La modifica del prezzo deve essere operata salvaguardando la natura contrattuale di vendita a corpo

Leasing immobiliare, l’utilizzatore può agire per la riduzione del prezzo solo in presenza di apposita clausola contrattuale. Qualora le parti concludano un contratto di compravendita a corpo” indicando, nell’ambito di esso, la misura del bene compravenduto, si applica il rimedio di cui all’art. 1538, comma 1, c.c., in presenza di una divergenza quantitativa della misura del bene maggiore di un ventesimo di quella indicata nel contratto.

Resta salva la facoltà delle parti di escludere l'efficacia della norma dinanzi richiamata, mediante specifica clausola negoziale, pur in presenza dei requisiti previsti per la sua applicabilità. Il caso. Una società utilizzatrice acquistava la disponibilità di un immobile, a titolo di leasing , da una società cedente. La società utilizzatrice conveniva in giudizio la società cedente eccependo la minore estensione del bene oggetto di compravendita , inoltre, contestava delle difformità realizzate in fase costruttiva rispetto a quanto riportato in concessione edilizia. Parte attrice chiedeva la riduzione del prezzo di acquisto ridotta metratura e il risarcimento dei danni difformità . Il Tribunale respingeva la domanda segnalando che la vendita era stata convenuta a corpo e non a misura, pertanto, la difformità di estensione risultava ininfluente. La Corte d'Appello confermava la sentenza di primo grado. Le parti hanno proposto ricorso per cassazione. Legittimazione attiva della società utilizzatrice. L'operazione di leasing finanziario si caratterizza per l'esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di leasing propriamente detto, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo noto a quest'ultimo di soddisfare l'interesse dell'utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, in forza del quale, ferma restando l'individualità propria di ciascun tipo negoziale, l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. In mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo, l'utilizzatore non può , invece, esercitare l'azione di risoluzione o di riduzione del prezzo del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente cui esso è estraneo se non in presenza di specifica clausola contrattuale, con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale, restando il relativo accertamento rimesso al giudice di merito poiché riguarda non la legitimatio ad causam ma la titolarità attiva del rapporto – Cass. SS.UU. 19785/2015 . Volontà delle parti e consistenza del bene. Il Tribunale ha affermato che dagli atti preliminare e definitivo sottoscritti dalle parti era emersa la volontà di effettuare la vendita-acquisto a corpo dell'immobile. La S.C. ha analizzato le dichiarazioni rilasciate dalle parti nel contratto preliminare e nel contratto definitivo, quindi, ha rilevato il riferimento espresso alla estensione del cespite così individuando la volontà delle parti di effettuare la compravendita a misura e non a corpo art. 1538 c.c. . Art. 1538 c.c., vendita a corpo, tre orientamenti. Il primo orientamento presuppone che la clausola di cui all' art. 1538, comma 1, c.c. riduzione in caso di sproporzione superiore ad 1/20 si applichi sempre, a meno che le parti ne abbiano escluso espressamente la vigenza. Il secondo orientamento demanda al giudice di merito l'interpretazione dell'effettiva volontà delle parti, da condurre nel rispetto dei principi generali, ed ammette la possibilità di escludere la vigenza della clausola della vendita a corpo anche in assenza di espressa pattuizione. La terza tesi fa derivare l'applicabilità della riduzione del prezzo dalla semplice verifica dell'esistenza di una divergenza quantitative superiore ad un ventesimo di quanto era stato pattuito tra le parti. L'orientamento delle Sezioni Unite. Le Sezioni Unite hanno ritenuto di dare continuità al primo orientamento così espresso qualora le parti concludano un contratto di compravendita a corpo” indicando, nell'ambito di esso, la misura del bene compravenduto, si applica il rimedio di cui all' art. 1538, comma 1, c.c. , in presenza di una divergenza quantitativa della misura del bene maggiore di un ventesimo di quella indicata nel contratto. Resta salva la facoltà delle parti di escludere l'efficacia della norma dianzi richiamata, mediante specifica clausola negoziale, pur in presenza dei requisiti previsti per la sua applicabilità . Spiegano i Giudici di legittimità che tale previsione persegue lo scopo di riequilibrare il sinallagma contrattuale e non deve e non può essere utilizzata per trasformare una vendita a corpo in vendita a misura. Con queste argomentazioni è stato accolto il ricorso e rinviata la causa a Corte d'Appello in diversa composizione.

Presidente Lombardo – Relatore Oliva Fatti di causa Con atto di citazione ritualmente notificato G.I. S.r.l. evocava in giudizio D. S.r.l. dinanzi il Tribunale di Bologna, deducendo di essere utilizzatrice di un immobile, acquistato in leasing giusta contratto tra D. S.r.l., venditrice, e ABF Leasing S.p.a., acquirente, ed invocando la riduzione del prezzo di compravendita a fronte delle difformità riscontrate nel bene compravenduto. In particolare, quest'ultimo risultava avere una estensione inferiore a quella promessa ed indicata in atto di vendita ed era dotato di ascensore inidoneo allo scopo. Con autonomo atto di citazione G.I. S.r.l. evocava in giudizio, dinanzi il medesimo Tribunale, la società D. S.r.l., insieme al suo legale rappresentante ed al legale rappresentante della società che aveva effettuato la ristrutturazione dell'immobile di cui è causa, invocandone la condanna al risarcimento del danno derivante dal mancato rispetto del progetto allegato alla concessione edilizia rilasciata dal Comune di Bologna in data 18.9.1988. Nella resistenza della società convenuta, il Tribunale, dopo aver riunito i due giudizi, li decideva con sentenza n. 3122/2010, con la quale rigettava la domanda, rilevando che nella specie la compravendita era stata conclusa a corpo, e non a misura, con conseguente irrilevanza della differenza di superficie lamentata dalla società attrice. Quanto invece alla mancanza delle qualità promesse, il giudice di prime cure rilevava la tardività dell'azione. Interponeva appello avverso detta decisione G.I. S.r.l. e la Cofrte di Appello di Bologna, con la sentenza impugnata, n. 1719/2016, emessa nella resistenza di D. S.r.l., rigettava il gravame. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione G.I. S.r.l., affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso D. S.r.l. Il ricorso, chiamato all'adunanza camerale del 10.12.2021, in prossimità della quale ambo le parti avevano depositato memoria, è stato rinviato a nuovo ruolo, perché fosse trattato in udienza pubblica, con ordinanza interlocutoria n. 10252/2022, con la quale le parti sono state invitate a dedurre in relazione alla titolarità del rapporto ed alla legittimazione attiva, trattandosi di domanda di natura contrattuale proposta dall'utilizzatore finale di bene acquistato da una società di leasing e poi concesso in uso al detto utilizzatore con separato contratto. Con memoria depositata in seguito a detta ordinanza interlocutoria, G.I. S.r.l. ha preso posizione in relazione al tema sottoposto dal Collegio al contraddittorio delle parti. In prossimità dell'odierna udienza, ambo le parti hanno depositato memoria. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione Prima di esaminare i motivi di ricorso, va affronta la questione evidenziata con l'ordinanza interlocutoria n. 10252/2022, e dunque verificata la legittimazione attiva della società ricorrente, utilizzatrice del bene oggetto di compravendita e successivo leasing, di far valere le domande di natura contrattuale che spetterebbero all'acquirente del bene oggetto di causa. Alla luce di quanto dedotto dalla ricorrente con la memoria depositata in seguito alla predetta ordinanza interlocutoria, la legittimazione attiva va ritenuta sussistente. In forza di specifica clausola contenuta sia nel contratto preliminare del 25.10.2001, a rogito del notaio Santoro in Bologna, rep.104.976, sia nel contratto definitivo di vendita del 9.7.2003, a rogito del medesimo notaio, rep. 108.708, infatti, la società venditrice D. S.r.l. ha dichiarato espressamente che tutte le azioni spettanti alla ABF Leasing S.P.A. nella sua veste di Parte promissaria acquirente della porzione in oggetto, competono direttamente alla Società Utilizzatrice, pertanto riconosce la piena e incondizionata legittimazione ad agire nei propri confronti cfr. clausola Spese ed oneri accessori del preliminare e clausola Reddito fondiario e dichiarazioni urbanistiche del definitivo . La società utilizzatrice del bene, dunque, è pienamente legittimata a far valere le eccezioni, e a proporre le azioni e domande, di natura contrattuale che spetterebbero alla società concedente, acquirente del bene concesso in leasing. Sul punto, va infatti ribadito il principio, già enunciato nell'ordinanza interlocutoria, per cui L'operazione di leasing finanziario si caratterizza per l'esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di leasing propriamente detto, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo noto a quest'ultimo di soddisfare l'interesse dell'utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, in forza del quale, ferma restando l'individualità propria di ciascun tipo negoziale, l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. In mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo, l'utilizzatore non può, invece, esercitare l'azione di risoluzione o di riduzione del prezzo del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente cui esso è estraneo se non in presenza di specifica clausola contrattuale, con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale, restando il relativo accertamento rimesso al giudice di merito poiché riguarda non la legitimatio ad causam ma la titolarità attiva del rapporto Cass. Sez. U, Sentenza n. 19785 del 05/10/2015 , Rv. 636742 . Passando all'esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1372 e 1538 c.comma , in relazione all' art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che la norma di cui all' art. 1538 c.comma , costituisce norma eccezionale, che prevale rispetto alla pattuizione delle parti, a meno che non risulti provato un esplicito accordo nel senso di prescindere dal rimedio specifico di cui si discute. Ad avviso della ricorrente, poiché nel caso di specie le parti avevano compromesso in vendita un immobile avente determinate caratteristiche e consistenza, la verifica della minor estensione del bene in misura superiore ad un ventesimo di quanto pattuito avrebbe legittimato l'acquirente a proporre la domanda di riduzione del corrispettivo, ai sensi dell' art. 1538 c.comma , comma 1. La censura è fondata. La Corte di Appello, dopo aver dato atto che le parti avevano individuato il bene, tanto nel preliminare che nel definitivo, con riferimento alle sue caratteristiche ed alle planimetrie, ha affermato che l'indicazione dell'estensione del bene stesso avesse valore meramente indicativo, trattandosi comunque di vendita a corpo e non a misura, ed avendo le parti inteso indicare la superficie commerciale del bene compravenduto cfr. pag. 4 della sentenza impugnata . Inoltre, la Corte Bolognese ha ritenuto che il rimedio previsto dall' art. 1538 c.comma , si applicherebbe soltanto all'ipotesi in cui una delle parti venga a conoscenza, in epoca successiva alla vendita, della minor consistenza del bene venduto poiché nel caso di specie le parti, dopo aver indicato nel contratto preliminare di compravendita le misure del cespite di cui è causa, avevano comunque stipulato il definitivo, ciò dimostrerebbe secondo la Corte di merito il loro comune intento di dar corso al progetto negoziale, rinunciando a sollevare eccezioni sulla non congruità del prezzo ed a richiedere la sua eventuale riduzione cfr. pag. 5 della sentenza impugnata . In realtà, come chiarito dal ricorso e dalle memorie prodotte da parte ricorrente, che riportano in modo specifico le clausole degli accordi intervenuti tra le parti peraltro allegati sia agli atti del giudizio di merito che al fascicolo del presente giudizio , nel caso di specie l'immobile era stato individuato, tanto nel contratto preliminare che nel contratto definitivo, non soltanto in relazione alle sue caratteristiche ed ai dati catastali, ma anche con espressa indicazione della sua consistenza e rinvio ad una planimetria descrittiva. In particolare, il bene risulta descritto, in ambedue i documenti negoziali, come un ufficio di mq. 400 di superficie comerciale, corrispondenti a mq. 372 di superficie utile, con annessi autorimessa di mq. 12,50, cantina di mq. 8 e lastrico solare adiacente cfr. pagg. 5 e s. del contratto preliminare del 25.10.2001, rep. 104.976, raccomma 16.715, nonché pagg. 7 e s. del contratto definitivo del 9.7.2003, rep. 108.708, raccomma 18.804 . Non è dunque condivisibile l'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l'indicazione della superficie del cespite oggetto della compravendita avrebbe contenuto meramente indicativo, in quanto riferibile alla sola superficie commerciale, e non a quella utile al contrario, la descrizione contenuta nelle due pattuizioni, preliminare e definitiva, appena richiamate, fa espresso riferimento, quanto all'immobile principale adibito ad ufficio, sia alla superficie commerciale 400 mq. sia a quella utile 372 mq. . La volontà delle parti, dunque, è sempre stata quella di negoziare il medesimo bene, identificato come anzidetto non e', di conseguenza, possibile ricavare, dalla sola circostanza dell'avvenuta stipulazione del contratto definitivo, una intenzione diversa da quella espressa nel preliminare, espressamente confermata anche in sede di rogito di compravendita. Proprio perché le parti hanno confermato, nel definitivo, la medesima descrizione del bene già contenuta nel contratto preliminare, la stipulazione del primo non implica alcuna modificazione dell'originario intento negoziale, ma al contrario lo conferma, e dimostra dunque che l'oggetto della compravendita intervenuta tra D. S.r.l. e G.I. S.r.l. era un bene immobile di estensione commerciale pari a 400 mq., corrispondenti ad una superficie utile di mq. 372, con relative pertinenze ed annessi. Alla fattispecie, di conseguenza, si applica il rimedio previsto dall' art. 1538 c.comma , secondo cui Nei casi in cui il prezzo è determinato in relazione al corpo dell'immobile e non alla sua misura, sebbene questa sia stata indicate, non si fa luogo a diminuzione o a supplemento di prezzo, salvo che la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto . Esso, infatti, presuppone che le parti abbiano espressamente indicato, nell'ambito di un contratto di compravendita a corpo , la misura del bene compravenduto, appunto come è accaduto nel caso di specie. Ciò posto, è necessario ripercorrere brevemente l'interpretazione che, della disposizione appena richiamata, è stata fornita da questa Corte. In diversi precedenti si è affermato che Anche nella vendita immobiliare a corpo , la menzione nel contratto della misura dell'immobile costituisce, nella previsione dell' art. 1538 c.comma , un elemento cui la norma stessa, ricorrendo determinati presupposti di carattere oggettivo misura reale del bene inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata in contratto , attribuisce importanza al fine della possibilità di chiedere la rettifica del prezzo, che può essere ritenuta esclusa solo nel caso in cui, dalla interpretazione del contratto, risulti che le parti abbiano inteso derogare alla norma medesima, escludendone l'applicabilità, per avere esse considerato irrilevante del tutto l'effettiva estensione dell'immobile, quale che essa sia Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11793 del 19/05/2006 , Rv. 592538 conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7238 del 26/06/1995 , Rv. 493116 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7594 del 09/07/1991 , Rv. 473026 . L'esclusione della clausola legale di cui all' art. 1538 c.comma , in presenza di contratto di compravendita a corpo contenente l'indicazione della misura del bene compravenduto, presupporrebbe dunque la prova di un'esplicita pattuizione tra le parti. In altra occasione, invece, questa Corte ha affermato che Ai sensi dell' art. 1538 c.comma , nella vendita a corpo a differenza di quella a misura disciplinata dall' art. 1537 c.comma il prezzo pattuito è determinato con riguardo all'immobile nella sua entità globale indipendentemente dalle effettive dimensioni, salvo che la sua misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo a quella indicata in contratto, sicché l'estensione del fondo, ancorché sia stata dalle parti indicata in contratto, assume rilevanza soltanto ai fini della identificazione del bene effettivamente venduto, che va compiuta attraverso l'interpretazione secondo i canoni legali della volontà negoziale Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19600 del 29/09/2004 , Rv. 577441 . Secondo questa ipotesi ricostruttiva, parzialmente divergente da quella seguita dall'orientamento prevalente, l'operatività del rimedio di cui all' art. 1538 c.comma , potrebbe essere esclusa anche in assenza di specifica pattuizione delle parti, all'esito del procedimento interpretativo del contratto e della volontà dei paciscenti, da condurre nel rispetto dei criteri generali di cui all' art. 1362 c.comma e ss Infine, in altra fattispecie si è affermato che Nella vendita a corpo il prezzo è stabilito in relazione all'entità globale del bene indipendentemente dalle sue dimensioni reali, sicché non si procede a diminuzione salvo che la misura reale sia inferiore di un ventesimo rispetto a quella precisata nel contratto, che determina il venir meno della presunzione di indifferenza delle parti rispetto al minor valore dell'immobile e l'applicazione delle ordinarie regole di riduzione del corrispettivo in caso di non corrispondenza tra qualità promesse e cosa trasferita Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18263 del 17/09/2015 , Rv. 637188 . Secondo questa terza ipotesi interpretativa, si configurerebbe una presunzione di indifferenza della divergenza quantitativa del bene oggetto del progetto negoziale, che sarebbe superata dalla dimostrazione dell'entità di detta divergenza maggiore di un ventesimo rispetto alla misura indicata nel contratto . Dall'adesione a ciascuna delle tre opzioni interpretative derivano conseguenze in relazione alle caratteristiche, alla portata ed al funzionamento dello specifico rimedio di cui all' art. 1538 c.comma , comma 1, certamente applicabile esclusivamente in presenza di un contratto di compravendita a corpo contenente l'espressa indicazione della misura del bene compravenduto. La prima ipotesi, infatti, presuppone che la clausola di cui all' art. 1538 c.comma , comma 1, si applichi sempre, a meno che le parti ne abbiano escluso espressamente la vigenza. La seconda ipotesi, invece, demanda al giudice di merito l'interpretazione dell'effettiva volontà delle parti, da condurre nel rispetto dei principi generali, ed ammette la possibilità di escludere la vigenza della clausola legale in esame anche in assenza di espressa pattuizione dei paciscenti in tal senso. La terza, infine, fa derivare l'applicabilità del rimedio di cui si discute dalla semplice verifica dell'esistenza di una divergenza quantitative superiore ad un ventesimo di quanto era stato pattuito tra le parti. Il collegio ritiene opportuno dare continuità alla prima tesi, anche in ragione della sua prevalenza rispetto alle altre due. Essa, infatti, da un lato assicura la precisa perimetrazione del rimedio in esame, limitato ai soli casi in cui la vendita sia conclusa a corpo con espressa indicazione della misura del bene compravenduto, e dunque con estrinsecazione della volontà delle parti di negoziare proprio un bene dotato delle caratteristiche quantitative indicate in contratto. Dall'altro lato, valorizza la volontà delle parti, desumibile -appunto dall'indicazione della misura del bene, ma lascia alle stesse la facoltà di escludere l'efficacia della norma in esame, mediante inserzione di esplicita clausola nel loro regolamento negoziale. La seconda ipotesi, invece, non assicura analoga certezza nella perimetrazione dell'applicabilità del rimedio in esame, poiché fa confluire la verifica dell'intenzione delle parti di assoggettare il loro regolamento negoziale al rimedio di cui all' art. 1538 c.comma , comma 1, nell'ambito del procedimento di interpretazione del contratto e di ricostruzione della volontà delle parti stesse. Così argomentando, la circostanza che queste ultime, nell'ambito di un contratto di vendita a corpo , abbiano espressamente indicato la misura del bene negoziato non implica l'automatica applicazione, a quella pattuizione, della norma di cui anzidetto. La terza opzione interpretativa, d'altro canto, sconfina in un eccessivo rigore, nella parte in cui afferma che l'applicazione del rimedio di cui all' art. 1538 c.comma , comma 1, deriverebbe dalla semplice verifica dell'esistenza di una divergenza superiore ad un ventesimo della misura pattuita tra le parti. Anche perché, nel momento in cui si postula che la norma in esame si applica soltanto in presenza di contratto a corpo nel cui ambito le parti abbiano indicato la misura del bene compravenduto, è evidente che, oltre al presupposto quantitativo sopra indicato rappresentato dal superamento della soglia di 1/20 della misura pattuita , debba sussistere anche una manifestazione di volontà dei paciscenti. In definitiva, va data continuità alla prevalente interpretazione, con affermazione del seguente principio di diritto Qualora le parti concludano un contratto di compravendita a corpo indicando, nell'ambito di esso, la misura del bene compravenduto, si applica il rimedio di cui all' art. 1538 c.comma , comma 1, in presenza di una divergenza quantitativa della misura del bene maggiore di un ventesimo di quella indicata nel contratto. Resta salva la facoltà delle parti di escludere l'efficacia della norma dianzi richiamata, mediante specifica clausola negoziale, pur in presenza dei requisiti previsti per la sua applicabilità . Da quanto esposto deriva che nel caso di specie, in presenza di specifica indicazione della misura del bene nel contratto di vendita a corpo ed in assenza di prova di un accordo, esplicito e non equivoco, tra le parti, finalizzato alla conservazione del progetto negoziale nonostante la riscontrata difformità della cosa venduta in misura superiore ad un ventesimo di quanto pattuito, la Corte di Appello di Bologna ha errato nell'affermare che la stipulazione del contratto definitivo implicherebbe di per sé rinuncia ad avvalersi del rimedio specifico di cui all' art. 1538 c.comma , comma 1. Sul punto, peraltro, va ribadito l'ulteriore principio, esso pure affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui In tema di vendita immobiliare a corpo , l' art. 1538 c.comma , comma 1, risponde alla necessità di ripristinare l'equilibrio delle prestazioni quale in concreto fissato dalle parti e, tuttavia, pregiudicato dalla sperequazione emersa dopo la stipula. Pertanto, la revisione del prezzo non deve seguire il criterio del valore di mercato che si sovrapporrebbe all'equilibrio contrattuale raggiunto dai contraenti , né il criterio proporzionale secco che cancellerebbe la volontà delle parti di vendere a corpo , anziché a misura , dovendosi applicare, invece, un criterio proporzionale corretto , che prescinda dall'esatta misurazione del bene, entro l'ambito per il quale è esclusa la revisione ex art. 1538 c.comma Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19890 del 29/08/2013 , Rv. 627569 . Ove infatti il giudice di merito seguisse, nella revisione del prezzo pattuito tra le parti, il criterio del valore di mercato o il valore proporzionale, finirebbe per sovrapporsi alla volontà delle parti, trasformando di fatto la vendita da a corpo in vendita a misura . In altri termini, il procedimento interpretativo devoluto al giudice di merito si articola in quattro fasi successive 1 in primo luogo, occorre verificare l'esistenza di una compravendita a corpo con specifica indicazione, nel contratto, della misura del bene compravenduto 2 in secondo luogo, va verificato il superamento del limite quantitativo previsto dall' art. 1538 c.comma , comma 1, un ventesimo della misura pattuita dai paciscenti 3 in terzo luogo, dev'essere riscontrata la presenza, o l'assenza, di clausola negoziale atta ad escludere il rimedio specifico di cui alla norma appena richiamata 4 infine, è necessario operare la riduzione del corrispettivo previsto dalle parti, in funzione riequilibratoria del sinallagma contrattuale, senza modificare la natura del regolamento negoziale, e dunque senza trasformare, di fatto, la vendita a corpo in vendita a misura . Il giudice del rinvio dovrà dunque procedere ad una nuova disamina della fatttispecie, avendo cura di uniformarsi ai principi di diritto esposti in motivazione e di dispiegare la valutazione del merito nel rispetto della scansione logica appena descritta. Dall'accoglimento, nei termini indicati, della prima censura deriva l'assorbimento del secondo motivo di ricorso, con il quale la società ricorrente denuncia la violazione dell' art. 1362 c.comma , in relazione all' art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato le risultanze del contratto di compravendita, ravvisando nel fatto che le parti avessero comunque concluso la vendita una prova della loro intenzione di procedure nel progetto negoziale, senza dare rilevanza alla differenza di superficie del bene venduto. Ad avviso della ricorrente, proprio tale circostanza avrebbe dovuto condurre il giudice di merito all'opposta conclusione, posto che anche nel definitivo le parti avevano indicato l'estensione del cespite, così manifestando il loro intento di vendere, ed acquistare, proprio un bene avente quella determinata estensione, e non un bene di estensione inferiore. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Bologna, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bologna, in differente composizione.