del danno patrimoniale e non patrimoniale patito da ogni genitore. In parziale riforma della sentenza, la Corte d'Appello di Milano, tra l'altro, conferma l'ammontare del danno non patrimoniale subito dal bambino, ma di sua iniziativa stabilisce che venga risarcito nella forma di una rendita vitalizia, ritenuta meglio rispondente alle esigenze del danneggiato, considerata l'impossibilità di stabilire in modo oggettivo una durata presumibile della vita dello stesso, e tenuto conto altresì del carattere permanente del danno. Per il calcolo della rendita viene utilizzata la formula impiegata per determinare il valore delle rendite vitalizie di cui all'articolo 46, comma 2, lett. c , d.p.r. n. 131/1986. La Corte condanna altresì la compagnia assicuratrice chiamata in manleva dall'azienda socio sanitaria a stipulare una polizza fideiussoria con pagamento a prima richiesta, a garanzia della rendita vitalizia costituita a favore del minore. Il potere del giudice nella scelta della liquidazione del danno sotto forma di rendita vitalizia nell'ambito dell' articolo 2057 c.c. La scelta della Corte meneghina di procedere alla liquidazione di una rendita vitalizia per i gravissimi danni permanenti subiti dal minore scontenta tanto la compagnia assicurativa, che si lamenta della condanna alla costituzione di una polizza fideiussoria pur non essendo stata avanzata domanda in tal senso da nessuna delle parti in causa, quanto i genitori del bambino, che censurano sia la scelta della rendita vitalizia che le modalità del suo calcolo . La Corte di Cassazione chiarisce che, ai sensi dell' articolo 2057 c.c. , quando il danno alla persona ha carattere permanente, è facoltà del giudice decidere se procedere alla sua liquidazione sotto forma di rendita vitalizia, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno. Così come, in presenza dei presupposti stabiliti dalla norma, può scegliere in via autonoma - anche in sede di appello - di stabilire una rendita vitalizia, così può ed anzi deve, dopo aver compiuto tale scelta, disporre le opportune cautele”, volte a garantire l'adempimento dell'obbligo di versamento del rateo di rendita. I genitori - in sede di ricorso incidentale - avevano lamentato la manifesta ed irriducibile contraddittorietà della sentenza, poiché da un lato aveva rigettato la richiesta di riduzione dell'entità del risarcimento riconosciuto al minore in ragione della sua minore aspettativa di vita, dal momento che questa era stata determinata dalle negligenze dei responsabili, ma dall'altro, proprio tramite la scelta della forma di liquidazione, li avrebbe de facto agevolati, poiché i ratei sarebbero stati versati solo durante la vita del danneggiato, e quindi non per tutti gli anni di vita che sarebbero trascorsi sulla base delle tabelle di mortalità media sulla cui base si calcola il capitale , ma solo per il numero di anni effettivamente vissuti, che ci si aspetta essere inferiore, in virtù della ridotta aspettativa di vita determinata dalla gravità delle lesioni subite. La Suprema Corte, dopo aver ribadito che l' articolo 2057 c.c. affida al prudente apprezzamento del giudice la scelta della forma di liquidazione poiché per l'ordinamento civilistico capitale e rendita si equivalgono, ritiene di superare la critica sopra riportata distinguendo il coefficiente utilizzato per la costituzione della rendita dalla durata della stessa. Il primo deve corrispondere all'età del danneggiato al momento del sinistro e utilizzare come riferimento la durata media della vita, ma una volta calcolato correttamente il rateo - che corrisponde al pregiudizio sofferto dalla vittima nel corrispondente arco di tempo - non si viola il principio della riparazione integrale del danno qualora, con la morte ante tempus della vittima - cessi il risarcimento, poiché con il suo decesso cessa il danno da questa sofferto. D'altro canto, occorre considerare che quando la morte anticipata è stata causata dalle lesioni, accanto alla rendita stabilita per il risarcimento del danno non patrimoniale della vittima per il periodo compreso tra il sinistro e la morte, il responsabile sarà chiamato a risarcire anche, ed onnicomprensivamente, il danno iure proprio subito dai genitori, in relazione alla ridotta aspettativa di vita ed al presumibile periodo di vita del minore . Se invece il danneggiato dovesse avere una vita più lunga rispetto all'aspettativa di un soggetto sano, sarà lui ad essere avvantaggiato dalla rendita, mentre qualora dovesse morire anticipatamente, ma per cause indipendenti dalle lesioni subite, non si potrà dire che il danneggiante che cessa di pagare la rendita realizzerà un vantaggio patrimoniale, posto che con la morte della vittima cessa il danno che ha causato e che deve risarcire. La Corte pare dare maggiore rilievo alla funzione, tra le diverse riconosciute alla responsabilità civile, che si concentra sulla vittima e sulla effettiva riparazione del danno. Non sarebbe vero che tale forma si presta ad agevolare il danneggiante e sarebbe pertanto passibile di una valutazione negativa dal punto di vista morale secondo la Corte, invece, al di fuori del pur vasto territorio dei principi, specie costituzionali, non sembra legittimamente predicabile alcuna considerazione di ‘moralità' con riferimento a specifiche previsioni di legge, quando le forme del risarcimento rispondano tout court come nel caso della rendita a principi di effettività, di bilanciamento, di giustizia delle decisioni. Le ragioni per superare la non giustificabile diffidenza” nei confronti della rendita vitalizia I Giudici di legittimità prendono però spunto dalla doglianza dei ricorrenti incidentali circa la mancata specificazione dei criteri di scelta per affermare che invero il danno grave alla persona rappresenta o dovrebbe rappresentare proprio il terreno di elezione per il risarcimento sotto forma di rendita , che invece - come noto - è assai scarsamente applicato dalle nostre corti ma giova rilevare che negli ultimi anni in altre occasioni i giudici meneghini lo hanno scelto . Con la lunga sentenza in commento, ricca di obiter dicta , la Suprema Corte offre una serie di spunti volti a superare la diffidenza che sembra avvolgere tale forma di liquidazione del danno e a fornire indicazioni per i giudici che nel futuro se ne volessero avvalere. Da un lato, infatti, rammenta che la disciplina ad essa applicabile è quella degli artt. 1872 ss. c.c. , che prevedono una serie di disposizioni a favore del creditore il debitore, infatti, non può liberarsi dall'obbligazione offrendo il pagamento di un capitale né può invocare la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta - articolo 1879 c.c. - e in caso di suo inadempimento il creditore della rendita può far sequestrare e vendere i beni dell'obbligato - articolo 1878 c.c. . Il giudice inoltre può, in alternativa alle cautele” previste dall' articolo 2057 c.c. , disporre l'acquisto di titoli del debito pubblico in favore dell'avente diritto o stipulare in suo favore una polizza vita a premio unico ai sensi dell' articolo 1882 c.c. La rendita potrebbe poi essere in una serie di circostanze la forma di risarcimento del danno che maggiormente tutela la vittima si pensi alle lesioni subite da un minore, per cui è molto difficile fare una prognosi di sopravvivenza, o alle ipotesi in cui la corresponsione di un ingente capitale potrebbe comportare il rischio della sua dispersione, per esempio perché il danneggiato è persona socialmente debole o non scolarizzata o per il rischio di una cattiva gestione ad opera dei suoi familiari. Ecco che allora il giudice, valutando i vantaggi e gli svantaggi delle due diverse forme alla luce delle circostanze concrete del caso sottoposto al suo esame, ben potrà se non addirittura dovrà” – aggiunge la Corte privilegiare la forma della rendita e tale scelta è incensurabile in Cassazione se non per illogicità della motivazione o per errore di diritto. I Giudici di legittimità colgono l'occasione per affermare anche che deve ritenersi in astratto ammissibile la revisione della rendita negli stessi limiti in cui è ammessa una nuova domanda risarcitoria per l'insorgere di danni del tutto imprevedibili e non accertabili nel primo giudizio con un rimando ai principi esaminati approfonditamente da Cass. 27031/2016 , e che per ovviare al problema della perdita di valore della rendita a causa della svalutazione monetaria che secondo alcuni costituisce una delle ragioni di scarso successo dell'istituto il giudice - in applicazione delle cautele” consentite dall' articolo 2057 c.c. - potrebbe prevedere ex ante dei meccanismi di adeguamento rispetto al potere di acquisto della moneta, dal momento che la mancanza di siffatti meccanismi impedirebbe il risarcimento integrale del danno come già affermato da una parte della giurisprudenza di merito . Merita notare che la Corte di Cassazione nel proprio iter argomentativo fa riferimento anche alle scelte effettuate da due strumenti c.d. di soft law , sia pure de iure condendo ” i Principles of European Tort Law il cui articolo 10 102 attribuisce al giudice il potere discrezionale di scegliere la forma più appropriata di risarcimento, specificando però che i pagamenti periodici possono essere particolarmente utili in caso di danni permanenti e il Draft Common Frame of Reference cfr. articolo 6 203, che prevede invece che compensation is to be awarded as a lump sum unless a good reason requires periodical payment . Il Collegio osserva inoltre che la liquidazione in forma di rendita non risulta in alcun modo opportuna nel caso in cui le lesioni siano di lieve o media entità , in quanto il relativo gettito sarebbe così esiguo da non arrecare alcuna sostanziale utilità al danneggiato e afferma altresì - in obiter - che potrebbe invece trovare il suo terreno di elezione anche in caso di perdita o riduzione del reddito da parte del danneggiato. I criteri per la quantificazione della rendita Se il giudice ha la facoltà di liquidare il danno in forma di rendita se del caso, come opzione risarcitoria privilegiata” , questa deve però avere un valore finanziariamente equivalente al capitale da cui è stata ricavata , per l'intera durata della vita del beneficiario. La base di calcolo è la somma capitale che la Corte di Appello aveva correttamente individuato , che va divisa per un coefficiente, il quale è oggetto di valutazione e di scelta discrezionale del giudice, ma nel rispetto di alcuni parametri dovrà, infatti, essere a scientificamente fondato b aggiornato c corrispondente all'età della vittima alla data dell'infortunio d progressivo, cioè variabile in funzione almeno di anno, se non di frazione di anno . Dividendo il capitale per tale coefficiente si ottiene il rateo annuo, che andrà ulteriormente diviso per dodici, se si vuole liquidare una somma mensile invece che annuale. Nel caso in commento la Corte di Appello di Milano aveva usato per la quantificazione del danno un criterio giuridicamente scorretto. Aveva infatti fatto ricorso al coefficiente di cui all'articolo 46, lettera c , d.p.r. n. 131/1986, dettato per la determinazione della base imponibile dell'imposta di registro dovuta per gli atti di costituzione di rendite vitalizie, che presenta però una progressione che non corrisponde all'età del beneficiario. Esso, per esempio, è invariato per le persone di età compresa tra 0 e 20 anni la sua applicazione nella liquidazione del risarcimento per danno da invalidità permanente comporterebbe pertanto lo stesso risarcimento per un neonato e per un ventenne, in violazione dell' articolo 1223 c.c. La Suprema Corte osserva che non offrono un criterio corretto neppure le tabelle INAIL per gli infortuni mortali sul lavoro allegate al d.m. 1.4.2008 e successive modifiche, poiché prevedono coefficienti diversi a seconda del grado di invalidità permanente, e cioè - a parità di età - inversamente proporzionali al grado di IP, sulla base del presupposto che più alta è l'invalidità, minore è la speranza di vita. Come già osservato, però, la minore aspettativa di vita che sia conseguenza dell'illecito non deve rilevare nella determinazione del coefficiente per il calcolo della rendita vitalizia ex articolo 2057 c.c. Il Collegio in conclusione offre un utile riferimento paranormativo”, che a loro avviso può essere lo stesso già suggerito per la liquidazione del danno da incapacità lavorativa diffuso dal CSM cfr. Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, in Quaderni del CSM, 1990, n. 41, pp. 127 e ss. . Accogliendo quindi il ricorso incidentale per questo motivo, la Corte rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per una corretta quantificazione della rendita vitalizia, sulla base dei principi di diritto esposti.

Presidente Travaglino – Relatore Pellecchia Fatti di causa 1. Con atto di citazione del 26.5. 2014, M.S. e M.P., in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore M.F., convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, B.M.S. e l'Azienda Ospedaliera Omissis oggi Azienda Socio Sanitaria Territoriale - ASST Omissis , esponendo che il 4 giugno 2008 avevano portato il bambino, di pochi mesi, che da alcuni giorni presentava un pianto continuo, al P.S. dell'Ospedale Omissis , ove era in servizio B.M.S., il quale lo aveva dimesso dopo aver effettuato una radiografia, ipotizzando una coxalgia e prescrivendo la somministrazione di un antinfiammatorio che il giorno seguente il minore fu riportato al P.S. ove era nuovamente in servizio il B. e, a seguito di analisi del sangue, ne venne disposto il trasferimento nel reparto di pediatria, ove veniva intubato, essendo stata rilevata la presenza di pneumococco che la successiva diagnosi fu di meningoencefalite grave, con presenza di lesioni focali multiple sia del tronco encefalico che a livello degli emisferi cerebrali che la consulenza tecnica esperita in sede di ATP attestò l'imperizia, l'imprudenza e la negligenza del B. che successivamente venne accertato che quest'ultimo, pur prestando servizio presso il pronto soccorso pediatrico, non era un medico. 1.1. Tanto premesso, gli attori chiesero la condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alla condotta illecita dei convenuti. 1.2. Si costituì in giudizio l'Azienda ospedaliera, chiedendo, in via preliminare, la chiamata in causa della compagnia di assicurazioni QBE Insurance Europe Limited e, nel merito, il rigetto della domanda. L'Azienda formulò, inoltre, domanda riconvenzionale nei confronti del convenuto B.M.S 1.3. Si costituì in giudizio anche il B., chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti. 1.4. Autorizzata la chiamata in causa della compagnia assicuratrice, si costituì il rappresentante generale per l'Italia di QBE Insurance Europe Limited, il quale eccepì preliminarmente l'inoperatività della polizza, chiedendo poi, nel merito, il rigetto delle domande, nonché, in via subordinata, l'accertamento della responsabilità esclusiva del B In ulteriore subordine, la compagnia chiese di contenere il proprio obbligo di manleva entro i limiti di polizza contrattualmente stabiliti. 1.5. Istruita la causa anche mediante integrazione della CTU medico-legale, il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 6800/2018, accolse la domanda, condannando B.M.S. e l'ASST Omissis , in solido fra loro, al risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti di M.F. liquidato in Euro 1.219.355,00 , nonché del danno patrimoniale e non patrimoniale in favore di ciascuno dei genitori. Condannò inoltre il B. a tenere indenne l'ASST Omissis , in via di regresso, nei limiti del 50% di quanto la stessa era tenuta a versare a parte attrice. Rigettò invece la domanda della ASST Omissis nei confronti della compagnia assicuratrice - in quanto l'attività colposa foriera di danno era stata posta in essere da un soggetto che non ricopriva la qualifica di medico - in considerazione della colposa mancanza di controlli da parte dell'Azienda. 2. La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Milano con la pronuncia n. 1797/2019, depositata il 23 aprile 2019. 2.1. La Corte territoriale ha condiviso le valutazioni del Tribunale circa la sussistenza del nesso di causalità tra il danno riportato dal minore e le omissioni imputate al falso medico e alla struttura, evidenziando come la CTU avesse accertato comportamenti sanitari imperiti, imprudenti e negligenti, tenuto conto delle condizioni del minore, delle linee guida vigenti all'epoca e della migliore pratica medica. Secondo i consulenti, il B. non era stato in grado di inquadrare correttamente il caso clinico del bambino e lo aveva dimesso senza una corretta diagnosi e senza chiedere il parere di un medico specialista, mentre una corretta e tempestiva diagnosi, formulata già il 4 giugno 2008, avrebbe consentito, con il 70% di probabilità, un'evoluzione favorevole della malattia del piccolo M.F I consulenti avevano, per altro verso, offerto una convincente risposta alle contestazioni dei CTP circa la correlazione tra precocità di terapia e cd. sequele, osservando che tali contestazioni erano fondate su studi risalenti agli anni 80-90, superati dalla letteratura più recente. 2.2. La Corte ha poi confermato l'entità del risarcimento nella misura liquidata in primo grado, rigettando la richiesta dell'Azienda sanitaria di rideterminarne l'importo parametrandolo alla minore aspettativa di vita del bambino rispetto a quella di un coetaneo sano, volta che tali minori aspettative erano da ritenersi conseguenza diretta e immediata del illecito. 2.3. Tanto premesso, la Corte territoriale, considerata l'impossibilità di stabilire in modo oggettivo una durata presumibile della vita di M.F., e tenuto conto altresì del carattere permanente del danno, ha ritenuto che la modalità del risarcimento in forma di rendita vitalizia meglio rispondesse alle concrete esigenze del danneggiato, garantendogli per tutta l'effettiva durata della vita la percezione di quanto liquidato annualmente. Al fine di calcolare l'importo annuo della rendita, la Corte ha operato il calcolo inverso sulla base della formula utilizzata per determinare il valore delle rendite vitalizie di cui al D.P.R. n. 131 del 1986 art. 46, comma 2, lett. c Testo Unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro . All'esito di tale calcolo, la Corte d'appello ha disposto la costituzione di una rendita vitalizia a favore di M.F. quantificata in Euro 1.283,53 mensili. 2.4. I giudici di secondo grado hanno inoltre accolto l'appello della ASST Omissis nella parte in cui lamentava il mancato accoglimento della domanda di manleva formulata nei confronti della compagnia assicuratrice. Al riguardo, la Corte ha ritenuto che la polizza coprisse la complessiva attività aziendale della ASST Omissis , e quindi anche quella posta in essere da B.M., dipendente funzionalmente inserito nella struttura dell'ospedale, il quale aveva commesso il fatto lesivo nell'espletamento delle mansioni assegnategli, ritenendo, per converso, irrilevante la mancata qualifica professionale dello stesso B Ne' poteva rilevare, a giudizio della Corte, il comportamento colposo dell'assicurata, tenuto conto che, nelle condizioni generali di assicurazione, veniva esclusa la decadenza dal diritto all'indennizzo nel caso di dichiarazioni inesatte o reticenti della contraente all'atto della stipulazione della polizza, ad eccezione del caso di dolo. 2.5. In conclusione, la Corte d'appello di Milano, per quanto ancora rileva in questa sede, ha confermato la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni in favore di M.F. così come quantificato dal tribunale, convertendo il risarcimento in forma capitale, come già ricordato, in rendita vitalizia, e condannando la compagnia assicuratrice al pagamento diretto di quanto liquidato in favore degli attori, anche nella qualità di rappresentanti legali del minore, nonché a stipulare una polizza fideiussoria, con pagamento a prima richiesta, a garanzia della rendita vitalizia costituita in favore di M.F 3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, la Reliance National Insurance Company Europe Limited già QBE Insurance Europe Limited. 3.1. Resistono con separati controricorsi i signori M.S. e M.P. - i quali propongono altresì ricorso incidentale fondato su tre motivi nonché l'Azienda Socio Sanitaria Territoriale Omissis . 3.2. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l'inammissibilità del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale. Tutte le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 4. Con il primo motivo del ricorso principale, la compagnia assicuratrice la menta la violazione, ai sensi dell' art. 360 c.p.comma , n. 3, dell' art. 112 c.p.comma . La Corte d'appello avrebbe reso una pronuncia extra petita, dal momento che nessuna parte aveva formulato domanda di costituzione di una polizza fideiussoria a prima richiesta in caso di condanna della compagnia assicurativa. Tale pronuncia inciderebbe sul contenuto sostanziale della decisione, arrecando un grave pregiudizio alla ricorrente alla luce dell'importo liquidato, dei costi inerenti la stipula di un contratto autonomo di garanzia, dell'alea sottesa alla durata di tale contratto. 4.1. Il motivo è infondato L' art. 2057 c.comma dispone che quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia. In tal caso il giudice dispone le opportune cautele . La norma censurata trova applicazione qualora il giudice di merito accerti l'esistenza di un danno alla persona di carattere permanente, e prevede la possibilità che la liquidazione di tale danno possa avvenire attraverso il meccanismo della rendita vitalizia. Quest'ultima costituisce una forma di risarcimento per equivalente c.comma 13 gennaio 1993 n. 357 , ed è fonte di un rapporto a esecuzione periodica, in cui la durata prevista è componente essenziale dell'utilità alla quale è ordinato il rapporto . Ben si comprende la funzione di tale previsione se la si pone in relazione con il carattere permanente del danno la liquidazione ex art. 2057 c.comma mira infatti a realizzare una tendenziale corrispondenza fra permanenza del danno e permanenza del risarcimento , configurando la liquidazione della rendita non come diritto della parte, ma come facoltà del giudice Cass. 20.2.1958, n. 553 Cass., 24.5.1967, n. 1140 , imponendogli al contempo di predisporre le opportune cautele. 4.1.2. Tanto premesso, osserva il collegio come non appaia in alcun modo predicabile il lamentato vizio di extrapetizione della pronuncia d'appello, rientrando tra i poteri del giudice non soltanto quello di optare per la citata modalità di liquidazione del risarcimento in presenza dei presupposti previsti dalla legge, ma anche quello di disporre, all'esito, ed in via altrettanto officiosa, le cautele che ritiene necessarie. La ricorrente non censura la scelta della Corte territoriale di liquidare il danno in forma di rendita, di tal che dalla legittimità di tale scelta pur se operata per la prima vota in grado di appello discende il corollario rappresentato dal dovere del giudice di disporre tutte le opportune cautele funzionali a garantire l'adempimento de die in diem dell'obbligo di versare al danneggiato il rateo di rendita, così come stabilito dall' art. 2057, secondo periodo, c.comma . - così come accaduto, del tutto legittimamente, nel caso di specie. 4.2. Con il secondo motivo del ricorso principale, si lamenta la violazione, ai sensi dell' art. 360 c.p.comma , n. 3, dell' art. 1900 comma 1 c.comma e dell'art. 1917 comma 1 c.c. . La Corte d'appello avrebbe erroneamente condannato la compagnia assicuratrice a tenere indenne l'ASST Omissis , volta che l'assicurazione era stata prestata in relazione all'attività istituzionale della contraente e dell'assicurato quella medico-sanitaria , così che nessuna copertura assicurativa poteva in concreto operare in relazione ad un'attività posta in essere da un suo dipendente in assenza del titolo e della qualifica di medico. Inoltre, l'assicurazione non avrebbe potuto estendersi ai sinistri provocati con dolo, anche eventuale, del soggetto che ne traeva beneficio al riguardo, il comportamento del falso medico, il quale aveva reso prestazioni sanitarie nella consapevolezza di non possedere i titoli e le qualifiche necessarie, integrava gli estremi della condotta dolosa idonea ad escludere la garanzia assicurativa. In ogni caso, appariva evidente la colpa grave della ASST, che aveva macroscopicamente omesso di esercitare i necessari doveri di controllo, non verificando la documentazione prodotta dal B. per partecipare al concorso prodromico all'assunzione, di tal che una eventuale conferma della copertura assicurativa avrebbe comportato l'alterazione del sinallagma contrattuale e dell'alea del contratto. La compagnia assicuratrice, difatti, aveva accettato il rischio solo in virtù del legittimo affidamento che la struttura ospedaliera si sarebbe avvalsa di personale avente i requisiti legali per l'esercizio della professione medico diversamente, non avrebbe fornito copertura all'attività o comunque non lo avrebbe fatto con lo stesso premio. 4.2.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui censura l'interpretazione del contratto fornita dalla Corte d'appello, asserendo che la garanzia sarebbe andata a coprire solo l'attività svolta dal personale dotato di qualifica medico-sanitaria. 4.2.2. L'interpretazione di un atto negoziale costituisce un accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nella ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all' art. 1362 e segg. c.comma o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito per giungere alla decisione Cass. n. 14355/2016 Cass. n. 10554 del 30/04/2010 , Cass. n. 22102 del 19/10/2009 . Nel caso di specie, la compagnia ricorrente non ha lamentato che vi sia stata, da parte della Corte d'appello, una violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, limitandosi a prospettare una diversa ed alternativa interpretazione dello stesso contratto. 4.2.3. Quanto alle ulteriori censure, va osservato che, nell'assicurazione della responsabilità civile, l'assicurato si cautela contro il rischio dell'alterazione negativa del suo patrimonio, in quanto l'assicuratore si impegna a tener indenne ed a reintegrare il patrimonio dell'assicurato attraverso il pagamento di una somma di danaro pari all'esborso dovuto dall'assicurato stesso in conseguenza di un fatto colposo a lui addebitato, anche se dovuto a colpa grave. Fondamento dell'obbligazione di risarcire il danno, a norma dell' art. 1917, comma 1, c.comma , infatti, è l'imputabilità del fatto dannoso a titolo di colpa, mentre sono esclusi dalla garanzia assicurativa unicamente i danni derivanti da fatti dolosi dell'assicurato Cass. civ., Sez. II, 25/09/2019, n. 23948 . Non risulta, pertanto, applicabile, nella specie, la norma di cui all' art. 1900, comma 1, c.comma , che esclude dalla garanzia i fatti addebitabili per colpa grave, dettata per il differente caso dell'assicurazione della responsabilità contro i danni, nella quale l'interesse dell'assicurato, ai sensi dell' art. 1904 c.comma , è il risarcimento del danno subito da un proprio determinato bene in conseguenza di un sinistro. 4.2.4. Pertanto, correttamente la Corte d'appello ha ritenuto di non poter valorizzare, al fine di escludere l'operatività della manleva, la condotta colposa della struttura sanitaria. Ne' al riguardo rileva la condotta dolosa del B., in quanto, da un lato, l' art. 1917, comma 2, c.comma esclude dalla garanzia assicurativa unicamente i danni derivanti da fatti dolosi dell'assicurato e quindi, nel caso di specie, della struttura sanitaria che invoca la manleva , dall'altro, nelle condizioni generali del contratto di assicurazione sottoscritto inter partes art. 2 era espressamente previsto che la copertura assicurativa fosse estesa alla responsabilità civile derivante da fatto colposo o doloso di persone del cui operato la struttura sanitaria fosse stata chiamata a rispondere. 4.3. Con il terzo motivo del ricorso principale, la compagnia assicuratrice lamenta la violazione, ai sensi dell' art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 5, del/' art. 116 c.p.comma . La decisione della Corte d'appello sarebbe viziata da manifesta illogicità nella parte in cui ha ritenuto che le dimissioni del minore in data 4 giugno 2008 da parte del Dott. B. costituissero il probabile antecedente causale della sua attuale condizione patologica. In particolare, sarebbe contraddittoria la tesi dei CTU, fatta propria dai giudici del merito, secondo cui, se il 4 giugno 2008 fosse stata tempestivamente diagnosticata l'infezione, si sarebbe potuto impostare un'adeguata terapia farmacologica che avrebbe evitato gli importanti reliquati che oggi gravano sul paziente. Sarebbe infatti pacifico che l'infezione, al momento del primo accesso al pronto soccorso, fosse già in atto da almeno 15 giorni, e pertanto, anche se la diagnosi fosse stata corretta fin da quella data, la terapia non avrebbe comunque potuto essere impostata in maniera precoce. Di conseguenza, il comportamento del medico, al momento del contatto con il paziente, non avrebbe più potuto avere alcuna rilevanza causale per prevenirne, modificarne o migliorarne la condizione patologica. La sentenza impugnata avrebbe così fatto proprie, acriticamente, le conclusioni dei CTU, nonostante i CTP avessero contestato l'efficacia risolutiva della terapia antibatterica ed avessero documentato l'esistenza di studi che evidenziavano la mancanza di qualsivoglia correlazione tra la precocità della terapia e i danni riportati. Tali ultimi studi sarebbero stati disattesi perché ritenuti più risalenti nel tempo rispetto ad altri, che però non erano stati nemmeno allegati, e in ogni caso erano posteriori rispetto ai fatti di causa. 4.3.1. Il motivo è inammissibile. In sede di ricorso per cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione dell' art. 116 c.p.comma non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a necessaria valutazione Cass. 27.12.2016 n. 27000 Cass. 19.6.2014 n. 13960 Cass. Sez. Un. 20867 del 30.09.2020 . Nella sua più intima sostanza, il motivo si traduce, in realtà, in una doglianza di merito rispetto all'accertamento della responsabilità del medico, incensurabile in questa sede in quanto adeguatamente motivato dalla Corte facendo riferimento alle risultanze della CTU medico-legale pur dando atto delle critiche dei CT di parte, a cui i consulenti avevano offerto specifica risposta, confermando le proprie valutazioni. 5. Con il primo motivo del ricorso incidentale, i signori M. e M. deducono, ex art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 5, la manifesta ed irriducibile contraddittorietà della sentenza in relazione alla costituzione della rendita vitalizia in favore di M.F. . Secondo i ricorrenti incidentali, la sentenza sarebbe contraddittoria in quanto, pur avendo rigettato la richiesta di riduzione dell'entità del risarcimento riconosciuto al figlio Filippo a causa della sua minore aspettativa di vita, ritenendola determinata proprio dalle colpevoli omissioni delle controparti, avrebbe poi in concreto consentito loro di giovarsi della propria condotta, applicando un criterio di liquidazione che, implicitamente, consentiva la predetta riduzione, tenuto conto della ridotta aspettativa di vita del minore. Inoltre, la Corte d'appello non avrebbe spiegato adeguatamente la ragione per cui la costituzione di una rendita di modesta entità mensile fosse maggiormente indicata a far fronte alle concrete esigenze del minore, il quale, trovandosi in stato vegetativo permanente, affetto da paralisi cerebrale, encefalopatia epilettica resistente a terapia, grave scoliosi nEurologica evolutiva già sottoposta a due interventi nel 2014-2015, aveva necessità di un'assistenza specialistica continuativa. 5.1. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si lamenta violazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3 in relazione all'art. 46 lett. c T.U.R., nella parte in cui la sentenza applicava un erroneo coefficiente per il calcolo della costituzione della rendita vitalizia in favore di M.F. . 5.2. Le censure mosse alla sentenza impugnata, nella sostanza, sono volte, rispettivamente, a censurare l'an e il quomodo della soluzione adottata dal giudice di appello. 5.2.1. La doglianza con cui si lamenta la contraddittorietà della sentenza in relazione alla costituzione di una rendita in favore dell'avente diritto è infondata. E' invece fondata la censura con la quale si prospetta un error in iudicando nella concreta determinazione della detta rendita. 5.3. Il primo motivo, difatti, pur prescindendo dai non marginali profili di inammissibilità che esso presenta nell'evocare il vizio di cui all' art. 360 c.p.comma , n. 5, non appare meritevole di accoglimento nella parte in cui censura la scelta in sé di procedere ad una liquidazione del danno in forma di rendita. L' art. 2057 c.comma , infatti, rimette al prudente apprezzamento del giudice la scelta della forma di liquidazione del danno permanente alla persona, perché capitale e rendita si equivalgono per l'ordinamento civilistico. Il giudice è dunque libero di optare ex officio per lo strumento di cui all' art. 2057 c.comma , purché determini la rendita in modo tecnicamente corretto. Pertanto, nessuna contraddittorietà emerge dalla decisione con cui la Corte d'appello, da un lato, ha ritenuto corretta la quantificazione del danno compiuta dal primo giudice, e dall'altro ha ritenuto di liquidare tale pregiudizio in forma di rendita. Presupposto esplicito della censura mossa dai ricorrenti incidentali è quello per cui la liquidazione in forma di rendita, cessando con la morte del beneficiario, agevolerebbe il responsabile del fatto illecito in tutti i casi in cui proprio la gravità delle lesioni provochi una ridotta aspettativa di vita per la vittima, determinando una riduzione dello stesso risarcimento, e così, de facto, soddisfacendo le domande e le eccezioni avversarie, senza poi spiegare il motivo per il quale una somma una tantum sia inidonea a far fronte ai bisogni del minore, a differenza della costituzione di una rendita così ai ff. 24 e 25 del ricorso . 5.3.1. Tale presupposto, tuttavia, non è conforme a diritto. Qualora il danno sia stato liquidato in forma di rendita, dopo aver determinato la somma capitale, occorre tenerne distinte due diverse componenti il coefficiente per la costituzione della rendita ovvero il criterio di calcolo , e la durata della stessa. Il coefficiente di costituzione della rendita deve corrispondere - secondo quanto di qui a breve si dirà - all'età effettiva del danneggiato al momento del sinistro - ed avrà riferimento alla durata media della vita - calcolato sul presupposto che, secondo le statistiche mortuarie attuali, un ventenne ha una aspettativa di vita di sessant'anni, un quarantenne di quaranta ed un sessantenne di venti. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha tenuto fermo, confermandolo, l'importo liquidato in prime cure 1.219.355 Euro come base di calcolo allorché si tratti di determinare il capitale da cui ricavare la rendita, la minore speranza di vita della vittima non viene in rilievo, e nessun vantaggio ne trarrebbe il responsabile, qualora quella minor speranza di vita sia stata determinata, come nella specie, dalla sua condotta illecita. Tuttavia, una volta determinato il capitale con riferimento alla durata media della vita, e non a quella presumibile nel caso concreto, una volta detratti gli eventuali acconti versati prima della sentenza che andranno rivalutati e detratti dal capitale stesso posto a base di calcolo della rendita , e una volta convertito tale capitale in rendita, il diritto a ricevere quest'ultima matura de die in diem, ed ogni rateo di rendita compensa il pregiudizio sofferto dalla vittima nel corrispondente arco di tempo. Se dunque la vittima venisse a mancare ante tempus, con la sua morte cesserebbe il pregiudizio permanente e, cessando il pregiudizio, non sarebbe concepibile la ulteriore pretesa di continuare ad esigere un risarcimento. 5.3.2. Quando alla doglianza in ordine alla mancata specificazione di quali fossero le particolari condizioni della parte danneggiata in relazione all'entità e alla natura del danno, tali da consigliare la costituzione di una rendita piuttosto che la corresponsione di una somma capitalizzata così al folio 25 del ricorso , osserva il collegio - premessane la sostanziale infondatezza - che il ricorrente pone la questione, di più ampio respiro, affrontata di rado dalla giurisprudenza di merito Trib. Milano 27 gennaio 2015, Trib. Bergamo 24 febbraio 2016 n. 679 , Trib. Gorizia 18 luglio 2017, n. 273, Trib. Lecce, 1 luglio 2019 n. 2275 , Trib. Milano 14 maggio 2019 e da questo stesso giudice di legittimità sia pur in tema di danno patrimoniale Cass. 24451/2005 , relativa alla corretta applicazione dell' art. 2057 c.comma sotto il profilo dei rapporti tra risarcimento capitalizzato e risarcimento sotto forma di rendita, dei conseguenti poteri del giudice, dei criteri di scelta tra l'una e l'altra forma di liquidazione del danno. 5.3.3. L'universo del danno grave alla persona rappresenta dovrebbe rappresentare il terreno d'elezione per un risarcimento in forma di rendita - l'unico che consenta di considerare adeguatamente, sotto molteplici aspetti, tra cui quello dell'effettività della tutela e della giustizia della decisione - l'evoluzione diacronica della malattia ovvero la sua guarigione, se possibile , così che l'antinomia tra l'astratta efficacia di tale strumento risarcitorio e la sua mancata applicazione in concreto appare segnata, in premessa, da una sorta di sostanziale quanto non giustificabile diffidenza nei suoi confronti. 5.3.4. Non costituisce presupposto ex lege per l'applicazione dell' art. 2057 c.comma l'istanza dell'avente diritto. La norma, difatti, ha configurato la liquidazione della rendita non come un diritto della parte, ma come una facoltà del giudice, il quale può provvedervi, anche in appello, in via autonoma - non integrando tale scelta gli estremi della questione rilevabile d'ufficio ex art. 101 comma 2 c.p.comma , ma caratterizzandosi soltanto per una diversa determinazione della forma del risarcimento -. Pertanto, abbia o non abbia la parte chiesto la liquidazione della rendita, e quand'anche abbia espressamente dichiarato di rifiutare tale forma di liquidazione, sarà sempre in facoltà del giudice provvedere in tal senso, con giudizio incensurabile in cassazione se non per illogicità della motivazione nei limiti in cui la censura sia ancora consentita dall' art. 132 c.p.comma , secondo quanto stabilito dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 14 o per errore di diritto Cass. 20.2.1958 n. 553, Cass. 7.3.1966 n. 658, Cass. 24.5.1967 n. 1140 , come, ad esempio, allorché il calcolo della rendita non rispetti il disposto dell' art. 1223 c.comma , oppure non si accompagni alle adeguate cautele prescritte dall' art. 2057 c.comma . 5.3.5. Parimenti destituita di fondamento deve ritenersi l'affermazione per cui, attraverso la liquidazione di una rendita, il danneggiante si avvantaggerebbe delle conseguenze del proprio atto illecito - perché la vita media di chi ha subito danni alla persona sarà verosimilmente più breve rispetto a quella delle persone sane - che appare fondarsi su un evidente paralogismo, come si è già osservato in precedenza e come meglio si dirà nel corso dell'esame del secondo motivo del ricorso incidentale. Capitale e rendita costituiscono, difatti, due diverse forme di erogazione del medesimo valore, essendo il denaro un bene per definizione fruttifero, del quale sarà fruibile il valore d'uso la rendita , ovvero il valore di scambio il capitale , non diversamente da quanto accade per il godimento di un bene immobile, che potrà essere venduto o locato ricavando redditi diversi, ma che costituiscono pur sempre forme alternative di realizzazione del suo valore. 5.3.6. Riparare il pregiudizio derivante da una grave lesione della salute attraverso la costituzione di una rendita quale forma privilegiata di risarcimento consente di cogliere appieno la proiezione diacronica di tutte le componenti del danno che, di giorno in giorno, il danneggiato avrebbe subito dal momento dell'evento in poi. Ne consegue - va ripetuto - che, ove venga correttamente adottata tale forma risarcitoria, il valore della rendita dovrà essere computato tenendo conto non delle concrete speranze di vita del danneggiato, bensì della vita media futura prevedibile secondo le tavole di mortalità elaborate dall'ISTAT, a nulla rilevando che, nel caso concreto, egli abbia speranza di sopravvivere solo per pochi anni, ovvero che non risulti oggettivamente possibile determinarne le speranze di sopravvivenza, qualora tale ridotta speranza di sopravvivenza sia conseguenza dell'illecito. 5.3.7. Perdono così fondamento le critiche circa una presunta immoralità di tale scelta, che si risolverebbe in un vantaggio del danneggiante, volta che, da un lato, e per definizione, risarcendo il danno biologico permanente e il danno morale ad esso conseguente, se provato , si risarciscono per equivalente tutte le conseguenze dannose dell'illecito che il danneggiato sarà costretto a sopportare, giorno per giorno, sino alla fine della sua vita dall'altro, allo spirare dell'esistenza, di danno biologico e morale del soggetto leso non è più dato discorrere. 5.3.8. Nel caso in cui la minor durata della vita dovesse risultare conseguenza dell'evento lesivo Le. ove si accerti un nesso causalmente rilevante tra le lesioni e le ridotte aspettative di vita, ovvero tra le lesioni e la morte precoce, se già verificatasi al momento dell'instaurazione del giudizio , non va, per altro verso, dimenticato che il responsabile dell'unico evento lesivo ascrittogli sarà chiamato altresì a risarcire, jure proprio, il danno parentale e patrimoniale subito dai genitori del minore, in relazione all'intero periodo di presumibile vita del minore - ciò che è puntualmente accaduto nel caso di specie, avendo la Corte milanese riconosciuto, a tale titolo, la complessiva somma di 331.920 Euro per ciascuno dei genitori. 5.3.9. In caso di morte precoce del danneggiato, occorre, pertanto, distinguere a se la morte anticipata è stata causata dalle lesioni, il responsabile sarà chiamato a risarcire, oltre al danno biologico e morale, possibilmente in forma di rendita, subito dal danneggiato nel periodo di tempo compreso tra il sinistro e la morte, anche, ed onnicomprensivamente, il danno iure proprio subito dai genitori, in relazione alla ridotta aspettativa di vita ed al presumibile periodo di vita del minore b se la morte non è stata causata dalle lesioni, il responsabile dovrà risarcire il danno biologico subito dal danneggiato valutato al tempo della commissione dell'illecito, oltre al danno da lesione del rapporto parentale in favore dei genitori. 5.3.10. Ne consegue che il responsabile, versando una somma periodica al danneggiato, non lucra alcuno sconto sul risarcimento, in quanto a se la durata della vita del danneggiato è maggiore rispetto alla durata della vita media, sarà il danneggiato stesso a realizzare un lucro b se la durata della vita del danneggiato sarà, in concreto o presumibilmente, inferiore alla durata della vita media, e ciò a causa delle lesioni, il responsabile sarà tenuto a risarcire il danno sotto forma di rendita - la cui base di calcolo si fonderà non sulla speranza di vita in concreto, bensì su quella media di un soggetto sano - oltre al danno parentale subito dai genitori in conseguenza dell'illecito c se il danneggiato avrà una vita di durata inferiore alla media, ma ciò avviene per cause del tutto indipendenti dalle lesioni, il responsabile che cessa di pagare la rendita non realizza alcun vantaggio patrimoniale, poiché, il risarcimento cessa perché cessa il danno. 5.3.11. Emerge allora con tutta evidenza la non condivisibilità, in tema di risarcimento liquidato attraverso l'attribuzione di una rendita, delle considerazioni fondate su valutazioni di tipo morale di una tecnica risarcitoria. Se la storia recente della responsabilità civile ha indotto tanto la prevalente dottrina quanto la più attenta giurisprudenza per tutte, Cass. 26301/2021 ad evidenziare non pochi punti di contatto tra etica e diritto, segnatamente in tema di danni alla persona, la simmetria di tale relazione trae linfa dall'applicazione delle cc.dd. clausole generali il principio di correttezza, di equità, di buona fede, di diligenza e dal costante riferimento al dettato costituzionale. Al di fuori del pur vasto territorio dei principi, specie costituzionali, non sembra legittimamente predicabile alcuna considerazione di moralità con riferimento a specifiche previsioni di legge, quando le forme del risarcimento rispondano tout court come nel caso della rendita a principi di effettività, di bilanciamento, di giustizia delle decisioni. 5.3.12. Quanto al profilo funzionale dell'istituto, va rammentato come la rendita vitalizia, prevista dall' art. 1872 c.comma , sia un contratto aleatorio che da vita ad un rapporto di durata, la cui disciplina risulta essenzialmente unitaria, applicandosi ad ogni rendita vitalizia, comunque costituita, che non sia assoggettata dalla legge ad una disciplina speciale. La rendita costituita ex art. 2057 c.comma sarà, pertanto, disciplinata dagli artt. 1872 ss. c.comma , con rilevanti conseguenze poste a tutela delle ragioni del creditore, in quanto a il debitore non può liberarsi dall'obbligazione offrendo i pagamento di un capitale art. 1879 co. I c.comma b il debitore non può invocare la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta art. 1879 co. H c.comma c in caso di inadempimento del debitore, il creditore della rendita può far sequestrare e vendere i beni dell'obbligato art. 1878 c.comma . 5.3.13. Tecnicamente, la costituzione di una rendita in favore del danneggiato può avvenire in vari modi, di tal che il giudice potrà, in alternativa alle cautele previste per legge come la stipula di una polizza fideiussoria da parte dell'obbligato , disporre l'acquisto di titoli del debito pubblico in favore dell'avente diritto, ovvero la stipulazione, in suo favore, di una polizza sulla vita a premio unico ex art. 1882 c.comma . 5.3.14. E' stato opportunamente e condivisibilmente osservato come, nel caso di macroinvalidità specie se comportino la perdita della capacità di intendere e di volere , in quello di lesioni subite da un minore per il quale una prognosi di sopravvivenza risulti estremamente difficoltosa se non impossibile, in quello di lesioni inferte a persone socialmente deboli o descolarizzate richiedenti asilo, disabili mentali o anche semplicemente macrolesi i quali già prima del sinistro si trovassero in profondo conflitto con i familiari , ovvero ancora con riguardo alle qualità del debitore una compagnia di assicurazione, piuttosto che un privato o una pubblica amministrazione , sussista il serio rischio che ingenti capitali erogati in favore del danneggiato possano andare colpevolmente o incolpevolmente dispersi, in tutto o in parte, per mala fede o per semplice inesperienza dei familiari del soggetto leso. In simili casi il giudice, valutando comparativamente i pro ed i contro del caso concreto, ben potrà, se non addirittura dovrà, privilegiare una liquidazione del danno in forma di rendita, come correttamente deciso dalla Corte d'appello. 5.3.15. Deve ritenersi astrattamente ammissibile l'ipotesi di una revisione della rendita, oltre che di proposizione di una nuova e diacronica domanda risarcitoria in presenza di aggravamenti che non fossero accertabili né prevedibili al momento della pronuncia sulla legittimità della nuova domanda in costanza di tali circostanze, Cass. 20 marzo 2017 n. 7038 4 novembre 2014 n. 23425 12 ottobre 2011 n. 20981 31 maggio 2005 n. 11592 . In particolare, con la sentenza di cui a Cass. 27 dicembre 2016 n. 27031 , che ha esaminato funditus la questione, si è affermato che, ai fini dell'instaurazione di un nuovo giudizio, è necessario che la parte individui specificamente gli elementi idonei . a consentire la revisione della liquidazione del danno a causa di aggravamenti successivi e sopravvenuti alla formazione del giudicato , che sono da ricondurre a ad un'obiettiva impossibilità di accertare, al momento della prima liquidazione, fattori attuali capaci, nell'ambito di una ragionevole previsione, di determinare l'aggravamento futuro b all'impossibilità, ancora con riferimento alla prima liquidazione, di prevederne gli effetti c all'insussistenza di un evento successivo avente efficacia concausale dell'aggravamento . L'instaurazione di un nuovo giudizio è quindi possibile, quando non si violino i principi del giudicato e del dedotto e deducibile, nelle ipotesi in cui la sentenza non abbia statuito su quel profilo nuovo di danno e non sul suo prevedibile aggravamento , e le osservazioni e le pretese ad esso legate non avrebbero potuto essere dedotte all'interno del primo processo. Applicando tali principi alla rendita vitalizia, deve pertanto ammettersi la possibilità di una sua revisione nei limiti in cui è ammesso adire il giudice in ragione dell'insorgere di danni del tutto imprevedibili e non accertabili al momento del primo giudizio. 5.3.16. Con riguardo al problema della possibilità di adeguamento della rendita che parte della dottrina identifica come una delle ragioni della scarsa applicazione dell'istituto, sottolineando come, in virtù del principio nominalistico che governa le obbligazioni pecuniarie, il potere di acquisto dell'importo dovuto periodicamente possa risultare eroso a causa della svalutazione monetaria , osserva il collegio come non sia precluso al giudice, in applicazione delle cautele consentite dalla norma, prevedere ex ante dei meccanismi di adeguamento rispetto al potere di acquisto della moneta in quanto, in assenza di tali meccanismi, il risarcimento non sarebbe integrale, così come condivisibilmente affermato da una parte della giurisprudenza di merito Trib. Milano 9 maggio 2017, e 14 maggio 2019, Trib. Lecce 1 luglio 2019 n. 2275 , che adottano il criterio della rivalutazione annuale secondo l'indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri dell'Unione Europea IPCA Trib. Palermo 5 luglio 2017 e Trib. Gorizia 18 luglio 2017, n. 273, che fanno riferimento al FOI-Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati elaborato dall'Istat . 5.3.17. La liquidazione in forma di rendita non sarà, viceversa, in alcun modo opportuna nel caso in cui le lesioni siano di lieve o media entità, in quanto il relativo gettito sarebbe così esiguo da non arrecare alcuna sostanziale utilità al danneggiato. 5.3.18. Per concludere sul punto, va fatto brevemente cenno alle indicazioni contenute, sia pur de iure condendo, nei Principles of European Tort Law PETL e nel Draft Common Frame of Reference DCFR . 5.3.18.1. Quanto ai primi, l'art. 10 102 prevede che i danni sono liquidati in somma capitale o con pagamenti periodici quando ciò appaia più appropriato con particolare riguardo all'interesse del danneggiato attribuendosi in tal modo al giudice la discrezionalità di liquidare il danno attraverso pagamenti periodici o tramite un'unica somma, ma poi specificandosi, significativamente, che i pagamenti periodici possono essere particolarmente utili incaso di danni permanenti, e che appare opportuno che la somma dovuta possa essere adapted to a worsening or an improvement of the situation of the victim . 5.3.18.2. Quanto al Draft Common Frame of Reference, l'art. 6 203 del capitolo 6, nel prevedere che compensation is to be awarded as a lump sum un/ess a good reason requires periodicà payment stabilisce una regola più elastica, privilegiando, peraltro, la liquidazione del danno attraverso una somma unica, mentre il risarcimento attraverso una somma periodica è prevista solo nel caso in cui vi sia una buona ragione che richieda la liquidazione attraverso la corresponsione periodica di una somma. 5.4. Esula dal perimetro imposto dal contenuto del motivo in esame la questione relativa al risarcimento del danno patrimoniale attraverso la costituzione di una rendita, che, sia detto incidentalmente, troverebbe a sua volta il proprio terreno d'elezione in caso di perdita o riduzìone del reddito da parte del danneggiato. 6. La censura mossa alla sentenza d'appello con il secondo motivo è invece fondata nella parte in cui deduce che la quantificazione della rendita da parte della Corte d'appello sarebbe avvenuta con un criterio giuridicamente scorretto. 6.1. La decisione impugnata appare, difatti, erronea in diritto, anche se per una ragione diversa da quella invocata dal ricorrente. Ma tale circostanza non appare decisiva, ai fini dell'accoglimento del motivo, alla luce del principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo il quale il giudice di legittimità, in virtù del principio jura novit curia, può ritenere fondato il ricorso anche per una ragione giuridica diversa da quella indicata dalla parte e individuata d'ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella sentenza impugnata così Sez. 3, Sentenza n. 19132 del 29/09/2005 Sez. 3, Sentenza n. 20328 del 20/09/2006 Sez. 5, Sentenza n. 24183 del 13/11/2006 Sez. 3, Sentenza n. 6935 del 22/03/2007 Sez. 3, Sentenza n. 4994 del 26/02/2008 Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 10841 del 17/05/2011 Sez. 6 - 3, Sentenza n. 3437 del 14/02/2014 Sez. 3 -, Ordinanza n. 18775 del 28/07/2017 Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26991 del 05/10/2021 . 6.2. Osserva il collegio che, riconosciuta al giudice di merito la facoltà di liquidare il danno in forma di rendita se del caso, come opzione risarcitoria privilegiata , incombe poi su quello stesso giudice l'onere di assicurare che la rendita restituisca un valore finanziariamente equivalente al capitale da cui è stata ricavata, per l'intera durata della vita del beneficiario. 6.3. La conversione di un capitale in una rendita avviene dividendo il primo per un coefficiente per la costituzione delle rendite vitalizie assunta a base di calcolo la somma capitale come correttamente individuata, nella specie, dalla Corte di appello la scelta del coefficiente per la costituzione d'una rendita vitalizia da parte del giudice di merito incontra alcuni limiti. Poiché la rendita deve essere equipollente al capitale, difatti, il coefficiente prescelto dovrà essere a scientificamente fondato b aggiornato c corrispondente all'età della vittima alla data dell'infortunio d progressivo, cioè variabile in funzione almeno di anno, se non di frazione di anno. 6.3.1. Tutti questi requisiti concorrono a garantire il rispetto del precetto di cui all' art. 1223 c.comma , e cioè la corrispondenza - indagata sulla base di un criterio di causalità giuridica - tra le conseguenze dannose risarcibili, e direttamente e immediatamente riconducibili all'evento di danno a sua volta riconducibile ad una condotta colpevole sulla base di un nesso di causalità materiale e il risarcimento accordato in concreto. 6.4. Nel caso di specie, la Corte d'appello ha ritenuto di costituire la rendita in favore della vittima dividendo il capitale per il coefficiente di cui all' art. 46, lettera c , D.P.R. n. 26.4.1986 n. 131 tale coefficiente è dettato dalla legge al fine di determinare la base imponibile dell'imposta di registro dovuta per gli atti di costituzione di rendite vitalizie, ed è stato periodicamente aggiornato con successivi decreti ministeriali. 6.4.1. Il coefficiente di cui si discorre, concepito per la liquidazione di una imposta, ha, peraltro, una progressione non corrispondente all'età del beneficiario. Esso infatti è invariato per le persone di età compresa tra O e 20 anni aumenta ogni dieci anni fino a 40 anni quindi aumenta con cadenza progressivamente decrescente ogni quattro, ogni tre, ogni due anni fino a 78 anni da tale età in poi torna a crescere con cadenze più distanziate ogni tre, ogni quattro, ogni cinque anni , fino a 99 anni. 6.4.2. Un coefficiente così strutturato non è rispettoso del precetto di cui all' art. 1223 c.comma , perché, se liquidato per il risarcimento del danno da invalidità permanente finirebbe - esemplificando - per accordare ad un ventenne lo stesso risarcimento dovuto ad un neonato, e ad un quarantenne lo stesso risarcimento dovuto ad un trentenne. 6.4.3. Non pare superfluo aggiungere, sia pur ad abundantiam, che il coefficiente di cui al D.P.R. n. 131 del 1986 art. 46, lettera c , cit., restituisce il valore capitale d'una rendita se moltiplicato per il rateo annuo di essa ciò vuoi dire che, sulla base del valore capitale, la divisione di questo per il coefficiente suddetto restituisce il rateo annuale, e non mensile, della rendita - come invece ritenuto dalla Corte d'appello, con errore in bonam partem, non censurato dal debitore, e comunque assorbito dall'accoglimento in parte qua del motivo di ricorso in esame. 6.5. A quanto esposto consegue che, qualora il giudice ritenga di liquidare il danno in forma di rendita, dovrà procedere, in concreto a a quantificare il danno in somma capitale, avuto riguardo all'età della vittima al momento del sinistro, sulla base delle tabelle di mortalità e senza tener conto della sua eventuale ridotta aspettativa di vita, qualora quest'ultima risulti conseguenza dell'illecito b ad individuare un coefficiente di capitalizzazione fondato su corrette basi attuariali, aggiornato e corrispondente all'età della vittima al momento dell'evento c a dividere la somma capitale per il coefficiente di capitalizzazione d a dividere ancora eventualmente per dodici il rateo annuo, se intenda liquidare una rendita mensile invece che annuale. 6.6. Va ancora osservato, in proposito, come le stesse le tabelle INAIL per gli infortuni mortali sul lavoro allegata al D.M. n. 1 aprile 2008 e successive modifiche, basata su stime aggiornate dell'aspettativa di vita media, non costituiscano un criterio sicuramente corretto per la determinazione di coefficienti di capitalizzazione conformi all' art. 2057 c.comma ., poiché prevedono coefficienti diversi a seconda del grado di invalidità permanente, - di tal che, esemplificando, un invalido al 70% di 50 anni avrà diritto ad una rendita calcolata su un coefficiente dimezzato rispetto a un invalido al 15 % di 50 anni. Si applicano, in altri termini, a parità di età, coefficienti inversamente proporzionali al grado di I.P. sul presupposto che più alta è l'invalidità, minore è la speranza di vita , mentre, come già più volte evidenziato, della ridotta speranza di vita non si deve tenere conto, nella scelta del coefficiente, qualora essa dipenda dal fatto illecito del danneggiante. 6.7. La scelta del coefficiente sarà, pertanto, oggetto di valutazione e di scelta discrezionale da parte del giudice di merito, fermi i parametri poc'anzi indicati. Un utile riferimento paranormativo può, peraltro, essere rappresentato da quello a suo tempo suggerito per la liquidazione del danno da incapacità lavorativa diffusi dal Consiglio Superiore della Magistratura ed allegati agli Atti dell'Incontro di studio per l'magistrati, svoltosi a Trevi il 30 giugno - 1 luglio 1989 in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Quaderni del CSM, 1990, n. 41, pp. 127 e ss. indicati, tra le altre, da Cass. 20615/15 . 7. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, si lamenta, ai sensi dell' art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 3, la violazione dell' art. 92, comma 2, c.p.comma per avere la sentenza impugnata erroneamente compensato le spese di lite del grado di appello tra i signori M.' e M.' e la ASST Omissis . La censura risulta assorbita per effetto dell'accoglimento del secondo motivo del ricorso. 8. La sentenza deve conseguentemente essere cassata nei limiti di cui in motivazione, con rinvio del procedimento alla Corte d'Appello di Milano che, in diversa composizione, applicherà i suesposti principi di diritto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del terzo, ne rigetta il primo, cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia il procedimento, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.