Avvocato abusivo: la radiazione in Italia toglie spendibilità al titolo anche se conseguito in Spagna

Commette esercizio abusivo della professione di avvocato il praticante radiato in Italia e abilitato in Spagna che si qualifica come avvocato in udienza avanti un Giudice nazionale. A seguito del provvedimento di radiazione, il titolo abilitativo acquisito all’estero non è spendibile in Italia ai sensi della l. numero 31/1982.

La Dottoressa, ricorrente nel giudizio de quo, veniva condannata con sentenza confermata in Appello per il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato, essendosi, pur se radiata dal registro dei praticanti, qualificata come “Advocat” negli atti di causa ed essersi presentata in udienza quale sostituto del patrocinante di parte ricorrente, nonché per aver dichiarato nella medesima udienza di essere un avvocato in sostituzione del dominus della causa. L'imputata ricorreva quindi alla Corte di Cassazione, evidenziando che dopo il suo superamento dell'esame di Stato a Barcellona e l'iscrizione al relativo Ordine degli Avvocati, avrebbe potuto esercitare liberamente la professione anche in Italia ai sensi della l. numero 31/1982 e alla direttiva 249/77/CE. Aggiungeva, che nella parte in cui viene stabilito dalla normativa nazionale che gli avvocati abilitati in paesi della Comunità sono soggetti al potere del Consiglio dell'Ordine competente per territorio, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che la sanzione disciplinare inferta dall'Ordine degli Avvocati competente avrebbe prodotto effetti anche sul titolo abilitativo conseguito in Spagna. Inammissibili, però, le doglianze, a parere della Suprema Corte, in quanto solleciterebbero una rivalutazione di merito che è preclusa in sede di legittimità. Tuttavia, i Giudici, sottolineano come correttamente sia stato in Appello ritenuto che la sanzione, correttamente applicata, abbia di fatto impedito l'esercizio della professione forense in Italia il titolo abilitativo acquisito all'estero, astrattamente spendibile in Italia, non lo era più in conseguenza del provvedimento di radiazione comminato dal Consiglio Nazionale Forense. La Cassazione per le suddette ragioni dichiara inammissibile il ricorso.

Presidente Miccoli – Relatore Pilla Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15 luglio 2021, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza pronunciata in data 10 giugno 2020 dal Tribunale di Verbania in composizione monocratica nei confronti di P.S. che la aveva condannata per i reati di cui agli articolo 348 e 495 c.p., con l'aumento per la contestata recidiva e per il riconosciuto vincolo della continuazione tra i reati, alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione. L'accusa attiene all'esercizio abusivo della professione di avvocato, per essersi la ricorrente, pur se radiata dal registro Praticanti avvocati in data 26 ottobre 2016, qualificata negli atti di causa quale Advocat ed essersi presentata all'udienza del 9 dicembre 2016, relativa ad una causa presso il Tribunale civile di Verbania, quale sostituto del patrocinante di parte ricorrente, avv. P.L. Capo A nonché per avere falsamente dichiarato in udienza di essere un avvocato in sostituzione del dominus della causa Capo B . 2.Avverso tale decisione ha proposto ricorso l'imputata, attraverso il difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p 2.1.Con il primo motivo, è stata dedotta violazione di legge processuale per nullità del decreto che dispone il giudizio. In particolare, il capo di imputazione di cui al capo A violerebbe il requisito previsto a pena di nullità dall'articolo 552 c.p. dell' esposizione in forma chiara e precisa dei fatti oggetto di imputazione, laddove la imputazione opera confusione quanto alla indicazione della causa civile nella quale la ricorrente avrebbe esercitato abusivamente la professione dal momento che -in relazione al proc. numero 1720/2016 relativo a S.R. richiamato la P. avrebbe solamente preparato degli atti stragiudiziali e la causa risultava pendente presso il Tribunale di Novara e non di Verbania. Conclude chiedendo alla Corte se sia ravvisabile una ipotesi di nullità del decreto che dispone il giudizio o di fatto diverso. 2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della fattispecie di cui all'articolo 384 c.p Evidenzia la difesa che la Corte territoriale, a fronte del motivo di appello in base al quale la ricorrente aveva superato l'esame di Stato a Barcellona ed era iscritta all'ICAB di Barcellona con la possibilità di esercitare liberamente la professione anche in Italia in base alla L. numero 31 del 1982 e alla direttiva comunitaria 249/77, ha erroneamente motivato nel ritenere che l'applicazione della L. 31 del 1982, allorquando stabilisce che nell'esercizio dell'attività professionale, gli avvocati abilitati alla professione di avvocato nei paesi della Comunità Europea sono soggetti al potere del Consiglio dell'Ordine competente per territorio, comporti che la sanzione disciplinare del Consiglio dell'Ordine di Novara abbia effetti anche sul titolo abilitativo conseguito in Spagna. Al riguardo la espressione competente per territorio non individua necessariamente il Consiglio di Novara quale deputato ad irrogare la sanzione disciplinare ben potendo ritenersi competente il Consiglio dell'Ordine di Barcellona. Così come non è sufficientemente chiara la motivazione laddove fa derivare, dall'irrogazione della sanzione disciplinare della radiazione, la caducazione di un titolo abilitativo conseguito quattro anni prima da una praticante che, peraltro, non era mai stata iscritta all'Ordine degli avvocati di Novara e dunque ad un ordine italiano. La ricorrente, all'udienza del dicembre 2016, si è limitata a sostituire l'avvocato P.L. , precedentemente nominato e regolarmente iscritto in Italia, e si è qualificata come Advocat e non come Avvocato. Insussistente è da ritenersi anche l'elemento soggettivo del reato essendo evidente la buona fede della ricorrente convinta della correttezza del suo agire, alla luce, peraltro, della problematica e non facile interpretazione della normativa applicabile al caso di specie. 2.3.Con il terzo motivo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. La difesa lamenta che la mancata concessione della sospensione condizionale della pena e delle circostanze attenuanti generiche sia fondata su una motivazione illogica e identica per la duplice richiesta l'aver posto in essere la condotta illecita nonostante le cognizioni professionali, tentando di aggirare maliziosamente le regole. La Corte territoriale non ha tenuto in conto il comportamento processuale della ricorrente e la sua buona fede, dovendosi senz'altro escludere la sussistenza di un tentativo malizioso di aggiramento delle regole e potendosi al più ravvisare la inconsapevole commissione di un illecito. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato, nonché aspecifico. A. Invero, la nullità del decreto di citazione a giudizio per violazione dell'articolo 552 lett. c c.p.p. e, in particolare, per erronea identificazione della causa civile in cui la ricorrente ha posto in essere le condotte contestate nei due capi d'imputazione e indeterminatezza del capo d'imputazione, integra una nullità di natura relativa che deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'articolo 491 c.p.p. Sez. 3, numero 19649 del 27/02/2019, Rv. 275749 . Dagli atti del fascicolo esaminati dal Collegio in considerazione del dedotto error in procedendo Sez.U., numero 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv.220092 , non risulta che alla prima udienza del 19 settembre 2019 sia stata tempestivamente proposta l'eccezione, sollevata per la prima volta in grado d'appello. 1.1. Il motivo è da considerarsi altresì aspecifico dal momento che, dopo avere dedotto la violazione dell'articolo 552 c.p.p. e la conseguente nullità del decreto che dispone il giudizio, deduce alternativamente la violazione dell'articolo 521 c.p.p. del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per vizi di motivazione i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa Sez.6, numero 800 del 06/12/2011 2012 , Rv. 251528 . 2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato Il motivo non si confronta con la consolidata giurisprudenza di legittimità e con le principali argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata, sollecitando una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, numero 6402 del 30/04/1997, Dessinnone, Rv. 207944 . La sentenza impugnata ha sullo specifico motivo già proposto con l'atto di appello-fornito motivazione esaustiva e immune da vizi logici e giuridici, chiarendo che, contrariamente a quanto assunto nel ricorso, in virtù dell'articolo 11 della L. numero 31/1982, si deve ritenere che la sanzione inflitta dal Consiglio forense di Novara avesse inibito alla ricorrente l'esercizio della professione forense in Italia. Correttamente, dunque, i giudici del merito hanno ritenuto integrata la condotta di cui all'articolo 348 c.p., posto che il titolo abilitativo conseguito in Spagna e astrattamente valido in Italia non era spendibile in conseguenza del provvedimento di radiazione comminato dal Consiglio nazionale forense. Sussiste, per le ragioni espresse in sentenza, l'elemento soggettivo del reato come contestato. La sentenza ha esaustivamente motivato sul punto evidenziando che la ricorrente non può essere stata tratta in errore dalla giurisprudenza sulla specifica materia e ha espressamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte, che in più occasioni ha fornito le corrette linee interpretative della norma. 3. Il terzo motivo è generico. In primo luogo le statuizioni relative alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico, e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione data dal giudice in ossequio al potere discrezionale previsto dagli articolo 132 e 133 c.p. Sez. 2, numero 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243 . In relazione alla specifica doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello secondo il quale, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. A tal fine, non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo. Nella specie, la Corte, condividendo il giudizio espresso dal giudice di primo grado, ha assolto l'obbligo motivazionale richiamando la gravità della condotta e le particolari conoscenze giuridiche della ricorrente, ricorrendo a parametri di valutazione previsti dall'articolo 133 c.p Quanto all'ulteriore doglianza della mancata applicazione della sospensione condizionale della pena la Corte ha esaustivamente motivato quanto alle ragioni ritenute ostative all'applicazione del beneficio, ragioni non censurabili in sede di legittimità peraltro i motivi per i quali la Corte avrebbe dovuto concedere l'invocato beneficio appaiono generici e non puntuali. 4. Alla inammissibilità del ricorso, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue altresì, a norma dell'articolo 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.