Finanziamento funzionale all’acquisto dell’azienda: se ceduta non va ammesso al passivo

Il decisum in rassegna pone al centro dell’attenzione la disciplina dei finanziamenti alle imprese. Nella specie, si tratta di stabilire se il debito di restituzione di una somma finanziata sia, o meno, inerente all’esercizio dell’azienda e, dunque, ammissibile al passivo fallimentare.

I giudici della Prima sezione civile di Piazza Cavour, con l'ordinanza n. 31313/2022, hanno chiarito che il contratto di mutuo non può dirsi inerente all'esercizio dell'azienda, perché è volto all'acquisizione di essa, e perciò si configura come atto di organizzazione , che va distinto dall'atto dell'organizzazione , al fine di scongiurare l'indiscriminata assimilazione dell'attività organizzativa a quella di produzione organizzata. [Questa distinzione risalta viepiù nella specie, poiché si ha riguardo a un imprenditore individuale, che assume la qualifica, ai fini civilistici, solo in conseguenza dell'esercizio effettivo dell'attività, anche di là dalla mera titolarità del compendio aziendale e del numero di partita iva]. Il fatto. Beta s.p.a. in proprio e quale submandataria e subservicer di Omega s.p.a. leasing , a propria volta mandataria e servicer di Gamma s.r.l., chiese che fosse ammesso al passivo del fallimento di Mevia, titolare della farmacia Alfa, il credito, per l'importo di oltre un milione e mezzo di euro, derivante dal finanziamento erogato nel 2007 a Sempronio per consentirgli di acquistare, contestualmente alla stipulazione del contratto di mutuo, la farmacia Alfa, da lui poi ceduta nel 2013 alla fallita. L'istanza fu respinta e l'opposizione di Beta alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo del fallimento non ha avuto buon esito. Il Tribunale di Torino, al riguardo, ha escluso l'applicabilità per un verso dell' art. 2558, c.c. , poiché era stata integralmente eseguita la prestazione, scaturente dal contratto, di corresponsione della somma oggetto del finanziamento per altro verso, dell' art. 2560 c.c. , posto che, ha argomentato, il debito di restituzione della somma finanziata non è inerente all'esercizio dell'azienda, che deve preesistere alla stipulazione del relativo contratto e che comunque mantiene alterità rispetto al titolare di diritti sul complesso di beni che ne costituiscono oggetto. Di contro, nel caso in esame, il contratto di finanziamento , appunto perché funzionale all'acquisto dell'azienda, è da ritenere atto prodromico irrilevante ai fini del fenomeno successorio disciplinato dall' art. 2560, c.c. Contro questo decreto propongono ricorso in cassazione le predette società cui replica il fallimento con controricorso. In particolare, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell' art. 2558, c.c. , là dove il Tribunale di Torino ha trascurato che è d'ostacolo all'applicazione della norma che entrambe le parti abbiano eseguito la propria prestazione, non che l'abbia fatto una sola, nonché la violazione o falsa applicazione dell' art. 2560, c.c. , perché l'importo del finanziamento impiegato per il pagamento del corrispettivo dell'acquisto dell'azienda si consolida come parte di questa, da trattare come cespite aziendale, andando a incidere sul valore della compravendita. La censura complessivamente proposta è infondata. Ergo la Suprema Corte rigetta il ricorso. Il regime fissato dall' art. 2560, comma 2, c.c. , si applica ai debiti in sé soli considerati , e non anche quando questi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558, c.c. ex multis , Cass. n. 11318/2004 . Occorre poi analizzare la nozione stessa di esaurimento del rapporto contrattuale, talora riferito alla fonte del credito, di modo che la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto, e rimaste inadempiute, non implicherebbe che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o a una di esse, delle ragioni di credito, e in altri casi correlato alla completa definizione anche nella fase contenziosa, in relazione a domande di esatto adempimento, di garanzia per vizi o di risoluzione per inadempimento. Il contratto di mutuo non è inerente all'esercizio dell'azienda il che esclude in radice l'applicabilità dell' art. 2558 c.c. , il quale disciplina la successione nei contratti d'azienda, aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all'imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale, nonché in quelli d'impresa, i quali, pur non avendo ad oggetto beni aziendali, comunque attengono all'organizzazione dell'impresa, come nei casi, in via esemplificativa, dei contratti di somministrazione, dei contratti di assicurazione e di quelli di appalto. Resta esclusa, quindi, anche l'applicabilità dell' art. 2560 c.c. , che si riferisce ai debiti inerenti pur sempre all'esercizio dell'azienda ceduta. La titolarità statica dell'azienda si distingue dall'esercizio dinamico dell'impresa , al punto che, al cospetto di una pluralità di contitolari dell'azienda, non si esclude la possibilità che solo uno di essi assuma l'effettiva gestione dell'attività commerciale, e la correlativa veste imprenditoriale, mentre un altro ne resti estraneo e si limiti a conservare il diritto dominicale che gli spetta pro quota sui beni aziendali. Ne deriva che gli obblighi che si trasferiscono in capo all'acquirente sono quelli che il venditore si è assunto in quanto imprenditore. In definitiva , posto che sia l' art. 2558, sia l'art. 2560 c.c. riguardano l'esercizio dinamico dell'impresa, il contratto di finanziamento, che esula da quest'ambito, è estraneo alla sfera di applicazione della successione sia nel contratto, sia nel debito da esso scaturente.

Presidente Cristiano Relatore Perrino Fatti di causa Emerge dal decreto impugnato che la s.p.a. omissis , in proprio e quale submandataria e subservicer di s.p.a. omissis , a propria volta mandataria e servicer della s.r.l. omissis , chiese che fosse ammesso al passivo del fallimento di A.D., titolare della omissis , il credito, per l'importo di Euro 1.806.352,47, derivante dal finanziamento erogato nel 2007 a Z.B. per consentirgli di acquistare, contestualmente alla stipulazione del contratto di mutuo, la omissis , da lui poi ceduta nel 2013 alla fallita. L'istanza fu respinta e l'opposizione di omissis alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo del fallimento non ha avuto buon esito. Il tribunale di Torino, al riguardo, ha escluso l'applicabilità per un verso dell' art. 2558 c.c. , poiché era stata integralmente eseguita la prestazione, scaturente dal contratto, di corresponsione della somma oggetto del finanziamento per altro verso, dell' art. 2560 c.c. , posto che, ha argomentato, il debito di restituzione della somma finanziata non è inerente all'esercizio dell'azienda, che deve preesistere alla stipulazione del relativo contratto e che comunque mantiene alterità rispetto al titolare di diritti sul complesso di beni che ne costituiscono oggetto. Di contro, nel caso in esame, il contratto di finanziamento, appunto perché funzionale all'acquisto dell'azienda, è da ritenere atto prodromico irrilevante ai fini del fenomeno successorio disciplinato dall' art. 2560 c.c. Contro questo decreto propongono ricorso le società indicate in epigrafe, nella qualità rispettivamente ivi specificata, per ottenerne la cassazione, che affidano a quattro motivi, che illustrano con memoria, cui il fallimento replica con controricorso, parimenti corredato di memoria. Motivi della decisione 1.- Col primo e col secondo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, perché connessi, parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell' art. 2558 c.c. , là dove il tribunale di Torino ha trascurato che è d'ostacolo all'applicazione della norma che entrambe le parti abbiano eseguito la propria prestazione, non che l'abbia fatto una sola primo motivo , nonché la violazione o falsa applicazione dell' art. 2560 c.c. , perché l'importo del finanziamento impiegato per il pagamento del corrispettivo dell'acquisto dell'azienda si consolida come parte di questa, da trattare come cespite aziendale, andando a incidere sul valore della compravendita secondo motivo . La censura complessivamente proposta, benché ammissibile, in quanto, contrariamente a quanto obiettato in controricorso, calibrata sulla deduzione di violazioni di legge e non già sulla rivalutazione del merito della controversia, è infondata. 2.- Secondo il tribunale nel caso in esame la pretesa va esaminata in base all'art. 2560 e non già a mente dell'art. 2558, in quanto una delle prestazioni scaturenti dal contratto del quale di discute, ossia quella dell'odierna ricorrente, è stata integralmente eseguita. La statuizione evoca il tema della relazione tra le due norme, discussa in dottrina, e sovente costruita nella giurisprudenza di questa Corte nel senso che il regime fissato dall' art. 2560, comma 2, c.c. si applica ai debiti in sé soli considerati, e non anche quando questi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite,tairubblicazione2eo/2022 cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c. tra varie, Cass. n. 11318/04 e n. 8539/18 . Essa poi coinvolge la nozione stessa di esaurimento del rapporto contrattuale, talora riferito alla fonte del credito, di modo che la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto, e rimaste inadempiute, non implicherebbe che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o a una di esse, delle ragioni di credito Cass. n. 20154/11 , e in altri casi correlato alla completa definizione anche nella fase contenziosa, in relazione a domande di esatto adempimento, di garanzia per vizi o di risoluzione per inadempimento Cass. n. 8219/90 n. 8055/18 n. 26808/19 . 3.- Le questioni sono, tuttavia, irrilevanti ai fini della decisione. E ciò perché il contratto di cui si discute non è inerente all'esercizio dell'azienda il che esclude in radice l'applicabilità dell' art. 2558 c.c. , il quale disciplina la successione nei contratti d'azienda, aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all'imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale, nonché in quelli d'impresa, i quali, pur non avendo ad oggetto beni aziendali, comunque attengono all'organizzazione dell'impresa, come nei casi, in via esemplificativa, dei contratti di somministrazione, dei contratti di assicurazione e di quelli di appalto in termini, fra le più recenti, Cass. n. 15065/18 . Resta esclusa, quindi, anche l'applicabilità dell' art. 2560 c.c. , che si riferisce ai debiti inerenti pur sempre all'esercizio dell'azienda ceduta. 4.- Il contratto di mutuo non può dirsi inerente all'esercizio dell'azienda, perché è volto all'acquisizione di essa, e perciò si configura come atto di organizzazione, che, secondo autorevole dottrina, va distinto dall'atto dell'organizzazione, al fine di scongiurare l'indiscriminata assimilazione dell'attività organizzativa a quella di produzione organizzata traccia di questa distinzione v'è in Cass. n. 15769/04 , secondo cui in mancanza di apparato aziendale anche atti preparatori possono segnare l'effettivo esercizio dell'attività d'impresa, purché, però, permettano di individuare l'oggetto dell'attività e il suo carattere commerciale, come nel caso del mercante d'arte che acquisti, per la rivendita, numerose opere d'arte, e svolga attività promozionali . 5.- Questa distinzione risalta viepiù nella specie, poiché si ha riguardo a un imprenditore individuale, che assume la qualifica, ai fini civilistici, solo in conseguenza dell'esercizio effettivo dell'attività Cass. n. 23157/18 n. 6968/19 , anche di là dalla mera titolarità del compendio aziendale e del numero di partita iva. La titolarità statica dell'azienda si distingue, difatti, dall'esercizio dinamico dell'impresa, al punto che, al cospetto di una pluralità di contitolari dell'azienda, non si esclude la possibilità che solo uno di essi assuma l'effettiva gestione dell'attività commerciale, e la correlativa veste imprenditoriale, mentre un altro ne resti estraneo e si limiti a conservare il diritto dominicale spettantegli pro quota sui beni aziendali Cass. n. 4986/97 . Ne deriva che gli obblighi che si trasferiscono in capo all'acquirente sono quelli che il venditore si è assunto in quanto imprenditore Cass. n. 5495/01 . 5.1.- Posto, dunque, che sia l' art. 2558, sia l'art. 2560 c.c. riguardano l'esercizio dinamico dell'impresa, da entrambe le norme evocato, il contratto in esame, che esula da quest'ambito, è estraneo alla sfera di applicazione della successione e nel contratto, e nel debito da esso scaturente. 6.- La censura va quindi respinta. Il che comporta l'inammissibilità del terzo motivo di ricorso, col quale si denuncia l'omesso esame del fatto decisivo costituito dall'esecuzione di bonifici da parte della Dott. A., dopo l'acquisto dell'azienda, in favore della omissis , aventi come causale acconto canoni omissis per conto omissis . 6.1.- La circostanza varrebbe difatti unicamente a dimostrare che l'acquirente si era accollata il debito derivante dal mutuo a titolo personale laddove in controricorso si sostiene che il prezzo di vendita, convenuto in Euro 2.039.283,11, comprendeva fra le attività l'avviamento, al quale veniva attribuito il valore di 1.750.000,00 e non emerge che la domanda sia stata proposta anche ai sensi dell' art. 1273 c.c. 7.- Ne risulta assorbito l'ultimo motivo di ricorso, col quale si deduce la violazione dell' art. 115 c.p.c. perché il tribunale avrebbe omesso di dar seguito alla richiesta di omissis di esibizione dei bilanci e delle scritture contabili dell'alienante e della fallita, dalle quali sarebbe emerso il subentro nel debito. 8.- Il ricorso è rigettato e le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto. Per Questi Motivi La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese, che liquida in Euro 17.000,00 per compensi, oltre a Euro 200,00 per esborsi, al 15% a titolo di spese forfetarie, iva e cpa. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.