Necessario, precisano i giudici, valutare l’assoluta impossibilità per la donna di occuparsi della prole. In questa ottica non può essere decisivo il riferimento al fatto che il contratto di lavoro da lei sottoscritto si collochi in epoca successiva alla detenzione del marito.
Contratto di lavoro della moglie stipulato in epoca successiva all'inizio della detenzione cautelare del marito questo dettaglio non è sufficiente per respingere la richiesta avanzata dall'uomo, mirata alla possibilità di tornare a casa e centrata sulle difficoltà della donna nella gestione delle due figlie. Per il GIP prima e per il Tribunale del riesame poi non ci sono dubbi va respinta la richiesta avanzata da un uomo e mirata ad ottenere la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere precedentemente applicatagli in ordine ai reati di detenzione e porto d'arma in luogo pubblico, ricettazione e detezione finalizzata allo spaccio di stupefacenti . Inutile la sottolineatura, da parte dell'uomo, che la moglie, madre di due figlie piccole, si trova nella assoluta impossibilità di dare loro assistenza, avendo dovuto reperire, a seguito della carcerazione del marito, un'attività lavorativa che le impedisce di occuparsi delle bambine . Il GIP ha sottolineato che non è stata dimostrata l'assoluta impossibilità della madre di accudire la prole, costituendo, quelle rappresentate dalla difesa, delle mere difficoltà . Il Tribunale del riesame aggiunge che nel frattempo all'uomo è stata notificata un'ulteriore ordinanza cautelare scaturita dalle indagini in corso ed è sopravvenuta la sua condanna a due anni di reclusione per il reato di detenzione di stupefacenti . In sostanza, tali elementi, unitamente alla circostanza che egli si è avvalso della facoltà di non rispondere, sono inidonei a determinare una rivalutazione del regime cautelare . Per chiudere il cerchio, comunque, il Tribunale esclude vi sia il presupposto del difetto assistenziale, non altrimenti colmabile, della prole e tale da comprometterne il processo evolutivo-educativo, tale non potendosi considerare lo svolgimento di attività lavorativa. Rileva, altresì, che nella specie, il contratto di lavoro della donna è successivo alla data di applicazione della misura cautelare nei confronti dell'uomo. Prima di esaminare in dettaglio la vicenda, i giudici di terzo grado richiamano i paletti principali in merito alla norma che prevede l'impossibilità di disporre o mantenere la custodia cautelare in carcere quando l'imputato è un uomo vedovo o che ha una moglie assolutamente impossibilita a dare assistenza alla prole. In particolare, ai fini della sostituzione della custodia cautelare in carcere per l'imputato padre di prole non superiore a 6 anni, la condizione di assoluta impossibilità per la madre di assistere i figli sussiste, oltre che nel caso di un suo decesso, in presenza di una grave inabilità indipendente dalla sua volontà . Difatti, è insufficiente ad integrare tale impossibilità una situazione di mera difficoltà, sicché va escluso che l'attività lavorativa della madre, ancorché quotidianamente svolta per oltre otto ore, integri il requisito previsto dalla disposizione normativa . Proprio perché l' impossibilità della madre deve essere assoluta, e strettamente collegata dal legislatore con quella dell'intervenuto decesso della madre, va ribadito che la condizione ostativa all'applicazione della misura della custodia in carcere può rinvenirsi solo nei casi in cui la madre della prole del detenuto si trovi nella situazione di non potere, neanche volendo, prendersi cura dei figli, così da giustificare il sacrificio all'interesse generale della tutela della collettività mediante la rinuncia ad applicare la misura carceraria nei confronti dell'altro genitore . Di conseguenza, si è ritenuto che una tale situazione potrà ricorrere nel caso in cui la madre sia affetta da una grave malattia, oppure sia ricoverata in ospedale e non possa accudire i figli, o, ancora, si trovi all'estero e non possa fare rientro in Italia né portare con sé i figli per motivi indipendenti dalla propria volontà . Tale situazione va esclusa, invece, nei casi di mera difficoltà di gestione della prole . Inoltre, nel valutare detta impossibilità e nel tener altresì conto di possibili rimedi utili ad una funzionale surroga del ruolo materno, altrimenti impedita, non può non darsi un rilievo fondamentale al preminente interesse del minore alla continuità dei legami familiari garantiti dal ruolo paterno mentre agli altri familiari del minore il legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva, dal momento che la previsione è finalizzata alla salvaguardia dell'integrità psico-fisica dei figli in tenera età, garantendo loro l'assistenza da parte di almeno uno dei genitori . Nella vicenda in esame, però, osservano i giudici della Cassazione, pur a fronte della acclarata necessità del carattere assoluto dell'impedimento della madre ad assistere il minore , è mancata una verifica in concreto, anche attraverso l'esame della documentazione prodotta dalla difesa, sulle difficoltà lamentate dalla moglie dell'uomo costretto in carcere , mentre il Tribunale del riesame si è limitato a sottolineare la circostanza che il contratto di lavoro della donna è stato stipulato in data successiva all'inizio della detenzione del marito . Necessario, perciò, un nuovo pronunciamento del Tribunale del Riesame, a fronte, però, di una approfondita indagine in merito alla presunta impossibilità della donna di accudire le due figlie.
Presidente Fiordalisi Relatore Mele Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 3 marzo 2022, il Tribunale di Torino, sezione riesame delle misure cautelari, ha rigettato l'appello proposto da D.V. avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Torino del 26.11.2021 che aveva respinto l'istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere ex art. 275 c.p.p. , comma 4, precedentemente applicata dal G.i.p. con provvedimento del 11.10.2021 in ordine ai reati di detenzione e porto d'arma in luogo pubblico, ricettazione e detezione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. La richiesta di sostituzione della misura cautelare era motivata in ragione del fatto che la moglie dell'indagato, madre di due figlie, una di tre anni e l'altra di nove mesi, si trovava nella assoluta impossibilità di dare loro assistenza avendo dovuto reperire un'attività lavorativa a seguito della carcerazione del marito che le impediva di occuparsi delle bambine. 1.1. Il G.i.p. rigettava tale richiesta ritenendo che non fosse stata dimostrata l'assoluta impossibilità della madre di accudire la prole, costituendo quelle rappresentate dalla difesa, delle mere difficoltà. 1.2. Il Tribunale del riesame, dopo aver rilevato come nel frattempo al D. fosse stata notificata un'ulteriore ordinanza cautelare scaturita dalle indagini in corso e fosse sopravvenuta la condanna del medesimo a due anni di reclusione per il reato di detenzione di stupefacenti, ha affermato che tali elementi, unitamente alla circostanza che egli si era avvalso della facoltà di non rispondere, erano inidonei a determinare una rivalutazione del regime cautelare. Con riguardo alla richiesta di sostituzione della misura ai sensi dell' art. 275 c.p.p. , comma 4, il Tribunale, richiamando il provvedimento emesso in sede di riesame avverso l'ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, ha escluso che ricorresse il presupposto del difetto assistenziale non altrimenti colmabile della prole e tale da comprometterne il processo evolutivo-educativo, tale non potendosi considerare lo svolgimento di attività lavorativa. Rilevava, altresì, che nella specie, il contratto di lavoro della moglie del D. era successivo alla data di applicazione della misura cautelare. 2. Avverso tale ordinanza, il D. ha proposto ricorso lamentando l'erronea applicazione dell' art. 275 c.p.p. , comma 4, nonché la mancanza di motivazione ovvero l'omessa valutazione della prova. Ad avviso del ricorrente, l'ordinanza impugnata recherebbe una motivazione solo apparente, limitandosi ad una mera riproposizione delle argomentazioni contenute nell'ordinanza del GIP e ad operare un richiamo alla giurisprudenza di legittimità che richiede la valutazione in concreto dell'impossibilità della madre di assistere la prole. Il ricorrente lamenta, inoltre, che il Tribunale avrebbe omesso di valutare la documentazione prodotta dalla difesa e volta a comprovare non solo l'attività lavorativa, con orari e turni, svolta dalla moglie del D., ma anche l'impossibilità per i nonni ad accudire i nipoti e l indisponibilità di strutture di accoglienza delle minori. Infine, il Tribunale avrebbe omesso di motivare in ordine alla eventuale sussistenza di gravi esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che avrebbero reso inapplicabili le presunzioni di cui all' art. 275 c.p.p. , comma 4. 3. Con requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza con rinvio al Tribunale di Torino per un nuovo esame. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Ai fini della sostituzione della custodia cautelare in carcere per l'imputato padre di prole non superiore a sei anni, la condizione di assoluta impossibilità per la madre di assistere i figli, richiesta dall' art. 275 c.p.p. , comma 4, sussiste, oltre che nel caso di decesso di quest'ultima, in presenza di una grave inabilità indipendente dalla sua volontà. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte è insufficiente ad integrare tale impossibilità una situazione di mera difficoltà, sicché si è escluso che l'attività lavorativa della madre, ancorché quotidianamente svolta per oltre otto ore, integri il requisito previsto dalla citata disposizione Sez. 1, n. 10583 del 25/11/2020, dep. 2021, Arena, Rv. 281353-01. Si veda, in senso conforme, Sez. 6, n. 54449 del 25/10/2018, Giglio, Rv. 274316 - 01 . Proprio perché l'impossibilità della madre cui è ancorata la previsione dell' art. 275 c.p.p. , comma 4, deve essere assoluta , e strettamente collegata dal legislatore con quella dell'intervenuto decesso della madre, ed in considerazione del carattere eccezionale della disposizione - in quanto derogatoria, sebbene in bonam partem, dei principi di adeguatezza e proporzionalità nella scelta della misura - questa Corte ha affermato che la condizione ostativa all'applicazione della misura della custodia in carcere può rinvenirsi solo nei casi in cui la madre della prole del detenuto si trovi nella situazione di non potere, neanche volendo, prendersi cura dei figli, così da giustificare il sacrificio all'interesse generale della tutela della collettività mediante la rinuncia ad applicare la misura carceraria nei confronti dell'altro genitore. Si è pertanto ritenuto che una tale situazione potrà ricorrere nel caso in cui la madre sia affetta da una grave malattia sia ricoverata in ospedale e non possa accudire i figli si trovi all'estero e non possa fare rientro in Italia nè portare con sé i figli per motivi indipendenti dalla propria volontà. Non sussiste, invece, non nei casi di mera difficoltà di gestione della prole. Si è peraltro precisato che, nel valutare detta impossibilità e tener altresì conto di possibili rimedi utili ad una funzionale surroga del ruolo materno, altrimenti impedita, non potrà non darsi un rilievo fondamentale al preminente interesse del minore alla continuità dei legami familiari garantiti dal ruolo paterno Sez. 6, n. 5486 del 28/10/2020, dep. 2021, Leto, n. m. e che agli altri familiari del minore il legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva, dal momento che la previsione è finalizzata alla salvaguardia dell'integrità psico-fisica dei figli in tenera età, garantendo loro l'assistenza da parte di almeno uno dei genitori Sez. 4, n. 6691 del 19/11/2004, Roccaro, Rv. 230931, Sez. 2, n. 47473 del 11/11/2004, Capizzi, Rv. 230802 Sez. 5, n. 4 1626 del 9/11/2007, Verde, Rv. 238209 . 3. Nella vicenda in esame, il Tribunale del riesame di Torino, pur avendo correttamente individuato la regula iuris richiamando la giurisprudenza di questa Corte sulla necessità del carattere assoluto dell'impedimento della madre ad assistere il minore e di fare riferimento al caso concreto, si è poi di fatto limitato ad una mera enunciazione astratta di tali principi senza darvi seguito, omettendo di verificare in concreto, anche attraverso l'esame della documentazione prodotta dalla difesa, se ricorressero il presupposto dell'assoluta impossibilità di cui all' art. 275 c.p.p. , comma 4, non potendo a tal fine ritenersi sufficiente il mero riferimento alla circostanza che il contratto di lavoro della moglie del D. era stato stipulato in data successiva all'inizio della detenzione del medesimo. In definitiva, la motivazione adottata dal Tribunale risulta del tutto avulsa dalle risultanze processuali e da un'effettiva e concreta disamina degli elementi concreti, relativi alla condizione della moglie del ricorrente, sicché essa si risolve in argomentazioni di puro genere e in proposizioni prive di reale efficacia dimostrativa, rendendo il percorso argomentativo sostanzialmente inesistente. 4. Conclusivamente, l'ordinanza impugnata deve essere annullata, perché il Tribunale di Torino, in diversa composizione, proceda a nuovo esame della vicenda. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Torino. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all 'art. 94 disp. att. c.p.p ., comma 1 ter.