Necessario valutare, precisano i giudici, se la decisione, concordata con l’allora marito, di occuparsi dei figli e della gestione della vita domestica abbia portato al sacrificio di aspettative professionali e alla rinuncia a realistiche occasioni professionali e reddituali.
L'essersi dedicata durante il lungo matrimonio alla cura dei figli e alla gestione della famiglia non basta alla donna per obbligare l'ex marito a versarle un adeguato assegno mensile post divorzio. Necessario, invece, precisano i giudici, che ella dia prova di avere effettivamente rinunciato a precise e concrete prospettive di lavoro e di carriera. Cassazione, ordinanza numero 29920, sezione sesta civile, depositata oggi Assegno . In primo grado viene respinta la domanda con cui Laura – nome di fantasia – chiede l'attribuzione di un assegno divorzile, domanda poggiata soprattutto sulla disparità delle condizioni reddituali tra lei e l'ex marito, Omar – nome di fantasia –, disparità tale, suo dire, da non permetterle di godere del tenore di vita matrimoniale. A queste considerazioni i giudici del Tribunale ribattono che, pur essendo acclarato «il divario tra le condizioni economiche e patrimoniali degli ex coniugi», «Laura, dopo la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio – durato quasi trent'anni –, ha continuato a svolgere» l'usuale «attività lavorativa part-time, senza ripristinare, né allegare o provare di non avere potuto ripristinare, il rapporto lavorativo a tempo pieno dopo il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli». I giudici aggiungono poi che «a Laura è stara assicurata una vita matrimoniale agiata, grazie ai proventi dell'attività lavorativa del marito, proventi che avevano compensato il contributo da lei fornito alla conduzione della vita familiare e le avevano consentito di beneficiare di rilevanti attribuzioni ricevute in suo favore in costanza di matrimonio e dopo la separazione, ossia 200mila euro provenienti da un conto corrente cointestato, due immobili e una quota del 26 per cento di una società». Visione opposta, invece, quella dei giudici d'Appello, i quali riconoscono a Laura un assegno divorzile di 1.500 euro mensili e ciò «in considerazione del contributo da lei fornito alla conduzione della vita familiare, desumibile sia dalla disparità delle condizioni reddituali delle parti – Omar esercita la professione medica in centri convenzionati e ambulatori privati, con reddito da lavoro di quasi 170mila euro all'anno, è proprietario di immobili, vive in una villa intestata ai genitori della nuova compagna con la quale convive, è titolare di partecipazioni societarie, mentre Laura è impiegata part-time, con reddito di 1.300 euro mensili, ha aiutato il marito all'inizio della carriera mediante elargizioni varie, ha la disponibilità dell'abitazione coniugale e di un altro immobile, ha ricevuto 200.mila euro –, sia dal fatto che Laura si è dedicata prevalentemente alle cure domestiche e dei figli per una scelta comune dei coniugi, con ricadute positive sull'affermazione professionale e reddituale di Omar». Sacrificio . A rimettere tutto in discussione provvede la Cassazione, censurando la linea seguita dai giudici d'Appello, i quali «hanno giustificato l'attribuzione e la quantificazione dell'assegno divorzile» a Laura a fronte del «rilevante squilibrio reddituale-patrimoniale tra gli ex coniugi, che svolgono entrambi attività lavorativa » e, soprattutto, della « attività endofamiliare svolta da Laura, attività in cui è stato ravvisato un contributo alla formazione del patrimonio familiare e dell'altro coniuge, contributo meritevole di essere compensato». Questa impostazione viene criticata dai magistrati di Cassazione, i quali precisano in modo netto che «condizione per l'attribuzione dell'assegno divorzile in funzione compensativa non è il fatto in sé che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure domestiche e dei figli, né di per sé il divario o lo squilibrio reddituale tra gli ex coniugi o l'elevata capacità economica dell'uomo o della donna». Necessario, piuttosto, «indagare», chiariscono i giudici, «sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta di uno dei coniugi , seppure condivisa con l'altro coniuge, di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare, la quale è pur sempre attuativa dei doveri inderogabili derivanti per ciascun coniuge dal vincolo matrimoniale, insuscettibili di diretta patrimonializzazione ex-post in termini di mera corrispettività». Per maggiore chiarezza, i giudici sviluppano ancora il loro ragionamento e precisano che «ai fini della funzione compensativa dell'assegno divorzile la scelta di dedicarsi alla famiglia assume rilievo nei limiti in cui sia all'origine di aspettative professionali sacrificate e della rinuncia a realistiche occasioni professionali e reddituali», e solo in tal caso « il divario reddituale tra gli ex coniugi assume rilievo quale elemento causalmente riconducibile a quella scelta e, per questa ragione, meritevole di riequilibrio». Invece, «se si ragionasse diversamente, si verificherebbe una duplice incertezza. Qualora l'attività in ambito familiare fosse reputata di per sé meritevole di compensazione in sede post divorzio a favore del coniuge che l'abbia svolta, si dovrebbe concludere irragionevolmente che l'attività professionale prestata dall'altro coniuge non sarebbe altrettanto idonea ad arrecare un analogo contributo alla formazione del patrimonio comune e individuale, anche quando», come in questa vicenda, «abbia consentito alla famiglia di godere di un elevato tenore di vita e all'altro coniuge di beneficiare delle utilità e dei guadagni che potrebbero confluire nel suo patrimonio individuale in sede di divisione a seguito dello scioglimento della comunione legale dei beni», spiegano i giudici. In secondo luogo, «se l'attribuzione dell'assegno prescindesse dalla necessità di dimostrare le aspettative professionali sacrificate, in conseguenza della scelta di dedicarsi alle cure domestiche e dei figli, verrebbe meno la ragione della esigenza di riequilibrare il divario reddituale e patrimoniale tra gli ex coniugi, divario che non potrebbe dirsi causalmente riconducibile a quella scelta, quanto piuttosto alle pregresse formazioni professionali individuali, quale risultato delle diverse storie di ciascun componente della coppia». Chiarita la visione dei giudici di Cassazione, è palese l'errore compiuto in Appello, laddove si è «ravvisata nell'attività domestica svolta da Laura la causa determinante della esigenza di riequilibrio delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, al fine di giustificare l'attribuzione a suo favore di una quota dei redditi percepiti da Omar grazie alla sua attività professionale di medico, a prescindere dalla prova, da parte di Laura, delle sue verosimili e concrete prospettive professionali, e potenzialità reddituali, frustrate per effetto della scelta di dedicarsi prevalentemente all'attività domestica». Va respinta, chiariscono i giudici, «l'idea secondo cui l'attività prestata per la famiglia sia divenuta ex post ingiustificata a seguito della cessazione del rapporto matrimoniale e, di per sé, meritevole di indennizzo». Necessario perciò un nuovo processo in Appello per valutare con attenzione la richiesta di Laura e l'opposizione dura di Omar, anche tenendo presente che «lei ha svolto prima del matrimonio e ha continuato a svolgere dopo la separazione dal coniuge un'attività lavorativa part-time, nonostante i figli avessero raggiunto l'indipendenza economica, e che la superiore capacità economica di lui è conseguenza della sua diversa formazione professionale», e senza dimenticare, inoltre, che durante il matrimonio «i proventi dell'attività lavorativa erano destinati da Omar alle esigenze della famiglia, che ha potuto godere di un apprezzabile tenore di vita, per poi confluire, in parte, nel patrimonio individuale di Laura», concludono i giudici di Cassazione.
Presidente Bisogni – Relatore Lamorgese Fatti di causa Il Tribunale di Ascoli Piceno rigettava la domanda con cui O.I. chiedeva l'attribuzione di un assegno divorzile a carico dell'ex coniuge A.P. , rispetto al quale deduceva la disparità delle condizioni reddituali, tale da non permetterle di godere del tenore di vita matrimoniale. Il Tribunale, pur evidenziando il divario tra le condizioni economiche e patrimoniali degli ex coniugi, osservava che la O. , dopo la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio durato circa 29 anni , aveva continuato a svolgere l'attività lavorativa part-time, senza ripristinare nè allegare o provare di non avere potuto ripristinare il rapporto lavorativo a tempo pieno dopo il raggiungimento della maggiore età dei figli osservava che alla O. era stata assicurata una vita matrimoniale agiata grazie ai proventi dell'attività lavorativa dell'A. che avevano compensato il contributo da lei fornito alla conduzione della vita familiare e le avevano consentito di beneficiare di rilevanti attribuzioni ricevute in suo favore in costanza di matrimonio e dopo la separazione in particolare, 200.000 provenienti da un conto corrente cointestato, due immobili e una quota del 26% di una società . In accoglimento del gravame della O. , la Corte d'appello di Ancona, con sentenza del 28 dicembre 2020, le ha riconosciuto un assegno divorzile di Euro 1500,00 mensili, in funzione compensativo-perequativa, in considerazione del contributo da lei fornito alla conduzione della vita familiare, desumibile sia dalla disparità delle condizioni reddituali delle parti A. esercitava la professione medica in centri convenzionati e ambulatori privati, con reddito da lavoro di Euro 168000 annui, era proprietario di immobili, viveva in una villa intestata ai genitori della nuova compagna con la quale conviveva, era titolare di partecipazioni societarie la O. era impiegata part-time, con reddito di Euro 1300 mensili, aveva aiutato l'A. all'inizio della carriera mediante elargizioni varie, aveva la disponibilità dell'abitazione coniugale e di un altro immobile, aveva ricevuto Euro 200000 , sia dal fatto che la O. si era dedicata prevalentemente alle cure domestiche e dei figli per una scelta comune dei coniugi, con ricadute positive sull'affermazione professionale e reddituale dell'A. . L'A. ha proposto ricorso per cassazione, resistito dalla O. anche con memoria. Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione della L. numero 898 del 1970, articolo 5, comma 6, e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, contesta alla sentenza impugnata di avere operato una erronea ricognizione delle condizioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi la documentazione prodotta attestava che i suoi redditi effettivi, in realtà, erano inferiori a quelli indicati in sentenza, a fronte di redditi della O. che erano superiori . In questo senso l'A. deduce che il divario reddituale tra le parti non era così rilevante e, comunque, non era riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare ma alla diversità di formazione professionale dei coniugi, che dipendeva dal fatto che la O. , assistente sociale, non era laureata, lavorava part-time da molti anni prima del matrimonio e, dopo la separazione, aveva continuato a lavorare part-time per sua esclusiva scelta, rinunciando ad una maggiore retribuzione che la O. non aveva solo la disponibilità ma era proprietaria esclusiva dell'abitazione coniugale villa con circostante parco che aveva messo in vendita al prezzo di Euro 500000 che i coniugi erano in regime di comunione legale e, in sede di separazione consensuale, si erano divisi in parti uguali gli immobili e le azioni acquistate, durante il rapporto matrimoniale, con i proventi dell'attività lavorativa dell'A. che le azioni della O. avevano un notevole valore superiore a Euro 338000 e producevano rilevanti utili annuali. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione articolo 116 c.p.c. , e omesso esame di fatti decisivi dedotti nel giudizio di merito, per avere la Corte territoriale ritenuto immotivatamente che l'O. aveva sacrificato le proprie prospettive di crescita professionali, mentre lei stessa aveva riconosciuto che era stata la contribuzione dell'A. a garantirle un elevato tenore di vita matrimoniale che le aveva consentito di continuare a lavorare part-time, avvalendosi dell'ausilio di una collaboratrice domestica e di una persona addetta alla manutenzione del parco adiacente alla villa. Il terzo motivo denuncia omesso esame di fatti decisivi e violazione della L. numero 898 del 1970, articolo 5, comma 6, per avere ritenuto che l'ex moglie aveva contribuito alla crescita professionale dell'A. , sostenendolo economicamente nei primi anni di matrimonio, anche mediante sottoscrizione di un mutuo, circostanze non vere e non confermate da nessuno dei testimoni escussi, senza considerare che la O. si era limitata a prestare semplici fideiussioni da cui si era presto liberata. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e violazione dell' articolo 115 c.p.c. , per non avere la Corte di merito considerato che i suoi proventi avevano consentito alla famiglia di godere di un elevato tenore di vita e alla O. di non utilizzare il proprio stipendio, provvedendo lui a tutte le spese occorrenti per la famiglia per avere ritenuto apoditticamente che le attribuzioni ricevute dalla O., in occasione della separazione e dello scioglimento della comunione legale, non fossero idonee a compensarla per il contributo ipoteticamente offerto per l'affermazione professionale del marito e, quindi, per la costituzione del patrimonio familiare e di quello personale dell'ex coniuge. Infatti la Corte aveva omesso di considerare i documenti anche un atto notarile del 13 dicembre 2016 da cui risultavano gli acquisti di cinque immobili effettuati con risorse dell'A. durante il rapporto coniugale, dei quali la O. era diventata proprietaria in comunione legale, divisi equamente in sede di separazione la O. era diventata proprietaria anche di quote societarie, cui aveva rinunciato non gratuitamente e, inoltre, aveva incassato la somma di Euro 200000 nel 2011. Il quinto motivo denuncia violazione della L. numero 898 del 1970, articolo 5, comma 6, per avere quantificato l'assegno divorzile in misura più elevata dell'assegno di separazione pari a 1300 mensili , in mancanza di un mutamento delle condizioni patrimoniali delle parti, pur non essendo il primo finalizzato alla ricostituzione del tenore di vita matrimoniale. I predetti motivi devono essere esaminati congiuntamente, essendo connessi tra loro, e sono fondati nei termini di cui si dirà. In sintesi, la sentenza impugnata ha giustificato l'attribuzione e la quantificazione dell'assegno divorzile, nella misura indicata, in funzione compensativa-perequativa, avendo registrato il rilevante squilibrio reddituale-patrimoniale tra gli ex coniugi che svolgevano entrambi attività lavorativa e valorizzato l'attività endofamiliare svolta dalla O. , nella quale ha ravvisato il suo contributo alla formazione del patrimonio familiare e dell'altro coniuge, che ha giudicato di per sé meritevole di essere compensato. Questa impostazione non è in linea con la giurisprudenza di legittimità formatasi dopo la sentenza delle Sezioni Unite numero 18287 del 2018 che, accanto alla principale e imprescindibile funzione assistenziale - che comporta la necessità di valutare l'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge richiedente l'assegno e l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, ai sensi della L. numero 898 del 1970, articolo 5, comma 6, dovendo la soglia della indipendenza economica intendersi come possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente, avendo riguardo alle indicazioni provenienti dalla coscienza sociale ex plurimis, Cass. numero 11504 del 2017 e numero 3015 del 2018 -, ha valorizzato nell'assegno divorzile la funzione perequativo-compensativa, in presenza di specifica prospettazione del sacrificio sopportato dal coniuge economicamente più debole per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali che il richiedente ha l'onere di dimostrare , al fine di contribuire ai bisogni della famiglia e, in tal modo, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale ex plurinai.r, Cass. numero 24250 e 38362 del 2021, numero 21228 e 21234 del 2019 . Condizione per l'attribuzione dell'assegno divorzile in funzione compensativa non è il fatto in sé che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure domestiche e dei figli, nè di per sé il divario o lo squilibrio reddituale tra gli ex coniugi - che vale unicamente come precondizione fattuale per l'applicazione dei parametri di cui alla L. numero 898 del 1970, articolo 5, comma 6, prima parte cfr. Cass. numero 32398 del 2019 - o l'elevata capacità economica di uno dei due Cass. numero 22738 del 2021 , numero 21234 del 2019 . Occorre piuttosto indagare sulle ragioni e conseguenze della scelta di uno dei coniugi, seppure condivisa con l'altro coniuge, di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare, la quale è pur sempre attuativa dei doveri inderogabili derivanti per ciascun coniuge dal vincolo matrimoniale cfr. articolo 143 c.c. , in collegamento con l' articolo 4 Cost. , comma 2 , insuscettibili di diretta patrimonializzazione ex-post in termini di mera corrispettività. Ai fini della funzione compensativa dell'assegno divorzile, quella scelta assume rilievo nei limiti in cui sia all'origine di aspettative professionali sacrificate SU numero 18287 del 2018 e della rinuncia a realistiche occasioni professionali e reddituali che il richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare in concreto. È in tal caso che il divario reddituale tra gli ex coniugi assume rilievo quale elemento causalmente riconducibile a quella scelta e, per questa ragione, meritevole di riequilibrio. Diversamente opinando, si verificherebbe una duplice aporia. Qualora l'attività endofamiliare fosse reputata di per sé meritevole di compensazione in sede post-coniugale a favore del coniuge che l'abbia svolta, si dovrebbe concludere irragionevolmente che l'attività professionale prestata dall'altro coniuge non sarebbe altrettanto idonea ad arrecare un analogo contributo alla formazione del patrimonio comune e individuale, anche quando abbia consentito alla famiglia di godere di un elevato tenore di vita e all'altro coniuge di beneficiare delle utilità e dei guadagni che potrebbero confluire nel patrimonio individuale del coniuge richiedente l'assegno, in sede di divisione a seguito dello scioglimento della comunione legale dei beni cfr. Cass. numero 11787 del 2021 . In secondo luogo, se l'attribuzione dell'assegno prescindesse dalla necessità di dimostrare le aspettative professionali sacrificate, in conseguenza della scelta di dedicarsi alle cure domestiche e dei figli, verrebbe meno la ragione della esigenza di riequilibrare il divario reddituale e patrimoniale tra gli ex coniugi , il quale non potrebbe dirsi causalmente riconducibile a quella scelta, quanto piuttosto alle pregresse formazioni professionali individuali, quale risultato delle diverse storie di ciascun componente della coppia. Questa Corte ha avuto occasione di osservare che, in presenza di squilibrio di non modesta entità tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, laddove risulti che l'intero patrimonio dell'ex coniuge richiedente sia stato formato, durante il matrimonio, con il solo apporto dei beni dell'altro, si deve ritenere che sia stato già riconosciuto il ruolo endofamiliare dallo stesso svolto e - tenuto conto della composizione e dell'attitudine all'accrescimento di tale patrimonio - sia stato già realizzata con tali attribuzioni l'esigenza perequativa, per cui non è dovuto, in tali condizioni, l'assegno di divorzio 0-. Cass. numero 21926 del 2019 . Nella specie, la Corte anconetana ha ravvisato nell'attività domestica svolta dalla O. la causa determinante della esigenza di riequilibrio delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, al fine di giustificare l'attribuzione a suo favore di una quota dei redditi percepiti dall'A. grazie alla sua attività professionale di medico, a prescindere da allegazione e prova da parte della O. delle verosimili e concrete prospettive professionali, e potenzialità reddituali, frustrate per effetto della sua scelta di dedicarsi prevalentemente all'attività domestica. Si tratta di un automatismo valutativo che rivela falsa applicazione del parametro normativo di riferimento, dal quale non è possibile enucleare una funzione compensativa dell'assegno divorzile nei termini ipotizzati nella sentenza impugnata, che avvalora l'idea - priva di riscontri normativi - secondo cui l'attività prestata per la famiglia sia divenuta ex-post ingiustificata a seguito della cessazione del rapporto matrimoniale e, in tesi, di per sé meritevole di indennizzo. Se ne ha conferma nelle perplesse valutazioni compiute dalla Corte territoriale, laddove ha trascurato che l'O. ha svolto prima del matrimonio e ha continuato a svolgere dopo la separazione dal coniuge l'attività lavorativa part-time nonostante i figli avessero raggiunto l'indipendenza economica e che la superiore capacità economica dell'A. è conseguenza della sua diversa formazione professionale di medico . A quest'ultimo riguardo, risultano non decisive per le ragioni dette e, comunque, apodittiche le considerazioni relative al sostegno economico offerto dall'O. all'A. all'inizio della carriera, non specificandosi da quali fonti probatorie siano state tratte le relative informazioni neppure collocate precisamente nel tempo criticate dal ricorrente nel rispetto del principio di specificità nel terzo motivo sono trascritti i verbali delle testimonianze assunte che smentirebbero le conclusioni tratte nella sentenza impugnata . Per altro verso, la stessa Corte ha riconosciuto che i proventi dell'attività lavorativa erano destinati dall'A. alle esigenze della famiglia che ha potuto godere di un apprezzabile tenore di vita, per poi confluire, in parte, nel patrimonio individuale della O. , attuandosi in tal modo la più volte ricordata esigenza compensativa. Infine, la Corte di merito non ha spiegato le ragioni che l'hanno indotta a determinare l'assegno nella misura indicata, incorrendo nel vizio di omessa motivazione. In conclusione, in accoglimento del ricorso che è fondato nei termini illustrati, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d'appello di Ancona per un nuovo esame e per le spese. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.