Sinistro stradale, azione di surroga dell’INAIL e incapienza del massimale

In materia di sinistri determinati dalla circolazione di autoveicoli, l’assicuratore sociale che abbia dichiarato di voler esercitare la surroga di cui all’art. 1916 c.c. e all’art. 142 d.lgs. n. 209/2005 ha diritto di surroga, qualora il massimale risulti incapiente, nei confronti del responsabile civile, a meno che egli dimostri che l’assicuratore ha legittimamente versato l’intero massimale al danneggiato o perché costui ha negato di avere diritto a prestazioni da parte dell’assicuratore sociale o perché quest’ultimo è rimasto silente in ordine all’interpello a lui rivolto ai sensi dell’art. 142 del d.lgs. n. 209/2005

A seguito di un tragico incidente stradale, l' INAIL riconobbe la natura di infortunio in itinere per l'unico sopravvissuto, erogandogli una rendita per i gravi postumi subiti. Successivamente, la compagnia assicuratrice dell'auto su cui l'uomo viaggiava come terzo trasportato chiedeva all'Istituto se avesse già erogato prestazioni conseguenti al sinistro. L'INAIL dava risposta positiva e agiva in surroga nei confronti della compagnia assicuratrice, la quale però comunicava di non poter corrispondere la cifra già versata all'uomo per incapienza del massimale. Veniva quindi stipulata una transazione con cui l'INAIL accettava una quota derivante dalla ripartizione del massimale, riservandosi di agire per il residuo nei confronti dell'Assessorato agricoltura e forestale della Regione Sicilia, quale proprietaria del veicolo. La domanda di pagamento, a titolo di surroga , avanzata dall'INAIL dinanzi al Tribunale di Palermo veniva però rigettata , decisione confermata poi anche in appello. La questione è dunque giunta all'attenzione della Suprema Corte. Il Collegio ritiene che la motivazione della pronuncia impugnata appaia insanabilmente perplessa in ordine all'effettiva sufficienza del massimale ai fini del soddisfacimento dell'intero danno . Non risulta infatti correttamente applicato il principio secondo cui l'assicuratore sociale ha il diritto di surroga nei confronti del responsabile civile in caso di incapienza del massimale , salvo che il debitore non dimostri che l'assicuratore ha versato l'intero massimale al danneggiato, gravando sul debitore stesso l'onere della prova trattandosi di un fatto impeditivo. Altra circostanza che esclude la possibilità di surroga è la negazione da parte del danneggiato di avere diritto a prestazioni da parte dell'assicuratore sociale o il suo silenzio a fronte dell'interpello rivoltogli ai sensi dell' art. 142 d.lgs. n. 209/2005 . E, continua la sentenza in esame, è evidente che, ove sia stato lo scorretto comportamento del danneggiato a pregiudicare il diritto di surrogazione, troverà applicazione la previsione dell' art. 142, comma 3, ultimo periodo, del codice delle assicurazioni . In conclusione, accogliendo il ricorso dell'INAIL, la Corte cristallizza il principio di diritto secondo cui in materia di sinistri determinati dalla circolazione di autoveicoli, l'assicuratore sociale che abbia dichiarato di voler esercitare la surroga di cui all' art. 1916 c.c. e all' art. 142 d.lgs. n. 209/2005 ha diritto di surroga, qualora il massimale risulti incapiente, nei confronti del responsabile civile , a meno che egli dimostri che l'assicuratore ha legittimamente versato l'intero massimale al danneggiato o perché costui ha negato di avere diritto a prestazioni da parte dell'assicuratore sociale o perché quest'ultimo è rimasto silente in ordine all'interpello a lui rivolto ai sensi dell' art. 142 del d.lgs. n. 209/2005 .

Presidente Travaglino Relatore Cirillo Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione proposta da S.C.D. nei riguardi del Dott. T.G., giudice del Tribunale di omissis , per avere questi espresso indebitamente, ai sensi dell' art. 37 c.p.p. , comma 1, lett. b , valutazioni sulla responsabilità del ricorrente per il reato di corruzione nel provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro disposto a carico del coindagato. 2. Ha proposto ricorso per cassazione S. articolando un unico motivo con cui deduce vizio di motivazione nella parte in cui 1a Corte non ha ritenuto indebito il convincimento espresso dal Giudice si sostiene che il decreto di sequestro preventivo sarebbe stato disposto a seguito di una valutazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza anche a carico del ricorrente, che, tuttavia, sarebbe estraneo al procedimento cautelare in tal modo, si argomenta, il Giudice avrebbe indebitamente anticipato gli esiti dell'udienza preliminare. La tesi è che il Giudice, nel decreto di sequestro, non si sarebbe limitato ad accertare in concreto il fumus del delitto di corruzione, e dunque, il presupposto per l'adozione della misura cautelare, ma avrebbe preso posizione anche sulla esistenza dei gravi indizi di colpevolezza, con ciò indebitamente anticipando il giudizio da compiere all'esito della udienza preliminare. Nel caso di specie, si aggiunge, le dichiarazioni autoindizianti del pubblico agente corrotto, che ha ammesso di avere ricevuto la somma complessiva di 30.000 Euro come prezzo della corruzione, sarebbero state sufficienti per configurare, ai fini della adozione del sequestro, il fumus del reato nei riguardi dello stesso dichiarante e non sarebbero state richieste ulteriori valutazioni, in concreto indebitamente compiute, sulla responsabilità di altri coindagati, come il ricorrente. Sotto altro profilo si ritiene contraddittoria la motivazione dell'ordinanza nella parte in cui la Corte, pur indicando correttamente i termini di una questione di legittimità costituzionale che avrebbe potuto essere sollevata in relazione all' art. 34 c.p.p. , abbia poi di fatto non sollevato alcunché ritenendo detta questione esterna rispetto a quella devoluta con la ricusazione. La questione di legittimità costituzionale attiene all' art. 34 c.p.p. , nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudice per l'udienza preliminare del Giudice per le indagini preliminari che, per il medesimo fatto storico, abbia applicato un sequestro preventivo finalizzato alla confisca nei confronti dello stesso indagato o di altri indagati con un provvedimento in cui sia valutata la posizione del soggetto in questione quanto agli indizi di responsabilità. La Corte, si aggiunge, avrebbe potuto sollevare la questione di legittimità costituzionale anche d'ufficio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. La Corte di cassazione ha in più occasioni chiarito che non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che questi abbia applicato nel corso del procedimento una misura cautelare reale, atteso che l'adozione di quest'ultima prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all'imputato sul tema, tra le altre, Sez. 6, n. 7082 del 03/02/2010, Calcagni, Rv. 246068 . Il tema dunque attiene alla verifica del se, nel caso di specie, il Giudice per le indagini preliminari, nel disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca nei riguardi di B.M., abbia compiuto in concreto valutazioni sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del delitto di corruzione nei confronti del ricorrente. 3. Diversamente dagli assunti difensivi, dalla lettura del decreto di sequestro emerge chiaramente che se è vero che il Giudice, dopo aver riportato l'ipotesi accusatoria riguardante l'esistenza di un patto corruttivo di cui sarebbe stato parte anche l'odierno ricorrente nella veste di privato corruttore -, abbia fatto impropriamente riferimento, a pag. 9 del provvedimento, al sintagma gravi indizi di colpevolezza , è altrettanto vero che, in concreto, si sia tuttavia limitato a richiamare le dichiarazioni autoindizianti del pubblico ufficiale - parte dell'ipotizzato patto corruttivo - e a riportare il contenuto di alcune conversazioni intercettate, relative a dialoghi tra soggetti diversi dal ricorrente, volte a confermare l'esistenza del reato ipotizzato. Ciò è obiettivamente confermato nella parte finale del decreto di sequestro, in cui lo stesso Giudice si è limitato a ritenere sussistente il fumus commissi delicti , richiamando il principio consolidato secondo cui, ai fini dell'adozione della misura cautelare reale, non è necessario procedere alla valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, con ciò evidenziano chiaramente di esser consapevole di quale fosse lo standard probatorio necessario e sufficiente per l'adozione della misura e come detto standard non comprendesse affatto una delibazione sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Dunque, il decreto di sequestro non contiene una valutazione di merito sulla posizione dell'odierno ricorrente ed è di conseguenza corretta l'affermazione contenuta nella ordinanza impugnata secondo cui il Giudice per le indagini preliminari si è limitato nella specie a valutare l'esistenza del requisito del fumus commissi delicti del delitto di corruzione, tenuto conto del carattere plurisoggettivo necessario rispetto al quale è inevitabile fare comunque riferimento anche al soggetto corruttore. Alla luce delle considerazioni esposte è assorbita la prospettata questione di legittimità costituzionale. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.