Aggredisce l’infermiera che la invitava ad uscire dalla camera dell’ospedale: condannata per resistenza a pubblico ufficiale

Accertate in via definitiva le responsabilità di una donna che ha colpito con uno schiaffo un’infermiera che l’aveva invitata ad uscire da una stanza che ospitava alcuni degenti e a rispettare l’orario di visita vigente in ospedale. Riconosciuti anche i reati di lesioni personali e di interruzione di pubblico servizio.

Vale una condanna il reagire con violenza all'invito, fatto da un'infermiera, ad uscire dalla stanza d'ospedale in cui si è entrati nonostante l'orario delle visite sia già terminato. Riconosciuti dai giudici, nell'episodio preso in esame, i reati di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali e interruzione di pubblico servizio . Scenario dell'episodio sottoposto alle valutazioni dei giudici è una struttura ospedaliera in Lombardia. I dettagli, accertati tra primo e secondo grado, sono ritenuti sufficienti per condannare la persona – una donna – finita sotto processo perché, a fronte della richiesta di lasciare la stanza in cui si trovava al di fuori dei consentiti orari di visita ai degenti , ha inseguito l'infermiera che l'aveva esortata ad uscire dalla camera e poi l'ha colpita con uno schiaffo al volto, provocandole lesioni, giudicate guaribili in cinque giorni, all'orecchio destro e così ha turbato la regolarità delle attività ospedaliere . Per i giudici di merito non ci sono dubbi la donna si è resa colpevole di lesioni personali, resistenza a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio e va sanzionata con otto mesi di reclusione. Con il ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta la donna contesta il reato di resistenza a pubblico ufficiale. In questa ottica egli osserva che la violenza è stata semplicemente occasionata dal servizio di pubblica utilità svolto dall'infermiera ma non era tesa ad interromperlo, tanto da essere carente ogni legame con lo svolgimento del servizio , e, difatti, aggiunge il legale, il litigio tra la donna e l'infermiera è avvenuto in un momento successivo rispetto alla formulata richiesta rivolta alla donna ed al compagno di lasciare il reparto, quando cioè l'infermiera si stava allontanando e aveva cessato ogni attività connessa allo svolgimento del pubblico servizio . A questo proposito, il legale richiama le dichiarazioni della persona offesa, che ha confermato di essere stata aggredita mentre si stava allontanando dalla stanza di degenza . Prima di esaminare in dettaglio la vicenda verificatasi nell'ospedale lombardo, i giudici di Cassazione ribadiscono il principio secondo cui affinché venga integrata la fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale, non è necessario che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell'ufficio o del servizio, indipendentemente dall'esito, positivo o negativo, di tale azione e dell'effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento dell'atto del pubblico ufficiale . Pertanto, è necessario che esista una stretta connessione tra la condotta violenta e minacciosa e l'attività a valenza pubblicistica effettivamente svolta tanto da essere impedita, intralciata o compromessa, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarità del compimento dell'atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio . Ciò significa che non si può parlare di resistenza a pubblico ufficiale a fronte di una reazione minacciosa posta in essere nei confronti del pubblico ufficiale dopo che questi abbia già svolto l'atto del proprio ufficio e senza, dunque, la finalità di opporvisi . Proprio alla luce del quadro tracciato dai giudici, è chiara la lettura dell'episodio verificatosi nel nosocomio lombardo. Ciò perché si è appurato, tra primo e secondo grado, che l'infermiera, allorché veniva inseguita e raggiunta dalla donna, presente ancora nella stanza, e colpita con violenza con uno schiaffo al volto, era proprio in procinto di richiedere aiuto al fine di far osservare le norme interne che disciplinano il diritto di visita dei pazienti e questi fatti sono avvenuti dopo che l'infermiera aveva, vanamente e ripetutamente, invitato la donna a lasciare la stanza ed attenersi agli orari di visita predisposti dalla struttura ospedaliera . Su questo punto, peraltro, la violazione delle norme che regolano l'accesso al nosocomio è stata ammessa dalla donna sotto processo, la quale ha riconosciuto di essersi introdotta, unitamente al compagno, nel reparto degenze superando una catenella che ne precludeva, anche simbolicamente, l'accesso . Inoltre, è emerso in modo chiaro che l'infermiera aggredita era addetta al reparto e svolgeva esattamente le funzioni connesse al servizio pubblico a cui era deputata, visto che era uscita dalla stanza alla ricerca di un collega che potesse aiutarla a far rispettare la disciplina di visita dei parenti ed allontanare la donna e il compagno che si erano introdotti, al di fuori degli orari consentiti, nella stanza di degenza . Tirando le somme, non vi sono dubbi sul fatto che la condotta violenta subita dall'infermiera fosse proprio connessa alle funzioni da lei esercitate, tanto da costituire per lei un ostacolo , e quindi è logico attribuire alla donna sotto processo anche il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Presidente Capozzi – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. B.V., per mezzo del proprio difensore, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che, confermando la sentenza resa dal Tribunale di Lecco, la ha condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi otto di reclusione in ordine ai reati di cui agli artt. 337, 582 e 340 c.p. poiché, richiesta dall'infermiera G.A.di lasciare la stanza in cui si trovava al di fuori dei consentiti orari di visita ai degenti, la inseguiva e, una volta raggiunta, la colpiva con uno schiaffo al volto, provocandole lesioni al padiglione auricolare destro giudicate guaribili in cinque giorni, così turbando la resiolarità delle attività ospedaliere. 2. Avverso tale decisione, come unico motivo, la ricorrente deduce vizi di motivazione in ordine alla sola ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di resistenza a pubblico ufficiale di cui all' art. 337 c.p. . Secondo la ricorrente, la sentenza evidenzia che la violenza veniva semplicemente occasionata dal servizio di pubblica utilità svolto dall'infermiera ma non era tesa ad interromperlo, tanto da essere carente ogni legame con lo svolgimento del servizio il litigio tra la ricorrente e l'infermiera G.A. è avvenuto in un momento successivo rispetto alla formulata richiesta rivolta alla B. ed al compagno di lasciare il reparto, quando si stava allontanando e aveva cessato ogni attività connessa allo svolgimento del pubblico servizio. Detta circostanza è emersa dalle dichiarazioni della persona offesa che aveva confermato di essere stata aggredita mentre si stava allontanando dalla stanza di degenza. Le acquisizioni probatorie non hanno mai evidenziato collegamenti tra l'atto dell'ufficio e la violenza contestata alla B. Con motivi aggiunti depositati telematicamente il 16 settembre 2022 la difesa insiste per l'accoglimento del ricorso ribadendo la assenza di legame tra lo schiaffo inferto alla persona offesa e l'attività da questa svolta. Considerato in diritto 1. Il ricorso, in quanto generico e declinato in fatto deve essere dichiarato inammissibile. 2. Deve premettersi che le censure contenute nel ricorso, a fronte della conferma della sentenza di condanna relativamente ai delitti di resistenza ex art. 337 c.p. , lesioni aggravate ex art. 582 e 585 con riferimento all' art. 576, n. 1, c.p. e interruzione di pubblico servizio ex art. 340 c.p. , sono unicamente rivolte alla parte della decisione che ha confermato la condanna della ricorrente in ordine al delitto di cui all' art. 337 c.p. di cui al capo B ed in tali corrispondenti limiti è stata formulata la richiesta di annullamento conclusioni a pag. 3 del ricorso ribadite con i motivi aggiunti e conclusioni depositate telematicamente il 16 settembre 2022 . 3. Deve essere ribadito il principio di diritto secondo cui, affinché venga integrata la fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale, non è necessario che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell'ufficio o del servizio, indipendentemente dall'esito, positivo o negativo, di tale azione e dall'effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti indicati Sez. 6, n. 5459 del 08/01/2020, Sortino, Rv. 278207 . In particolare, quanto al contesto in cui la violenza assume rilevanza, questa Corte ha puntualizzato che quando il comportamento aggressivo nei confronti del pubblico ufficiale non è diretto a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio, ma è solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull'attività dell'ufficio o del servizio, la condotta non integra il delitto di cui all' art. 337 c.p. , ma i reati di ingiuria e di minaccia, aggravati dalla qualità delle persone offese Sez. 6, n. 23684 del 14/05/2015, Bianchini, Rv. 263813 . È necessario, pertanto che esista una stretta connessione tra la condotta violenta e minacciosa e l'attività a valenza pubblicistica effettivamente svolta tanto da essere impedita, intralciata o compromessa, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarità del compimento dell'atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio Sez. 6, n. 5147 del 16/01/2014, Picco, Rv. 258631 . 4. Per quel che in questa sede rileva, come anche evidenziato nel ricorso, non integra il reato di cui all' art. 337 c.p. la reazione minacciosa posta in essere nei confronti del pubblico ufficiale dopo che questi abbia già svolto l'atto del proprio ufficio e senza, dunque, la finalità di opporvisi Sez. 6, n. 8340 del 18/11/2010, dep. 2011, Chiodo Khalil, Rv. 249582 . E proprio al fine di confutare tale evenienza, la Corte territoriale ha messo in evidenza come la persona offesa, allorché veniva inseguita e raggiunta dalla ricorrente e colpita con violenza con uno schiaffo al volto, era proprio in procinto di richiedere aiuto al fine di far osservare le norme interne che disciplinano il diritto di visita dei pazienti, fatti avvenuti dopo che, vanamente, aveva ripetutamente invitato la B. a lasciare la stanza ed attenersi agli orari di visita predisposti dalla struttura ospedaliera, violazione delle norme che regolano l'accesso al nosocomio che neppure la ricorrente ha mai contestato, ammettendo di essersi introdotta unitamente al compagno nel repairto degenze superando una catenella che ne precludeva, anche simbolicamente, l'accesso. La Corte territoriale ha pertanto evidenziato, al cospetto di critiche rivolte alla ritenuta sussistenza del delitto contestato, che contrariamente a quanto affermato nei motivi di gravame, G.A., infermiera addetta al reparto, svolgeva esattamente le funzioni connesse al servizio pubblico al quale era deputata, visto che era uscita dalla stanza alla ricerca di un collega che potesse aiutarla a far rispettare la disciplina di visita dei parenti ed allontanare la ricorrente, il compagno ed il figlio della prima che si erano introdotti, al di fuori degli orari consentiti, nella stanza di degenza. 5. La ricorrente, invero, omettendo di confrontarsi con la parte della decisione in cui è stato evidenziato in tal senso anche la sentenza del Tribunale che la persona offesa fosse nel corridoio proprio per richiedere ausilio ai colleghi per far allontanare la B., il compagno ed il figlio, tenta di accreditare la tesi a mente della quale l'attività di controllo dell'infermiera aggredita si fosse ormai esaurita. Il ricorso in tali termini proposto scade, altresì, nel precluso merito nella parte in cui viene messa in discussione la decisione che, attraverso un percorso coerente e logico, previa analisi delle risultanze istruttorie con particolare riferimento alle testimonianze rese dalle persone presenti ai fatti, ha rilevato come la condotta violenta fosse proprio connessa alle funzioni esercitate dalla G., tanto da costituire ostacolo alla stessa. 6. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall' art. 616, c omma 1, c.p.p. . P.Q. M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.