Equa riparazione e ragionevole durata della procedura fallimentare

La ragionevole durata delle procedure fallimentari di elevata complessità non può comunque superare i 7 anni, termine oltre il quale il danno patrimoniale derivante dall’eccessivo protrarsi del fallimento deve ritenersi esistente, ancorché non automatico e necessario, non essendo necessaria una specifica allegazione in ordine al pregiudizio, ma dovendosi rilevare solo eventuali circostanze concrete e particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito.

In tema di equa riparazione è recente una pronuncia della Corte di Cassazione sull' eccessiva durata della procedura fallimentare. Il processo è stato instaurato da un creditore ammesso al passivo in seguito al rigetto dell'opposizione ex art. 5- ter l. n. 89/2001. L'infondatezza della pretesa era stata giustificata dalla Corte d'Appello in ragione della particolare complessità della procedura concorsuale , nella quale erano state esperite anche azioni di responsabilità nei confronti dell'organo di controllo, oltre cento azioni revocatorie e vi era un elevato numero di creditori insinuati al passivo, che ammontava a diversi milioni di euro. Il Giudice dell'opposizione rigettava altresì l'istanza per difetto di allegazione dei ricorrenti in merito al pregiudizio lamentato evidenziando come la complessità della procedura non avrebbe potuto far sorgere alcun ragionevole affidamento circa la possibilità di un rapito soddisfacimento del loro credito. La chiusura del fallimento avvenne oltre 14 anni dopo la relativa dichiarazione . Ricorreva pertanto, per la cassazione della provvedimento, il creditore ammesso al passivo, denunciando la violazione dell' art. 2 l. n. 89/2001 in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU , all'art. 1 del primo protocollo addizionale ed agli artt. 111 e 117 Cost. La Suprema Corte ha ritenuto fondata la doglianza applicando la costante elaborazione giurisprudenziale secondo la quale la durata delle procedure fallimentari particolarmente complesse non può comunque superare la durata di 7 anni Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2020, n. 20508 , Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2020, n. 23982 , Cass. civ., sez. VI, 28 maggio 2012, n. 8468 , termine che per i creditori ammessi decorre dal decreto di ammissione Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2018, n. 7864 . Superato tale limite, il danno non patrimoniale, da intendersi come danno morale soggettivo correlato ai turbamenti di carattere psicologico, si intende come conseguenza normale , ancorché non automatica o necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo. Ciò significa che una volta accertata l'ultra-durata il giudice deve ritenere esistente suddetto danno, sempre che non risulti altresì da circostanze concrete che tale danno non sia stato effettivamente subito. Dando seguito all'orientamento della Corte sopra riportato, la Corte d'Appello, a fronte della durata di oltre 14 anni della procedura, ha errato nel ritenere che il creditore fosse onerato a formulare specifiche allegazioni in ordine al pregiudizio subito. In ulteriore errore è incorso il Giudice dell'opposizione ex art. 5- ter l. n. 89/2001 nel sostenere che l'indennizzabilità fosse da escludersi per la particolare complessità della procedura. La Corte di Cassazione accoglie pertanto il ricorso e rinvia alla Corte d'Appello la causa.

Presidente Bertuzzi – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragione della decisione I ricorrenti, indicati in epigrafe, hanno impugnato con due motivi il decreto della Corte d'appello di Brescia n. 47/2020 del 4 dicembre 2020, che, nel rigettare l'opposizione ex L. n. 89 del 2001 art. 5-ter contro il decreto del magistrato designato del 9 gennaio 2020, ha ritenuto infondata la loro domanda di equa riparazione, azionata con riguardo alla procedura fallimentare della omissis s.r.l., aperta nel 2003 e chiusa nel 2017, nella quale gli istanti erano creditori ammessi al passivo. Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso. Il magistrato designato della Corte d'appello di Brescia aveva ritenuto che la procedura fallimentare presupposta fosse stata particolarmente complessa, con esperimento di azioni di responsabilità nei confronti dell'organo di controllo e di oltre cento azioni revocatorie, e aveva avuto un numero elevato di creditori ammessi al passivo, quest'ultimo ammontante a oltre 7 milioni d'Euro. Tali procedimenti avevano consentito alla procedura concorsuale di recuperare importanti somme da ripartire tra i creditori oltre 2,5 milioni d'Euro . Pertanto, in difetto di specifiche allegazioni da parte dei ricorrenti in ordine al pregiudizio che gli stessi singolarmente avessero subito per l'eccessiva durata della procedura fallimentare, secondo il magistrato designato doveva escludersi l'esistenza stessa di tale danno per i creditori, in quanto per la peculiarità della procedura essi non potevano riporre alcun ragionevole affidamento nel rapido soddisfacimento del loro credito. I giudici dell'opposizione ex art. 5-ter hanno poi ritenuto non accertata la violazione del termine di ragionevole durata, non prevedendo la L. 89 del 2001 art. 2, comma 2 bis secondo il quale s i considera rispettato il termine ragionevole se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni l'automatica indennizzabilità del procedimento fallimentare che superi il limite della durata ragionevole, e condividendo la valutazione della particolare complessità della procedura operata dal primo giudice. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di Consiglio, a norma degli artt. 375 c.p.c. , comma 2, e 380 bis.1. I ricorrenti hanno depositato memoria. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione del L. 89 del 2001 art. 2, in relazione all'art. 6, paragrafo 1 della CEDU , all'arti del primo protocollo addizionale ed agli artt. 111 e 117 della Costituzione . I ricorrenti allegano di aver proposto insinuazioni al passivo fallimentare nel giudizio presupposto e di essere stati così ammessi nello stato passivo, senza ricevere alcun pagamento dei propri crediti evidenziano che il fallimento è stato chiuso il 29 novembre 2017, ovvero 14 anni e 9 mesi dopo la sua dichiarazione. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del DM Giustizia n. 55 del 2014 art. 2, comma 2, avendo la Corte d'appello ha accordato al Ministero della Giustizia anche il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 %, nonostante che la natura pubblica dell'avvocatura erariale escluda che le stesse siano state sostenute. Il primo motivo di ricorso è fondato. Secondo la costante elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, risalente anche ad epoca antecedente all'entrata in vigore della L. 89 del 2001 art. 2, comma 2 bis, in tema di equa riparazione per la violazione del termine di durata ragionevole del processo, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte Europea dei diritti dell'uomo, la durata delle procedure fallimentari notevolmente complesse - a causa del numero dei creditori, della particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, della proliferazione di giudizi connessi o della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti - non può comunque superare la durata complessiva di sette anni Cass. Sez. 2, 29/09/2020, n. 20508 Cass. Sez. 2, 12/10/2017, n. 23982 Cass. Sez. 6 - 1, 28/05/2012, n. 8468 . Beninteso, per i creditori ammessi al passivo, il termine dal quale decorre il computo della ragionevole durata di una procedura fallimentare decorre dal decreto di ammissione cfr. Cass. Sez. 2, 29/03/2018, n. 7864 . Superato tale termine, il danno non patrimoniale per l'irragionevole durata del processo, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, nel rispetto dei principi cardine che la Corte Europea ritrae dall'art. 6 della CEDU , si intende come conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all' art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali , a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle parti del processo ne consegue che una volta accertata e determinata l'entità della stessa durata irragionevole, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente Cass. Sez. 6 - 2, 12/03/2020, n. 7034 Cass. Sez. 2, 17/10/2019, n. 26497 Cass. Sez. 1, 02/02/2007, n. 2246 Cass. Sez. 1, 29/03/2006, n. 7145 . Ha pertanto errato la Corte d'appello di Brescia, in presenza di una procedura fallimentare durata quattordici anni, a negare l'an del diritto alla equa riparazione ai creditori ammessi al passivo, avendo il magistrato designato ritenuto che i ricorrenti erano onerati di formulare specifiche allegazioni in ordine al pregiudizio concretamente patito, e i giudici dell'opposizione sostenuto che ad escludere l'indennizzabilità bastasse la constatazione della particolare complessità della procedura operata dal primo giudice. Al contrario, per dichiarare insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo occorre accertare la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno fosse sia stato subito dalle parti interessate. L'accoglimento del primo motivo del ricorso, con la conseguente cassazione con rinvio della causa, comporta l'assorbimento del secondo motivo, avente ad oggetto la liquidazione delle spese processuali, in quanto la relativa censura è diretta contro una statuizione che, per il suo carattere accessorio, è destinata ad essere travolta dall'annullamento che viene disposto del decreto impugnato. Il decreto impugnato deve pertanto essere cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Brescia in diversa composizione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.