«Ai fini della qualificazione in termini di autonomia o di subordinazione dell’ulteriore rapporto di lavoro che il socio lavoratore di una società cooperativa stabilisca con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo articolo 1, comma 3, l. numero 143/2001 , il nomen iuris attribuito in linea generale ed astratta nel regolamento che definisce l’organizzazione del lavoro dei soci e la peculiarità del rapporto mutualistico connesso a quello di lavoro, pur configurandosi come elementi necessari di valutazione, non rivestono portata dirimente».
La Suprema Corte si è espressa su una controversia, avente ad oggetto la possibile incompatibilità del rapporto di lavoro subordinato svolto da alcuni soci di una cooperativa all'interno di una struttura mutualistica. Ed ha espresso a riguardo il seguente principio di diritto «ai fini della qualificazione in termini di autonomia o di subordinazione dell'ulteriore rapporto di lavoro che il socio lavoratore di una società cooperativa stabilisca con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo articolo 1, comma 3, l. numero 143/2001 , il nomen iuris attribuito in linea generale ed astratta nel regolamento che definisce l'organizzazione del lavoro dei soci e la peculiarità del rapporto mutualistico connesso a quello di lavoro, pur configurandosi come elementi necessari di valutazione, non rivestono portata dirimente. A tale riguardo, occorre dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro. Quando la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione e il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre fare ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti , l'eventuale assunzione di un rischio d'impresa con un effettivo controllo sulla gestione aziendale, la sussistenza di un autentico potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro. Tali elementi devono essere valutati nella loro vicendevole interazione».
Presidente Berrino – Relatore Cerulo Fatti di causa 1. Il giudizio trae origine dal ricorso proposto da U. Società Cooperativa dinanzi al Tribunale di Milano, allo scopo di sentire annullare, o dichiarare nulle o comunque inefficaci, le note di rettifica emesse dall'INPS il 28 giugno 2017 per l'importo complessivo di Euro 12.804,59. L'Istituto, sul presupposto del vincolo di subordinazione dei soci della cooperativa, ha richiesto il pagamento dell'aliquota aggiuntiva dello 0,65%, destinata al finanziamento del Fondo di solidarietà residuale L. 28 giugno 2012, numero 92, articolo 3 . Il Tribunale ha respinto il ricorso, con compensazione delle spese di lite, in base al rilievo che la stessa società ricorrente ha denunciato come dipendenti i soci lavoratori all'INPS e ai competenti organi amministrativi. 2. La società ha interposto gravame, imputando al giudice di primo grado di non avere ricostruito le concrete modalità di attuazione dei rapporti di lavoro dedotti in causa e di avere valorizzato la circostanza, di per sé ininfluente, del regime previdenziale applicato ai compensi dei soci. Il contratto mutualistico escluderebbe espressamente la subordinazione e darebbe vita a rapporti di carattere atipico, aventi natura autonoma . Con sentenza numero 608 del 2019, pronunciata il 13 marzo 2019 e depositata il 28 marzo 2019, la Corte d'appello di Milano ha respinto il gravame e ha condannato la società a rifondere all'INPS le spese del giudizio. A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha così argomentato a il verbale ispettivo dimostra - la circostanza è peraltro pacifica - lo svolgimento in via continuativa di prestazioni di pulizia e di facchinaggio nell'ambito degli appalti di volta in volta acquisiti dalla società b i lavoratori, retribuiti in proporzione alla durata delle prestazioni svolte , non hanno assunto alcun rischio imprenditoriale e non hanno apportato attrezzature e materiali propri c quando le prestazioni siano elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione, al criterio dell'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare possono supplire gl'indici sussidiari della continuità e della durata del rapporto, delle modalità di erogazione del compenso , della mancata assunzione di un rischio d'impresa e dell'assenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore d la natura subordinata del rapporto di lavoro non è stata confutata in modo persuasivo dalla parte appellante, che ha richiamato in senso contrario la facoltà dei soci di svolgere attività in proprio o a favore di terzi e di rifiutare le occasioni di lavoro offerte dalla cooperativa tale elemento, tuttavia, posto a fondamento anche delle richieste istruttorie, ben si può conciliare anche con tipologie di lavoro subordinato come il rapporto intermittente o a chiamata e le spese, secondo i principi generali, seguono la soccombenza. 3. U. ricorre per la cassazione della richiamata sentenza in base a dieci motivi, illustrati da memoria. 4. L'INPS resiste con controricorso. 5. Il ricorso è stato fissato in camera di consiglio dinanzi a questa sezione, ai sensi dell'articolo 375 c.p.c., comma 2, e articolo 380 bis.1 c.p.c 6. Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte. Motivi della decisione 1. U. Società Cooperativa chiede, in riforma dell'impugnata sentenza della Corte d'appello di Milano, di annullare le note di rettifica impugnate e articola, a sostegno di tale richiesta, dieci motivi. 1.1. Con il primo motivo, la cooperativa deduce violazione o falsa applicazione dell'articolo 2094 c.c La Corte territoriale non avrebbe attribuito alcun rilievo al contratto di lavoro sottoscritto dai soci di U., che espressamente esclude il vincolo di subordinazione e demanda alla libera organizzazione dei soci l'esecuzione della prestazione lavorativa. La Corte di merito avrebbe potuto disattendere le previsioni negoziali soltanto all'esito di un'indagine in concreto sui tratti tipici della subordinazione e, in particolare, sull'assoggettamento del lavoratore all'altrui potere direttivo, organizzativo e disciplinare. 1.2. Con la seconda censura, la ricorrente prospetta la violazione dell'articolo 2094 c.c., sotto un diverso profilo. La sentenza impugnata avrebbe valorizzato in via esclusiva gl'indici sussidiari della subordinazione, senza prima svolgere l'indispensabile indagine su quello che, della subordinazione, rappresenta il tratto saliente l'assoggettamento all'altrui potere direttivo, organizzativo e disciplinare. 1.3. Con il terzo motivo, la società denuncia la violazione dell'articolo 115 c.p.c., per errore di percezione sul contenuto oggettivo della prova. La Corte territoriale, pur chiamata a decidere sui periodi contributivi di agosto 2016 e gennaio 2017, avrebbe tratto la prova della subordinazione da un verbale ispettivo concernente i soli soci lavoratori addetti all'appalto di Parma nel diverso periodo di giugno-luglio 2013. 1.4. Con il quarto mezzo, la ricorrente allega la violazione degli articolo 2094 e 2697 c.c. e censura la sentenza per aver omesso l'analitica individuazione dei rapporti di lavoro contestati e per avere richiamato meri adempimenti previdenziali, neutri ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro . 1.5. Con la quinta censura, la cooperativa si duole della violazione o della falsa applicazione degli articolo 2729 e 2697 c.c In contrasto con il divieto di praesumptio de praesumpto, la sentenza impugnata avrebbe fondato il ragionamento presuntivo su fatti per un verso indimostrati la durata e la continuità del rapporto di lavoro, la natura elementare, ripetitiva e predeterminata della prestazione, la regolamentazione dell'orario di lavoro, le modalità di erogazione del compenso o comunque negativi l'assenza del potere di autorganizzazione del prestatore di lavoro e per altro verso sprovvisti dei caratteri della precisione e della concordanza. 1.6. Con la sesta doglianza, la ricorrente denuncia la falsa applicazione dell'articolo 115 c.p.c., la violazione del diritto di difesa e la manifesta illogicità della motivazione. La Corte milanese avrebbe ritenuto carenti di prova le deduzioni della società e avrebbe nondimeno disatteso, con ragionamento palesemente contraddittorio, le istanze istruttorie volte a provare la concomitanza di altri rapporti di lavoro e a smentire così la sussistenza della subordinazione. Il giudice d'appello avrebbe poi errato nel considerare pacifica la circostanza - che pacifica non è dello svolgimento in via continuativa di prestazioni di pulizia e di facchinaggio. 1.7. Con il settimo motivo, la società censura la violazione dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto superflue le istanze istruttorie, senza tenere conto del carattere decisivo dei fatti che la cooperativa si è offerta di provare. L'ammissione delle prove in merito alla libera accettazione del lavoro disponibile, alla facoltà di svolgere altre attività in proprio o a favore di altri datori di lavoro, alla mancata contestazione di illeciti disciplinari e di assenze, alla mancata imposizione delle ferie, avrebbe condotto il giudice del gravame a una decisione di segno diverso. 1.8. Con l'ottava censura, la ricorrente deduce violazione della L. 3 aprile 2001, numero 142, articolo 1, e lamenta, a tale riguardo, che la sentenza impugnata abbia omesso di considerare la peculiarità del rapporto di lavoro in cooperativa e la partecipazione del socio al rischio d'impresa. 1.9. Con il nono mezzo, U. allega la violazione della L. numero 142 del 2001, articolo 1. La Corte territoriale avrebbe violato la previsione di legge, che affida alla libera determinazione delle parti la qualificazione - in termini di autonomia o di subordinazione - del rapporto di lavoro che si affianca a quello associativo. 1.10. Con il decimo motivo, la ricorrente denuncia, infine, sotto un profilo ulteriore, la violazione dell'articolo 2094 c.c La Corte territoriale avrebbe delineato una figura eccentrica di subordinazione, combinando gli aspetti formali, inerenti alla gestione amministrativa e previdenziale del rapporto di lavoro, con gli elementi estrinseci che fanno capo agl'indici sussidiari della subordinazione. 2. Il ricorso dev'essere rigettato. I motivi articolati da U. contestano sotto molteplici profili l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, che fonda l'obbligo di contribuire al Fondo di solidarietà residuale di cui alla L. numero 92 del 2012, articolo 3. Le censure sono in parte inammissibili e in parte infondate. 3. Occorre, in linea preliminare, sgombrare il campo dalle obiezioni, in astratto decisive, mosse con il primo, con l'ottavo e con il nono motivo di ricorso, che postulano a vario titolo la vincolatività della qualificazione prescelta dalle parti in ordine alla tipologia del rapporto di lavoro. Tale vincolatività, propugnata con il primo motivo, sarebbe avvalorata dalla peculiarità del rapporto di lavoro nelle cooperative ottava censura e dal ruolo cruciale che riveste l'autonomia delle parti L. numero 142 del 2001, articolo 1, comma 3 nell'instaurazione di un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale nona doglianza . I motivi non sono fondati. La pronuncia impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che, ai fini dell'accertamento della subordinazione, reputa imprescindibile e d'importanza preminente l'indagine sull'effettivo atteggiarsi del rapporto. Tale indagine non può arrestarsi al nomen iuris attribuito dalle parti Cass., sez. lav., 1 marzo 2018, numero 4884 . Anche al legislatore è precluso il potere di qualificare un rapporto di lavoro in termini dissonanti rispetto alla sua effettiva natura e di sottrarlo così allo statuto protettivo che alla subordinazione s'accompagna Corte Cost., sentenze numero 76 del 2015, numero 115 del 1994 e numero 121 del 1993 . Ne deriva, quale conseguenza ineludibile, l'indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti individuali sentenza numero 76 del 2015, cit., punto 8 del Considerato in diritto . In tale àmbito, difatti, è canone primario d'interpretazione il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto articolo 1362 c.c., comma 2 , che illumina il significato delle pattuizioni consacrate nel testo negoziale e consente di saggiarne la coerenza con la successiva attuazione del rapporto. La qualificazione convenzionale d'un rapporto di lavoro come autonomo, pur non potendo essere pretermessa, non ha valenza dirimente e non dispensa comunque il giudice dal compito di verificare quelle concrete modalità attuative del rapporto in esame, che rappresentano il tratto distintivo saliente. Di tale regola di diritto la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione. Il fatto che il rapporto di lavoro si affianchi al rapporto associativo, a sua volta contraddistinto dalla partecipazione al rischio d'impresa, non esclude che, all'interno dell'organizzazione societaria, si possa rinvenire, insieme al contratto di partecipazione alla comunità, quello commutativo di lavoro subordinato Cass., S.U., 26 luglio 2004, numero 13967, punto 4 . Possibilità espressa a chiare lettere dalla L. numero 142 del 2001, articolo 1, comma 3, nella parte in cui consente al socio di stabilire con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, anche in forma subordinata. La peculiarità del rapporto associativo, ribadita anche nella memoria illustrativa pagine 4 e 5 , dunque non si pone di per sé in antitesi con gli estremi della subordinazione in tal senso, anche Cass., sez. lav., 11 luglio 2022, numero 21830, punto 16 , che devono essere riscontrati in concreto. Non colgono nel segno le censure, nella parte in cui assumono che la qualificazione impressa dalle parti possa essere superata solo all'esito di un accertamento concreto e che tale accertamento sia stato omesso. Con tale riscontro empirico la Corte territoriale, in realtà, ha mostrato di cimentarsi e questo è sufficiente a privare di consistenza le doglianze proposte. 4. Per le medesime ragioni devono essere disattesi il quarto e il decimo motivo, che si dolgono dell'omesso accertamento in ordine ai singoli rapporti e del rilievo risolutivo conferito al regime previdenziale adottato dalla cooperativa. La società, nelle comunicazioni obbligatorie, ha qualificato i rapporti di lavoro in termini di subordinazione, versando i relativi contributi, e ha applicato il contratto collettivo nazionale dei dipendenti delle piccole e medie imprese esercenti i servizi delle pulizie pagina 5 della sentenza e pagina 5 del controricorso . La sentenza impugnata puntualizza che la Cooperativa ha optato per il regime previdenziale caratteristico del lavoro dipendente e che tale opzione è onnicomprensiva, giacché include anche il versamento dell'aliquota contributiva al Fondo di solidarietà residuale non si possono dunque scindere arbitrariamente gli aspetti del regime prescelto pagina 5 della sentenza . L'INPS eccepisce che il comportamento della cooperativa violi il divieto di venire contra factum proprium, con la conseguente inammissibilità dell'azione giudiziale intrapresa la cooperativa avrebbe agito in giudizio per contestare quella natura subordinata del rapporto che ha riconosciuto per fatti concludenti, con le denunce dei rapporti di lavoro agli organi competenti pagine 6 e 7 del controricorso . Tale eccezione non può essere accolta. Questa Corte ha chiarito che la contribuzione dovuta è pur sempre quella del rapporto di lavoro effettivamente prestato Cass., S.U., 26 luglio 2004, numero 13967, cit. il riconoscimento in favore dei soci di cooperative di una tutela previdenziale assimilabile a quella propria dei lavoratori subordinati, con il corrispondente obbligo della società, presuppone che venga accertato dal giudice di merito che il lavoro svolto dai soci sia prestato in maniera continuativa e non saltuaria e non si atteggi come prestazione di lavoro autonomo Cass., sez. lav., 4 agosto 2016, numero 16356 e 6 luglio 2015, numero 13934 . All'effettivo atteggiarsi del rapporto di lavoro, dunque, occorre avere riguardo, per quanto neppure si possa pretermettere il comportamento che, per un lungo arco di tempo, la cooperativa abbia tenuto nei confronti dell'ente previdenziale. Questa Corte, in una controversia promossa dalla medesima ricorrente, ha rilevato che l'inquadramento previdenziale dei lavoratori della cooperativa come dipendenti, per effetto dell'esercizio dell'opzione effettuata per il regime contributivo proprio del lavoro dipendente, costituisce, secondo l'id quod plerumque accidit, un elemento indiziario Cass., sez. lav., 11 luglio 2022, numero 21830, punti 7 e 9 , che non può, dunque, essere considerato tamquam non esset. La Corte territoriale ribadisce che il regime previdenziale e fiscale dei compensi non ha carattere risolutivo ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro e non si arresta al rilievo del regime applicato e, segnatamente, della sua necessaria inscindibilità, profilo che peraltro la ricorrente neppure censura in modo particolareggiato. Il giudice d'appello rileva che in concreto si riscontrano gli elementi tipici della subordinazione e che le allegazioni della cooperativa non valgono a scalfirli pagina 6 . Decisivo, dunque, è proprio l'effettivo atteggiarsi del rapporto e infondate sono le censure nella parte in cui addebitano alla sentenza di avere omesso tale accertamento. 5. L'accertamento in concreto è stato dunque compiuto, come traspare dalle stesse censure formulate con il secondo, con il quinto e con il decimo motivo. Le critiche del ricorrente si appuntano proprio sui criteri che presiedono all'accertamento della subordinazione e sulla scelta della Corte di valorizzare gl'indici sussidiari. La parte ricorrente sostiene che tale scelta confligga con l'articolo 2094 c.c., inequivocabile nel sancire il ruolo cruciale dell'assoggettamento all'altrui potere direttivo, organizzativo e disciplinare secondo mezzo . Il richiamo esclusivo agl'indici sussidiari contribuirebbe a creare, per contro, una figura ibrida, che diverge dal dettato normativo decimo mezzo . Le doglianze non sono fondate. 5.1. La Corte di merito ha accertato lo svolgimento in via continuativa di prestazioni di pulizia e di facchinaggio nell'ambito degli appalti di volta in volta acquisiti dalla società e ha posto l'accento sull'elemento della retribuzione dei lavoratori, proporzionale alla durata delle prestazioni svolte, e sulla mancata assunzione di rischi imprenditoriali. I lavoratori non hanno apportato attrezzature e materiali propri. In presenza di prestazioni elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione, occorre fare ricorso a elementi sussidiari, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro. 5.2. Tali affermazioni sono immuni dagli errori logico-giuridici denunciati e sono conformi alle enunciazioni di principio di questa Corte. Il discrimine tra il rapporto di lavoro autonomo e quello subordinato non può essere sempre tracciato alla luce di criteri univoci come l'esercizio di potere direttivo e disciplinare da parte del datore di lavoro se l'esercizio di tale potere è sicuro indice di subordinazione, la sua assenza non denota di per sé la natura autonoma del rapporto Cass., sez. lav., 27 marzo 2000, numero 3674 . In particolare, i normali indici sintomatici della subordinazione, come l'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, sono inapplicabili allorché la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione Cass., Sez. II, 31 ottobre 2013, numero 24561 . In tale frangente, occorre fare ricorso a criteri distintivi sussidiari, come la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti necessari e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro Cass., sez. lav., 19 aprile 2010, numero 9251, richiamata anche dalla Corte d'appello di Milano a fondamento della decisione, 21 gennaio 2009, numero 1536, e 5 maggio 2004, numero 8569 . Tali elementi devono essere valutati nel loro complesso. Nell'annettere rilievo agl'indici sussidiari, la Corte d'appello si è uniformata a tali principi, dai quali non vi è ragione di doversi discostare, e ha compiuto una disamina complessiva e coerente degli elementi di fatto, nel loro vicendevole interagire. Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione di legge. 6. Sono invece inammissibili le censure illustrate con il quinto mezzo, che critica l'accertamento degli elementi tipici della subordinazione e, dietro le sembianze della violazione di legge, sconfina in un piano di mero fatto. 6.1. Nel giudizio di cassazione, può essere sindacata alla stregua dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti come autonomo o subordinato fra le molte, Cass., sez. lav., 7 ottobre 2013, numero 22785 . Costituisce invece accertamento di fatto la relativa valutazione, oggi censurabile in questa sede entro i limiti tracciati dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5 Cass., S.U., 7 aprile 2014, numero 8053 e numero 8054 . Questa Corte è poi costante nell'affermare che La violazione del precetto di cui all'articolo 2697 c.c., si configura soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata non avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull'esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., numero 5 Cass. numero 19064/2006 Cass. numero 2935/2006 , con i relativi limiti di operatività ratione temporis applicabili Cass., sez. lav., 7 settembre 2021, numero 24078, punto 41 . Quanto alla violazione o alla falsa applicazione dell'articolo 2729 c.c., può essere dedotta in cassazione ove il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo si può basare su presunzioni prive dei caratteri della gravità, della precisione e della concordanza ovvero se il giudice fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell'inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota. La deduzione in questa sede di legittimità e', per contro, inammissibile, quando la critica si sostanzi nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di un'inferenza probabilistica diversa oppure quando non si illustrino i motivi della violazione dei paradigmi della norma Cass., sez. II, 21 marzo 2022, numero 9054 . 6.2. Sotto la veste formale della violazione o della falsa applicazione della legge, il ricorrente mira, in forza di una contestazione generica, a conseguire una rivalutazione dei fatti storici già esaminati dal giudice di merito Cass., S.U., 27 dicembre 2019, numero 34476 e a scardinare l'apprezzamento degli elementi costitutivi della subordinazione e, in particolare, il ricorso agl'indici sussidiari Cass., sez. lav., la già citata ordinanza numero 21830 del 2022, punti 11 e 12 . La Corte territoriale, con apprezzamento scevro dagli errori di diritto che la ricorrente denuncia, ha attribuito rilievo agl'indici sussidiari, sulla base di una valutazione in fatto che ha ricostruito la valenza più sfumata dell'assoggettamento all'altrui potere organizzativo, direttivo e disciplinare. Di tali indici sussidiari, la sentenza impugnata ha poi compiuto una puntuale disamina, senza alterare le regole di riparto dell'onere della prova e senza contraddire la necessità che la prova indiziaria possieda i requisiti di gravità, precisione e concordanza. All'esito di tale accertamento, la sentenza impugnata ha ravvisato l'insussistenza di quel controllo effettivo sulla gestione aziendale che, anche nell'interpretazione delineata da questa Corte Cass., S.U., 26 luglio 2004, numero 13967, il citato punto 4 , marca la distinzione tra una genuina autonomia del lavoro dei soci della cooperativa e la subordinazione. Sollecita una diversa valutazione del fatto, già analizzato in termini convergenti dai giudici di prime e di seconde cure, anche il richiamo alla sentenza del Tribunale ordinario di Milano, sezione quinta penale, passata in giudicato, che ha assolto il legale rappresentante della cooperativa con formula piena perché il fatto non sussiste pagine 1 e 2 della memoria illustrativa . Di tale sentenza la ricorrente non prospetta in modo analitico l'efficacia vincolante nell'odierno giudizio civile e la pertinenza, dal punto di vista tanto oggettivo e temporale quanto soggettivo, all'odierno tema del contendere. La ricorrente si limita a ricordare che il giudice penale, peraltro assoggettato a un più rigoroso canone di giudizio rispetto alla preponderanza dell'evidenza tipica del giudizio civile, ha accertato l'autonomia dei rapporti di lavoro dedotti in quel contenzioso. 7. La disamina della Corte territoriale resiste anche alle censure veicolate con il terzo mezzo, che verte sull'errore percettivo sul contenuto della prova verbale ispettivo . La censura in esame risulta irritualmente formulata. Si deve ribadire che l'errore sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova non è deducibile con il ricorso per cassazione, né ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, né ai sensi dell'articolo 115 c.p.c Qualora consista in una falsa rappresentazione della realtà o in una svista materiale che abbia indotto ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l'inesistenza di un fatto positivamente risultante dagli atti o documenti di causa, l'errore percettivo è infatti qualificabile come errore di fatto, ai sensi dell'articolo 395 c.p.c., numero 4, e può quindi essere fatto valere con l'impugnazione per revocazione, a condizione che il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato. Ove invece cada su un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, esso può essere fatto valere ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 5, cit., ma solo se consista nell'omesso esame di quel fatto, e non anche quando si traduca nella mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Al di fuori di tali ipotesi, l'errore commesso dal giudice di merito nella valutazione dei mezzi di prova non è censurabile in sede di legittimità, neppure ai sensi dell'articolo 115 c.p.c., la cui violazione è configurabile esclusivamente nel caso in cui il giudice, in contraddizione espressa o implicita con tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi che gli sono riconosciuti di recente, in termini, Cass., sez. I, 24 giugno 2022, numero 20452, in continuità con Cass., sez. lav., 3 novembre 2020, numero 24395 . Anche a volere ritenere che si possa ricondurre al paradigma dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 4, la violazione dell'articolo 115 del codice di rito, nell'ipotesi in cui la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio oppure tragga da una fonte di prova un'informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo, la ricorrente non ha ottemperato al duplice onere di prospettare l'assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa in termini di assoluta certezza Cass., sez. III, 26 aprile 2022, numero 12971 . La ricorrente si limita a rilevare che il verbale ispettivo menzionato a pagina 6 della sentenza impugnata riguarda un diverso periodo e un diverso cantiere, ma non dimostra che, da quel verbale, non si possano comunque desumere informazioni di carattere più generale sull'attività svolta dalla cooperativa negli appalti di volta in volta ottenuti, in linea con il percorso argomentativo della sentenza impugnata. Ne' sono state illustrate argomentazioni idonee a dimostrare che, senza il richiamo a quel verbale, la motivazione della pronuncia risulti priva di ogni ubi consistam. La Corte territoriale ha vagliato compiutamente tutte le risultanze probatorie acquisite, che non si esauriscono nel verbale contestato con il terzo mezzo. Anche esaminata da questa angolazione, la censura si rivela, pertanto, inammissibile. 8. L'accertamento del giudice d'appello non è efficacemente incrinato neppure dalle critiche mosse con il sesto e con il settimo mezzo, che possono essere esaminati congiuntamente. Ambedue i motivi sottopongono allo scrutinio di questa Corte l'insanabile contraddittorietà della sentenza che ha ritenuto sprovvisti di prova gli assunti della cooperativa e ha negato ingresso alle prove capitolate dalla cooperativa per avvalorare tali assunti. 8.1. Inammissibile è il settimo mezzo, formulato in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, per la mancata ammissione delle istanze istruttorie orali dedotte su fatti decisivi ai fini della prova del carattere autonomo dei rapporti di lavoro dei soci . Allorché la sentenza d'appello confermi la pronuncia di primo grado, il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per i motivi di cui ai numeri da 1 a 4 dell'articolo 360 c.p.c., articolo 348 ter c.p.c., comma 5 . Nell'ipotesi di doppia conforme , al fine di evitare l'inammissibilità del motivo di cui all'articolo 360 c.p.c., numero 5, il ricorrente deve indicare le ragioni poste a base alla decisione di primo grado e quelle poste a base della pronuncia d'appello e dimostrare che, sul punto specifico investito dalla censura, sono diverse Cass., sez. I, 22 dicembre 2016, numero 26774 e Cass., sez. II, 10 marzo 2014, numero 5528 . A tale onere la ricorrente non ha ottemperato, con conseguente inammissibilità della censura. Ne' a diverse conclusioni si giungerebbe se, nel caso di specie, fosse stato ritualmente dedotto il vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5. La ricorrente non ha allegato, nei termini specificati da S.U., 7 aprile 2014, numero 8053 e numero 8054, l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo, in quanto, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Lungi dall'omettere l'esame delle circostanze, sulle quali vertono le richieste di prova, la sentenza impugnata ha argomentato in modo puntuale circa la carenza di carattere dirimente delle circostanze dedotte, inidonee a mutare la decisione della causa. La formulazione del motivo sottende, a ben vedere, il dissenso rispetto al vaglio compiuto dalla Corte di merito. Anche così inquadrata, la censura si palesa ugualmente inammissibile. 8.2. La questione della mancata ammissione di prove decisive è posta anche con il sesto motivo, che lamenta nullità processuale, violazione del diritto di difesa e manifesta illogicità della motivazione per la scelta di rigettare le istanze istruttorie formulate dal ricorrente e poi dichiarare la sua domanda non provata . Il motivo non è fondato. Questa Corte è costante nell'affermare che la mancata ammissione di un mezzo istruttorio nella specie, prova testimoniale si traduce in un vizio della sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l'inosservanza dell'onere probatorio ex articolo 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo e implica dunque violazione dell'articolo 132 c.p.c., numero 4, di recente, Cass., sez. II, 20 giugno 2022, numero 19864, punto 7.1. . La sentenza impugnata non contravviene ai principi di diritto richiamati. La Corte territoriale, lungi dall'avere trascurato l'esame delle richieste istruttorie, ha offerto in ordine alla scelta di rigettarle una motivazione convincente, che non presta il fianco alle censure di violazione di legge. Quanto alla facoltà di svolgere le attività in proprio o in favore di terzi e di rifiutare le occasioni di lavoro procurate dalla cooperativa, il giudice del gravame ha evidenziato che non rivestono decisiva rilevanza in senso contrario e non infirmano i rilevanti indici di subordinazione passati in rassegna pagina 7 . Le istanze istruttorie, trascritte nel ricorso pagina 33 e reiterate anche nella memoria illustrativa pagine 14 e 15 , sono peraltro per un verso valutative e superflue, in quanto si limitano a ricalcare le previsioni negoziali, e per altro verso generiche, carenti di riferimenti circostanziati che consentano l'articolazione d'idonea prova contraria per un'analoga valutazione, la più volte richiamata ordinanza numero 21830 del 2022, punti 14 e 15 . Esse si collocano sul piano astratto delle facoltà spettanti in astratto ai soci e non su quello della concreta dinamica negoziale, avvalorata da dettagli meno evanescenti. Tali ragioni consentono di soprassedere all'esame degli argomenti che l'INPS ha adombrato nel controricorso pagina 7 , al fine di perorare l'inammissibilità delle prove testimoniali richieste, per contrasto con l'articolo 1417 c.c., e con il divieto di prova testimoniale della simulazione. 8.3. Inammissibile è il sesto mezzo, nella parte in cui deduce anche la violazione dell'articolo 115 c.p.c., per la considerazione come pacifico di un fatto non contestato lo svolgimento in via continuativa di prestazioni di pulizia e di facchinaggio . Il motivo difetta di specificità. La ricorrente si limita a contestare il carattere pacifico della circostanza, esponendo d'avere prodotto una visura camerale dalla quale si possono arguire una pluralità di attività, non limitate allo svolgimento dei servizi di pulizia e di facchinaggio, e osservando che tale visura non è stata contestata specificamente dall'INPS pagine 28 e 29 del ricorso . Questa Corte è costante nell'affermare che il principio di non contestazione di cui all'articolo 115 c.p.c., ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti Cass., sez. III, 20 marzo 2020, numero 6172 . Per censurare efficacemente l'applicazione del principio di non contestazione , la ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare, con il supporto degli atti processuali rilevanti, la mancata allegazione o l'allegazione generica della circostanza dello svolgimento continuativo dei servizi di pulizia e facchinaggio o la contestazione specifica di tale allegazione, mediante la deduzione di elementi di fatto incompatibili non efficacemente contraddetti. Non è decisiva la mera produzione di una visura camerale, se non si dimostra che essa si associa a una allegazione in giudizio delle circostanze rappresentate dal documento. Quanto al fatto, poi, che le risultanze della visura camerale non siano state contestate, è una mera asserzione della ricorrente, sfornita di riscontri che consentano a questa Corte, sulla scorta dell'esame del ricorso, di verificarne ex actis la veridicità. 9. Il ricorso, in conclusione, dev'essere rigettato, anche in applicazione del seguente principio di diritto Ai fini della qualificazione in termini di autonomia o di subordinazione dell'ulteriore rapporto di lavoro che il socio lavoratore di una società cooperativa stabilisca con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo L. 3 aprile 2001, numero 142, articolo 1, comma 3 , il nomen iuris attribuito in linea generale e astratta nel regolamento che definisce l'organizzazione del lavoro dei soci e la peculiarità del rapporto mutualistico connesso a quello di lavoro, pur configurandosi come elementi necessari di valutazione, non rivestono portata dirimente. A tale riguardo, occorre dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro. Quando la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione e il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre fare ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti , l'eventuale assunzione di un rischio d'impresa con un effettivo controllo sulla gestione aziendale, la sussistenza di un autentico potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro. Tali elementi devono essere valutati nella loro vicendevole interazione . 10. Dal rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 385 c.p.c., comma 1, la condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo alla luce del valore della controversia e dell'attività processuale svolta. A norma del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17 , il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si deve dare atto con la presente ordinanza Cass., S.U., 27 novembre 2015, numero 24245 , per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l'impugnazione, ove sia dovuto Cass., S.U., 20 febbraio 2020, numero 4315 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 bis, ove dovuto.